“Ritorno ad Ancona e altre storie” di Lorenzo Spurio e Sandra Carresi, recensione a cura di Emanuela Ferrari

Ritorno ad Ancona e altre storie

di Lorenzo Spurio e Sandra Carresi

Lettere Animate Editore, 2012

 

Recensione a cura di Emanuela Ferrari

Il libro scritto da Lorenzo Spurio e Sandra Carresi, dal titolo Ritorno ad Ancona e altre storie, raccoglie tre storie che, pur narrando vicende diverse, hanno un filo conduttore comune, ovvero si “muovono” sul terreno dei sentimenti, più precisamente partono da un punto di riferimento iniziale: la famiglia che si crea, che si ha per poi arrivare a situazioni diverse rispetto al punto di partenza. Tutto ciò che accade prende spunto da questo micro-cosmo, o micro-mondo, che ci portiamo appresso anche quando sembra averci abbandonato. Dal genio creativo dei due autori “nascono” tre racconti molto avvincenti, assai ricchi di particolari descrittivi su luoghi, persone, stati d’animo, riflessioni introspettive che portano il lettore a sfogliare le pagine con voracità.

Tre storie intense, vissute, emozionanti dove le protagoniste indiscusse sono tre donne: Giada (33 anni), Rebecca (55 anni), Eva (circa 40 anni) che mi sento di definire tre “pilastri” in quanto prendono in pugno la situazione e cercano di gestirla al meglio dimostrando una forza vitale, una energia inaspettata che le induce ad andare avanti. Questo tratto è comune alle tre donne, che appartengono a generazioni diverse e vivono emozioni differenti e con vissuti molto lontani che possiamo ricollegare al modo di essere delle donne italiane: tenaci, forti, presenti, super-impegnate e soprattutto umane, aperte all’altro, disponibili all’ascolto del mondo che le circonda. Infatti, Giada decide di “accogliere” il fratello Jacopo di cui non conosceva l’esistenza, Eva mantiene un dialogo aperto con l’ex-marito, Alberto, anche quando la mette in difficoltà per allontanarla con i bambini dalla casa che questi voleva dividere con la sua compagna. Poi Rebecca, pur avendo conosciuto Vincenzo, mantiene il ricordo e la “presenza” del marito nella casa ad Ancona.

Tanto ancora si potrebbe “dire” su questo libro nato dall’abile penna di due scrittori dell’Italia centrale, luogo in cui ambientano la vita dei loro personaggi: Firenze, Fiesole, Ancona, Roma, San Casciano. L’abilità descrittiva dei colori, dei profumi, delle abitazioni rivela una profonda conoscenza del territorio e, soprattutto, la volontà di far risaltare gli aspetti più caratterizzanti: in Telefonate Anonime “le colline toscane, ombrate da verdi e tozzi ulivi”, mentre trapela un legame sincero con il nostro paese nella seguente frase, che conclude la prima pagina del racconto: “il cibo italiano, da molti declamato come il più buono al mondo”. Ed ancora Roma, dove Giada deve svolgere il suo servizio per la boutique di moda, è dipinta tra le righe come un posto rumoroso e frenetico, ma a cui si arriva in ogni modo, parafrasando il proverbio “tutte le strade portano a Roma”. Inoltre, i collegamenti tra le vie denotano una conoscenza – oserei affermare – diretta del percorso citato: via della Traspontina, che conduce a San Pietro, Campo dei Fiori…

In Ritorno ad Ancona sono molto belle le descrizioni colorate della flora, che adorna il balconcino dell’albergo ad Ischia, e la zona di Forio con i Giardini Poseidon ricchi di piante di ogni tipo e “guarniti” da magnolie profumate che sembrano emanare il loro avvolgente effluvio dalle pagine, mentre Ancona come si presenta al lettore? Appare silenziosa con un sole dorato che si rispecchia nel mare Adriatico…

Infine, in Un cammino difficile, ritorna una attenzione particolare alla Toscana, precisamente a Prato dove il paesaggio, ma soprattutto l’architettura ha perso ogni sembianza italiana assumendo sempre più connotati cinesi. In questa precisazione è possibile “percepire” una nota di rammarico da parte degli autori. Poi Viareggio quale luogo ideale per le vacanze estive, mentre Fiesole descritta così: “isola verde sulle colline fiorentine, fuori dal caos e ventilate”.

A questo punto credo che, per “assaporare” tutti gli ingredienti che sono stati maestralmente amalgamati insieme da Lorenzo e Sandra, non rimanga che immergersi nella lettura del loro lavoro per scoprire un mondo che “vediamo” tutti i giorni, forse anche con un certo distacco, ma che ci impone di riflettere sul valore delle persone e sui loro sentimenti.

Ringrazio i due autori  per aver prodotto un testo così ricco di contenuti per le nostre menti.

A CURA DI EMANUELA FERRARI

28/03/2012

QUESTO TESTO E’ UN ESTRATTO DELLA RECENSIONE SCRITTA DA EMANUELA FERRARI.

