La rivista «Euterpe» celebra i primi dieci anni d’attività con un volume-archivio

Nell’occasione dei dieci anni di attività della rivista di poesia e critica letteraria «Euterpe» – fondata da Lorenzo Spurio nell’ottobre 2011 con la scelta del nome della poetessa palermitana Monica Fantaci, traendolo da una sua poesia – l’Associazione Euterpe, nata nel 2016 e che ha integrato all’interno delle sue varie attività anche la rivista, ha deciso di dare alle stampe un volume collettivo.

Il volume, in elegante veste grafica, si compone di 264 pagine e si articola in vari percorsi atti a presentare l’universo di questa rivista letteraria – esclusivamente aperiodica, digitale e gratuita – che è giunta a celebrare i primi dieci anni di presenza nello scenario culturale e che ha visto l’adesione di più di 600 autori, compresi dall’Estero.

Lo stesso Spurio, direttore della rivista, ha inteso curare questo volume che si apre con una preziosa nota critica del poeta partenopeo Antonio Spagnuolo, collaboratore instancabile della rivista con suoi contributi poetici e non solo che così annota nel suo egregio preambolo critico: «Riordinare con certosina pazienza e accorta catalogazione dieci anni di attività editoriale non credo sia lavoro da accettare con leggerezza e senza la dovuta attenzione che una tale revisione richiede. […] [Questo libro è] un vademecum di enorme spessore […] Un lavoro ineccepibile che aspira a una prospettiva ampia, capace di dare un senso alla realtà poetica e a portare luce al simbolo segmentato disincanto delle immagini, del non visibile, del non razionale, condividendo infine in processo creativo di centinaia di autori che con illuminata originalità hanno dato il via a un aperiodico preciso e unitario».

Nell’ampia introduzione di Spurio si tracciano le origini, vale a dire gli incontri fondativi che hanno permesso la costituzione della stessa, come è stata strutturata, gli avvicendamenti e le modifiche, le introduzioni e le novità che man mano, nel corso della sua attività, l’ha vista mutare per giungere sino a quello che è oggi.

In queste pagine si dà testimonianza anche di quella che è stata l’attività di promozione culturale mediante l’organizzazione di reading, presentazioni di libri, convegni e attività editoriale che gravitò attorno alla rivista «Euterpe» nei primi anni dalla sua attività.

Opportune sezioni del libro danno conto della strutturazione della redazione della rivista nel corso del tempo, della molteplicità di rubriche e settori che l’hanno riguardata sino a giungere, in termini più recenti e dopo un riammodernamento del progetto, a una rivista aperta solamente a contributi inediti afferenti ai generi della poesia (compresa quella dialettale e gli aforismi) e alla critica letteraria (con articoli, saggi e recensioni).

Vi è poi l’elencazione dei vari numeri della rivista che sono usciti, ripartiti per periodo di pubblicazione e tematica di riferimento proposta con l’indicazione, quale numero attualmente “in lavorazione” dell’uscita dedicata agli “Amori impossibili tra arte, storia, mito e letteratura”.

Seguono tutti gli editoriali che nel corso della pubblicazione dei trentadue numeri usciti sono stati diffusi (la gran parte a firma dello stesso Spurio, ma altri redatti da Monica Fantaci e Martino Ciano) e l’archivio storico con tutti i riferimenti delle opere pubblicate in base all’ordine alfabetico degli autori. Sulla rivista hanno scritto nomi di primo piano del panorama letterario nostrano tra cui Valerio Magrelli, Fabio Pusterla, Franco Buffoni, Elio Pecora, Lucio Zinna, Guido Zavanone, Dante Maffia, Corrado Calabrò, Paolo Ruffili, Maria Pia Quintavalla, Donatella Bisutti, Anna Santoliquido, solo per citarne alcuni.

A chiudere il volume è un commento riepilogativo del poeta e critico letterario Nazario Pardini – presenza assidua della rivista – che così annota: «Sarebbe veramente lungo ricordare tutte le manifestazioni, i nomi, e gli impegni della rivista. La sua storia. Possiamo comunque dire che con essa si copre, a livello storico, una bella fetta della vita nazionale, con tematiche di estrema attualità. Leggere «Euterpe» significa restare aggiornati, ricevere notizie calde e intricanti per noi che siamo affezionati a tutto ciò che concerne la poesia e la cultura».

