“Errando tra le vie del cuore” di Lucio Iuliano, recensione di Lorenzo Spurio

Errando tra le vie del cuore
di Lucio Iuliano
prefazione di Sara Rota
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2012
ISBN: 978-88-95881-79-9
 
Recensione di Lorenzo Spurio
 

imagesCome osserva puntigliosamente Sara Rota nella prefazione, questo è un libro in cui si parla d’amore. L’amore viene analizzato sotto varie prospettive e dell’amore l’autore ci fornisce sfaccettature diverse, a tratti anche contrastanti: c’è l’amore inteso come felice condivisione di progetti e come atto di fedeltà nei confronti dell’altro, c’è l’amore inteso come doloroso, fonte di sospiri e di inquietudini (da avvicinare, dunque, alla poetica degli stilnovisti come quando Iuliano scrive: «il lamento di un cuore che grida senza voce», 7), c’è l’amore filiale e c’è l’amore ossessivo, fondato sul possesso e su una cieca visione dei rapporti tra gli amanti motivata da un effervescente narcisismo.

Nella lirica d’apertura, “Fino all’ultimo”, Iuliano affronta la difficoltà dell’uomo nel saper gestire la propria esistenza tra quel presente liquido e difficile nel quale vive e il gravoso passato che addirittura viene stigmatizzato come «maledetto» (5). Il passato è visto quale presenza violenta, che si manifesta in maniera irruente e sadica riappropriandosi in maniera inaudita del tempo, rovinando la normalità del hic et nunc: «questo passato che graffia e/ ferisce il presente, questo passato che spazza via/ ogni attimo di illusoria felicità» (5). Nella lirica successiva, invece, il lettore è chiamato a condividere l’interpretazione di un amore vissuto come forma di imposizione e sinonimo di morbosità; l’io lirico, infatti, riconosce di essere «[l’] egoista che approfitta delle tue debolezze» (6). Un amore malato, dunque, maniacale e che si nutre dell’egoismo e dalla supposta superiorità dell’io lirico; anche il linguaggio è abbastanza violento (‘sevizia’, ‘abbandona’, ‘incatena’, ‘diavolo’, ‘aguzzino’, ‘uomo senza cuore’). E le immagini di violenza –non gratuita, ma quale elemento iperbolico per sottolineare un amore difficile, osteggiato, deludente o totalizzante- pervadono tutta l’opera dove l’isotopia del sangue si ripete in varie liriche: «E incisi nel petto il tuo nome/ E tatuai nell’anima il tuo viso/ E trafissi il cuore di te…» (11). Il rosso che domina da questa silloge di Iuliano non è, infatti, quello del cuore, ma quello del sanguinamento, da intendere metaforicamente come conseguenza di un atto doloroso: «Dipinsi il sorriso di un attimo/ lo sguardo fugace che trafigge il cuore e/ sanguina… sanguina amore» (11). L’isotopia si nutre, inoltre, di immagini che arricchiscono questa sfera semantica quale il cuore, i battiti, la ferita (che è il segno evidente di un processo lesivo, contundente, violento) e la cicatrice (anch’esso segno evidente di un atto doloroso avvenuto in passato e che, pur rimarginato, rimarrà a perpetua memoria).

 

E Vorrei strapparti il cuore dal petto per vedere se

nei suoi battiti c’è ancora un mio riflesso.

E Vorrei graffiarti l’anima con queste mani

per poi sanarne le ferite solo con le labbra. (9)

 

Degna di nota è la lirica intitolata “Lettera” e dedicata alla figlia del poeta dove l’io lirico si cela nei tortuosi tormenti della psiche che immaginano un futuro per il quale il padre dovrà chiedere scusa alla figlia per la sua non presenza; la lirica offre vari punti di alta intensità e trova la sua “risoluzione” nei versi finali dove l’io lirico osserva: «Nessuno mai ci ridarà/ questo tempo» (15) evidenziando, quindi, una chiara volontà a non gettare il tempo che poi nel futuro non potrà ripetersi né essere rivissuto. In “Addio”, invece, ci troviamo dinanzi all’epilogo di un amore, di una storia vissuta al capolinea, anche se il poeta non ne chiarisce il motivo. Negli «occhi che si chiudono e trattengono lacrime che annegano/ i sogni» (27) possiamo intuire che l’abbandono tra gli amati sia stato motivato non tanto da una vera e propria scelta, ma da motivazioni superiori quali, forse, la dipartita dell’amato, perché, come Iuliano osserva in un’altra lirica, il Male –in cui possiamo vedere la malattia o addirittura la morte- circonda la Vita: «cercherei di proteggerti dal male che avvelena la vita» (19).

Iuliano tratteggia l’amore quale processo disturbativo e quale momento epifanico che cambierà la natura dell’uomo nel corso della sua vita. Per la sua potenza ed esclusività esso viene descritto con un linguaggio potente e incisivo per denotare al lettore quanto il pensiero, la convinzione, l’assillo o addirittura la mania amorosa siano e diventino totalizzanti. Il sanguinamento che si produce tra i vari versi di queste liriche non è di sangue, ma d’amore.

  

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico letterario)

 Jesi, 29 Maggio 2013

Addio a Little Tony. Il ricordo di Gilbert Paraschiva

Fra i miei “CANTANTI IN PARADISO” ora

anche ANTONIO CIACCI (Little TONY)

di Gilbert Paraschiva

 

Dieci anni e cinque giorni meno di me (lui del 9 Febbraio del ’41 ed io del 4 Febbraio del ’31) entrambi appartenenti al segno dell’Acquario (segno in prevalenza appartenente a persone pie e generose con tendenza artistiche di varia natura: musica, poesia, pittura, astrologia ecc.) (Paolo Fox me lo confermi?)

Questo bravo cantante il cui nome era Antonio Ciacci, fu scoperto a Milano (lui era un sanmarinese, ma nato a Roma), nel corso di uno spettacolo teatrale, da un impresario inglese che lo convinse a seguirlo a Londra dove gli fu dato (con gran sua soddisfazione) il nome d’arte di Little Tony.

Tornato in Italia cantò, con il supermolleggiato Adriano Celentano, al Festival di San Remo del 1961 piazzandosi secondo con “24 mila baci”; ma tante furono in seguito le canzoni che poi portò al successo, da “Riderà” a “Cuore matto” che un po’ perché è stato il suo cavallo di battaglia e un po’ perché il suo cuore era realmente impazzito nel corso di un suo spettacolo sette anni fa  in Canada, gli avvalse il soprannome di “Cuore matto” di nome e di fatto!

Questa volta il cuore ha funzionato ed il suo malore non è stato dovuto al cuore, ma ad un tumore (dicono alle ossa) dove ultimamente era ricoverato in una Clinica romana, anche se ho la mia impressione che se fosse stato ricoverato in un Ospedale francese (il “Gustave Roussy” per esempio) qualcosa in più (forse) si sarebbe potuto fare.