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA DIFFUSIONE E LA RIPRODUZIONE DI QUESTO TESTO NELLA FORMA DI STRALCI O INTEGRALMENTE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

“Giardini d’aria” di Maria Lenti, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Giardini d’aria
di Maria Lenti
con prefazione di Enrico Capodaglio
Marte Editrice, 2011
ISBN: 978-88-6497-054-7
Recensione a cura di Lorenzo Spurio

LA RECENSIONE E’ SCARICABILE IN PDF COLLEGANDOSI AL SITO DELL’AUTRICE O CLICCANDO QUI.

Giardini d’aria di Maria Lenti è una finissima prosa intimistica ricca di colori e di suggestioni di vario tipo che ci viene presentata nella forma di un diario di memorie. L’incipit si apre con dei punti sospensivi, quasi a voler intendere che il discorso è già iniziato e che ci siamo persi qualcosa o che, è solo il seguito di una narrazione che dobbiamo cercare di unire a un “prima”. La narrazione procede in maniera regolare, senza grandi balzi temporali e la Lenti passa a raccontarci le vicende del passato, dei ricordi della sua beniamina Margherita, giovane sempre un po’ spaesata, riflessiva e grande visionaria. Capiamo da subito, in questo percorso di crescita della protagonista, che il suo essere orfana di madre e lontana dal padre che si trova a lavorare nelle miniere in Sardegna, sono fatti importantissimi e ineludibili dai quali bisogna partire per comprendere a tutto tondo il suo essere. Con una vivezza espressiva unica la Lenti ci fa partecipare a recite prenatalizie, momenti di condivisione con le altre bambine nel collegio di orfane e ai loro discorsi buffi trattati però con serietà, come la difficoltà di Margherita di scegliere il suo colore preferito tra bianco e nero.
E’ di certo un paragone un po’ azzardato ma non inopportuno quello con la prima parte del romanzo Jane Eyre, dove pure incontriamo un’orfana un po’ solitaria costretta a vivere in un collegio (qui, a differenza dal testo della Lenti, le condizioni medico-sanitarie e di disciplina sono molto diverse), dove, al pari di Margherita che considera la religione “molto noiosa” (pag. 28), Jane Eyre non riesce a comprendere l’insegnamento cristiano che, invece, per l’amica Helen Burns è l’unico baluardo di difesa. Appena poche righe dopo, scopriamo poi che uno dei sogni di Margherita è quello di “diventare professoressa” (pag. 28), proprio la professione che Jane Eyre, una volta adulta, svolgerà alla tenuta di Thornefield.
Ma poi non c’è più spazio per il personaggio di Margherita: la Lenti ci narra poi di nuovi personaggi, con nomi diversi che, in realtà, non sono altro che molteplici sfaccettature del suo vissuto: una donna che si trova in lavoro a Firenze, lontano dai suoi genitori; una donna esaurita e depressa che decide di andare da uno psicanalista del quale però ci viene dato solo l’allarmante monologo della donna, il ricordo traumatico di una bambina con delle severe e insensibili suore tanto che alla protagonista viene da chiedersi “da quali bassifondi pulsavano quelle malvagità?” (pag. 72); le problematiche di due genitori alle prese con una bambina che desidera un animale vero da tenere in casa; l’ansia (e quasi fobia) dell’ “invitato-non-invitato” a un pasto senza preavviso. E così, tra le varie pagine seguiamo personaggi diversi, timori e speranze lontane tra loro, a volte addirittura contrastanti, incontriamo gli amici della protagonista e non facciamo in tempo a conoscerli come vorremmo perché, dopo poche pagine (ed è questa la magia del racconto breve), la narrazione termina, per aprirsene un’altra.
Sono esistenze diverse, percorsi di vita che potrebbero esser o essere stati quelli di ciascuno di noi dai quali fuoriescono con forza la grande capacità creativa della Lenti, la
predisposizione per una sensibilità nostalgica, che guarda al passato né per rimpiangerlo, né per recriminarlo ma, forse, per cercare di comprenderlo di più.
Nel testo la Lenti rende omaggio, inoltre, a una grande schiera di letterati sia italiani che stranieri, avvalendosi dello strumento intertestuale o nominandoli direttamente: Conrad, Stevenson, Daphne Du Maurier, Saffo, Pascoli, Louisa May Alcott, Carducci, Leopardi che, superando distanze diacroniche e diatopiche, sembrano incontrarsi tutti insieme in un’immaginaria tavola rotonda per guardarsi in faccia l’un l’altro, interrogarsi e argomentare creando una polifonia di voci densa e avvolgente. Non solo. La scrittrice arricchisce la sua trama facendo continui riferimenti agli eventi storico-politici che riguardano le date delle quali narra: la Guerra Fredda, l’alluvione di Firenze nel novembre del 1966, il Vajont, la morte di Che Guevara, solo per citarne alcuni, tessendo una narrazione doppiamente significativa ed encomiabile.

a cura di LORENZO SPURIO

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La Semana Santa 2/4: Gli attori della Semana Santa, la cofradía

2. Gli attori della Semana Santa: la cofradía

Durante le celebrazioni per la Semana Santa in Andalusia accorrono un gran numero di persone, sia spagnoli provenienti dalle regioni del nord che turisti stranieri che partecipano al dolore per la morte di Cristo. Le processioni che vengono fatte hanno alcuni elementi in comune, che caratterizzano l’intera macchina della processione della Semana Santa.