Per info/contatti sul volume: rivistaeuterpe@gmail.com

Addio a Cesarina Castignani Piazza, voce del vernacolo anconitano

Articolo di Lorenzo Spurio

È venuta a mancare nella giornata di ieri, 21 maggio 2021, nella sua casa di Monte San Vito (AN), la poetessa anconetana Cesarina Castignani Piazza all’età di settantacinque anni. È stato il marito, Filippo Piazza, a darne comunicazione a mezzo internet sul social Facebook con un breve messaggio corredato da uno scatto che ritraeva l’amata moglie in un momento felice.

Nata a Jesi nel 1946, ma da sempre verace e autentica anconetana, la Castignani si è contraddistinta nel corso di una lunga carriera – riconosciuta e omaggiata da più parti in lungo e largo per l’Italia – per le sue grandi doti ispirative e di creatività che l’hanno condotta a essere una rinomata poetessa della nostra Regione. Vincitrice di molteplici Festival e concorsi locali (tra cui il Festival Varano, il Premio Adriatico, il Premio Città di Ancona, in varie edizioni) ma non solo, si è imposta come una delle voci più significative del dialetto anconitano assieme alla sorella Anna Maria, Maria Pia Marchetti, Alfredo Bartolomei Cartocci, Anna Maria Abbruzzetti e Umberto Emili, sulla scia dell’importante stagione del vernacolo anconitano che ha visto, tra le altre, le presenze importanti di Duilio Scandali, Turno Schiavoni, Palermo Giangiacomi, Elio Giantomassi, Eugenio Gioacchini, Piero Pieroni, lo studioso Mario Panzini, compilatore di un ampio dizionario del vernacolo in tre volumi.

Cesarina Castignani Piazza ha attraversato con pienezza il mondo culturale, è stata autrice di una poesia che guardava con disincanto al cambiamento degli spazi nativi, che non mancava mai di omaggiare la bellezza del Creato, attenta e fedele nel ripercorrere i dettati del mondo popolare delle genti della zona d’Ancona. Il suo dialetto, così incisivo e a tratti icastico, è stato il mezzo privilegiato col quale ha pure scritto e visto realizzare alcune opere teatrali, ampiamente tributate dal successo di pubblico e di critica.

A Jesi nel corso della premiazione del Premio di Poesia “L’arte in versi” nel 2015.

Valida artista si è misurata anche con le arti figurative, a testimonianza di una grande abilità artistica ottenendo pregevoli risultati. Ha preso parte a esposizioni personali e collettive, tanto nella sua regione, che in Umbria ed Emilia Romagna. Come artista venne inserita nelle pubblicazioni Arte al femminile, curata dalla Provincia di Ancona e in Arte oggi. Pittori-scultori italiani contemporanei, con una critica di Mario D. Storari.

Percorrere, pur in breve, il tracciato della carriera letteraria e artistica della Nostra significherebbe dover scrivere pagine e pagine, tanto è ricca di avvenimenti, di successi, di momenti di luce. Vale, però, la pena di rammentarne qualcuno a partire dal più recente riconoscimento (ottobre dello scorso anno) che ricevette, il prestigioso Premio alla Carriera per il settore poesia in seno alla seconda edizione del noto Premio “Adriatico – Un mare che unisce” organizzato dal poeta il prof. Massimo Pasqualone.

Personalmente la ricordo in alcuni degli eventi poetici organizzati sul territorio nel corso degli ultimi anni dove risultò premiata: il 3° premio alla XXVI edizione del Premio Internazionale di Poesia “Città di Porto Recanati” nel 2015 e l’attestato di riconoscimento all’interno del medesimo premio nella XXVIII edizione nel 2017 con la poesia “Cègo, sordu, mutu” (ad evidenza anche della natura etico-sociale di certa produzione poetica della Nostra); la segnalazione della Giuria alla IV edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi nel 2015 con l’opera “La puesia”.