L. Tony, Rita e Mino

(da sinistra Little Tony, Rita Pavone e Mino Reitano)

In Canada se l’è scampata bella ma ora, probabilmente, lui stesso forse voleva raggiungere  i nostri colleghi: “Cantanti in Paradiso” per lasciare un buon ricordo sulla Terra.

Non va dimenticato che Little Tony ed il suo amico Bobby Solo, un po’ per l’abbigliamento ed un po’ per il loro stile vocale di rock moderno erano definiti gli Elvis Presley italiani.

Sono certo che quest’ultimo, alla notizia della morte dell’amico, sarà scesa altro che “Una lacrima sul viso” come è scesa d’altronde anche a me che ho avuto il piacere a più di una Festa di Piazza in Campania.

Mi ricordo come fosse ieri, quarant’anni fa, in uno spettacolo ad Arzano, mentre Little Tony cantava, si alzò stridente una voce femminile che gridò a squarciagola:  “Si’ bello Tony, te vasasse pure ‘e pere anco si ‘e tene spuorche!” (Sei bello Tony, ti bacerei i piedi pur se fossero sporchi!”)

Ma forse quella ragazzina, in cuor suo, sapeva che Antonio Ciacci, oltre ad essere sempre elegante, bravo e bello era pulito dentro e fuori.

Il giorno della sua morte, avendo saputo del suo trapasso ancor prima del Telegiornale, volli dare la notizia agli amici di Face Book scrivendo queste parole:

“Ieri sera é volato in Cielo per raggiungere l’altro mio amico e sosia MINO REITANO, il non meno celebre astro della Musica Leggera: LITTLE TONY! L’ho presentato più volte in Spettacoli e Feste di Piazza! Ora é andato a raggiungere i “miei” “CANTANTI IN PARADISO!” Addio Tony o forse, per me, é meglio dire: “ARRIVEDERCI, A FRA NON MOLTO!!!”

Si è levato un coro di proteste da parte dei miei fans per la mia ultima frase: “Gilbert, tu devi stare su questa terra per noi!…”

Ma io certe volte mi domando: “A che fare?” I miei colleghi presentatori amici (Corrado, Tortora e Bongiorno) se ne sono andati, i miei colleghi cantanti (Reitano, Modugno, Murolo, Dalida, Vanna Brosio, Mia Martini) pure, i miei colleghi

musicisti coi quali ho avuto il piacere di suonare con loro (Renato Carosone, Don Marino Barreto, Marino Marini, Romano Mussolini) se ne sono andati per cui che ci resta a fare sulla Terra… “L’ultimo dei Mohicani”? Se James Fenimore Cooper, deceduto nel 1851, tornasse sulla terra per scrivere anche la mia storia, allora continuerò a prendere le mie 7 compresse salvavita al giorno e non direi a Dalla, Jannacci, Califano ed, in ultimo Little Tony: “Arrivederci, a fra non molto!”  

Gilbert Paraschiva

“La follia omicida dell’oggi”, poesia di Sandra Carresi

La follia omicida dell’oggi
POESIA DI SANDRA CARRESI
 
Lascerò leccare
le tue ferite
ai mie cani,
 
se le avrai.
 
Io, non lo posso
fare.
 
Potrò forse,
un giorno perdonare,
 
ma, Tu,
 
dovrai pagare
tutto,
fino in fondo.
 
Lo devi,
al Mondo.
 
 
Commento a cura di LORENZO SPURIO
imagesCANGDJLJIn questi giorni dolorosi in cui l’opinione pubblica non fa altro che parlare della povera FABIANA, la ragazza sedicenne di Corigliano che è stata massacrata dal fidanzatino e poi data alla fiamme, la poetessa fiorentina Sandra Carresi, da sempre attenta al sociale e anima delle debolezze e perplessità che nel mondo sono purtroppo talmente comuni, ha solidarizzato con la Poesia. Affinché i poeti siano richiamati a un più alto e valido impegno nelle questioni di carattere sociale, questa poesia, oltre ad essere drammatica e al contempo cronica del nefando in cui dipinge l’inaudita violenza della tragedia, può essere assunta anche come un valido proclama del nuovo impegno civico del Poeta nei confronti del malessere dell’attualità.
 
E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE POESIA SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

E’ uscito “Obsession” Raccolta di racconti a tema “Manie, fobie e perversioni” curata da Lorenzo Spurio

E’ appena uscito OBSESSION

Raccolta di racconti a tema “Manie, fobie e perversioni” curata da LORENZO SPURIO

per la Limina Mentis Edizioni

e che contiene racconti di Elisabetta Amoroso – Alberto Arecchi – Elisabetta Bisson – Fiorella Carcereri – Martino Ciano – Lorenzo Crescentini – Lisa Deiuri – Monica Dini – Daisy Franchetto – Serena Gobbo – Andrea Blu – Sandro Orlandi – Alessandro Pedretta – Stefano Rizzi.

L’opera si apre con una prefazione a cura di Lorenzo Spurio

obsession prima di copertina-01

ESTRATTO DALLA PREFAZIONE: Da sempre l’uomo si è posto dilemmi e ha cercato di indagare la soluzione ad enigmi; inconsciamente è sempre stato portato a razionalizzare gli eventi del mondo e i suoi accadimenti personali per trarne significati più ampi che, grazie all’utilizzo della ragione, lo hanno spesso condotto a sondare anche le componenti più misteriose e indefinibili del suo essere. Questo perché l’uomo non è solo carne ed ossa, ma è anche e soprattutto mente, ossia dotato di una dimensione immateriale capace di dar vigore alla stessa esistenza del soggetto nella società che, però, spesso deborda dalla sue indefinibili frontiere per mescolarsi a immaginari chimerici e surreali, talvolta elettrizzanti perché chiaramente irreali, a volte pericolosi perché causa di tragici epiloghi. (Lorenzo Spurio)

INDICAZIONI SUL LIBRO

TITOLO: Obsession
Autori: AA.VV.
A cura di Lorenzo Spurio
Limina Mentis Edizioni, 2013
ISBN: 978-88-98946-02-0
Pagine: 162
Costo: 15 €
Link di vendita: http://www.liminamentis.com/scheda-libro/spurio-lorenzo-aavv-a-cura-di/obsession-9788898496020-134324.html

“Balcani”: Alessio Parretti esordisce con un romanzo sulla guerra a Sarajevo

balcani_coverRomanzo di fiction, ma basato su racconti di soldati che la guerra l’hanno vissuta in prima persona, oltre che su un lavoro di documentazione capillare (tra cui il dossier dell’Associazione per i popoli minacciati Sezione Bosnia Erzegovina), Balcani è l’esordio letterario di Alessio Parretti, disponibile online nella doppia veste cartacea e eBook.

L’opera ci conduce in una guerra che, tra il ’91 e il ’95, a due passi dall’Italia, ha lasciato profonde cicatrici nella più orientale delle penisole mediterranee europee. A scortarci alle porte dell’assediata Sarajevo è Amir Osmanovic, ventenne studente d’ingegneria che si unisce volontariamente alla resistenza bosniaca, i cui appunti sparsi si alternano ai pensieri scritti dei caporali Parisi, Capasso e D’Amato.