L’organo base delle celebrazioni religiose della Semana Santa è la cofradía o hermandad; si tratta di una confraternita  o associazione di fedeli cattolici che si riuniscono attorno alla devozione di Cristo, della Vergine, di un santo o di una reliquia contenuta nella chiesa di appartenenza.  Esistono vari tipi di confraternita ma i tre gruppi più comuni sono quelli delle: 1) cofradías penitenciales (quelle della Semana Santa); 2) cofradías de gloria; 3) cofradías sacramentales (che hanno come oggetto di devozione il Santissimo Sacramento). Ogni confraternita organizza delle processioni.

La confraternita è retta da un cabildo o asemblea de todos los cofrades. Il cabildo è incaricato di eleggere la giunta che è l’organo di governo della cofradía, a capo della quale sta un presidente.

La struttura storica della confraternita si caratterizza per la presenza di:

–          un hermano mayor, il presidente della confraternita,

–          un teniente de hermano mayor, una sorta di vice dell’hermano mayor

–          da uno a tre mayordomos, persone incaricate dell’amministrazione dell’economia della confraternita

–          un paio di consiliarios o fiscales, persone incaricate al controllo dell’applicazione delle regole della confraternita

–          un paio di secretarios, con il compito di far circolare notizie e comunicati

–          un paio di priostes, che si occupano dell’aspetto pratico e logistico dell’impiego delle immagini sacre nelle processioni, nominano i camareros e le camareras

–          vari diputados:

  1. diputado mayor de gobierno, incaricato del controllo della confraternita in tutti i culti esterni
  2. diputado de juventud y relaciones públicas, incaricato al gestire i rapporti con le altre confraternite
  3. diputado de caridad, colui che si occupa delle attività di carità della confraternita
  4. diputado de cultos, incaricato alla gestione dei culti interni

–          un capellán, che si occupa di aprire e chiudere la sede della confraternita e di vigiliare su di essa

–          gli hermanos, membri semplici della confraternita, dotati di voto in sede di assemblea. Partecipano nei culti interni come fedeli e nei culti esterno possono partecipare come nazarenos, costaleros o membri di una banda.
I membri della confraternita che partecipano materialmente alla processione durante la Semana Santa si distinguono in diversi gruppi:

  1. penitentes o nazarenos, membri della confraternita che sfilano con un cero, con un’asta o con un’insegna religiosa;
  2. acólitos, coloro che fanno la Estacion de penitencia e che precedono il paso portando ceri e incensari;
  3. costaleros, coloro che portano a spalla il carro con le sculture religiose (il paso);
  4. capataz, la persona responsabile di guidare il paso durante la processione. E’ sostanzialmente il capo della squadra dei costaleros. Ordina loro di fermarsi, di partire o di sostare dinanzi a un balcone dove qualcuno intona una canzone di dolore.
  5. camareros, si occupano di addobbare le immagini cristologiche dei pasos mentre le camareras le rispettive immagini della Vergine
  6. músicos, i membri della banda musicale.

A CURA DI LORENZO SPURIO 

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LE FOTO SONO DI MIA PROPRIETA’

La Semana Santa 1/4: alcune caratteristiche

In vista delle imminenti celebrazioni per la Pasqua, sono a pubblicare serialmente alcuni testi circa i festeggiamenti per la Settimana Santa (Semana Santa) in territorio spagnolo.

1. La Semana Santa: alcune caratteristiche

Ogni anno in Spagna si celebra la Semana Santa, ossia la settimana che culmina con la domenica di Pasqua nella quale si festeggia il Cristo Risorto. Tutto il mondo cattolico festeggia la Pasqua e la settimana Santa ma con modi e forme diverse. In Spagna la celebrazione della settimana Santa è particolarmente sentita tanto da rappresentare uno degli aspetti folklorici-culturali principali della sua cultura.

Le celebrazioni, i cortei di carri con scene religiose (pasos), la banda musicale e la processione dei membri di una confraternita (cofradía) sono i caratteri che contraddistinguono la celebrazione della Semana Santa in Spagna. Sebbene tutta la Spagna celebri la Semana Santa (sia nelle città più piccole che nelle città capoluogo di provincia) si ritiene che le migliori celebrazioni della Semana Santa siano quelle dell’Andalusia, regione meridionale della Spagna. In maniera particolare le città di Cordoba, Granada e Jaén hanno delle celebrazioni particolarmente colorate, partecipate e caratteristiche. La più grande celebrazione della Semana Santa, dove affluisce il maggior numero di penitentes, di pubblico e di turisti è quella di Siviglia. La confraternita sivigliana più numerosa è quella de La Macarena, fondata nel 1595. Nel 2009 contava 10.200 penitenti al suo interno.

