Appeso per i piedi all’orlo del mondo di Stefano Reggiani
con Prefazione di Monica Gasbarri
Roma, Albatros Editore, 2011, pp. 84
ISBN: 9788856747645
Recensione di Lorenzo Spurio
La prima cosa che di solito attrae un lettore o il possibile acquirente di un testo è la sua copertina. E’ vero che l’abito non fa il monaco, ma l’immagine di copertina è comunque il primissimo biglietto da visita. Ciò che mi colpisce è l’essenzialità e il minimalismo che traspira dalla foto utilizzata nella copertina dove si vede un paesaggio stilizzato, quasi come fosse un bozzetto, un cielo con alcune nuvole (tema fondante dell’intera silloge) e in primissimo piano alcuni cartelli con fondo giallo della segnaletica stradale americana. Mi sono interrogato sul titolo, Appeso per i piedi all’orlo del mondo, e la prima cosa che mi è venuta alla mente è stata che un titolo di questo tipo mi trasmetteva un’idea di attesa, d’imminente catastrofe, un sentimento d’insicurezza e di precarietà. Al contrario, immergendomi nella lettura, mi sono trovato di fronte a immagini molto ben costruite, talvolta addirittura violente nel linguaggio, ossimori ricercati ed isotopie molto ben costruite e riproposte quali leitmotiv. Stefano Reggiani condensa in questa sua seconda silloge di poesie una serie di motivi dominanti che fanno principalmente riferimento al tempo, sia al suo scorrere che al tempo fisico mostrando una particolare attenzione all’universo corpuscolare delle nubi con accenni anche al mondo dell’astronomia.
Nella poesia che apre la silloge, “Fischiettava”, colpisce un’immagine forte, quella di un cielo di fuoco, forse arrabbiato per la violenta e crudele azione di un uomo che, invece, continua a camminare indisturbato fischiettando. E’ una metafora ricercata e ben elaborata di come il mondo fisico e atmosferico si faccia espressione dell’animo dell’uomo. In “Monologo di un giovane comune” viene da chiedersi se considerazioni, pensieri ed inquietudini del protagonista, tanto profonde, siano davvero da considerare proprie di un “giovane comune”.
Interessanti e mai banali i riferimenti al mondo della musica: Rolling Stones, Ramones, Jimmy Hendrix, David Bowie che rendono esplicito l’amore dell’autore verso un certo tipo di sonorità e di tematiche sociali. Espliciti e facilmente individuabili anche gli omaggi alla cultura popolare spagnola, soprattutto quella andalusa con riferimenti ai gitani, al flamenco, al tango e a Gaudí, autore dell’incompiuta Sagrada Familia a Barcellona.
Ma tutto il procedimento che Reggiani utilizza, forse inconsciamente com’è per ogni buon poeta, nella costituzione di questa intricata, ma sensibile, raccolta di poesia, è quello di radicare tutto a due tematiche: il tempo e la prospettiva. L’autore sembra suggerirci, infatti, che il mondo non è come lo immaginiamo e che esso, invece, cambia di continuo a seconda di come lo percepiamo: «Adesso unisco le stelle/ una a una/ perché scivolando/ sulla scala del tempo/ mi sono accorto/ che dai gradini più bassi/ il cielo è ancora più grande» (pag. 18), scrive in “Tutto il tempo”. Una rivelazione forse banale, quasi infantile, e che, invece, è estremamente poetica e rivelatrice della grande sensibilità del poeta.
Riferimenti alla storia sono presenti in “Depressione”, quadretto del 1929, del crollo della Borsa di New York che il poeta va comparando al clima di difficoltà economica dei nostri tempi. Il passato, stavolta quello personale, ritorna in “La credenza” costruito su tre diversi piani temporali: il presente rappresentato dal poeta, il passato rappresentato dalla credenza della bisnonna e il futuro rappresentato dal pronipote non ancora nato che erediterà la credenza e forse, influenzato dalla crisi dei valori del nostro tempo, non tarderà a rivenderla per poterne ricavare quattro soldi: «con i soldi della vendita/ si divertirà/ alla mia faccia» (pag. 24).
Reggiani sembra aver litigato con il tempo, non quello passato, ma con il tempo in quanto tale e scrive: «ammazzo il tempo/ rompendo la clessidra/ con la mia testa di cemento» (pag. 31),.
La poesia di Reggiani, pur caratterizzandosi per un ampia componente visionaria e metafisica, mantiene una certa concretezza che si evidenzia soprattutto nella meticolosa attenzione nei confronti delle tipologie di materiali: creta, cemento, sabbia, cristallo, marmo, seta, lamiera. E’ una poesia materia, ma al tempo stesso concettuale: non ci descrive semplicemente qualcosa di fisico, ma ci trasmette il concetto del materiale impiegato. Nuvole, sole, acqua non sono solo semplici elementi dell’ambiente, del mondo fisico, ma arrivano ad essere personificati e ad assumere atteggiamenti e comportamenti umani: la nuvola ha saliva, il sole urla, la nuvola è una salma, le foglie sanguinano. Non mancano immagini forti, spesso antitetiche o che finiscono per diventare quasi grottesche come le «puttane di cartone» (pag.60), rappresentazione iconografica della mercificazione della donna e la perversione che si annida nella natura sino ad allora ritenuta edenica: «[l’] incesto/ di foreste che/ violentano il cielo/ e lacrime di resina che/ sventrano la terra» (pag. 60).
Il poetare di Reggiani è difficile e spesso ermetico per l’utilizzo di costruzioni ricercate, poco conformiste. E’ una poesia che predilige di certo l’aspetto visionario, immaginifico e introspettivo dell’essere. Nel complesso ne escono liriche un po’ cupe e tristi, sempre attente al ruolo del tempo: «Sprazzi/ d’incertezza/ sono nuvole/ che strangolano/ il cielo/ circoscritto/ nel contorno/ di un alone/ immaginario» (pag. 40).
a cura di LORENZO SPURIO
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