A dispetto della sua amplissima produzione di testi poetici e commedie la Nostra non ha mai raccolto in un volume a stampa le sue opere sebbene in una recente dichiarazione ebbe a dire che aveva almeno sei opere considerate come complete: Dodici mesi come me pare a me… e altre storie; Verzi e verzàci, Verzi spèrzi… e piccolo zoo; Rime in controcanto; Scampoli ripescati e Quinte d’anima.

Molti dei suoi testi possono essere reperiti in varie antologie e raccolte letterarie alle quali prese parte con particolare entusiasmo tra cui le antologie di Voci Nostre di Ancona, organizzatrice del noto Premio Letterario “Città di Ancona” che spesso la vide affermarsi; altre opere vennero pubblicate sul periodico in vernacolo anconitano «Riguleto» e sul quotidiano «Corriere Adriatico».

 L’augurio è quello che parte delle opere di Cesarina, che tanto ci hanno fatto compagnia, divertire (spesso) e riflettere (sempre) possano essere pubblicate in volume per una maggior fruizione pubblica e conoscenza della sua indimenticabile opera.

Due testi di Cesarina Castignani Piazza, il primo in vernacolo anconitano e l’altro in lingua.

CÈGO, SORDU, MUTU (Alla Lega del Filo d’Oro)

Di Cesarina Castignani Piazza

Nun vedi, nun zenti, nun pòi discóre. 

Come ’n’isula de carne che pulza

a braci stesi, palmi spalancati,

spèti, ’nt’un uceano d’ombra,

l’aprodo de ’n toco maestro

che alfine te fa, come me, vivu.

E cuscì, ’n  t’un delirio solu tuo

senti, da deto a deto, che per te

c’è ’n’amore su misura

che tutu te ’nveruchia uguale al glicine

che a primavera straripa de viola

sul cancèlo scurdato.

Ma pòle bastà?

Chi mai saprà dìte la vastità del mare,

el prodigio de l’alba che sega l’urizonte,

el sbigià de ’na stela ’ntel mistero de la note?

E per de più,

al de sopro d’ogni meludia,

chi te pudrà di’ el vibrà

de la voce de mama

quando te chiama per nome?  

Nun vedi, nun zenti, nun pòi discóre.

’Na galèra de silenziu te ’mprigiona

’ndove tutu t’è statu negato.

Ma io so, in t’un’intima certeza,

che quando lasceremo stu percorzo paralelo

el mio tuto vedé, tuto parlà, tuto sentì,

sarà solu sfiutu vagante ’nte stu mondo blasfemo

e scoprirò, senza meravija, che solu te

sarai stato veramente vivu.

*

CERCHI  D’OMBRA

Di Cesarina Castignani Piazza

Non posso entrare

nei tuoi cerchi d’ombra.

Vorrei uno spiraglio,

un piccolo varco…

Forse basterebbe

un nulla, un entrare

in una cruna d’ago

per incontrare la favilla

gemella del mio amore.

Ma il tuo vivere

è aggrappato

a slabbrate geometrie

e non sai

di rondini in volo,

d’incantesimi germogliati,

di piogge, di arcobaleni…

e di me

che solo bacio

il tuo volto innocente.

E i giorni vanno

come pagine di vento

dove ho scritto

di stagioni sparite,

di guglie di sole

rimaste inaccessibili.

E dove, struggendo,

ho scritto di te

che resti farfalla

con un’ala sola

tremula e ignara

sull’unica corolla.

…In cerchi d’ombra…

Solo il pianto ci assomiglia.

Articolo di Lorenzo Spurio

Jesi, 22/05/2021

Al via la ottava Ragunanza di Poesia, Narrativa e Pittura – Presidente: Michela Zanarella

BANDO DI PARTECIPAZIONE

L’Associazione di Promozione Sociale ‘Le Ragunanze’ con il patrocinio morale del Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia, Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, Golem Informazione, Associazione Culturale Euterpe, , Leggere Tutti, ACTAS, Premio internazionale di Poesia & Narrativa Città di Latina promuove la 8^ Ragunanza di “POESIA, NARRATIVA e PITTURA”.