Ogni confraternita ha una sua storia, un suo statuto che ne regola i fondamenti, un hermano mayor ossia il membro più anziano e i penitentes o nazarenos ossia i membri della confraternita. Ciascuna confraternita si caratterizza per una sua uniforme caratteristica che si differenzia dalle altre per colore, tessuto, presenza di segni o croci, tipo di cordone, di calzature etc.

Ciascuna confraternita ha un suo motto e un suo stemma ma, la cosa più importante, dispone di carri con sculture sacre (la Madonna, Cristo crocefisso, la Madonna ai piedi della croce, etc) che vengono impiegate durante le celebrazioni. Le immagini sacre (pasos o tronos) vengono collocate in ampi carri dorati e sormontati da fiori e condotti direttamente a spalla da altrettanti membri della confraternita. Alcune confraternite hanno due pasos, altre uno solo.

Nella Semana Santa a ciascuna confraternita è stabilita la sua processione in un determinato giorno della Semana Santa. La confraternita de La Macarena ad esempio sfila il Venerdì Santo e ha ciascuna confraternita è affidato un proprio percorso, un tragitto che passa per varie vie della città (chicotá o itinerario).

Solitamente ciascun percorso effettuato dalle varie processioni passa dinanzi alla cattedrale. Al termine del tragitto la processione si dirige verso la chiesa da cui era partita, dalla parrocchia attorno alla quale si identifica la confraternita (ad esempio per la confraternita de La Macarena di Siviglia è la Basilica de la Macarena). I pasos vengono riportati in chiesa attraverso la porta più grande mentre la gente saluta le immagine sacre urlando di gioia, cantando motivi sacri o tirando fiori verso di esse.

Celebrazioni analoghe a queste che vengono effettuate in Spagna vengono fatte in alcuni comuni italiani tra cui Taranto ed Enna. Anche in questi casi si parla di confraternite, processioni e penitenti con un saio e con il volto coperto.

Le città dell’Andalusia sono quelle storicamente e culturalemente più attaccate alle celebrazioni dells Semana Santa.

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LA FOTO E’ DI MIA PROPRIETA’

La poesia… nella sua real bellezza / Primavera (Dittico poetico di Monica Fantaci ed Emanuele Marcuccio)

La poesia… nella sua real bellezza

DI Monica Fantaci

Si schiude la verità

nel suo principio,

rinascita,

desìo,

incanti visti,

brillanti sfiorati,

vocalizzi di coristi,

di natura imbrattati,

canzoni dei musicanti

offerti dal creato,

allegri e andanti

nel sorriso soffiato,

si accresce,

si aggiorna,

fuoriesce,

ritorna

l’euforia,

la gaiezza,

la poesia

nella sua real bellezza.

© Monica Fantaci

 

 

Primavera

 DI Emanuele Marcuccio 

Olezzo di primavera,

fresca, aurata:

ascolto lo stormir di foglie

e il gentil chiacchiericcio

di uccelli festanti.

Canta la primavera,

nel pianto d’un bimbo

c’è la vita

e la silenziosa calma.

Canta la primavera

su per le fronde

e per gli arbusti accesi;

per i ponti e per le valli

s’innesta un ardore infinito,

ricco di luminosa calma.

 (5/10/1999)

© Emanuele Marcuccio

(Emanuele Marcuccio, Per una strada, p. 86, SBC Edizioni, 2009, pp. 100)

(Entrambe le poesie sono protette dai diritti d’autore. Pubblicate ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l’autorizzazione dei rispettivi Autori.

La riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione dei rispettivi Autori è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge).

GLI AUTORI HANNO ESPRESSAMENTE CONCESSO LA PUBBLICAZIONE DELLE LORO DUE POESIE SU QUESTO SPAZIO INTERNET. 

Premio “Salerno in the World”