Nato come racconto pubblicato su un blog letterario, Balcani si è presto trasformato in romanzo per volere del web che, commentandolo, riteneva che “una storia del genere non dovesse rimanere chiusa in un cassetto”. E così, il debutto letterario di Alessio Parretti ha deciso di fare di Internet la propria libreria. Infatti non lo troverete sui comuni scaffali “reali” di un negozio, ma su quelli “virtuali” di piattaforme Internet che promuovono il self publishing. Prima fra tutte ilmiolibro.it, ma anche Ibs.it, Amazon.com, laFeltrinelli.it, Bookrepublic.it, Unilibro.it e Libreriauniversitaria.it. Disponibile in doppia versione: cartacea (€ 10,00) e eBook (€ 3,00).

“Il mio nome è Amir Osmanovic, e sono nato a Sarajevo ventitré anni fa. Le pagine che seguono sono il mio diario, il resoconto della mia vita da quando i miliziani hanno circondato la città fino a oggi. Adesso, rileggendo quanto scritto, mi accorgo che non sempre la lucidità ha accompagnato la mia penna, e mi affido alla comprensione di chi recupererà queste memorie. Ho scritto le ultime pagine con l’urgenza di nasconderle e sopravviverle. Perciò, chiunque voi siate, consegnate tutto alle autorità bosniache. Per quanto possa apparirvi delirante, quello che segue (con nomi e fatti) non è altro che la verità, e leggendo comprenderete quanto il vostro intervento possa dimostrarsi utile. Se invece fate parte di quei nazionalisti, allora so già che queste pagine andranno in cenere, perciò vi auguro di seguirle presto.”

L’autore

Alessio Parretti nasce nel 1975 a Firenze, dove vive e lavora come operaio. Avido lettore fin da giovanissimo e appassionato di generi letterari tra loro diversissimi, ha scritto svariate poesie e racconti. Balcani è il suo romanzo d’esordio. A breve in uscita anche la sua seconda produzione romanzesca, Più crudeli del destino.  

Per info:

email: balcani.ilromanzo@gmail.com

sito web: balcaniilromanzo.wordpress.com

Fb: www.facebook.com/balcani.ilromanzo

Twitter: twitter.com/Balcaniromanzo

“A volte non parlo” di Anna Maria Folchini Stabile, recensione di Lorenzo Spurio

A volte non parlo
di Anna Maria Folchini Stabile
con prefazione di Paola Surano
Liberia Editrice Urso, 2013
Numero di pagine: 55
ISBN: 9788898381104
Costo: 9,50 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

 

198La nuova silloge poetica di Anna Maria Folchini Stabile, A volte non parlo (Libreria Editrice Urso, 2013), arricchisce il suo curriculum letterario che vanta altresì di varie pubblicazioni di narrativa breve. Chi conosce la poetica di Anna Maria, o ha avuto almeno il piacere di leggere qualche sua poesia (ricordo che la poetessa pubblica con regolarità le sue liriche sul sito Racconti Oltre gestito da Luca Coletta), sa bene che le suggestioni che ci trasmette fuoriescono direttamente dalla sua considerazione nei confronti della realtà quotidiana. Le sue poesie, infatti, sia quelle che hanno come tema l’amore, sia quelle che, invece, partono dall’indagine del tormento interiore motivato spesso da una riconsiderazione del passato, condividono tutte una essenzialità di linguaggio e una purezza semantica che incontra di certo il favore del lettore. La poetessa rifugge gli orpelli retorici, i tecnicismi e addirittura sembra mostrare una certa sofferenza nei confronti della metrica stantia, del verseggiare classico e chiuso e si offre, invece, in pensieri sciolti, che giungono diretti al cuore del lettore e poi alla mente. Troveremo, dunque, la poetessa a riflettere su un amore solido ed entusiasmante, duraturo nel tempo tanto che il lettore è certo che esso non conoscerà mutamento nel suo divenire, descrizioni più cupe che partono, invece, dall’analisi a tratti inquieta a tratti dubitativa dell’essere. Ci saranno, inoltre, liriche che presentano il sottofondo scenico caro alla poetessa, quello del suo luogo di residenza con vari e continui accenni al lago come avviene in “Lacustre”, dove la vista del lago al primo mattino, come fosse un saluto rinnovato ad un amico sempre presente, si veste di imperscrutabilità del futuro: «Niente/ turba/ questo inizio di giorno.// Tutto/ è possibile» (48).

Una lirica ricca di contenuti, di tematiche e di sfaccettature; si susseguono prospettive visuali diverse: a volte è come se la poetessa colloqui con se stessa, altre volte è evidente l’intento di voler annunciare il contenuto delle sue liriche al mondo; molte poesie si arrovellano sul Tempo sia dal punto di vista tematico che dal punto di vista strutturale: intere liriche in cui Anna Maria utilizza il condizionale, quella condizione ipotetica che si sarebbe sviluppata nel passato se avesse fatto/non fatto qualcosa («Avrei cambiato il mondo/ se avessi fatto…/ Ma sono rimasta alla finestra/ e avete fatto tutto voi», 12), altre, invece, si configurano come una sequela di domande, con un tono ascendente dove, però, i quesiti non trovano risposta. Ma è un po’ tutta la silloge ad essere investita da una sensibilità nuova; nell’opera precedente, Il nascondiglio dell’anima (Libreria Editrice Urso, 2012), che si apriva con una mia nota di prefazione, avevo osservato che le liriche si caratterizzavano per una eclatante fascinazione per il colore, il bello, gli elementi naturali nel loro felice divenire, tanto da definire la sua poetica modernista (con riferimento al modernismo spagnolo e sud-americano). Qui, nella nuova silloge, l’atmosfera è differente, si è stemperata, le primavere e i bagliori sembrano aver lasciato il posto a crepuscoli e folate di vento gelido. I colori si sono scuriti e a tratti anche la parola –pur sempre limpida e lineare- si è ispessita, in linea con una nuova concettualizzazione delle tematiche. E questo mutamento, questa metamorfosi “decadente” si esplica nei vari riferimenti al sé-poeta dubbioso, alla continua ricerca di risposte, di soluzione a quesiti, alla difficile liberazione da inquietudini che fanno dell’io lirico un animo scisso, apparentemente debole e tormentato, anche e soprattutto dalla difficoltà dei tempi contemporanei riscontrabili nei «Giorni pesanti/ Difficoltà nuove/ […] Ogni giorno/ ha il suo fardello» (18) di “Uomini e draghi”. E se è vero che la poetessa molto ci trasmette con le sue liriche, è altrettanto vero che si respira un certo sentimento omertoso, come se ci sia nel sottofondo qualcosa che, sino alla fine, non viene mai rivelato al lettore. Tutto questo è esemplificato dal titolo stesso della raccolta, A volte non parlo, lirica che apre il testo. La poetessa Anna Scarpetta tempo fa, parlandomi della nuova silloge dell’amica Anna Maria Folchini Stabile, mi disse: «Hai visto, Lorenzo? Anna ha scritto “A volte non parlo”… e, invece, dice tanto. Dice tutto!»; ed è di certo una considerazione valida e possibile anche se a mio avviso, come già detto, nella silloge si respira una nuova aria, insomma una diversa Anna Maria. E sulla mia stessa linea è anche la poetessa varesina Paola Surano che nella prefazione al testo osserva: «balza subito all’occhio e alla mente che questa raccolta è diversa dalle altre» (5). Vediamo il perché di quanto si sta dicendo in maniera più scientifica.