La partecipazione è aperta a tutti coloro che, dai 16 anni in su – per i minorenni è necessaria l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci – senza distinzioni di sesso, provenienza, religione e cittadinanza, accettano i tredici (13) Articoli qui di seguito specificati. La frase sopra menzionata “per i minorenni è necessaria l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci“  vuol dire che chi non ha compiuto 16 anni può partecipare alla settima ragunanza, previa l’autorizzazione scritta e firmata da entrambi i genitori che dovranno allegare alla loro autorizzazione la fotocopia della loro carta d’identità.

I nostri GIURATI, i cui nomi saranno resi noti solo a conclusione della votazione, valuteranno gli scritti pervenuti e le opere pittoriche (in foto) spedite per e-mail, a loro insindacabile giudizio! Il REGOLAMENTO per la 8^ Ragunanza di POESIA, NARRATIVA & PITTURA, prevede quattro sezioni:

I sez.: POESIA INEDITA “NATURA-MEDITERRANEO”

II sez.: SILLOGE DI POESIA EDITA “A TEMA LIBERO”

III sez.: NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”

IV sez.: PITTURA “A TEMA NATURA O A TEMA LIBERO”

La tematica di tutte e quattro le sezioni, trattandosi di “ragunanza”, termine in uso nell’Arcadia di Christina di Svezia, dovrà almeno contenere dei riferimenti alla natura che ci accoglie.

Per la I sezione, la POESIA “NATURA-MEDITERRANEO”, che sarà da Voi scritta, nel rispetto della sintesi poetica, dovrà ricordare i dettami dell’Arcadia, il valore della natura, filtrati dagli eventi attuali che coinvolgono, modificano, distruggono i quattro elementi della nostra madre Terra e lo spirito di tutti coloro che si prodigano per la salvezza ed il recupero dell’ambiente e in particolare del Mare Mediterraneo.

Per la II sezione, la SILLOGE DI POESIA EDITA “A TEMA LIBERO”, che sarà da Voi già stata pubblicata (o da Casa Editrice o in proprio) e che decidete di far partecipare a questa VIII Ragunanza, si presenterà quindi come un libretto, potrà trattare qualsiasi tematica, essendo “A TEMA LIBERO”, e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali, che abbraccino il genere umano.

Per la III sezione, NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”, che sarà da Voi già stato pubblicato (o da Casa Editrice o in proprio) e si presenta quindi in forma di libro, potrà trattare qualsiasi tematica, essendo “A TEMA LIBERO”, e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali e filosofici, che abbraccino il genere umano.

Per la IV sezione, PITTURA “A TEMA NATURA O TEMA LIBERO” si tratta di un’opera pittorica, realizzata con qualsiasi tecnica e che verrà inviata per e-mail al giudizio, in formato jpg come fotografia; l’opera potrà trattare qualsiasi tematica, essendo “A TEMA NATURA O LIBERO”, e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali e filosofici, che abbraccino il genere umano. Quell’opera pittorica scelta, qualora risultasse tra i vincitori, dovrà essere portata dall’autore in originale, per essere esposta nelle tre ore della cerimonia di premiazione.

Art.1 Si richiede per la 8^ Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA, che il testo della poesia sia di massimo 36 versi e scritto in Times New Roman, a carattere 12 o 18 e che si rispettino in tutte le loro parti i 13 Articoli, i quali specificano le norme, i diritti, i requisiti e le leggi di questo regolamento.

Art.2 La POESIA della sezione “NATURA-MEDITERRANEO” dovrà essere inedita e, per concorrere, andrà spedita via e-mail a apsleragunanze@gmail.com indicando e specificando la sezione da voi scelta in questo modo:

Ottava Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione I: POESIA INEDITA “NATURA-MEDITERRANEO”

1.La POESIA sarà ammessa solo ed unicamente con il nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso. I dati del concorrente sopra indicati andranno scritti in un foglio “a parte” e spediti insieme al foglio dove sarà scritta la Vostra POESIA che concorrerà.

Ai nostri giurati sarà fatta pervenire la POESIA in forma anonima.

