“Chesil Beach” di Ian McEwan, recensione di Lorenzo Spurio

Chesil Beach, il fallimento della prima notte d’amore

DI LORENZO SPURIO

 

Ecco come il corso di tutta una vita può dipendere…dal non fare qualcosa. A Chesil Beach, Edward avrebbe potuto richiamare Florence, o seguirla. (p. 136)

 

Chesil Beach è il penultimo romanzo di Ian McEwan. Si è parlato poco di esso forse perché la data della sua pubblicazione è venuta a coincidere, grosso modo, con l’uscita della rappresentazione filmica di Atonement, film diretto da Joe Wright sull’omonimo romanzo di McEwan. Il film ha ottenuto in effetti un gran successo da parte di pubblico e critica, oltre a un incasso record nei botteghini.

Chesil Beach è un romanzo breve ma denso. Si legge bene, scorre via tra le pagine. Ma è complesso. La solita complessità di McEwan che si dibatte tra il tragico e il sensuale, tra l’orrendo e il grottesco. È il sesso il vero protagonista del romanzo. Un sesso inesistente ed impossibile nella prima notte di nozze tra due ragazzi dell’Inghilterra anni ’60. Tutto va come non dovrebbe andare. I due amanti sono impacciati e confusi, non sanno cosa fare. Si sbagliano continuamente e si accusano vicendevolmente per i loro insuccessi sessuali. I protagonisti sono buoni solo a scambiarsi carinerie e dichiarazioni di amore ma nella pratica sono completamente inetti e incapaci. Lui vorrebbe fare l’amore con lei mentre lei è continuamente senza voglia, non prova desiderio né comprende nella sua testa la necessità di farsi penetrare. Le loro conoscenze sulla questione sono di carattere manualistico e l’inesperienza e la forte titubanza sono le cause dell’insuccesso del loro primo rapporto sessuale. Un rapporto grottesco e goffo, che fa ridere ma che è vivido e mentre leggiamo quel passo del romanzo, il più suggestivo, l’immagine di quella scena raccontata non può fare a meno di sfilare davanti ai nostri occhi. Entrambi puntano molto su quella serata d’amore ma sarà un completo fallimento. A causa dell’eccitazione, dell’inesperienza e di un forte stato di ansia Edward non riuscirà a controllarsi ed eiaculerà dispiaciuto su una coscia di Florence. Lei rimarrà schifata e offesa, lui si sentirà maledettamente colpevole e idiota. Tutto cade a seguito di questo episodio e la coppia si spezza. I due si allontanano e non si rivedono più. McEwan sembra voler sottolineare come nella società contemporanea spesso si punta sul sesso e sulla componente materiale del rapporto uomo-donna e poco sulla comunanza di intenti e l’autenticità del rapporto amoroso. McEwan sembra suggerire che l’incapacità, il senso di vergogna e la timidezza dei due giovani, oltre a provenire dal loro essere vergini, deriva da una loro difficile situazione familiare alle spalle e soprattutto dalla società inglese del periodo dominata da obblighi e divieti:

E in che cosa consisteva l’ostacolo? Nelle rispettive personalità unite al passato, a ignoranza e paura, timidezza, pruderie, mancanza di fiducia in se stessi, esperienza e disinvoltura, più qualche strascico di divieto religioso, l’educazione britannica e l’appartenenza di classe, la Storia insomma.

Il romanzo tocca in più punti anche le problematiche politiche e sociali legate all’Inghilterra degli anni ’60. Dà un breve squarcio dell’Inghilterra sotto Harold Macmillan. Un’Inghilterra che combatteva tra il moralismo borghese e le nuove tendenze della gioventù ribelle, tra la pudicizia e la dissoluzione dei costumi, tra il perbenismo e l’apertura al tema del sesso. La storia s’inserisce dunque appieno nella vigilia delle lotte per la liberazione sociale e del femminismo. Quest’ultimo è un ulteriore aspetto del libro che va analizzato con rispetto e che non deve essere sottovalutato. Se McEwan avesse ambientato la stessa storia nella nostra società contemporanea e non negli anni ’60, il romanzo avrebbe avuto molto meno senso.

La parte centrale del libro è costituita interamente dall’episodio del primo e unico rapporto sessuale che è poi la causa stessa della lite finale e della separazione dei due giovani. Solamente una cosa rimane inalterata nel tempo e non viene investita da liti né separazioni, è il mare mosso e la spiaggia di Chesil Beach. Il fatto che sia mosso può far pensare che qualcosa che ha turbato la tranquillità del mare è successa e che quelle onde non sono dunque solo dei semplici moti ondulatori delle acque. Ed è il mare, nella sua accezione di entità indefinita ed estesa, che in ultima battuta rimarca la distanza infinita tra i due giovani dopo quell’esperienza traumatica.

 

LORENZO SPURIO

Scrittore, critico-recensionista

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE QUESTA RECENSIONE IN FORMATO DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Premio Letterario Naz.le “Salento in Love”

Premio Letterario Nazionale “Salento in love”

Passioni, intrighi e misteri in un romance storico ambientato nel Salento


L’Associazione Culturale di Promozione Sociale “MORFE’ – Formazione & Informazione” organizza la Prima edizione del Premio Letterario “Salento in Love”, nato dall’idea di un sodalizio tra il romance storico e gli scenari, per molti poco noti, della storia del Salento.

Con questo Premio si desidera dare spazio ad un genere narrativo molto apprezzato da un numero crescente di lettrici e privilegiato da scrittrici che sanno raccontare di due vite che incrociano i loro passi nel vasto panorama della Storia, rendendoli protagonisti con la loro storia d’amore e di passione che, prima di poter volgere al sospirato lieto fine, conosce spesso ostacoli, patimenti, equivoci e intrighi orditi dalle mani dell’uomo e dal vento della Storia. E ricca di fascino è la storia dell’antica penisola salentina, una terra dai ritmi ancestrali, come le passioni umane, che può accogliere tra le pieghe delle sue traversie storiche le vicende romantiche ispirate magari da uno scorcio degli intarsi di pietra del barocco delle corti e dei giardini dei palazzi di Lecce o dalle torri fortificate che punteggiano le coste del Salento, vecchi baluardi a difesa dalle incursioni corsare e turche. Pittoreschi ritagli di arte e di storia salentina sui cui intrecciare la trama di un romance che sappia svelare, tra le righe del racconto d’amore, scenari di Storia ancora non visitati.

L’obiettivo dell’Associazione è quello di offrire occasione di confronto tra lettori e scrittori. Sfruttando le potenzialità di Internet si vuole dare possibilità di espressione, allo scopo di stimolare, aggregare, valorizzare e promuovere le creatività e le attitudini professionali in ambito letterario.

Il racconto deve rientrare nel genere “Romance” di ambientazione storica che spazi dal Medioevo alla fine dell’Ottocento e abbia come scenario il Salento. La narrazione del romance si incentra sulla storia d’amore che capitola con il lieto fine.

Possono partecipare sia scrittori affermati, sia autori esordienti. Sono ammessi a concorrere solo testi inediti, in lingua italiana, inerenti al tema.

A giudicare le opere ci sarà un’apposita giuria di esperti. La Presidente sarà Ornella Albanese: ha all’attivo 8 romanzi contemporanei per la casa editrice Le Onde con lo pseudonimo di Alba O’Neal, 10 romance storici e una ristampa con Mondadori nella collana I Romanzi e, da giugno 2011, è in libreria “L’anello di ferro” edito da Leggereditore. Ha partecipato, fin dalla prima edizione, al seguitissimo evento “La Vie en Rose”, organizzato dal Juneross blog, da Silvia Basile e Caterina Caracciolo. È stata ospite del Women’s Fiction Festival di Matera, e di Più libri, più liberi, fiera dell’editoria di Roma. Ha collaborato regolarmente alla Romance Magazine, diretta da Franco Forte, ed è stata intervistata da Telenorba, Radio G, e dai più importanti blog di riferimento.

La data di svolgimento della cerimonia di premiazione sarà comunicata in tempi utili. Tutti i partecipanti al concorso riceveranno l’invito a partecipare alla serata di premiazione alla presenza dei giurati. Sul sito internet del premio verranno pubblicate in tempo utile tutte le informazioni per i trasporti e saranno pubblicizzate le convenzioni con le strutture ricettive che vorranno offrire degli sconti agli autori.

L’elaborato che verrà premiato avrà una pubblicazione inedita consegnate all’autore e un contratto di un anno per la presenza del libro nei cataloghi dei maggiori circuiti nazionali ed internazionali del libro (bol, libreriauniversitaria, amazon, ecc…). Prevista, inoltre, la realizzazione di un’antologia in cui verranno inserite le opere migliori selezionate dalla Giuria del Premio. Sia l’opera vincitrice che l’antologia del premio saranno pubblicate in formato e-book e pubblicizzate mediante gli idonei canali di distribuzione web.