E’ di certo la lirica iniziale che contiene il manifesto di questa nuova venatura poetica di Anna Maria Folchini Stabile; qui si legge, infatti, di “pensieri masticati” (pensiamo si tratti di idee difficili da gestire, che ritornano a infastidire l’animo della poetessa, dure, ingestibili e che, dunque, necessitano una masticatura più prolungata e veemente) e di “labirinto di ipotesi” che evoca nella nostra mente una situazione fastidiosa di stallo e di tomento, di ricerca di una fuga con esiti già scritti e tutti abbastanza deludenti come osserva lei stessa nei versi che seguono: «non vi è alcuna uscita tra le siepi di bosso/ che costeggiano questo cammino…» (9). Vicolo cieco? Strada sbarrata? Vie tortuose che confluiscono con altre per poi depistare? E’ una possibilità con la quale l’autrice vuol intendere quella difficoltà insita nel senso stesso dell’esistenza da lei rappresentato enigmaticamente come un «rigioco sulla scacchiera invisibile» (9) che tanto mi fa pensare al gioco a dadi della Morte nella celebre ballata di T.S. Coleridge.

E come si diceva poc’anzi il tempo è oggetto della poetica della donna: esso è onnipresente, a tratti latente, a tratti esplicitato, la poetessa non lo teme né ha necessità di affrontarlo, non ci colloquia, evitando di considerarlo un degno interlocutore, ma lo tiene in considerazione, lo osserva da distante e ne tiene conto. Il passato è visto quale momento felice dell’esperienza personale che non è morto e in sé chiuso a comparti stagni con il presente liquido, ma si configura quale fattore esperenziale che si rinnova con la rimembranza e che nel momento in cui viene “rivissuto” giunge addirittura a eternizzarsi nell’istante che funziona nell’animo come rivelazione: «E le speranze promesse/ e i desideri accennati/ e i sogni sorridenti/ per un attimo/ riprendono vita./ Solo per un attimo» (20-21). Ma quel presente che si riappropria del passato a sprazzi, per immagini o ricordi singoli, è illusorio e fugace: il momento si esaurisce velocemente e la finitezza del ricordo “rivissuto” è, forse, ulteriore causa del disagio e del senso d’apatia dell’io lirico, conseguenza dell’incapacità di sapersi destreggiare nei vari piani temporali: «Non è dolore/ questo tempo andato,/ ma sabbia di clessidra/ che vorrei rivoltare» (14) scrive in “Grigio di cielo”.

In “Occhi innamorati” la poetessa si proietta verso il futuro cercando di ipotizzare come sarebbe stato se avesse fatto/fosse successo qualcosa sviluppando uno sguardo acronico nel quale cerca di vedersi dall’alto come si sarebbe comportata in certe situazioni per concludere lapalissianamente «Non lo sapremo mai/ come sarebbe stato» (17): la storia, tanto privata quanto pubblica, infatti, non si costruisce con i ‘se’ né con i ‘ma’; le ipotesi, lecite e curiose, di ciò che sarebbe successo “se” riflettono ancora una volta quel senso di continua ricerca della donna di giungere ad una più completa analisi delle sue “gesta” passate. Solo nel sogno il tempo si ferma e sembra congelarsi: esso non scorre e sembra annullarsi, semplicemente perché anche la ragione e dunque tutte le attività umane ritrovano pace e riposo: «Attimi sospesi, idee scintillanti/ tempo fermo» (26) ed anche Peloso, il cane della poetessa, sembra divertirsi di più nel sogno/ricordo piuttosto che nel presente ed infatti «rincorre farfalle/ di un’altra primavera» (27).

In “Incapace” la poetessa esprime nel suo “scoramento” il senso di desolazione che si mostra come miscela di paura, scoraggiamento e rabbia tacita per quella falsità endemica che, purtroppo, ci circonda, contenuta nei «pensieri doppi» (10) che, più che individuare strutture polisemiche, mi sembra di intendere come sinonimo di falsità, mediocrità, opportunismo e menzogna. In questo clima ripugnante il sensibile io lirico non può far altro che chiedere aiuto («Aiutami») e far appello affinché un valido sostegno morale sopraggiunga a rinfrancare la poetessa: «Ti prego/ sostienimi» (10).

L’ambientazione cupa chiaramente intimistica si ravvisa anche nei «pensieri inespressi» (12), nel «sorriso bello/ di anni e luoghi/ sepolti/ nel passato,/ tempo di sogni/ e di incertezze certe» (23), nella solitudine dalla quale la poetessa cerca di distanziarsi in “Pausa” (30), nel desiderio di sentirsi  priva di tomenti: «Vorrei essere libera e senza pensieri» (39) e nelle «domande/ senza voce,/ sospese/ nella timidezza/ della mente» (53). A stemperare la gravità delle divagazioni esistenzialistiche che Anna Maria fa mi sento di osservare almeno due elementi: 1) il sentimento di giovinezza che la poetessa nutre e 2) la vita intesa come percorso, come un cammino a tappe e rivolto a una meta. In relazione alla giovinezza d’animo, nella lirica “Spuma di mare”, infatti, leggiamo «Mi guardo/ nello specchio della vita/ e ritrovo/ la ragazzina/ che mi sento» (43); si osservi che la poetessa non dice “la ragazzina che ero” né “la ragazzina che vorrei essere”, ma “la ragazzina che mi sento” in un verso che traspira grande carattere e forza di volontà e di certo smorza l’inquietudine che pervade l’opera. Quanto al cammino, poi, vorrei segnalare la bellissima lirica “I giorni a venire” –a mio modesto parere la migliore della silloge- dove è chiaro e continuo il riferimento all’universo itinerante: ‘incontri’, ‘strada’, ‘cammino’, ‘percorso’, ‘sosta’ che, più che delineare un componimento on the road, concretizza sulla carta il suo fervido convincimento nell’idea che il percorso formativo, culturale, morale dell’uomo nella realtà terrena sia una semplice ma non banale metafora dell’esistenza. Non è un caso che l’Associazione Culturale da lei fondata assieme a me, Sandra Carresi, Laura Dalzini e Paola Surano e della quale è Presidente, abbia come nome TraccePerLaMeta e che l’ultimo concorso organizzato abbia avuto come tema “il cammino”. In questo percorso fisico dell’uomo verso una meta, un luogo ambito o sconosciuto, da raggiungere mediante un percorso accidentato o progettato, più o meno lungo, l’uomo è continuamente minacciato, osteggiato e macchiato dall’errore che potrà porlo nell’infelice situazione di «inveire/ [o] maledire la vita» (24). La silloge rifugge il pessimismo, ma è chiaro l’intento di fondo: l’uomo deve rimboccarsi le maniche e non lasciarsi scoraggiare dalla desolazione che può investirlo e demoralizzarlo sempre più per riscoprire, invece, la ricchezza insita nella sua genuinità:

 

Usciamo
dalle nostre solitudini
riscopriamoci persone
quali siamo
in questi egoismi di realtà divise
con muri invalicabili e invisibili. (36)

 

 

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico letterario)

 

Jesi, 27 Maggio 2013

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

 

 

ANNA MARIA FOLCHINI STABILE è nata a Milano nel 1948. Attualmente vive tra la Brianza e il Lago Maggiore. Ha alle spalle una lunga carriera nel mondo dell’insegnamento. E’ poetessa, scrittrice e presidente dell’Associazione Culturale TraccePerLaMeta. Per la poesia ha pubblicato Spuma di mare (Lulu Edizioni, 2009), Il nascondiglio dell’anima (Libreria Editrice Urso, 2012). Per la narrativa ha pubblicato le raccolte di racconti L’estate del ’65 (Lulu Edizioni, 2008), Un topolino di nome Anna (Lulu Edizioni, 2010) e Noccioline (Lulu Edizioni, 2010). Ha curato, inoltre, per il sito Racconti Oltre dove scrive regolarmente, il manuale Come si scrive? – piccolo prontuario per l’autocorrezione dei più comuni errori ortografici, assieme a Luca Coletta. Partecipa a concorsi letterari ottenendo buone attestazioni ed è membro di giuria nei concorsi organizzati dall’Associazione di cui è Presidente.

Videogiochi- “Spirit Camera: Le memorie maledette”, recensione di Jonathan Fileni

SPIRIT CAMERA: LE MEMORIE MALEDETTE
Disponibile per: Nintendo 3DS
Data di uscita Europea: 29 Giugno 2012
Sviluppatore: Tecmo Koei/ Nintendo
 
“UNA DEMO UN PO’ COSTOSA”
di Jonathan Fileni

 

imagesCAY40LGVSpirit Camera è l’ultimo capitolo della saga intitolata “Project Zero” (“Fatal Frame” per i nostri amici nipponici), nata su Ps2 e Xbox nel 2002. Il gioco si poneva come un survival horror in terza persona dove, dotato solamente di una speciale macchina fotografica, il protagonista doveva farsi largo per i vari scenari (un misterioso villaggio, una casa fatiscente,..) per scoprirne i segreti ed esorcizzarne i fantasmi proprio grazie al potere della suddetta macchina. Ciò che brillava nella serie era sicuramente la storia (con moltissimi rimandi al folclore giapponese), il sonoro ben realizzato, la tensione derivante dall’andarsene in giro in un posto infestato “armati” solo di una macchina fotografica e, su tutti, l’originalità. E stavolta? Beh, l’originalità non manca di certo, in Spirit Camera. Ma è solo questo il motivo di plauso del gioco…

 

Il gioco sfrutta le applicazioni del Nintendo 3DS: la fotocamera, l’effetto 3D e la capacità della lente di riconoscere le cosiddette carte “realtà aumentata”. All’interno della confezione del gioco troverete, infatti, un libricino pieno di immagini tetre e confuse (avete mai visto la cassetta di “The Ring”? Ecco, tipo quelle immagini) che costituiscono la storia che andrete ad affrontare. Usando la console come una macchina fotografica, si dovranno ricercare le presenze maligne all’interno del libro. Inquadrandone le pagine, si potranno vedere proiezioni in 3D uscirne fuori. Potranno essere mani spettrali, maschere mostruose o veri e propri fantasmi, che andranno poi “esorcizzati” scattando loro delle foto grazie ai tasti dorsali.

La campagna principale si divide perciò in tre fasi: il dialogo con la persona che vi aiuta, la visualizzazione delle pagine del libro “maledetto” e i combattimenti con le entità, che hanno come sfondo la stanza in cui vi trovate. Gli avversari vi girano attorno e starà a voi stanarli e immortalarli prima che vi attacchino, usando la console a mo’ di fotocamera.

 

Nonostante tale interattività sembri una buona idea, è triste ammettere che sia un lavoro riuscito solo per metà. Il problema più grande riguarda l’illuminazione della stanza: se è scarsa, la lente non riuscirà a visualizzare le pagine del libro, il che rende indispensabile accendere le luci (notare il paradosso di dover illuminare per bene la stanza quando ci si vuol godere un gioco horror). Il secondo ostacolo riguarda il posizionamento perfetto della console sulle pagine, in quanto bisogna essere precisi nell’inclinazione, altrimenti non verrà visualizzato nulla. E’ molto frustrante in certi punti riguardarsi più volte una scena animata (anche se ben realizzata) solo perché vi siete mossi di pochi millimetri e la console non è più riuscita ad elaborare l’immagine. E ultimo, ma non meno importante, abbiamo la longevità del gioco, che non arriva neanche a tre ore. Poi ci sono gli extra, che seppur simpatici e ben fatti (trovare facce spettrali nelle foto da voi scattate, fotografare qualcuno con accanto un fantasma che sta per aggredirlo e stranezze simili), non riescono a giustificare l’acquisto della cartuccia a prezzo pieno. Sta a voi decidere se premiare o meno il coraggio mostrato da questo titolo/demo. Vi consiglio piuttosto di recuperare i primi due capitoli di Project Zero, dotati come già accennato di meccaniche differenti, ma di sicuro impatto visivo e narrativo nonostante gli anni trascorsi.

 Voto: 5/10

JONATHAN FILENI

Jesi, 1 Maggio 2013

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

PALERMO: Programma di eventi letterari per il secondo finesettimana di Giugno

La rivista di letteratura online Euterpe, il blog Intingendo d’inchiostro della poetessa palermitana Monica Fantaci e Blog Letteratura e Cultura di Lorenzo Spurio organizzano un ciclo di eventi letterari per il secondo fine settimana del mese di Giugno.