2.La “SILLOGE DI POESIA EDITA A TEMA LIBERO”, per concorrere, andrà spedita in pdf via e-mail a apsleragunanze@gmail.com indicando e specificando la sezione da voi scelta in questo modo:

Ottava Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione II: POESIA “SILLOGE DI POESIA EDITA A TEMA LIBERO”

La SILLOGE già pubblicata – o da Casa Editrice o in proprio – sarà ammessa solo ed unicamente con il nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso; questi dati saranno scritti su foglio a parte, che conterrà i dati ulteriori dell’Autore, nonostante appaia sul libro solo il nome ed il cognome dell’Autore della Silloge.

La Silloge di poesia, il libro, potrà essere spedita a scelta del partecipante, o con Raccomandata R/R o con piego di libri in una (1) unica copia a: A.P.S. “Le Ragunanze” c/o Michela Zanarella – Via Fabiola, 1 – 00152 Roma.

Congiuntamente dovrà comunque e pertanto arrivare, in pdf la Vostra silloge alla e-mail: apsleragunanze@gmail.com indicando nell’oggetto la sezione ovvero: sezione POESIA “SILLOGE DI POESIA EDITA A TEMA LIBERO”

Nel foglio inserito nella busta, che conterrà la silloge (il libretto), dovranno essere specificati i dati dell’autore: nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso.

3.Il LIBRO DI NARRATIVA “A TEMA LIBERO”, per concorrere, andrà spedito in pdf via e-mail a apsleragunanze@gmail.com indicando e specificando la sezione da voi scelta in questo modo:

Ottava Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione III: NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”

ovvero, il Vostro romanzo, la Vs opera, potrà riguardare tematiche varie, essendo “A TEMA LIBERO” e potrà spaziare su temi alti dell’esistenza, su temi universali e filosofici che abbraccino il genere umano, i sentimenti, oltre alla fauna che regna nel nostro pianeta Terra. Il libro già pubblicato – o da Casa Editrice o in proprio – sarà ammesso solo ed unicamente con il nome, cognome, contatto telefonico ed e-mail di rintracciabilità del partecipante al concorso; questi dati saranno scritti su foglio a parte, che conterrà i dati ulteriori dell’Autore, nonostante appaia sul libro solo il nome ed il cognome dell’Autore del romanzo di narrativa a tema libero.

Il libro, potrà essere spedito, a scelta del partecipante, o con Raccomandata R/R o con piego di libri in una (1) unica copia a: A.P.S. “Le Ragunanze” c/o Michela Zanarella – Via Fabiola, 1 – 00152 Roma.

Il Vostro libro “a tema libero” sarà fatto pervenire ai Nostri giurati in pdf e sarà esposto nel giorno della Premiazione.

IV sezione: PITTURA “A TEMA NATURA O TEMA LIBERO”. Si partecipa con un’opera pittorica in qualsiasi tecnica a tema libero, a colori o in bianco e nero, da inviare in foto per posta elettronica all’indirizzo apsleragunanze@gmail.com in formato JPG, i file devono essere nominati con il titolo della foto.

Ottava Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA

Sezione IV: PITTURA “A TEMA NATURA O A TEMA LIBERO”

Art.3 Le modalità espressive della POESIA, della SILLOGE, del LIBRO DI NARRATIVA, della PITTURA ripartite nelle due modalità, non dovranno essere offensive né ledere la sensibilità e/o la dignità del lettore, dell’ascoltatore, del visore e della persona chiamata in causa a “giudicare” e a leggere. Le opere che non ottemperano quanto specificato nell’articolo 3 saranno automaticamente escluse.

Art.4 La partecipazione è soggetta ad una quota di € 10,00 per ogni sezione, che sottintende la presenza dell’autore concorrente ed include le spese di segreteria; la partecipazione ad una delle sezioni e non esclude la partecipazione alle altre sezioni di questo Regolamento.

Art.5 La scadenza per l’inoltro dei materiali è fissata a giovedi 30 DICEMBRE 2021;

Art.6 Il giudizio della giuria è insindacabile;

Art.7 La partecipazione al concorso comporta l’accettazione di tutte le norme del presente regolamento ed il partecipante dovrà essere presente il giorno della ragunanza per la lettura delle POESIE e di alcuni stralci di brani tratti dal LIBRO di Narrativa, secondo la graduatoria di premiazione di fronte agli astanti e per la descrizione breve “a commento” della propria opera, la PITTURA, qualora ci fosse tempo ulteriore a disposizione.