SALERNO IN THE WORLD
PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA

La Rivista ANTROPOS IN THE WORLD, di lettere arti e scienze, bandisce il premio internazionale di Poesia, riservato a poeti italiani e stranieri, “Salerno in the world”.
Si può partecipare con una lirica edita o inedita, mai premiata in altri concorsi. I componimenti do-vranno essere redatti in cinque copie e rigorosa-mente in lingua italiana, mentre le generalità del-l’autore accompagneranno gli elaborati, inseriti in busta chiusa ed inviati al seguente indirizzo:
Al Direttore responsabile di Andropos in the world

prof. Franco Pastore

via Posidonia, 171/h

84128 Salerno – Italy.

Per le spese di segreteria è richiesto l’invio di € 10,00 da spillare alla domanda di partecipazione, redatta nei modi previsti dalla consuetudine: nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, titolo del
lavoro e la dicitura “chiede di partecipare al pre-mio”. Le medesime modalità valgono anche per i partecipanti stranieri.
Il termine ultimo di presentazione degli elaborati è fissato per il trenta aprile 2012.
La giuria, composta da noti esponenti del mondo della cultura, sarà resa nota al momento della pre-miazione. Il giorno e la sede della premiazione saran-no comunicati sulla rivista entro il 30 aprile.
I premi consisteranno in:
 coppe e medaglie;
 oggetti ed opere d’arte;
 libri e pubblicazioni;
 l’abbonamento gratuito al giornale per un anno;
 la pubblicazione sulla rivista di tutti i lavori pre-miati.
Per informazioni: androposintheworld@fastwebnet.it

“Semplicemente poesia” di Donatella Ronchi, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Semplicemente… poesia

di Donatella Ronchi

Carmann Editore, 2011

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

Difficile inserire Semplicemente…poesia di Donatella Ronchi in un particolare genere; il libro, infatti, è una fine raccolta di poesie prevalentemente a tema amoroso ma è anche la trascrizione di un’agenda, una sorta di diario segreto con il quale la poetessa ci rende partecipe di momenti e vicende che ha vissuto direttamente sulla sua pelle. Con questo testo la Ronchi abbandona dunque il velo di segretezza e pudicizia nei confronti del suo vissuto, che caratterizza ciascuno di noi, per farsi conoscere, per mettere ciascuna cosa nero su bianco. Lei stessa osserva nella nota di quarta di copertina “ho deciso di aprire il cassetto dei sogni ove il quaderno era riposto per trasformarne, almeno uno, in realtà”. E’ in questo senso una sorta di testamento spirituale della poetessa o, meglio, una sorta di parziale biografia poetica.

Osservando semplicemente il testo che contiene le varie liriche ci si rende conto, dalla loro data (che copre un periodo di tempo che va dal maggio 1977 al gennaio 2011) quanto un libricino dalla dimensioni così ridotte contenga, al contrario, una grande quantità di momenti, vicende e sensazioni vissute in un arco temporale abbastanza esteso. Ci sono però, al pari di un romanzo, delle ellissi: dal 1982 si passa al 2009, quasi che viene da pensare che la poetessa non abbia scritto nulla in quel periodo intermedio o che, al contrario, ha preferito non inserire in questa silloge le poesie scritte in quegli anni e di aver fatto quindi una vera e propria cernita.

La poetica della Ronchi è istintiva e gestuale: “scrivo quello che mi entra in testa;/ racconto un’emozione dell’anima/ per poter morire in confusione” (in 14 maggio 1997, pag. 5). Nell’intera silloge la Ronchi ripropone spesso il concetto e l’idea di “anima”, spesso in contrasto con il “corpo” per sottolineare, forse, quanto le due componenti possono convivere o, al contrario scindersi in due entità completamente separate. Nella poesia “3 ottobre 1979” la Ronchi scrive:  “Prova una volta, una sola volta/ ad entrare in lei con la tua anima/ e non con il tuo solito sesso/” (pag. 12). L’anima che la Ronchi va richiamando, costituendo quasi una vera e propria isotopia, è un qualcosa che, pur essendo incorporeo, fumoso, astratto, finisce però per essere alquanto materiale e vivido e per acquisire caratteristiche proprie di qualcosa d’organico (“l’odore rivoltante della mia anima” in “23 dicembre 1977”, pag. 6).

Il linguaggio impiegato, semplice, chiaro e facilmente fruibile da chiunque non manca di riferirsi a una serie di antinomie e contrasti (essere-vivere, amare-odiare, amore-dolore,) per richiamare, forse, la complessità e la varietà delle possibilità umane e, allo stesso tempo, l’imprescindibilità che una scelta, di fatto, finisce per escludere l’altra. Nel complesso l’intera silloge è pervasa dall’idea dell’amore visto secondo varie prospettive. La Ronchi parla di amore in termini alti, come legame spirituale e trascendente, nel senso che si eleva al di là di ciascuna cosa del reale. Più che poesie d’amore o celebrative dell’amato/a sono, però, riflessioni sulla vita e l’amore, inviti a fare o a non fare qualcosa, esortazioni.

Le poesie della seconda fase, che rivelano un arricchimento lessico, riprendono il tema dell’anima e l’importanza dell’amore, non mancando però di guardare, con un po’ di nostalgia al passato come avviene nella liriche “Amiche – novembre 2010” (pag. 24) e in “Ad una amica” (pag.33) in cui la Ronchi, ricordando dei momenti d’infanzia, celebra una sua cara amica scomparsa.