Gli eventi avverranno con la gentile collaborazione e organizzazione dell’università di Palermo, del Centro Caterina Lipari, dell’Associazione Culturale TraccePerLaMeta, dell’Associazione Culturale Caffè Letterario “Convivio” e si svolgeranno secondo il seguente programma

 

venerdi 14 giugno ore 16:00

Biblioteca dei Saperi, Facoltà di Lettere, Viale delle Scienze –edificio 12 – PALERMO

Reading poetico dal tema “Disagio psichico e sociale”

saranno presenti 32 poeti che leggeranno le loro composizioni a tema

parteciperanno utenti del C.S.M. di Caltagirone (PA) accompagnati da Gaetano Interlandi (Primario del Centro Salute Mentale di Caltagirone) e da Giusi Contrafatto (Presidente Ass. Culturale Caffè Letterario “Convivio”)

 

sabato 15 giugno ore 17:00

Palazzo Steri, Piazza Marina 61 – PALERMO

Presentazione del libro “La riva in mezzo al mare” della poetessa Monica Fantaci

Relatori: Lorenzo Spurio (scrittore, critico letterario, direttore rivista Euterpe) e Salvuccio Barravecchia (poeta e scrittore)

Interverranno: Emanuele Marcuccio (poeta e aforista) e Pierangela Castagnetta (poetessa)

 

sabato 15 giugno ore 18:00

Palazzo Steri, Chiesa Sant’Antonio – PALERMO

Presentazione dell’antologia poetica “L’arte in versi” edizione 2012

opera antologica dell’omonimo concorso ideato da Monica Fantaci, Lorenzo Spurio e Massimo Acciai

Relatori: Lorenzo Spurio (scrittore, critico letterario, direttore rivista Euterpe) e Monica Fantaci (poetessa, scrittrice e vice-direttrice rivista Euterpe)

 

domenica 16 giugno ore 17:30

Centro Caterina Lipari, Via Francesco Petrarca 26 – PALERMO

Presentazione dei libri “Per una strada” e “Pensieri minimi e massime” di Emanuele Marcuccio

Relatori: Lorenzo Spurio (scrittore, critico letterario, direttore rivista Euterpe) e Monica Fantaci (poetessa, scrittrice e vice-direttrice rivista Euterpe)

 

domenica 16 giugno ore 19:00

Centro Caterina Lipari, Via Francesco Petrarca 26 – PALERMO

Presentazione dell’antologia del I Concorso Letterario Internazionale Bilingue TraccePerLaMeta

Relatore: Lorenzo Spurio (scrittore, critico letterario, socio fondatore dell’Ass. TraccePerLaMeta)

Interverranno: Emanuele Marcuccio (poeta, aforista e membro di giuria nel concorso) e Monica Fantaci (poetessa e socia dell’Associazione)

 

 

Tutti gli eventi sono liberamente aperti al pubblico.

Con preghiera di diffusione questo programma di eventi.

 

Info:  lorenzo.spurio@alice.it – moni.fant@virgilio.it

locandina-palermo-reading-page-001

 

locandina-palermo-la riva in mezzo al mare-fantaci-page-001

locandina-palermo-arte in versi-page-001locandina_evento-page-001LOCANDINA palermo-page-001

“Io sono soltanto un granello di sabbia” di Anna Scarpetta, recensione di Lorenzo Spurio

Io sono soltanto un granello di sabbia
di Anna Scarpetta
con prefazione di Gianni Ianuale
Liberia Editrice Urso, 2013
Numero di pagine: 55
ISBN: 9788898381319
Costo: 9,50 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

  

216Devo confessare che per poter eseguire un’analisi appropriata ed attenta di questo recente libro di Anna Scarpetta la recensione, come forma testuale, non è di certo adatta, poiché servirebbe almeno un saggio se non un intero volume critico, tante sono le cose che –a mio modesto modo di vedere- debbono essere dette, considerate e interpretate. Comincerò con il dire che in questa silloge si respira un’aria soave ma pacata dove a dominare sono le immagini che fanno riferimento al mondo cattolico: molte delle poesie, in realtà sembrano delle vere preghiere, proprio per la profondità dei richiami e per la pervasiva e credente considerazione della vita quale percorso terrestre che si caratterizza per la sua finitudine. Aggiungerò che Anna Scarpetta è stata recentemente premiata al I Concorso Letterario Internazionale Bilingue TraccePerLaMeta per la sua poesia religiosa dal titolo “Sulla via di Damasco”, ulteriore segno che evidenzia questa sua nuova apertura nei confronti di un genere poetico molto diffuso e seguito. La parola nelle poesie di Anna Scarpetta si fa lode, invocazione, condanna, rinuncia ed esortazione, ma essa è anche appello alla sensibilità dell’uomo, elogio dei sentimenti e apologia del credo cristiano. Non è un caso che sia proprio la prima lirica della silloge, “Io sono soltanto un granello di sabbia” che è quella che dà il titolo all’intera raccolta, che esordisca con questi versi: “Io sono, soltanto, un granello di sabbia,/ dell’immenso deserto, Signore” (7) in cui la poetessa, partendo dalla constatazione della minuziosità del suo essere il rapporto alla mondialità delle esperienze, evidenzia e rende grazia al Divino per il “dono” che le ha fatto: quello della poesia. Ma, siccome sappiamo che la poesia non è che la forma più autentica, vivida e sofferta di espressione umana, con questa espressione la poetessa non fa che eguagliare la poesia alla vita. E come si evince in questa prima lirica c’è una grande attenzione nella poetessa nei confronti del tentativo di auoto-definirsi, di identificarsi e di svelare agli altri chi è, come avviene anche nella poesia “Non so più chi sono” (31).

Centrale, come era stato per la precedente silloge poetica della poetessa, Le voci della memoria (Ismeca, 2011), da me recensita e la cui recensione è disponibile qui, è il tema del tempo. Il colloquio che la poetessa intrattiene con esso si fa qui più aspro e si nota un certo indurimento del linguaggio dovuto, molto probabilmente, dalla desolante constatazione che esso è l’unico “eterno vincente” nella continua lotta della vita. La poetessa fornisce le più ampie caratterizzazioni per evocarlo (“il tempo,/ silenzioso, con la sua faccia di marmo scolpito”, 12; “il tempo, col suo volto annoiato”, 22; “il tempo, così infame e crudele”, 25: “[tu], come statua regale”, 46, ecc.), e nella gran parte di esse si intuisce un certo disprezzo e sconsiderazione, che fanno seguito alla presa di coscienza della sua pericolosità e al contempo della sua tragica ineluttabilità. Ed è così che esso non è altro che “il vero palco delle pittoresche scene degli orrori” (8), cioè esso è un davanzale verso il mondo che assiste indisturbato e senza fretta alle rappresentazioni della vita, del mondo, delle famiglie, agli inganni e ai tormenti, alle guerre e ai sistemi di vendetta, ma anche ai momenti più belli che solo nel ricordo potranno conservare la loro leggiadria.

Il sentimento religioso è facilmente intuibile anche attraverso i chiari riferimenti alla vita intesa come percorso, come cammino errante e l’uomo come misero “abitante delle fatiche umane”, come pellegrino per le vie del mondo, a volte consapevole, altre volte meno ed obbligato ad esodi carichi di dolore a causa di guerre, scontri religiosi, deportazioni. Perché va subito osservato che varie liriche qui contenute hanno un forte intendimento civico, morale e mettono il lettore di fronte a realtà sociali endemiche, cancrenose, corrotte e ignominiose. E’ così che Anna Scarpetta fotografa i massacri che avvengono al silenzio dei governi e dei mass media europei, come in Libano, dove la poetessa ci “narra” dei pianti e dei lutti di Beirut. Il pensiero non può non andare anche ai massacri in Sudan e quelli leggermente più conosciuti perpetuati da Assad, in Siria. Nella poesia “Libano” la speranza sembra esser ormai abbattuta e tutto ricade su una tortuosa domanda la cui impossibilità di risposta ferisce ancor più gli uomini di quella terra e demoralizza il mondo: “Agli occhi del mondo, tra due fuochi, ardi muto Libano,/ c’è chi si chiede, invano, ma tutto questo perché” (14). Il tema sociale ritorna nella lirica “Berlino est”, quadretto chiarificatore del senso di giubilo l’indomani dell’abbattimento del Muro che divise i berlinesi a seguito di un conflitto ideologico disprezzabile.