Sono ammesse deleghe solo in presenza del delegato a ritirare il premio assegnato, il quale si dovrà mettere in contatto con la segreteria del PREMIO, confermando il nome del delegato alla mail: apsleragunanze@gmail.com ;

Art.8 Qualora il premiato o il suo delegato non fosse presente, il suo riconoscimento sarà recapitato solo previo inoltro tassa di spedizione ed accordi con la segreteria del premio.

Art.9 I partecipanti, le cui loro opere di poesie, sillogi, racconti brevi, romanzi e pitture nelle modalità specificate, siano state selezionate per la premiazione, la lettura e la visione in pubblico, saranno informati sui risultati delle selezioni mediante e-mail personale e segnalazione nel sito dell’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze”: www.leragunanze.altervista.org

Art.10 La premiazione avverrà in data da definirsi (in presenza compatibilmente alla condizioni di emergenza sanitaria relativa al Coronavirus e in linea con le norme governative)

Art.11 A tutti i selezionati sarà inviato, con largo anticipo, l’invito per partecipare alla cerimonia di premiazione.

Art.12 I PREMI saranno così suddivisi:

Ottava Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA.

  1. I sez.: POESIA INEDITA “NATURA-MEDITERRANEO”

POESIA INEDITA sez. “Natura-Mediterraneo”:

– primo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

  • II sez.: SILLOGE DI POESIA EDITA “A TEMA LIBERO”

SILLOGE DI POESIA EDITA a “Tema Libero”

– primo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

  • III sez.: NARRATIVA LIBRO “A TEMA LIBERO”

NARRATIVA LIBRO a “Tema Libero”

– primo classificato: (targa+ abbonamento per 1 anno al mensile LEGGERE TUTTI)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

  • IV sez.: PITTURA “A TEMA NATURA O A TEMA LIBERO”

PITTURA in modalità “a Tema Natura o a Tema Libero”

– primo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– secondo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

– terzo classificato: (cartiglio pergamenato con targa)

Saranno consegnate le Menzioni d’Onore (cartiglio pergamenato con i loghi con targa)

L’assegnazione della TARGA del PRESIDENTE dell’A.P.S. “Le Ragunanze” è a discrezione del PRESIDENTE.

* Nella sinergia tra l’A.P.S. “Le Ragunanze” e l’Associazione Culturale Euterpe è contemplata l’assegnazione del Trofeo, che verrà consegnato a discrezione del direttore della omonima rivista.

Tutti i partecipanti presenti, e solo i presenti, riceveranno brevi manu l’attestazione di partecipazione alla Ottava Ragunanza di POESIA, NARRATIVA e PITTURA per aver concorso con l’opera, anche se questa non si è posizionata tra i vincitori.

Art.13 Nel file d’invio a apsleragunanze@gmail.com includere dati personali, indirizzo postale, indirizzo e-mail, telefono, breve nota biografica, (per i minorenni includere anche l’autorizzazione dei genitori o di chi ne fa le veci con la fotocopia della loro carta d’identità) la dicitura “SARÒ PRESENTE”, fotocopia del versamento di € 10,00 da effettuare tramite ricarica Postepay n° 5333 1711 2801 1620 intestato a Michela Zanarella, C.F.: ZNRMHL80L41C743L o in contanti nel plico di spedizione per i diritti di segreteria; in calce al testo, la seguente dichiarazione firmata:

“Dichiaro che i testi delle poesie, i libri, le pitture da me presentati a codesto concorso internazionale sono opere di mia creazione personale.

Sono consapevole che false attestazioni configurano un illecito perseguibile a norma di legge.

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi della disciplina generale di tutela della privacy (L. n. 675/1996; D. Lgs. n. 196/2003) e la lettura e la diffusione del testo per via telematica e nei siti di Cultura della Poesia, della Narrativa e dell’Arte, nel caso venga selezionato, dai giurati del concorso Settima Ragunanza di POESIA, NARRATIVA & PITTURA”

Per il quarto anno consecutivo, l’associazione di promozione sociale ‘Le Ragunanze’, nel VIII anno dell’omonimo Premio internazionale per la poesia, la narrativa e la pittura, consegnerà la Targa dedicata ad Anastasia Sciuto, ad un giovane talento dell’Arte Drammatica, Cinematografica e Televisiva, nel plauso e nel ricordo dell’impegno artistico della giovane.