Per tutte le info e per scaricare il bando, visitate il sito http://www.love.associazionemorfe.org

“Sangue, sapone e camicie di forza” di Cristina Canovi, recensione di Lorenzo Spurio

Sangue, sapone e camicie di forza
di Cristina Canovi
con prefazione a cura di Luca Milasi
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2010
Collana: Rêverie
ISBN: 978-88-95881-28-7
Numero di pagine: 126
Costo: 11,00 €
 
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore
 

Dracula, Sweeney Todd,  Jack lo Squartatore, Burke e Hare, personaggi terribili, scaltri omicidi, assassini instancabili che hanno occupato le pagine di testi letterari e adattamenti anche per la tv. In realtà più che di “personaggi” si dovrebbe parlare di “persone” dato che tutti gli illustri citati sono veri e che la storia ce li ha tramandati attraverso il racconto popolare, ma anche la letteratura. Esistenze al limite tra il reale e un mondo torbido, difficile da indagare, come nel caso di Jack lo Squartatore della Londra vittoriana come pure i dissacranti “ladri di cadaveri” Burke e Hare nella Scozia ottocentesca. La lista ovviamente sarebbe troppo lunga e per chi fosse interessato a conoscere qualcosa di più su alcuni di questi efferati serial killer, può leggere un mio articolo su Sweeney Todd, portato sulle scene dalla magistrale interpretazione di Johnny Depp, e uno su Burke & Hare. Mi sento di aggiungere però un serial killer tutto nostrano, forse poco conosciuto: la saponificatrice di Correggio.

Cristina Canovi, con alle spalle la pubblicazione di narrativa breve dal titolo Favole crudeli (Limina Mentis Editore, Villasanta, 2008), ritorna con un nuovo libro di difficile catalogazione in un genere particolare: Sangue, sapone e camicie di forza. E’ un romanzo, è una raccolta di frammenti, è un’agenda, ma è anche un saggio di carattere storico-sociologico e un’attenta analisi su un tema molto caro a branche quali la Psicologia, la Psichiatria, il Diritto: la pazzia umana.

Il libro racconta in maniera liberamente adattata –come osserva la scrittrice al termine del romanzo- la storia della saponificatrice di Correggio, nome d’arte di Leonarda Cianciulli (1893-1970), che a causa della cattiva infanzia vissuta tra dolori, solitudini, maltrattamenti fisici e psicologici si trasforma in strega e in potente maga. Non solo. La sua cattiveria nei confronti del Mondo – forse una vendetta per i torti e i dolori subiti- si fa totalizzante e si trasforma in una spietata assassina: killer di persone deboli e facilmente assoggettabili, gente del popolo, e poi si diletta a produrre saponi di varia natura con le carcasse sciolte in appositi liquidi corrosivi. Il sangue, invece, lasciato condensare e unito ad altri ingredienti “naturali” diventa la base per la produzione di pasticcini da mangiare e da far mangiare, analogamente al personaggio di Mrs. Lovett in Sweeney Todd. Ma la Canovi è attenta a chiarire in più punti del libro la causa principale di tanta spietatezza nella donna: sua madre aveva previsto per lei un determinato uomo da sposare, ma lei rifiutò e sposò un uomo di sua scelta e così sua madre –anch’essa una sorta di strega- la maledisse annunciandole la morte di tutti i suoi figli. In realtà molti dei figli di Leonarda Cianculli morirono e, per mettere fine a questa strage innocente causata dalla magia e dalla maledizione di sua madre, decise di uccidere gli altri.

L’intero racconto viene fatto da Ardilia, la serva della maga di Correggio, che affetta da pazzia incontenibile – complice le tragiche immagini che ha dovuto sopportare stando alle dipendenze della potente assassina – viene rinchiusa in un manicomio, quelli che oggi definiamo “ospedali psichiatrici”, anche se non è propriamente la stessa cosa. E’ proprio qui che il libro da romanzo si trasforma in saggio: la Canovi affronta un discorso di carattere storico particolarmente importante – già nel preambolo- facendo riferimento alla Legge Basaglia che, oltre alla chiusura dei manicomi e alla abolizione di questo genere di strutture, portò a una serie di novità importanti: “[La legge] ha finalmente chiarito che l’obiettivo della psichiatria non è la difesa della società dei folli, troppo spesso equiparati ad elemento di disordine e di pericolo, ma la cura dei disturbi mentali, attraverso una prassi corretta, etica e scientifica” (p. 8)

Nella parte conclusiva la Canovi riporta la storia reale di Leonarda Cianciulli, soffermandosi sulle vicende che contribuirono a trasformarla in un mostro e al suo processo che si tenne a Reggio Emilia nel 1946. Segue un apparato bibliografico sulla figura di questa terribile assassina – segno evidente che la critica si è molto occupata di questo caso- e sugli istituti psichiatrici dove spiccano, tra le varie opere, due libri della poetessa milanese Alda Merini.

Se da una parte la Canovi ci consegna una storia realmente accaduta e poco conosciuta, quella di una sadica, di una assassina spietata della provincia emiliana, dall’altra ci fornisce però anche il metodo correttivo (non per lei, ma per la sua serva Ardilia). Si tratta, però, come spesso accade di un sistema correttivo insufficiente, incapace a far fronte ai reali problemi psichici della donna che, dal momento del suo arrivo alla struttura, verrà imbottita, placata e alimentata di medicinali che la terranno vigile ma che contribuiranno a deprimerla ulteriormente.

 

 

Chi è l’autrice?

Cristina Canovi è nata a Reggio Emilia. Laureata in Lettere Moderne a Bologna e in Psicologia a Cesena, attualmente insegna materie umanistiche nelle scuole medie. Ha esordito nella collana Revêrie edita da Limina Mentis con la raccolta di racconti Favole crudeli, di cui ho scritto una recensione disponibile qui. Appassionata lettrice e cinefila, cita tra i suoi scrittori preferiti Roal Dahl, Richard Matheson, Joe R. Lansdale, Philip Dick, Rod Sterling, Milan Kundera, Stephen King, Raymond Queneau, Georges Perec, Daniel Pennac, Oscar Wilde, Ray Bradbury, Dino Buzzati, Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini. Tra i registi più amati: Tim Burton, Quentin Tarantino, Woody Allen, Sam Raimi, Peter Jackson.

 

Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

 

“madrelingua” di Julio Monteiro Martins, recensione a cura di Lorenzo Spurio

madrelingua
di Julio Monteiro Martins
Besa Editrice, 2005
ISBN: 9788849702736
Pagine: 104
Costo: 10 €
 
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
 
 
Le forme possibili d’amore nella vita adulta, all’infuori delle psicosi e delle perversioni, delle quali conosco davvero poco, potrebbero essere: l’amore suicida, l’amore assassino, l’amore genitale olfattivo, l’amore eternamente assente, l’amore scenografico, l’amore sadomasochista, l’amore complice esistenziale, l’amore disperato, l’amore alla luce del fuoco e l’amore di Carnevale.

Che cos’è madrelingua? Un romanzo breve vertente sulla lingua del paese d’origine dell’illustre autore, ossia il portoghese brasiliano? No, siamo fuori strada. Il libro parla di come si scrive un libro, ma non è un saggio. E’ un romanzo. E’ un romanzo sul romanzo. Julio Monteiro Martins, celebre autore in lingua portoghese brasiliana e in italiano e direttore della prestigiosa rivista Sagarana, non è la prima volta che affronta una tematica referenziale in un suo scritto. Referenziale senza accezioni di giudizio valutativo, ma nel suo contenuto. Ci si riferisce alla referenzialità o alla meta-letteratura[1] quando la finalità di un testo non è quella di raccontare una storia – bella o brutta che sia- ma quello di far riflettere sul testo stesso, su come esso è scritto, quali sono i procedimenti che sottendono l’intero lavoro, quali sono i legami “nascosti” tra autore e libro, tra autore e prodotto finale.