Si susseguono liriche più dolci e positive nelle quali la poetessa rievoca momenti passati e ricorda i suoi cari, soprattutto la madre, celebrata in due liriche e in maniera particolare nella bellissima “Sei volata via, madre” dove l’atroce ricordo della dipartita della madre è associata a una colorazione bianca, quasi accecante, che la poetessa vede e riconosce nella neve e nei gabbiani dal piumaggio candido. Ed anche qui, dove la lirica è pensata come commemorazione della madre, Anna Scarpetta non si risparmia per criticare la spietatezza di questo mondo nel quale siamo chiamati a vivere: “Sola sei andata via da questo strano mondo” (18). La “stranezza” del mondo è spiegata nella lirica “Il male del mondo” che è un vero pugno allo stomaco. In essa la poetessa plasma la parola in maniera meditata affinché sia acuminata, folgorante e distruttiva proprio come è l’efferatezza del mondo, la cattiveria diffusa negli animi imbarbariti nel nostro oggi: “Il male ha mostrato tutta la sua malvagità agli occhi del mondo/ coi suoi aguzzi artigli, graffiando volti di sfide verso il futuro/ ricacciando all’indietro tempi nuovi, che non sanno avanzare” (23). La poetessa non esplica quali intende essere i “mali” del mondo e lascia volutamente aperta la questione al lettore che può facilmente leggerli nell’aumento di femminicidi, nei suicidi per colpa della crisi economica, nelle inspiegabili tragedie familiari, nella bestialità di alcuni atteggiamenti umani e nelle invidie logoranti, negli abusi, nelle catastrofi naturali, ma anche nelle dolorose e fulminanti patologie a cui spesso non vi sono rimedi.  

Per ultimo, ma non per importanza, ci sono liriche curiose dove Anna Scarpetta chiarifica la sua felice propensione nei confronti delle nuove tecnologie, esplicate soprattutto nel mezzo informatico al quale la poetessa riconosce grande capacità: con Facebook, ad esempio, si può ritrovare amici e parlare con loro, anche dopo tanti anni di lontananza e silenzio, e il web è molto positivo perché accorcia le distanze e fa viaggiare più veloce le notizie come sottolinea all’apertura di “Grazie a te web”. La versione digitale del libro, che oggigiorno sta combattendo una prima battaglia con il suo progenitore cartaceo –battaglia che a mio modesto parere sta perdendo e clamorosamente- è motivo addirittura di una lirica, “Ebook”, dove la poetessa ricorda, elogia e innalza il valore del cartaceo, custode di tradizione, fruitore di un contatto diretto e dispensatore del fresco profumo di stampa o acre di invecchiamento.

Il pensiero finale che la poetessa fornisce al lettore e sul quale si appella a una sua maggiore considerazione è quello che verte sul futuro: che cosa ci aspetta nei tempi a venire? Riusciranno le persone veramente brave e sincere a farsi valere in un mondo dominato da tante nefandezze? Anche la poetessa trasmette un sentimento d’incertezza al riguardo: “Da dove dovranno venire questi nuovi tempi/ carichi di profili, scolpiti di albe boreali, rinchiusi/ nell’immane destino che ancora non si profila” (41).

C’è bisogno di cambiamento e di gente valida che possa proporre una svolta. Subito.

I tempi attuali sono fermi e stantii, pur nel loro ineluttabile incedere.

Un plauso alla poetessa per darci tanti spunti su cui riflettere con questo libro che di sicuro non lascerà indifferente nessun lettore.

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico letterario)

 Jesi, 25 Maggio 2013

  

ANNA SCARPETTA è nata a Pozzuoli (Na) nel 1948. Per moltissimi anni ha vissuto nel capoluogo campano. Ha lavorato, poi, a Milano presso la Rete Ferroviaria Italiana – Direzione Asse Orizzontale e attualmente vive a Novara. Si è sempre dedicata alla poesia, narrativa e saggistica. E’ stata membro di giuria a Napoli nei concorsi letterari in lingua e in vernacolo. Ha recensito numerosi libri di poesia. A Milano si è dedicata al teatro sperimentale, in qualità di Aiuto regia, con la compagnia di Ciro Menale. Ha collaborato con prestigiose riviste culturali ed è stata Presidente Onoraria per la Città di Napoli di MOPEITA, Movimento per la diffusione della poesia in Italia. Ha pubblicato le seguenti sillogi di poesia: Poesia (Gabrielli, 1985), Frantumi di tempo (Lo Faro, 2004), L’altra dimensione della vita (LibroItaliano World, 2004) e Le voci della memoria (Ismeca, 2011) da me recensito e la cui recensione è presente qui.

 

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Reading poetico “Disagio psichico e sociale” a Palermo il 14 giugno 2013

Reading poetico

“Disagio psichico e sociale”

organizzato dalla rivista Euterpe

PALERMO

Venerdì 14 giugno, ore 16:00 

Saranno presenti i poeti/scrittori: Franca Alaimo, Anna Maria Bonfiglio, Alfonsina Campisano, Luigi Pio Carmina, Mariella Caruso, Francesco Paolo Catanzaro, Antonino Causi, Rossella Cerniglia, Palma Civello, Franco Concetta, Giusi Contrafatto, Valentina D’Agosta, Miriana Di Paola, Giovanni Dino, Monica Fantaci, Emanuele Insinna, Gaetano Interlandi, Serena Lao, Nicola Lo Bianco, Rosalia Lombardo, Francesca Luzzio, Emanuele Marcuccio, Vincenzo Nicolao, Maria Rita Orlando, Giuseppe Palermo, Guglielmo Peralta, Teresa Riccobono, Margherita Rimi, Michela Rinaudo La Mattina, Nicola Romano, Giovanni Sollima, Lorenzo Spurio.

locandina-palermo-reading-page-001

Presentazione de “L’evoluzione delle forme poetiche” curata da Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo

L’evoluzione delle forme poetiche

antologia curata da Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo

Kairos Edizioni, 2012

PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA A ROMA

Pseudo cronaca di un evento letterario

articolo di EUGENIO NASTASI

  

imagesLa presentazione del volume “L’evoluzione delle forme poetiche – La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990-2012)” Kairòs Edizioni, Napoli, 2013, a cura di Antonio Spagnuolo e Ninnj Di Stefano Busà, ha offerto, lunedì 13 maggio u.s. presso la Libreria Ready Cavour a Roma, davanti a un amalgamato pubblico di poeti e curiosi, l’occasione di guardare alla poesia contemporanea in modo diretto, senza filtri critici interessati e/o comunque di parte. Nel compito portato a termine dai due curatori si scorgono i problemi concreti del “fare poesia”, si fa strada insomma la necessità di cogliere anche “nei periodi bui di stagnazione e regressione” come l’evoluzione delle forme poetiche “ha mantenuto (per fortuna) alcune categorie  universalizzanti che fanno della parola poetica una realtà necessaria” (dall’introduzione della Di Stefano Busà).