Referenti del concorso:

La Presidente dell’A.P.S. “Le Ragunanze”, Michela Zanarella

Coordinatore e Vicepresidente, Giuseppe Lorin

 Segretario, Alberto Bivona

@: apsleragunanze@gmail.com

www.leragunanze.altervista.org

5° Premio Letterario Internazionale “Uniti per la legalità” indetto dall’Accademia Raffaele Viviani

Regolamento

Possono partecipare autori italiani e stranieri residenti in Italia o all’Estero. Per le opere in dialetto e le opere straniere è obbligatorio allegare la traduzione in lingua italiana.

Art. 1) CATEGORIE IN CONCORSO

Il concorso è suddiviso in tre categorie, per un totale di dieci (10) sezioni.

Art. 2) SEZIONI IN CONCORSO

Categoria a tema obbligato

Si partecipa con opere ispirate al tema: legalità e giustizia. Gli autori possono ricordare una delle tante vittime innocenti delle mafie o raccontare storie di: bullismo, femminicidio, stalking, mobbing, spaccio di droga, racket, baby gang, inquinamento ambientale, razzismo, discriminazione, usura, prostituzione, diritti umani e pace nel mondo. Inoltre, possono onorare tutti gli operatori sanitari, forze dell’ordine, protezione civile, volontari, che hanno gestito la situazione del Covid 19.

I giovani possono inviare anche diari, di come vivono e come si sentono in questa società, e se credono nel riscatto sociale.

Sezione A – Racconto inedito – 1° classificato pubblicazione gratuita.

Si partecipa inviando un testo inedito e mai pubblicato. Lunghezza minima 25 – massima: 35 cartelle (pagine formato word A4 – carattere: Times new Roman 12 – scritto in lingua italiana). Il 1° classificato di questa sezione sarà premiato con la pubblicazione gratuita di un proprio libro, edito da Oceano Edizioni. All’autore andranno 30 copie omaggio.

Sezione B – Poesia in lingua italiana

Si partecipa inviando fino due poesie scritte in lingua italiana. Lunghezza massima: 50 versi. (Formato word A4 – carattere: Times new Roman 12).

Sezione C – Poesia in lingua dialettale

Si partecipa inviando fino a due poesie scritte in qualsiasi dialetto italiano. Lunghezza massima: 50 versi. (Formato word A4 – carattere: Times new Roman 12)

Sezione D – Articolo giornalistico

Si partecipa inviando un articolo giornalistico edito o inedito che non deve superare 4000 battute (quattromila). Possono partecipare a questa sezione giornalisti e amatoriali. (Formato word A4 – carattere: Times new Roman 12)

Sezione E – Libro edito

Si partecipa con un libro di narrativa, dossier, romanzo, ecc. ecc. (Leggere articolo 3)
N.B. Si partecipa anche con un libro di poesia edita e tema libero.

Categoria a tema libero

Sezione F – Poesia in lingua italiana

Si partecipa inviando fino a due poesie scritte in lingua italiana. Lunghezza massima: 50 versi. (Formato word A4 – carattere: Times new Roman 12)

Sezione G – Poesia dialettale

Si partecipa inviando fino a due poesie scritte in qualsiasi dialetto italiano. Lunghezza massima: 50 versi. (Formato word A4 – carattere: Times new Roman 12)

Sezione H – Racconto inedito

Si partecipa inviando un testo inedito e mai pubblicato. Lunghezza massima: 6 cartelle (pagine formato word A4 – carattere: Times new Roman 12 – scritto in lingua italiana).

Categoria giovani

Possono partecipare gratuitamente giovani dai 18 ai 25 anni.

I giovani possono inviare anche diari, di come vivono e come si sentono in questa società, se credono nel riscatto sociale e come hanno vissuto l’emergenza Covid 19

Sezione I – Racconto o diario inedito – 1° classificato pubblicazione gratuita

Si partecipa inviando un testo inedito e mai pubblicato. Lunghezza massima: 40 cartelle (pagine formato word A4 – carattere: Times new Roman 12 – scritto in lingua italiana). Il 1° classificato di questa sezione sarà premiato con la pubblicazione gratuita di un proprio libro, edito da Oceano edizioni. All’autore andranno 30 copie omaggio.