Nel preambolo di questo meraviglioso romanzo – aggettivo che non uso mai nelle recensioni, non perché non abbia trovato libri degni di tale complimento, ma perché generalmente non si attiene allo stile critico di valutazione di un testo – si affrontano queste tematiche e l’autore sottolinea subito una cosa che potrebbe sembrare banale o sulla quale non abbiamo mai riflettuto: “La storia del romanzo, così com’è stata raccontata finora, è la storia dei romanzi finiti, ossia delle opere che sono giunte alla compiutezza e alla conclusione desiderata dai loro autori. È quindi una storia parziale, che esclude e ignora quei più di due terzi di romanzi scritti e mai conclusi, abbandonati a metà strada, ingarbugliati su se stessi, troppo sconvolgenti per i nervi dei loro autori, di sbilenca architettura, ossessionati da cose che non interessano a nessuno, anacronistici, demenziali, avanguardisti all’estremo, diffidenti delle possibilità del romanzo come genere, troppo banali, o troppo poco banali per le esigenze contemporanee”. Quello che il lettore del libro percepisce come un’unita tematica, stilistica, contenutistica in un dato libro in realtà non è che la summa di vari stili, temi e contenuti che l’autore ha cercato di coniugare in una narrazione unica. Ma non solo. Il romanzo, o il libro in generale, non è fatto solo dal suo contenuto, da ciò che è presente, ma anche dal non-contenuto, qualcosa che è assente sulla carta, ma che ha rappresentato stadi intermedi della stesura dell’autore, momenti di stasi o ripensamenti, cambi di stesura, stravolgimenti, rallentamenti, ellissi e quant’altro. Sembra di parlare del nulla, ma in realtà non è così.

Un romanzo lasciato a metà, incompiuto o tralasciato, non è un qualcosa da considerare negativamente, tutt’altro. E’ affascinante – o potrebbe esserlo- indagare il motivo di quella incompiutezza, le ragioni intrinseche che hanno portato l’autore a tralasciarlo e a preferire di scriverne uno completamente diverso. Milioni sono le opere incompiute in ciascuna letteratura, ma anche queste debbono essere tenute in viva considerazione ed è forse lì – come suggerisce lo stesso Julio Monteiro Martins – che il legame tra vita-letteratura, tra l’esperienza dello scrittore in quanto essere umano e il suo impegno in qualità di letterato si mostra in maniera indissolubile.[2]

La storia della letteratura, pertanto, è  –dovrebbe, dato che nei manuali non è così- fatta anche dai libri incompiuti, dai libri perduti e dimenticati, dai libri bruciati al rogo, dai libri censurati, messi a tacere, dai libri persi per una mancata conservazione. Non è fatta solo dai libri presenti nelle nostre biblioteche, disponibili e consultabili, ma anche da tutti quegli esperimenti di scrittura che per qualche motivo non hanno qui nella nostra contemporaneità una consistenza fisica – o digitale se pensiamo agli e-book– o comunque una disponibilità di lettura.

madrelingua – notare la minuscola della lettera iniziale[3] – è un romanzo doppio o, meglio, che sviluppa due storie parallele, quella dell’autore di madrelingua e quello del suo personaggio principale. Entrambi, ovviamente, sono prodotti di Julio Monteiro Martins ed è necessario entrare da subito, già dall’inizio, nell’ottica di come è strutturato questo romanzo. Manoel Alves dos Santos, detto Mané, parla in terza/prima persona; tra parentesi quadre, invece, ci vengono date informazioni aggiuntive che non riguardano lui ma l’autore di madrelingua. Paradossalmente questi è e non è Julio Monteiro Martins. Lo è in termini semplicistici, pratici, ma non lo è nell’artifizio narrativo, nella strategia di comunicazione che ha deciso di impiegare. Uno stralcio del romanzo per comprendere questo dualismo narrativo è necessario per chiarire quanto si sta appena argomentando:

Sono lo stesso di sempre, nient’altro: Manoel Alves dos Santos, detto Mané, che ha vissuto ormai per sessant’anni [io invece ne avevo solo 46 quando ho scritto questa pagina]. Nato a Niterói [anch’io!], trasferitosi a Firenze [io a Lucca] nel periodo Craxi [nel periodo Dini]. Un bel cambiamento, senz’altro, ma sessant’anni non sono mica pochi, eh. E questa è una lunga storia, vissuta da Icaro e da Sisifo, da Teseo e da Pulcinella [caspita! povero lettore…].

Per facilitare la comprensione si riporta in grassetto la parte che concerne il protagonista del romanzo, Mané, scritta in terza persona e la parte tra parentesi quadre e sottolineata che corrisponde, invece, all’anonimo autore di madrelingua, una voce che, invece, è in prima persona.

In questa maniera praticamente leggiamo due storie in una, due romanzi in uno e ciascuna storia ha legami e riflette l’altra in modo che l’intera narrativa non è che un carosello ritmato di voci che si scambiano, si confrontano, un dialogo che si instaura tra due “monologhi ravvicinati e comunicanti”.

Continuando nella lettura ci rendiamo conto che tutti gli incisi nelle parentesi quadre non sono altro che i pensieri dello scrittore stesi sulla carta nel momento in cui è alle prese con il suo romanzo. E’ un flusso di coscienza che ci informa su cosa sta pensando l’autore, cosa vorrebbe narrare, come la pensa su certe cose. Si tratta, in effetti, del pensiero stesso dello scrittore nell’atto di elaborare le vicende del suo romanzo, le suggestioni, gli interrogativi che, curiosamente, Julio Monteiro Martins stende sulla carta perché anche quella è una componente del romanzo-prodotto finale. Vediamone un chiaro esempio:

Miranda ha conosciuto Carlo Giuliani a Genova [ho scritto questo brano e subito ho pensato di cancellarlo, perché mi sembrava una forzatura, l’inserzione di un elemento estraneo alla narrativa solo perché volevo parlare di lui. Ma poi ho deciso di lasciarlo comunque: non è del tutto inverosimile che lo avesse conosciuto, magari un po’ più giovane di lei, il giro potrebbe essere più o meno lo stesso, feste nei centri sociali, spettacoli alternativi di musica, cabaret, spiagge… dài, ce lo lascio], circa un anno prima che fosse assassinato dalle ”forze dell’ordine”..

Non mi interessa in questa sede tratteggiare quello che è il contenuto di questo romanzo breve, ma focalizzarmi, invece, su come è stato scritto. E’ affascinante il modo in cui Julio Monteiro Martins riesca a scindersi, a sdoppiarsi e ad essere presente ubiquamente in realtà, tempi ed episodi diversi. Questo, ovviamente, è il potere della scrittura. Non di una scrittura frivola e approssimativa, ma di un amore indissolubile verso la letteratura e verso i procedimenti di scrittura e costruzione della narrativa che stanno molto a cuore a Julio Monteiro Martins. Narrazioni come questa ci fanno viaggiare, tra realtà e immaginazione – sebbene non ci sia niente di fantastico-, ci spaesano un po’, ci disorientano, ma ci affascinano proprio perché l’autore, abile maestro della prosa, gioca con il lettore, richiamando la sua attenzione e coinvolgendolo a pieno nei vari squarci narrativi tanto da depistarci, illuderci, e farci confondere il confine tra realtà e scrittura, tra persona e personaggio:

[P]rima di andarmene, vorrei chiedervi:  – e non occorre che mi rispondiate – è vero o no che alcuni dei vostri migliori amici, o se non altro quelli che vi hanno deluso di meno, sono stati personaggi come me?

 

Chi è l’autore?

Julio Monteiro Martins è nato nel 1955 a Niteroi, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa allo International Writing Program della University of Iowa (USA), ricevendo il titolo di Honorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). Continua poi l’insegnamento presso la Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, presso l’Instituto Camões di Lisbona (1994) e presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (1995). Dal 1996 insegna all’università di Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Lucca. È fondatore e direttore della rivista culturale Sagarana (www.sagarana.net).

All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. Nel 1983 è uno dei fondatori del del Partido Verde brasiliano, e successivamente, nel 1986, del movimento ambientalista brasiliano “Os verdes”. Nel 1991, avendo affrontato studi universitari di indirizzo giuridico, è avvocato dei diritti umani per il Centro Brasileiro de Defesa dos Direitos da Criança e do Adolescente (ONG), occupandosi in particolare dell’incolumità dei meninos de rua chiamati a testimoniare in tribunale, in seguito all’orrenda strage della Chacina da Candelária, nella quale una squadra di poliziotti in borghese uccise nel sonno a colpi di mitra bambini abbandonati che dormivano in strada a Rio de Janeiro.

La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Di seguito i principali titoli.

In portoghese: Torpalium (racconti, Ática, São Paulo, 1977), Sabe quem dançou? (racconti, Codecri, Rio, 1978) Artérias e becos (romanzo, Summus, São Paulo, 1978), Bárbara (romanzo, Codecri, Rio, 1979), A oeste de nada (racconti, Civilização Brasileira, Rio, 1981), As forças desarmadas (racconti, Anima, Rio, 1983), O livro das Diretas (saggi politici, Anima, Rio, 1984), Muamba (racconti, Anima, Rio, 1985) e O espaço imaginário (romanzo, Anima, Rio, 1987); suoi lavori sono inoltre apparsi in numerose antologie.

In italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998), Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ), Madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L’amore scritto (racconti, Besa, Lecce, 2007); ricordiamo infine la partecipazione, assieme ad Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo, all’opera collettiva Non siamo in vendita – voci contro il regime (a cura di Stefania Scateni e Beppe Sebaste, prefazione di Furio Colombo, Arcana Libri / L’Unità, Roma, 2002). Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua opera Un mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace, per la Libertà edizioni, di Lucca.

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Blog Letteratura e Cultura

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

 

 


[1] Così viene definita nel romanzo la meta-letteratura: “L’adozione di una scrittura rivolta alla metaletteratura – lo vedo solo oggi con chiarezza – era su misura per me: senza abbandonare la letteratura e senza mentire, mi permetteva di trovare l’evasione in un genere che, allontanandomi dal dramma della vita, mi faceva immergere nella letteratura stessa. Come colui che per paura fugge incontro invece che dal nemico, io mi inabissavo sempre di più nella voragine del narrare, narrando il narrare stesso, le impalcature delle mie storie, un mondo fatto di geometrie piuttosto che di sangue”.

[2] A questo riguardo consiglio la lettura del mio saggio “La realtà e la realtà raccontata” pubblicato sulla rivista Sagarana n°48, Luglio 2012.

[3] La minuscola dell’iniziale può essere interpretata in vari modi, uno dei quali potrebbe essere che è il titolo storpiato di qualche parola iniziale che, per qualche ragione, si è persa, è stata cancellata, è stata volutamente celata.

Intervista a Ivan Pozzoni, a cura di Lorenzo Spurio

 Intervista a Ivan Pozzoni
Autore di “Mostri”
Limina mentis, Villasanta, 2009,
ISBN: 9788895881126

 

a cura di Lorenzo Spurio

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LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua ultima opera pubblicata?

IP: Con Mostri cerco di dare soluzione concreta alle difficoltà esistenziali dell’artista, definendone il ruolo sociale e muovendo dalla chiave narrativa della nozione ambigua (vagueness) di «mostruosità»: a] mostruosità terrorizzante (attività di creazione di dolore) da mostro/1 (attore di dolore), volta ad eternare i nessi di dominanza/ controllo esistenti, mediante discriminazione, e b] mostruosità terrorizzata (attività di sottomissione al dolore) da mostro/2 (vittima di dolore), destinata a mantenere, senza reazione, i nessi di dominanza/ controllo, mediante «marginalizzazione». Ognuno di noi, in fondo, nel senso etimologico del termine (monere) è mostro, un «[…] avvertimento della volontà degli dei […]», come registra Festo.

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

IP: Non esiste niente di non auto-biografico: tutto ciò che facciamo, e scrivere è un fare (poiein), è auto-biografia. Ogni forma di atto culturale / artistico ha, tra i suoi fondamenti, il contesto auto-biografico dell’autore dell’atto. Essendo autopsia, l’arte non riesce mai ad essere anti-auto-biografica.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

IP: Ogni mio tentativo di «parossisticizzazione» della mass culture è attivato col mezzo formale, cinico, di un barocchismo decostruzionista, con un occhio rivolto a Luis de Góngora y Argote, fatto di calembour, ironie, facezie, cadute di stile, abbassamenti di registro, sulla stessa strada dell’insurrezionalismo scanzonato, mai aristocratico, di un Cecco Angiolieri, di un Burchiello, di un Villon, e dell’umorismo medioevale o novecentesco (riviste); al di là di anacronistici riferimenti a Marx e marxismi, miei riferimenti culturali, nell’ostinato tentativo di dare un senso, vivente, alla vuota nozione moderna di «democrazia», sono i francesi (Deleuze – Foucault – Lyotard – Derrida – Guattari – Artaud – Bataille – Barthes), Badiou e Debord, i sociologi (da Bauman a Sennet), oltre all’impianto metodologico della filosofia analitica americana.

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

IP: Leggo moltissimo: fisiologicamente sono costretto a dimenticare quasi tutto, trattenendo in me alcune influenze inconsce. Di norma, amo ciò che, al momento, sto studiando. Poi me ne dimentico, e amo altro. L’amore non ha confini.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

IP: Non ho uno stile. Più che uno stile, ho uno stílo, con cui incido versi/frasi nelle carni e nella roccia.

LS: Quali libri hai pubblicato? Puoi parlarcene brevemente?

IP: La zattera della mia iniziativa artistica, intesa come «non-poesia» e come nuova forma di resistenza etica / estetica interessata a combattere vecchie e nuove forme di dominanza, naviga sulle distese marine della «liquidità» tardo-moderna, muovendosi nei limiti di una weltanschauung artistica totalmente democratica e attenta a sollecitare, nella vita di ogni uomo / artista, la fabbricazione di sistemi di valore idonei a rifondare un dialegesthai comune; l’atto stesso di scrivere versi sottende, in me, una cartografia razionale molto articolata, mai distaccata dalla ulteriore mia attività di storiografia filosofica e letteraria e basata sull’introduzione di una serie di tre cicli metodologici (poetica storiografica – poetica teoretica – poetica sociologica):

1] Poetica storiografica: a] Underground: storiografia in versi del romanticismo; b] Riserva Indiana: storiografia in versi del simbolismo; c] Versi Introversi: storiografia in versi dell’ermetismo; d] Mostri: storiografia in versi del realismo; e] Galata morente: storiografia in versi del post-modernismo.

2] Poetica teoretica: a] Lame da rasoi: teoresi della disintegrazione; b] Carmina non dant damen: teoresi della flessibilità; c] Scarti di magazzino (in uscita 2013): teoresi dell’emarginazione.

3] Poetica sociologica (antologie): a] Retroguardie: sociologia della sconfitta artistica; b] Demokratika: sociologia della democrazia lirica; c] Triumvirati: sociologia della costruzione di interazioni comunitarie;  d] Tutti tranne te!: sociologia dell’esclusione; e] Frammenti ossei: sociologia della frammentarietà; f] Labyrinthi (seriale): manuale sociografico su voci nuove e/o marginali.

La storia della filosofia, dell’etica e del diritto sono un’altra cosa, un’altra storia.

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

IP: Penso che sia estremamente difficile scrivere a quattro mani. Se avessi quattro mani, in ogni caso, con due scriverei, con le altre due avrei l’opportunità di grattarmi, esplorare oggetti, fare altre cose istruttive.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

IP: Il lettore non esiste. Nessuno legge davvero «poesia», se non è costretto a farlo.

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato/a con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

IP: Litigo, con affetto.

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

IP: Odio ogni forma di concorrenza: la cultura è un processo collaborativo (coi morti), mai agonistico; detesto readings e premiazioni, mezzi consumistici costruiti ai fini di solleticare il narcisismo dell’autore tardo-moderno. L’artigiano non ha bisogno di corsi e concorsi: vive su corsi e ricorsi.

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

IP: È importante, sopratutto, mantenere rapporti con le altre autrici.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

IP: Non ne ho idea. Difficilmente leggo «poesia». Mi annoia da morire.

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Blog Letteratura e Cultura

“Per una strada” di Emanuele Marcuccio, recensione a cura di Anna Maria Folchini-Stabile

Per una strada
di Emanuele Marcuccio
SBC Edizioni, Ravenna, 2009, pp. 100
ISBN: 978-88-6347-031-4
Genere: Poesia
Prezzo: 12,00 €
 
Recensione a cura di Anna Maria Folchini Stabile
 

Perché i poeti scrivono poesia?

La risposta per Emanuele Marcuccio è una soltanto: “La poesia è la forma verbale più profonda che possa esistere per esprimere i più reconditi sentimenti umani”.

La poesia, quindi, è immaginazione, trasfigurazione ed emozione che passa dal cuore del poeta alla mente e al cuore del lettore che sa mettersi in ascolto, disposto a partecipare a quel miracolo grande che è la comunicazione poetica.

Con questo spirito ho sfogliato le pagine di questa raccolta di versi, pronta a cogliere sfumature, percepire messaggi appena sussurrati, attenta alle parole e al loro significato, ben sicura che un poeta sceglie i vocaboli con l’intento di lasciare un messaggio suo – solo suo – a chi lo legge, essendo ben conscio di aver scelto di farlo.

Ecco, allora, che mi colpisce, innanzitutto, una prima ammissione nella Prefazione scritta dall’Autore stesso. “Per una strada” (pag. 77), le tre parole scelte per dare il titolo alla raccolta, ritornano ad una delle poesie da lui composte, scritta sullo scontrino di una spesa effettuata e ispirato da quanto vede intorno a lui: gli Uomini, tutti insieme, fianco a fianco, percorrono la strada della vita che affratella e pone in relazione pur senza sapere, senza comprendere, senza averne piena coscienza.