In soldoni spiccioli, come hanno argomentato Corrado Calabrò, Plinio Perilli e Franco Campegiani, moderati da Claudio Fiorentini, questa antologia possiede lo statuto di “archivio storico” inaugurando una stagione di accurato impegno di ricerca e disamina dell’evoluzione delle forme poetiche italiane ad ampio spettro, ovvero sintonizzando l’attenzione speculativa anche attorno alla produzione scritta della periferia. La presenza di ben 287 poeti, censiti e vagliati in anticipo, descrive esaustivamente il “periodo poetico” dell’ultimo ventennio, anche se le assenze non mancano ma non certo per miopia dei curatori se è vero, come scrive Spagnuolo nella postfazione, che “diversi autori (bontà loro !) hanno declinato l’invito, adducendo scuse a volte puerilmente banali, a volte prive di quella necessaria cultura umanistica che distingue lo scrittore autentico”.

“La pluralità delle voci” ha detto Franco Campegiani nella sua relazione, “è testimone senz’altro di un desidero documentaristico, di oggettività storica pertanto, più che di tendenza artistico-culturale. Tuttavia un’ indicazione critica emerge per il fatto che i direttori d’orchestra riescono a fare della pluralità polifonica, un coro a più voci intorno al leitmotiv della ricerca dell’umano in un mondo vieppiù dominato dalle macchine e dalle tecniche, come quello attuale; in una situazione di “ crescente isolamento e depauperamento della poesia, quando invece più forte se ne avverte il bisogno”, come è detto nella nota divulgata dalla Kairòs. In questa nota si specifica che “scopo dell’opera è affiancare e stimolare una più ampia conoscenza dei fenomeni linguistici sollecitando la voglia di aprirsi al sogno che, sempre, da un’epoca all’altra, rimane immutato e risulta vincolato al desiderio di proporsi alla Poesia”. Non meravigli l’ampio spazio dato ad alcuni passi dell’intervento di Campegiani vista la sagacia con cui l’autore coglie l’animus dell’intera operazione editoriale, accentuando il peso della scelta della Kairòs “che supporta la presente operazione antologica e sceglie di fare fino in fondo il proprio ruolo di editore, finalizzando l’aspetto commerciale a quello prettamente culturale e artistico. Occorre scardinare il pregiudizio che i cosiddetti bisogni dello spirito possano, o addirittura debbano, essere trascurati sul piano della vita pratica”.

Ponendosi in una condizione di avanscoperta rispetto ad altri tentativi pubblicati in questi anni, l’antologia porta in superficie, nelle due parti che la compongono, quel carattere peculiare che è proprio del poeta in rapporto col suo tempo e col suo spazio socio-culturale. Si tratta dei decenni che immediatamente ci precedono 1990-2012, dentro ai quali si è manifestata la prosecuzione di una sopravvivenza della poesia pur negli sbandamenti dell’omologazione e nell’assalto dei media stigmatizzati nel flusso perenne tipico della rete, ovvero nelle varie fasi della stagione dei dissensi avanguardistici e, comunque, degli sperimentalismi spontaneistici, per lo più avviati a esaurirsi nel tempo.

Anni certamente complessi, durante i quali poeti noti e comunque degni di collocazione storiografica e poeti meno noti ma di provata fisionomia, diversa rispetto al passato e dunque riconoscibili nel segno scritturale, mettono in cifra un profilo stilistico e versificatorio denso portando l’espansione poetica oltre il mediocre confine del poetichese. Confine riconducibile a quel mondo esterno che non ha più il sapore, l’odore, il colore, la stessa finitudine della realtà o del suo ricordo e sogno, ma l’imbalsamato perimetro della clausura minimalista, cioè dell’ovvio, dell’artificiale, dell’oleografico. Si sviluppa, insomma, con questo impegnativo lavoro di ricerca, un progetto per la poesia, in grado di reggere quanto meno per l’autenticità delle voci, la perdita di terreno se non proprio di pubblico della poesia in vetrina, scorgendo dentro lo steccato di una più vasta crisi esistenziale e morale, elementi di provata attitudine, convinti che ogni forma di arroccamento sulle proprie posizioni vada individuata e risolta, ma non occultata. E’, per dirla con i termini correnti della più avvertita critica, la frequentazione dell’infinita riserva dei dialoghi attraverso cui è auspicabile la ripresa di contatto tra le sfere in qualche modo sublimi della produzione poetica e la popolazione dei lettori, in una dimensione di scambio capace di parlare al pubblico, offrendo in una sorta di osmosi intellettuale, un punto di riferimento e un luogo di discussione.

Rilevando la pluralità di esperienze poetiche che partono da lontano e prendono forma nel recente periodo di particolare fermento, gli autori in definitiva intendono qualificare questi anni caratterizzati dallo slancio della ricerca e degli esiti come occasioni di coinvolgimento e di apertura, anche se, come riporta Spagnuolo, “ la fruizione del testo poetico non si esaurisce con la comprensione”. L’importante, ed è bene sottolinearlo, che la poesia divenga luogo di immersione con caratteristiche di condivisione di una certa ritualità del qui, ma anche dell’oltre.

Va da sé che il testo restituendo al panorama editoriale un tassello che mancava, è tutto da leggere e consultare per la sua riuscita consistenza di almanacco se non proprio di annuario.

Mi piace, infine, segnalare altri nomi di amici, in qualche modo assimilabili a quelli proposti da Campegiani nel suo intervento, inseriti nel testo insieme allo scrivente: il compianto Mario Specchio,  Franca Alaimo, Leopoldo Attolico, Nicola Romano, Luca Benassi, Roberto Maggiani, Antonio De Marchi-Gherini, Domenico Cipriano Franco Buffoni, Mariella Bettarini, Nadia Cavalera, Pietro Civitareale, Liliana Ugolini, Guglielmo Peralta, ed altri.

Il più affettuoso saluto ad antologizzati eccellenti: ai due ottimi curatori Ninnj Di Stefano Busà  e Antonio Spagnuolo, al solerte Plinio Perilli, a Corrado Calabrò e a Franco Campegiani, che ha permesso col suo contributo scritto di rendere meno lacunosa questa pseudo-cronaca.

DSC_0144

DSC_0147

DSC_0152

Da sinistra: tre poetesse intervenute, Plinio Perilli, Franco Campegiani, Claudio Fiorentini e Ninnj Di Sfefano Busà.

Un sito WordPress.com.

Su ↑