Sfogliando lentamente le pagine di questo minuscolo libro  riusciamo a sentire il freddo, il gelo, il vento, l’autunno “quando l’autunno era ancora stagione vera” (in “Ad un’amica” pag. 33) che la Ronchi ci descrive. Paradossalmente, la raccolta non ha niente di algido e si configura come un elogio alla vita e un’esaltazione dell’amore.

a cura di Lorenzo Spurio

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“Appeso per i piedi all’orlo del mondo” di Stefano Reggiani, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Appeso per i piedi all’orlo del mondo di Stefano Reggiani

con Prefazione di Monica Gasbarri

Roma, Albatros Editore, 2011, pp. 84

ISBN: 9788856747645

 

Recensione di Lorenzo Spurio

 

La prima cosa che di solito attrae un lettore o il possibile acquirente di un testo è la sua copertina. E’ vero che l’abito non fa il monaco, ma l’immagine di copertina è comunque il primissimo biglietto da visita. Ciò che mi colpisce è l’essenzialità e il minimalismo che traspira dalla foto utilizzata nella copertina dove si vede un paesaggio stilizzato, quasi come fosse un bozzetto, un cielo con alcune nuvole (tema fondante dell’intera silloge) e in primissimo piano alcuni cartelli con fondo giallo della segnaletica stradale americana. Mi sono interrogato sul titolo, Appeso per i piedi all’orlo del mondo, e la prima cosa che mi è venuta alla mente è stata che un titolo di questo tipo mi trasmetteva un’idea di attesa, d’imminente catastrofe, un sentimento d’insicurezza e di precarietà. Al contrario, immergendomi nella lettura, mi sono trovato di fronte a immagini molto ben costruite, talvolta addirittura violente nel linguaggio, ossimori ricercati ed isotopie molto ben costruite e riproposte quali leitmotiv. Stefano Reggiani condensa in questa sua seconda silloge di poesie una serie di motivi dominanti che fanno principalmente riferimento al tempo, sia al suo scorrere che al tempo fisico mostrando una particolare attenzione all’universo corpuscolare delle nubi con accenni anche al mondo dell’astronomia.

Nella poesia che apre la silloge, “Fischiettava”, colpisce un’immagine forte, quella di un cielo di fuoco, forse arrabbiato per la violenta e crudele azione di un uomo che, invece, continua a camminare indisturbato fischiettando. E’ una metafora ricercata e ben elaborata di come il mondo fisico e atmosferico si faccia espressione dell’animo dell’uomo. In “Monologo di un giovane comune” viene da chiedersi se considerazioni, pensieri ed inquietudini del protagonista, tanto profonde, siano davvero da considerare proprie di un “giovane comune”.

Interessanti e mai banali i riferimenti al mondo della musica: Rolling Stones, Ramones, Jimmy Hendrix, David Bowie che rendono esplicito l’amore dell’autore verso un certo tipo di sonorità e di tematiche sociali. Espliciti e facilmente individuabili anche gli omaggi alla cultura popolare spagnola, soprattutto quella andalusa con riferimenti ai gitani, al flamenco, al tango e a Gaudí, autore dell’incompiuta Sagrada Familia a Barcellona.

Ma tutto il procedimento che Reggiani utilizza, forse inconsciamente com’è per ogni buon poeta, nella costituzione di questa intricata, ma sensibile, raccolta di poesia, è quello di radicare tutto a due tematiche: il tempo e la prospettiva. L’autore sembra suggerirci, infatti, che il mondo non è come lo immaginiamo e che esso, invece, cambia di continuo a seconda di come lo percepiamo: «Adesso unisco le stelle/ una a una/ perché scivolando/ sulla scala del tempo/ mi sono accorto/ che dai gradini più bassi/ il cielo è ancora più grande» (pag. 18), scrive in “Tutto il tempo”. Una rivelazione forse banale, quasi infantile, e che, invece, è estremamente poetica e rivelatrice della grande sensibilità del poeta.

Riferimenti alla storia sono presenti in “Depressione”, quadretto del 1929, del crollo della Borsa di New York che il poeta va comparando al clima di difficoltà economica dei nostri tempi. Il passato, stavolta quello personale, ritorna in “La credenza” costruito su tre diversi piani temporali: il presente rappresentato dal poeta, il passato rappresentato dalla credenza della bisnonna e il futuro rappresentato dal pronipote non ancora nato che erediterà la credenza e forse, influenzato dalla crisi dei valori del nostro tempo, non tarderà a rivenderla per poterne ricavare quattro soldi: «con i soldi della vendita/ si divertirà/ alla mia faccia» (pag.  24).

Reggiani sembra aver litigato con il tempo, non quello passato, ma con il tempo in quanto tale e scrive: «ammazzo il tempo/ rompendo la clessidra/ con la mia testa di cemento» (pag. 31),.