Tutti gli esseri umani sono in cammino e questa idea è di frequente sullo sfondo delle liriche di Emanuele Marcuccio che descrive il peregrinare, spesso inutile e forse vano, alla ricerca di una meta. Ecco perché nelle sue liriche “Il viandante” e “Ulisse” (pag.17), scritte nel 1990, il Poeta parla di “immemore errare” e di vita e saggezza che sfuggono a chi pensa di impostare l’esistenza solo sulla razionalità “rude”.

Nel corso di circa quindici anni il Poeta si sofferma sui temi caldi che percorrono la vita di quegli anni e registra gli avvenimenti accompagnandoli col grido civile del dolore, del rammarico, dell’afflizione. Così documenta la Strage di Capaci (pagg. 33-34 “Urlo”), la guerra di Bosnia (pag. 61  “Massacro”), le vicende d’Albania (pag.73 “Albania”), il dramma di chi fugge da terre devastate dall’odio e dalla guerra in cerca di salvezza, di futuro e di pace ( pag. 92 “Per i rifugiati”). Il nostro Autore registra gli avvenimenti nella sua coscienza di uomo e si lascia commuovere dalle vicende di cui è testimone: immerso nella storia, supera il momento della cronaca e diventa presente e responsabile. Le vicende assumono significato, l’Uomo ricorda e tramanda accompagnando le vicende con il suo sentimento partecipato (“Dolore immenso e aspro / dolore orrendo negl’occhi / […] ricordiamo i passati lutti, / giammai dimenticati, […]).

Il conforto dalle tristezze della vita quotidiana gli viene dal rifugio nello studio e nell’approfondimento culturale che accompagna la sua crescita personale e spirituale. Nasce così un colloquio continuo con i Padri della conoscenza e dell’Arte, personaggi letterari e artistici di ogni tempo rivisitati e ritrovati, come in una galleria dedicata ai quadri degli antenati che parlano al suo cuore e ispirano i suoi versi. Così, per esempio, succede grazie alle poesie “Alla Gioconda
(pag. 30), “A Vittorio Alfieri” (pag. 35), “Nausicaa” (pag. 37), “Amleto” ( pag 54), “Parsifal” (pag.55), “Annibale” ( pag.56), “Seneca” ( pag. 57).

Non mancano anche riflessioni sui grandi poeti, quali Dante (pagg. 52-53) e Leopardi (pag. 43), e l’omaggio sentito allo scrittore Sciascia, (pag. 62 “A Leonardo Sciascia”), coscienza del nostro Novecento.

Affiancano le liriche colte i versi dedicati agli affetti personali, al sentimento d’amore che placa gli affanni quotidiani ed è approdo sicuro per il Poeta che sa ritrovarsi Uomo nella pienezza del suo sentire e nella capacità di riconoscere chi sa camminare con lui nelle strade della vita.

Più serene le liriche che chiudono la raccolta, più legate ai sentimenti intimi e profondi come le liriche “Canto d’amore” (pag, 89) e “Come un sogno” (pag. 91). Colpiscono i versi di quest’ultima poesia che testimoniano la serenità conquistata che lo avvolge: “[…] il mio andare disperso / si placa, e non chiedo nulla: / trovo alfin la pace, / la pace serena dei tuoi occhi.”, perché, dice Emanuele Marcuccio, chiudendo questo suo decennale cammino spirituale, la vita va apprezzata con serenità e tranquillità: “[…] Non affrettarti, non affannarti: / prendi la vita come viene, / e non curarti dell’avvenire, / prendi tutto con calma / e alla tua meta giungerai, / e sarai ancora te stesso.”
(pag. 98 “Affollamento e inutili affanni”).

Si può vivere, quindi, e si può essere Uomini. Il passo della vita può essere lungo tanto da non affannare il respiro, perché basta darsi il tempo e concedersi a se stessi.

 

Anna Maria Folchini Stabile

(scrittrice e poetessa).

Angera (Va), 23 luglio 2012.

 

 

Chi è l’autore?

Emanuele Marcuccio (Palermo 1974) è poeta, aforista e curatore editoriale. Ha pubblicato: Per una strada (2009, silloge di poesie), Pensieri minimi e massime (2012, silloge di aforismi). Dal 2010 collabora con una casa editrice per la scoperta di nuovi talenti poetici, tra giugno 2010 e luglio 2011 ha presentato tre autori, riuscendo così a curare la pubblicazione di tre libri di poesie e, dal 2011 è consigliere onorario del sito “poesiaevita.com”, che promuove anche una sezione editoriale ospitante le collane di opere da lui curate. Ha curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed emergenti su blog letterari (Donatella Calzari, Marco Nuzzo, Maristella Angeli, Gianni Mauro ed altri). È collaboratore della rivista on-line di letteratura Euterpe. È stato membro di giuria nella prima edizione del concorso nazionale di poesia “L’arte in versi” (2012). È presente su blog, siti e forum letterari, tra cui “Literary”, con una scheda bio-bibliografica nell’Atlante letterario italiano. Ha in programma la pubblicazione di una seconda silloge di poesie. Dal 1990 sta scrivendo un dramma epico in versi liberi, ambientato al tempo della colonizzazione dell’Islanda, di argomento storico-fantastico.

Intervista a Lorella Fanotti, autrice di “Racconti dietro l’angolo”, a cura di Lorenzo Spurio

 Intervista a LORELLA FANOTTI
Autore di RACCONTI DIETRO L’ANGOLO
EDITRICE DONCHISCIOTTE , SIENA, 2011
Isbn:978-88-88889-37-5

 

a cura di Lorenzo Spurio

Blog Letteratura e Cultura

  

LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua ultima opera pubblicata?

LF: Ho scelto il titolo Racconti dietro l’angolo per anticipare velatamente al lettore le mie intenzioni. Le storie che narro sono semplici, quotidiane; ho cercato di raccontare con l’occhio di chi osserva oltre l’apparenza, che va oltre l’angolo per capire quello che si cela dietro l’evidenza e che sfugge all’osservatore distratto.

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

LF: Nel mio libro ci sono storie completamente autobiografiche e storie completamente inventate. Di sicuro in tutti i racconti ci sono io, c’è la mia sensibilità, il mio modo di rapportarmi con la  vita, con i sentimenti, con gli altri. Credo che la letteratura sia un modo non semplice ma efficace di mandare dei messaggi, raccontando quelle che possono sembrare semplici novelle hai la possibilità di far riflettere il lettore su un tema che ti sta a cuore. Spero di essere riuscita a dare ai miei lettori degli input di riflessione. Quello che spero di non aver fatto è “salire in cattedra”.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

LF:Non ho fatto studi umanistici e questo credo che sia un  limite importante. Però sono curiosa e se sento parlare positivamente di un autore che non conosco cerco di rimediare. Non ho autori preferiti, mi piace leggere chi parla della gente e lo fa con il cuore. Non mi piace il fantasy, trovo che la vita di tutti i giorni abbia così tanto da raccontare che non vedo la necessità di andare “oltre”. Ho appena terminato Il piccolo naviglio di Tabucchi  e credo che riassuma quello che mi fa apprezzare un libro. Storie di gente comune dentro la Storia, un pizzico di follia e di fantasia, una scrittura particolare. Per la letteratura straniera mi sono imbattuta in alcune scrittrici albanesi contemporanee: Elvira Dones, Ornela Vorpsi, Anilda Ibrahimi che mi hanno conquistato. Scritture asciutte e dirette, storie che con l’incanto narrativo ci raccontano un mondo vicino e sconosciuto. Un’altra autrice straniera che mi piace  è Irene Nemirosky, un’ebrea russa morta molto giovane in un campo di concentramento.

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

LF: Invece è facile, l’ho appena tirato fuori dallo scaffale per cercare di farlo leggere a mia figlia. La Storia di Elsa Morante.  Per tutto quello che ho detto prima.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

LF: Posso solo rispondere che ho sempre letto molto, non so dirti chi mi ha influenzato di più. Posso raccontarti che ho cominciato a scrivere per avere un pretesto per conoscere una scrittrice, Elena Gianini Belotti, di cui avevo letto da ragazzina Dalla parte delle bambine. Quando nel 2001 seppi che avrebbe tenuto un corso di scrittura creativa nel mio paese mi sono iscritta per conoscerla. Ho conosciuto Elena, ho frequentato il corso, e non ho più smesso di scrivere.

LS: Quali libri hai pubblicato? Puoi parlarcene brevemente?

LF: Ho pubblicato solo la raccolta Racconti dietro l’angolo. In Italia il racconto non è molto apprezzato, ma è invece un genere che si  adatta al mio modo di narrare e ai miei tempi accelerati. A volte mi capita di leggere dei romanzi che potrebbero stare benissimo in un racconto, dove le frasi vengono tirate come elastici, pur di arrivare a quel tot di battute. I miei racconti sono storie quotidiane a volte autobiografiche, a volte racconti che mi hanno fatto amici, addirittura un paio  sono nati dopo aver letto articoli di cronaca. La prima lezione del corso la Belotti ci disse che quando abbiamo vicino i nonni che potrebbero raccontarci storie incredibili, non ci interessano, siamo troppo giovani per apprezzare. Quando vorremmo  scoprire quelle storie e le nostre radici, non abbiamo più chi ci racconta.

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

LF: Ho partecipato a un racconto a sei mani,  dove ogni partecipante scriveva il  punto di vista del suo personaggio. Devo dire che è stato divertente e stimolante, certamente occorre un buon feeling e capacità di accettare un confronto costruttivo.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

LF: Credo che sia adatta a tutti, anche a chi non è abituato a leggere. So che conoscenti non lettori si sono avvicinati al mio libro per curiosità e qualcuno poi mi ha detto “Sono come le ciliegie, ne leggi uno e non puoi fare a meno di leggerne un altro”.  Riuscire  a far leggere chi non ha mai comprato un libro è un bel successo no?

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato/a con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

LF: Bella domanda! Penso che sia una giungla dove ti dibatti per trovare la strada più semplice e meno pericolosa.  Le grandi case editrici non ti leggono, le piccole ti chiedono soldi, e l’ingenuo esordiente non sa quasi mai se il suo libro vale la carta su cui è stampato. Quando ho deciso di pubblicare il libro non l’ho fatto  perché ero convinta di aver scritto un capolavoro, è rimasto quasi dieci anni  nel pc. L’ho fatto perché volevo che restasse qualcosa di tangibile ai miei  figli, un modo per lasciare qualcosa di me, quindi non ho pensato che una buona distribuzione fosse importante.  La casa editrice è stata estremamente onesta nel dirmi cosa avrebbe o non avrebbe fatto. Ora, con il senno del poi, punterei di più nella distribuzione.

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

LF: Anche i premi sono un po’ un business, sinceramente non mi sembra molto corretto dover pagare decine di euro per partecipare a un concorso. Certo sono una maniera per misurarsi, uno stimolo anche alla scrittura, ma per ora ho preferito non entrare in questo meccanismo. Ho partecipato a un solo concorso e il risultato devo dire che è stato positivo. Lo stesso per i corsi di scrittura, ho letto di corsi  con quote di partecipazione molto elevate e che non prevedevano una selezione iniziale. Si può imparare a scrivere se non c’è una dote naturale?

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

LF: A me piace molto confrontarmi con gli altri, anche se ho notato che non è molto apprezzata la sincerità. Sovente ci si nasconde dietro manierismi e recensioni che sono riassunti.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

LF: Posso comprenderlo se si tratta di satira, se l’intenzione è palesemente dichiarata, altrimenti non credo che sia utile alla letteratura. Certamente chi scrive deve documentarsi e leggerà testi che parlano di quell’argomento. Per esempio quando ho scritto il racconto “Il professore”, dove c’era un accenno alla guerra di Russia, ho letto Il sergente nella neve di Rigoni Stern, ma il lettore non deve accorgersene, altrimenti si chiama copiatura.

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Blog Letteratura e Cultura

Jesi, 16/07/2012

E’ uscita l’antologia del concorso “L’arte in versi” – Edizione 2012

L’antologia del Concorso Naz. Le di Poesia “L’arte in versi” 

organizzato da Lorenzo Spurio, Massimo Acciai, Monica Fantaci, Marzia Carocci, Emanuele Marcuccio, Patrizia Poli, Iuri Lombardi, Annamaria Pecoraro, Luciano Somma, Martino Ciano e Sara Rota.

è stata pubblicata ed  è acquistabile qui: http://ww4.photocity.it/Vetrina/DettaglioOpera.aspx?versione=19078&formato=8676

L’antologia è stata curata da Lorenzo Spurio, Massimo Acciai, Monica Fantaci. Presenta una introduzione di Lorenzo Spurio, una prefazione a cura di Annamaria Pecoraro e una postfazione di Marzia Carocci.

“Scrivere non è semplice, è un’arte che coniuga versi con le emozioni del cuore. E’ forza espressiva di materializzare quello che sente e vede intorno. Spesso, c`è chi è più motivato e si spinge oltre, tentando di compiere, in pochi versi un volo ad alta quota. Donare quello che siamo, per come possiamo, è oggi un grande compito. C’è chi dice che la Poesia sia morta, ma cade in errore! Questa antologia né la tangibile prova. Le emozioni, animano il nostro essere e noi, animiamo le emozioni! Sicuramente le difficoltà del quotidiano, portano ad essere sballottati, e nella paura di essere sempre in un mare in tempesta, riuscire ad aggrapparsi, a navigare, a cavalcare l’onda giusta, è un cammino denso di esami di coscienza e di forza applicativa di reazione. Il pensiero che avvolge il nostro “Filosofare”, si perde nel Mistero, restando attoniti di fronte a quello che capita.”

(dalla Prefazione di Annamaria Pecoraro)

“Questa Antologia, raccoglie la “voce” interiore di donne e di uomini che attraverso la loro scrittura hanno dato vita a un canto ricco di sentimento, di sincerità dell’anima, un inno al movimento più vero, più eccelso che l’essere umano possa esprimere, il movimento poetico, quella conca sensibile priva di menzogne, di egoismi, di opportunismi, dove si riesce ancora ad essere veri, leali, obiettivi e produttori di pura essenza: l’essenza di una coscienza in evoluzione… ”

(dalla Postfazione di Marzia Carocci)

“Battiti d’ali nel mondo delle favole” di Sandra Carresi e Michele Desiderato, recensione di Monica Fantaci

Battiti d’ali nel mondo delle favole
di Sandra Carresi e Michele Desiderato
Ilmiolibro, 2009
pp. 64

Recensione a cura di Monica Fantaci

La letteratura dell’infanzia ha sempre accompagnato l’essere umano nella crescita, lo ha avviato al piacere e al gusto per la lettura, a comprendere che oltre la realtà può esistere il mondo della fantasia, fatta di sogni e nuove prospettive, di personaggi e antagonisti. I testi per l’infanzia hanno modo di dare un messaggio morale al piccolo lettore e/o ascoltatore che, anche se viene letto e definito in un’opera dove tutto è finzione, può essere applicato al reale.
La favola permette al bambino di capire meglio, attraverso i personaggi, qual è il comportamento corretto e quale quello scorretto, alla fine di ogni storia viene esplicitato l’atteggiamento etico che il piccolo dovrà seguire lungo il corso della sua vita.
Nel libro di Carresi e Desiderato ci si immerge nella letteratura per l’infanzia, ricca di sfumature e invenzioni, dove gli accadimenti vengono narrati in maniera del tutto naturale, utilizzando un linguaggio pratico, alla portata di tutti.
Il lettore si renderà conto della precisazione dei luoghi, dei particolari di ogni narrazione, della tematica attuale, ad esempio nella prima favola presente nel testo “Una fermata utile a Middeltown” si menzionano un centro commerciale e la tecnologia, dando modo di render chiare le intenzioni di questi racconti, inoltre si evince che ognuno di essi sono frutto di una realtà modificata, come si volesse sottolineare che oggigiorno la finzione prende il sopravvento sul reale, storpiandolo quasi spontaneamente.
L’ingegno personale degli autori è una forza che garantisce la sequenzialità degli eventi, che mutano, che generano sempre nuovi comportamenti e iniziative, i personaggi sono ben ancorati nel loro ruolo, ciò che accade ad ognuno di loro viene discusso in modo dettagliato, identificando bene l’intreccio, una parte che nella favola interessa maggiormente e che dà un significato decisivo a tutto il componimento letterario, trascinando lo scrittore, e successivamente il lettore, verso la conclusione etica, il vero scopo di ogni vicenda delle favole.
Le tematiche si susseguono in ogni storia e sono sempre differenti, si parla di giusta alimentazione, della paura e del modo per eliminarla, di avventura, dell’importanza della famiglia…
I “Battiti d’ali nel mondo delle favole” sono battiti di vita della letteratura per l’infanzia che, grazie alla sua moralità, entra a far parte della quotidianità.

a cura di Monica Fantaci

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA SU QUESTO SPAZIO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

“Mostri. Poveri diavoli, chimere e altre storie” di Ivan Pozzoni, recensione di Lorenzo Spurio

Mostri. Poveri diavoli, chimere e altre storie
di Ivan Pozzoni
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2009
Collana: Ardeur
ISBN: 9788895881126
Numero di pagine: 112
Costo: 15,00 €
 
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

 «Pozzoni non ci sta a questo gioco all’ipocrisia collettiva che va di moda nel nostro paese, dove si parla di: crisi non-crisi, poesia etica, poesia mitica, fine del realismo, poesia del quotidiano, autobiologia in poesia etc. e chi più ne ha più ne metta. Siamo nella confusione babelica di tutte le lingue e di tutte le maniere» (Giorgio Linguaglossa)

 

Ivan Pozzoni è un uomo che ha poesia nel cuore e che si dedica a questo genere da vari anni. Numerose le sue pubblicazioni di sillogi poetiche e le curatele ad altrettante antologie di poesia. Collaboratore instancabile di varie riviste letterarie e poetiche nazionali e internazionali, è anche Direttore Culturale della Limina Mentis Editore.  Sono qui oggi a parlare della sua silloge Mostri, edita dalla Limina Mentis nel 2009. La poesia non invecchia mai e quindi non ha senso dire che di norma si recensiscono le pubblicazioni più recenti, dato che ne sono seguite diverse dopo questa.