La poesia di Reggiani, pur caratterizzandosi per un ampia componente visionaria e metafisica, mantiene una certa concretezza che si evidenzia soprattutto nella meticolosa attenzione nei confronti delle tipologie di materiali: creta, cemento, sabbia, cristallo, marmo, seta, lamiera. E’ una poesia materia, ma al tempo stesso concettuale: non ci descrive semplicemente qualcosa di fisico, ma ci trasmette il concetto del materiale impiegato. Nuvole, sole, acqua non sono solo semplici elementi dell’ambiente, del mondo fisico, ma arrivano ad essere personificati e ad assumere atteggiamenti e comportamenti umani: la nuvola ha saliva, il sole urla, la nuvola è una salma, le foglie sanguinano. Non mancano immagini forti, spesso antitetiche o che finiscono per diventare quasi grottesche come le «puttane di cartone» (pag.60), rappresentazione iconografica della mercificazione della donna e  la perversione che si annida nella natura sino ad allora ritenuta edenica: «[l’] incesto/ di foreste che/ violentano il cielo/ e lacrime di resina che/ sventrano la terra» (pag. 60).

Il poetare di Reggiani è difficile e spesso ermetico per l’utilizzo di costruzioni ricercate, poco conformiste. E’ una poesia che predilige di certo l’aspetto visionario, immaginifico e introspettivo dell’essere. Nel complesso ne escono liriche un po’ cupe e tristi, sempre attente al ruolo del tempo: «Sprazzi/ d’incertezza/ sono nuvole/ che strangolano/ il cielo/ circoscritto/ nel contorno/ di un alone/ immaginario» (pag. 40).

a cura di LORENZO SPURIO

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE O DIFFONDERE STRALCI O L’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Il mondo attraverso i miei occhi” di Fabiana Parenti, recensione di Lorenzo Spurio

Il mondo attraverso i miei occhi di Fabiana Parenti

Zona Editore, Civitella in Val di Chiana (Arezzo), 2010, pp. 135

ISBN: 9788864381107 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Fabiana Parenti, giovane scrittrice piacentina, esordisce nel mondo letterario con un romanzo dal titolo affascinante ed evocativo, Il mondo attraverso i miei occhi, nel quale, più che abbandonarsi a una sua biografia romanzata, veste i panni di una sua amica, raccontandone pensieri, dolori ed ossessioni in maniera attenta. Così la psicologia del personaggio è tratteggiata in maniera estremamente curata e solo leggendo le varie pagine del romanzo siamo in grado di comprendere la timidezza, il senso di insicurezza della protagonista e la sua solitudine patologica. La Parenti ci fornisce uno sguardo a tutto tondo sul mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, non mancando di tratteggiare anche i primi amori, i primi incontri e tutti gli altri momenti che costituiscono dei veri riti di passaggio dall’adolescenza al mondo della maturità.

Quello che utilizza  è un linguaggio piano, scorrevole, che rifugge da qualsiasi verbosità o lungaggine. E’ una prosa diretta, semplice, quasi condensata. La Parenti evita di dirci ciò che sarebbe superfluo e tesse assieme magistralmente i vari episodi che narra scandagliando a fondo l’io della protagonista. Ma tutta la storia ha la forma di una continua ed esasperata ricerca d’identità, dell’individuazione della propria personalità (più volte la protagonista si chiede «Chi sono?») e dunque, facendo ampio utilizzo di flashbacks e di rievocazioni di momenti passati, del labile tentativo di costruzione del sé.

Tutto il romanzo ha la forma di un lungo monologo interiore attraverso il quale impariamo a conoscere la protagonista: sola, debole, indifesa, sensibile e quasi sempre propensa a vedere il bicchiere mezzo vuoto, piuttosto che mezzo pieno. E’ una grande romantica ma non nel senso più melenso, è una ragazza che crede nei sentimenti e che li vive compiutamente, in maniera autentica finendo però per trarre da essi principalmente le componenti meno felici. Ci sono molte frasi che individuano infatti questo vittimismo, questo senso di minimalismo di fronte a grandi questioni e l’esasperante fatalismo: «Le persone ci accompagnano per un pezzo, ma alla fine siamo soli»  (28), «Le nuvole non lasciano spazio alcuno alla felicità» (37), «Il paradiso è dentro di noi, fuori c’è solo l’inferno: almeno, io credo sia così» (75).