Mi sono trovato in difficoltà nell’articolare un discorso critico su questa ampia silloge di poesie che l’autore ha voluto dedicare ai “Mostri”; niente di supernaturale o di eroico, tutt’altro. I mostri che “zitti zitti/ s’avvicinano” (pp. 23-24) a cui fa riferimento Pozzoni, mi pare di capire, sono nella nostra contemporaneità, celati, dietro l’angolo e si concretizzano nelle paure, nelle ossessioni e nella spregiudicatezza dell’oggi dove le uniche religioni sono il narcisismo e il consumismo.

La poesia di Pozzoni è vivida, materica, viscerale. Rifugge la retorica, gli orpelli, per descrivere in maniera quanto mai metaforica e analogica una realtà preoccupante, spersonalizzante, che ha perduto ormai i valori. Ma è anche una poesia altamente evocativa e poliedrica: pessimista, utopica, delirante, grottesca, inconsueta. E’ tutto questo allo stesso tempo. Risiede proprio in ciò la ricchezza espressiva di Pozzoni e la sua continua capacità di rinnovarsi, di riscriversi, di osservare il mondo da un’altra prospettiva.

In “Per me, scrivo!” è chiarito il destinatario delle sue liriche: non il mondo esterno, non la natura, non la donna amata. Il poeta scrive per se stesso, egoisticamente: “Per me, scrivo/ immergendo/ i miei mille incubi/ nell’acido muriatico,/ dissodando sogni,/ scaricando rogne,/ disinnescandomi” (p. 26).

Evidente l’intento polemico e critico della poesia di Pozzoni, quasi “elettrica” come quella dei futuristi della prima stagione: rifugge il passatismo, il manierismo e la costumanza retorica e classica che anche i nuovi poeti continuano a esprimere con le loro liriche: “denuncio poetiche/ copiate su carta carbone,/ sempre uguali, mansuete,/ innocue, stampate in/ catena di montaggio/ dai nostri giovani letterati”(p. 27). Pozzoni sta dicendo che nella poesia contemporanea non c’è originalità, né sperimentazione e che i nuovi poeti (o quelli che si auto-nominano così), in fondo non sono che copie sbiadite di altri poeti che in altri tempi furono grandi ma la cui poetica, ormai, non è più attuale e conforme alle inclinazioni dell’uomo d’oggi. E’ una denuncia, è una critica, ma è anche una perorazione a cambiare, a svegliarsi,  a rinnovarsi, a crearsi un proprio stile. Ecco perché lui stesso osserva “Nei miei versi/ da coyote arrabbiato/ non dominano interessi/ a stili coerenti” (p. 27). E ancora, l’affondo di Pozzoni: “non me ne/ frega un cazzo” (in “Cinico e bastardo”, p. 33) dove a questi versi segue una lista di cose che al poeta non interessano più o che forse non l’hanno mai interessato. Il suo è un percorso caotico e convulso, un fuggire dalle semplici cose. C’è posto anche al ricordo in questa silloge: “Felice adolescenza,/ consumata in risate,/ scherzi e battute/ […] nelle notti insalubri/ di vodka e bestemmie” (in “Roaccutan”, p. 29)

Ma la poesia di Pozzoni è un panegirico d’analisi critica e polemica dei nostri tempi, imbevuta di un leggero drammatismo. Non c’è un modo particolare per accostarsi ad essa perché il poeta non ha una forma, né un genere “tipo” dal quale parte: la sua, in effetti, è una continua sperimentazione dalla quale nascono costruzioni atipiche e difficili da immaginare: “tasso/alcolico di nuvole” (p. 37), stridenti: “camminando scalzo/ tra rose, e carcasse/ di tonni” (p. 42), che hanno perduto un’identità: “iene senza coglioni” (p. 46) o addirittura che usa a suo modo l’isotopia del sessuale: “Cazzo,/ sabbia di luna/ sodomizzata/ dall’asta immota/ d’una bandiera” (p. 50) che ci obbligano a domandarci se, leggendo queste poesie, manteniamo ancora saldi i piedi su questa Terra. Pozzoni ci fornisce in alcuni tratti un’immagine dissacrante del mondo d’oggi, fondato sulla religione dell’egoismo e del consumismo: “la società del disimpegno/ tenuta insieme, tenuta a bada/ da litri e litri/ di crema abbronzante e di collagene” (p. 47). E’ una società narcisistica che si copre di una patina protettiva e che pure utilizza la medicina ricostruttiva per cercar di mantenere una certa parvenza e di rifuggire l’invecchiamento.

Nella lunga poesia “Apocalisse” che chiude la seconda sezione della silloge dal titolo “Chimere”, incontriamo un Pozzoni irruento e sfiduciato, ma anche debole e privo di speranza che lancia una minaccia che allo stesso tempo è un desiderio: “Quando tutto sarà/ finito manderemo all’aria/ ‘sto mondo di merda,/ e tutti i bastardi/ che ci stanno dentro,/ con la nostra soddisfazione.” (p. 82). Vedremo se Pozzoni ha intuito correttamente quello che sarà il nostro ultimo destino.

 

 Chi è l’autore?

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Si è laureato in diritto con una tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico.

Collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2012 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente e Carmina non dant damen con Limina mentis, Lame da rasoi, con Joker.

Tra 2009 e 2012 ha curato le antologie poetiche Retroguardie (Limina mentis), Demokratika, (Limina mentis), Tutti tranne te! (Limina mentis), Frammenti ossei (Limina mentis) e Labyrinthi (Limina mentis) e nel 2010 ha curato la raccolta interattiva Triumvirati (Limina Mentis). Tra 2008 e 2012 ha curato i volumi: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale (Limina mentis), Cent’anni di Giovanni Vailati (Limina mentis), I Milesii (Limina mentis), Voci dall’Ottocento I II e III (Limina mentis), Benedetto Croce (Limina mentis), Voci dal Novecento I II III e IV (Limina mentis), Voci di filosofi italiani del Novecento (IF Press), La fortuna della Schola Pythagorica (Limina mentis) e Pragmata. Per una ricostruzione storiografica dei Pragmatismi (IF Press); come monografie sono usciti i suoi: Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press, 2009), L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Limina mentis, 2009) e Grecità marginale e suggestioni etico/giuridiche. I Presocratici (IF Press, 2012).

È direttore culturale della Limina mentis Editore; è direttore de L’arrivista – Quaderni democratici. In un’azienda della D. O. è logistico.

 

 Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Racconti dietro l’angolo” di Lorella Fanotti, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Racconti dietro l’angolo
di Lorella Fanotti                               
con prefazione di Marco Montori
Editrice Don Chisciotte, 2012   –  http://donchi.com/
ISBN: 978-88-88889-37-5
Numero di pagine: 118
Costo: 10,00 €
 
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
 Aveva preteso di continuare a dividere lo stesso letto
e la notte mi prendeva con cattiveria,
ero una cosa sua da usare e ci teneva a farmelo capire (p. 24).
 
L’hanno messa in un buco sottoterra,
il prete dice che poi l’anima si stacca e va in paradiso, con gli Angeli,
ma intanto l’hanno lasciata in quel buco buio.
Che farà ora la maestra Clelia? (p. 41).