La Parenti parla di amore, vita, morte, ricordo e passato ma anche e soprattutto di solitudine, il male invisibile. Ma il romanzo è molto di più. E’ un attenta disquisizione su temi tanto estesi e vaghi che da sempre hanno interessato letterati, religiosi e scienziati: il tempo e la morte. Il romanzo si chiude infatti con una morte, quella della nonna della protagonista ma, più che questa morte, il tema della morte è presente nella prima porzione del romanzo nel quale la protagonista, sola e indifesa, considera il suicidio come possibile scampo al suo male di vivere. Ma il romanzo mette in luce anche un percorso di crescita della protagonista, tra alti e bassi, tra crisi e sofferenze, e contemporaneamente una più completa consapevolezza di sé. Al termine del romanzo osserva infatti: «Morire non è una soluzione, poiché da una resa non si ottiene alcun vanto […] Credo che non confesserò mai di aver voluto morire. Dirò solo che ho scelto di vivere» (133). In questo percorso travagliato e difficile, psicologicamente destabilizzato, è importante la figura materna che, sebbene la protagonista abbia un po’ snobbato per gran parte della narrazione, chiude il romanzo definendola «Una donna con cui ci si può sempre scontrare, ma che non si può fare a meno di amare». Il messaggio della Parenti è chiaro e insindacabile: la vita va vissuta e bisogna rifuggire intenti autolesionistici o idee suicide quando si presentano problemi difficili da superare, stati di solitudine e depressione ed è spesso proprio la morte (di un parente, di un amico) a farci riscoprire il grande valore della vita. Un meraviglioso percorso tra la labile e frastagliata psicologia di un personaggio che potrebbe essere ciascuno di noi, del quale la Parenti si mostra abilissima nello scandaglio dell’io. Complimenti. Anche per la fine e non svelata citazione di McEwan.

a cura di LORENZO SPURIO 

 E’ SEVERAMENTE VIETATA LA DIFFUSIONE O LA RIPRODUZIONE DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE.

“Scrittrici in giardino” di Adele Cavalli, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Scrittrici in giardino

Profumi e colori nei giardini di dieci scrittrici

di Adele Cavalli

Il mio libro, 2011

Pagine: 154

Costo: 16 Euro

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Scrittrici in giardino di Adele Cavalli è una lettura interessante e ben costruita che ho scoperto un po’ per caso, attraverso una delle tante newsletter che la mia casella di posta è ormai abituata a ricevere. Il giardino e la scrittura sono due ambiti diversi e lontani tra loro che, però, spesso sono stati avvicinati o studiati sotto questa luce comparativista. E’ in parte il procedimento che ho impiegato io stesso, assieme allo scrittore fiorentino Massimo Acciai, nella scrittura del testo di critica letteraria La metafora del giardino in letteratura (Faligi Editore, 2011), dove, partendo da una preziosa prefazione dello scrittore Paolo Ragni, si spazia all’analisi del giardino come locus privilegiato della letteratura a proiezione simbolica, paradigma interpretativo che apre, invece, a significati più ampi. La Cavalli non va ricercando significati o possibili interpretazioni in testi letterari, in quello che è la fiction, ma indirizza il suo percorso d’analisi verso le biografie degli autori, i carteggi e, comunque, attendibili documenti storico-letterari che si riferiscono alla vita privata degli autori in questione. Il percorso che Adele Cavalli fa in maniera attenta basandosi su di un buon apparato critico-bibliografico, si riferisce principalmente ai giardini veri, reali, ai quali alcune grandi scrittrici si dedicarono durante la loro vita, presenti nel testo anche per mezzo di varie foto degli stessi. E sfogliando le pagine è come se in realtà ci trovassimo in quei giardini, in una camminata che vorremmo non finisse mai. In questa passeggiata “naturalistica” (bisogna ricordare che il giardino è una riproduzione umana e in scala di quello che è la natura) ci inoltriamo così negli affascinanti giardini della tenuta di Sissinghurst in cui Vita Sackville West trascorreva gran parte delle sue giornate, passando poi per la “mania” floreale di Emily Dickinson che pure conservava esemplari di foglie e fiori, nel famoso herbarium, al giardino di The Mount della scrittrice americana Edith Wharton, studiosa dell’architettura giardiniera italiana, al giardino africano e quello danese (diversissimi tra loro) di Karen Blixen. Arricchiscono la raccolta il giardino della francese Colette, di Eudora Welty, di Mary Annette Beauchamp, quello sull’isola di Mount Desert di Marguerite Yourcenar, quello adiacente alla casa di Nohant di George Sand e quello a Chawton Cottage di Jane Austen.

Cambiano le localizzazioni geografiche, i colori, i fiori e le piante ma il leitmotiv che lega i vari capitoli del libro (ciascuno dedicato a una scrittrice) è la capacità dello scrittore attento, sensibile e amante della natura di riconoscersi in essa e, quasi, di liquefarsi in essa e, dall’altra parte, il potere indicibile che l’uomo riceve dal vitalismo, la prorompenza e la bellezza del giardino. Mi piace concludere con una citazione di Mary Annette Beauchamp richiamata nel testo, che riassume l’intero significato di questo libro: “Ognuno deve amare qualcosa e io non conosco oggetti d’amore che immancabilmente ti ricambino come i libri e un giardino”.

a cura di Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE O DIFFONDERE LA RECENSIONE IN FORMA DI STRALCI O INTEGRALMENTE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Ritorno ad Ancona e altre storie” di Lorenzo Spurio e Sandra Carresi: DOVE TROVARLO

RITORNO AD ANCONA E ALTRE STORIE

di Lorenzo Spurio e Sandra Carresi

Lettere Animate Editore, 2012

 

 

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