E’ un’assodata realtà che la narrativa breve, nella forma del racconto, in Italia non sia mai stata considerata alla pari della poesia o del romanzo. Una sorta di pregiudizio tutto nostrano (della critica e, forse, dei letterati stessi) che considerano quello che gli americani chiamano short story come una produzione breve, leggera e che vede nella sua concisione proprio la mancanza d’invenzione, di sperimentazione. Una letteratura che almeno in Italia è sempre stata considerata come “seconda” alle altre forme di espressione letterarie. Completamente diversa la situazione in Inghilterra, basti pensare ad autrici come Virginia Woolf, Katherine Mansfield o alle americane Patricia Highsmith o Flannery O’Connor. Unica eccezione nel panorama italiano, forse, solamente Calvino.

Questo libro di Lorella Fanotti è uno dei tanti chiari esempi nella nostra contemporaneità che la supposta “inferiorità del racconto breve” sia un mero pregiudizio, una sorta di leggenda metropolitana che non risponde a verità. Inoltrandoci nella lettura di Racconti dietro l’angolo, l’autrice accompagna il lettore a braccetto in numerosi spaccati quotidiani, episodi del tutto normali ed estremamente variegati. Non c’è niente di fantastico, né di surreale. La scrittura completamente piana, per nulla “accademica” dell’autrice consente al lettore di assaporare le pagine del libro e le varie storie in maniera compulsiva. Concluso un racconto, il lettore è subito pronto ad inaugurane un altro e, quando è consapevole che è giunto all’ultimo, prova un leggero dispiacere.

Questo genere si mostra congeniale a una scrittrice come Lorella Fanotti che fa della sua scrittura un’attenta analisi della realtà umana, con problemi, vicissitudini poco felici, ansie, ripensamenti, dolori. L’autrice si mostra in questo libro come narratrice del quotidiano; lo sguardo, infatti, è sempre posato su quello che accade attorno a lei. L’autrice non dà molta rilevanza a quella che è la Storia ufficiale, fatta di date, episodi, guerre o momenti politici – tranne che in “Incontro a Garibaldi”- proprio per l’espressa volontà di dipingere delle storie che sono private, che appartengono al popolo.

La raccolta affronta molti temi, ma il tutto è sempre finalizzato a sottolineare l’importanza della famiglia intesa come nucleo originario d’amore e di stabilità e soprattutto la difficoltà che ha l’uomo contemporaneo di riconoscerci completamente tale (mariti ossessivi, uomini convinti dalla validità di una “pseudo-setta” religiosa per altro non riconosciuta dalla Chiesa ufficiale, un anziano professore cieco che deve sottostare ai diktat prepotenti della società, una lesbica prostituta).

Pur utilizzando un linguaggio che ha molto del parlato, come in “Il culo delle donne”, questo non risulta mai essere volgare ed anzi, in alcuni punti finisce per rubare al lettore un sorriso in questo cocktail incalzante di cronaca d’oggi che sottolinea debolezze, mancanze, vizi e degenerazioni a più livelli.

E’ una scrittura completamente attuale quella di Lorella Fanotti come lo è il suo frequente riferirsi a Internet che, come sappiamo, può essere un ottimo strumento se utilizzato bene e anche il mezzo d’incontro fortuito di due persone, ma che allo stesso tempo può rivelarsi in una famelica trappola per vittime deboli, inermi, giovani, confuse. E’ ciò che accade ad esempio in “Una mano per chi?”, racconto thriller dagli risvolti agrodolci ma nella dinamica del serial killer quanto mai verosimile e specchio di tragici avvenimenti che spesso sentiamo al telegiornale. Il sesso ne sta alla base. E’ un sesso malato che provoca perversione, stalking, minacce compulsive; un sesso che si realizza attraverso l’abbordaggio in internet e poi l’abbindolamento nella convinzione che  “la chat ogni tanto poteva essere un palliativo per esaudire quei desideri che nessuno avrebbe condiviso in un letto” (p. 78).

Se da una parte la silloge di racconti si manifesta come uno spaccato della società d’oggi, non mancano racconti d’impostazione verista che si riferiscono, invece, a un mondo andato, a una società prevalentemente agricola, a famiglie di campagna dedite al lavoro. Contadini, orfani, poveri, tessitrici, campi da lavoro, matrimoni contadineschi che ricordano quasi alcuni personaggi verghiani.

Complimenti a Lorella Fanotti per questa ricca e variegata silloge nella quale i toni e i temi crepuscolari (malattia, dolore, morte) non riescono a dominare del tutto perché osteggiati da elementi positivi che richiamano il ricordo, la memoria, il passato andato di un’età migliore. In questo percorso, però, la scrittrice mette in scena anche crimini, manie, devianze e stravaganze, perché il mondo è anche questo tanto che in un racconto osserva: “Il giornale era troppo tetro, voleva una rivista, un settimanale” (p.88). Meglio distrarsi e dimenticarsi per un attimo che il mondo è tanto crudele.

 

Chi è l’autrice?

Lorella Fanotti ha sempre trovato piacere nel leggere. La scrittura l’ha coinvolta invece in un secondo momento quando, a partire dal 2001, ha cominciato a partecipare a un laboratorio di scrittura tenuto da Elena Gianini Belotti. In quell’occasione sono nati i suoi primi racconti. Ha continuato poi a scrivere e, negli anni, i racconti si sono accumulati nel cassetto. Sono piccole storie a volte prese dall’esperienza quotidiana, altri esercizi di scrittura partendo da un incipit o da un titolo. Da questa raccolta è nato “Racconti dietro l‘angolo”.

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Blog Letteratura e Cultura

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Pensieri minimi e massime”, collezione di aforismi del palermitano Emanuele Marcuccio. Recensione a cura di Marzia Carocci.

Pensieri minimi e massime
di Emanuele Marcuccio
PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47
ISBN: 978-88-6682-240-0
Genere: Saggistica/Aforismi
Prefazione, a cura di Luciano Domenighini
Postfazione, a cura di Lorenzo Spurio
Curatrice d’opera: Gioia Lomasti
Cover: Francesco Arena
Prezzo: 7,60 €
 
Recensione a cura di Marzia Carocci

 

L’aforisma è l’immediatezza di un pensiero, di uno stato d’animo, di una constatazione che porta alla riflessione immediata  portando il lettore al senso compiuto di un’osservazione ricca di essenza. Emanuele Marcuccio, nella sua introduzione alla poesia, sottolinea proprio quanto sia importante questa forma letteraria che è la creazione di un’anima attenta, e da quanto tempo  la forma lirica abbia attirato l’uomo per bisogno di esternare e di celebrare le proprie interiorità.

Egli farà riferimento anche alle varie epoche e ai tanti poeti che ci hanno preceduto, al loro modo di esprimersi con quel desiderio di comunicare attraverso questa forma letteraria.

Gli aforismi di questo poeta ci portano in un caleidoscopio di riflessi, perlopiù rivolti all’importanza della poesia, attraverso le considerazioni che questa forma letteraria impone con musicalità, sentimento e stile, ma ci saranno annotazioni sul dolore, sull’amore, sulla felicità, sulla morte: “Solo al momento della morte, questo nostro orologio sconnesso della vita darà l’ora esatta”.

Il poeta, in questo contenitore di emozioni, sembra a volte meditare nella ricerca continua di quesiti  a volte  senza risposte, altre con ferma certezza.

L’autore si sofferma su cosa sia il poeta, la poesia, l’espressione lirica, il valore dell’amore, la negazione dell’offesa, l’importanza dell’incipit come padrone dell’apertura poetica che si chiude con l’explicit nella chiusa del verso emozionando il lettore .

“Il poeta modella le parole, le forma e le trasforma, le trasla nel significato e le trasfonde nel significante”.

Marcuccio appunta come in un diario tutte quelle constatazioni, annotazioni che lui concretizza  in massime per sottolineare quei pensieri che egli sente di esprimere.

“La felicità dura il tempo di un istante e, attimi di felicità si perdono nella nebbia del tempo”.

Il protagonista principale di questo viaggio, resta comunque la poesia, regina indiscussa di emozione e sentimento e il senso di questa, che Emanuele Marcuccio, esalta  attraverso la parola.

Un itinerario dove l’autore contrassegna con un numero i vari aforismi come per catalogare in “regole” quelle osservazioni ben delineate e portate in superficie per esaltare ed elogiare una delle forme letterarie più eccelse; attimi di riflessioni che allargano il campo  ad ampi ragionamenti su un argomento interessante: perché la poesia è presente fino a circa un millennio prima di Cristo, come giustamente annota nell’introduzione Marcuccio? Perché il bisogno di celebrare le proprie emozioni? Come si interpreta la poesia?

In questo libro di “Pensieri minimi e massime”, troverete vari spunti interessanti.

 

 

a cura di Marzia Carocci

21 luglio 2012

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA QUI SU QUESTO SPAZIO DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE DEL LIBRO E DELL’AUTRICE DELLA RECENSIONE. 

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