Sezione J – Poesia inedita

Si partecipa inviando massimo due poesie scritte in lingua italiana. Lunghezza massima: 50 versi. (Formato word A4 – carattere: Times new Roman 12).

Art. 3) MODALITÀ D’INVIO

Gli elaborati vanno inviati in duplice copia, di cui una con dati, firma, telefono ed e-mail, a:

info@accademiaraffaeleviviani.it entro e non oltre il 10 luglio 2021.

Al fine di agevolare il lavoro della Segreteria vi preghiamo, cortesemente di non attendere gli ultimi giorni per l’invio dei vostri elaborati e ringraziamo per la preziosa collaborazione.

ART. 4) LIBRI EDITI

I libri editi vanno inviati in formato PDF, con una scheda che riporta i dati dell’autore e una breve sinossi del testo, a: info@accademiaraffaeleviviani.it Solo ai finalisti verrà richiesto una copia cartaceo, da spedire entro ottobre 2021 all’indirizzo che sarà comunicato all’atto della comunica-zione.

ART. 5) FINALISTI

I finalisti riceveranno la comunicazione 40 giorni prima della data di premiazione e avranno 10 giorni di tempo per comunicare la propria presenza. Inoltre la lista dei vincitori sarà pubblicata sul sito: http://www.accademiaraffaeleviviani.it e sul gruppo facebook Concorso letterario internazionale “Uniti per la legalità”.

Art. 6) QUOTA DI PARTECIPAZIONE

Si partecipa con un contributo di 10,00 euro per una sezione e 5,00 euro per ogni sezione successiva. Si può partecipare a più sezioni. Per i giovani e per gli invalidi civili la partecipazione è gratuita. Le quote vanno versati su postepay Evolution n. 5333 1711 2227 7110 – IBAN IT20K3608105138252199152204 – intestata a Francesco Gemito – Cod. Fisc. GMT FNC 67D03 B990G

Art.7) PREMI

Saranno premiati i primi 14 finalisti di ogni sezione.

Trofei; coppe; targhe. Diplomi e motivazione della giuria per ogni premiato. Inoltre saranno assegnati tre premi alla carriera per gli autori che hanno superato il 50° anni di età e che hanno alle spalle una brillante vita letteraria (inviare il curriculum).

I giovani saranno premiati con targhe personalizzate e motivazione dei giurati.

Art. 8) PUBBLICAZIONE ANTOLOGIA

Tutte le opere vincitrici saranno pubblicate nell’antologia “UNITI PER LA LEGALITÀ 2021”, che sarà messa in vendita durante le due serate di premiazione al prezzo di euro 10,00. L’acquisto non è obbligatorio. L’autore può prenotarla all’atto della comunicazione del premio.

Art. 9) PREMIAZIONE

La premiazione avverrà venerdì/sabato 26/27 novembre 2021 presso una struttura della provincia di Napoli. (Il luogo preciso della premiazione sarà comunicato 60 giorni prima dell’evento)

I vincitori dei primi premi e dei premi alla carriera dovranno ritirare personalmente i premi assegnati. Per gli altri premi, poiché non si effettuano spedizioni, è eccezionalmente ammessa la delega scritta, i premiati al concorso e i giurati non possono essere delegati. I premi non ritirati resteranno a disposizione dell’Accademia.

Art.10) RIMBORSO SPESE

Nessun rimborso spese è previsto per i finalisti.

Art. 11) PRIVACY E RESPONSABILITA’

I dati saranno trattati a norma di legge. Di tutti i testi inviati l’autore è personalmente responsabile di fronte alla legge in caso di plagio.

Art. 12) GIURIA

Presidente di Giuria

Bruno De Stefano – Giornalista professionista e scrittore

Membri di giuria

Vittoria Caso – Docente, giornalista, scrittrice e poetessa.

Salvatore Esposito – Giornalista professionista e scrittore Maria Luisa Iavarone – Docente Università degli Studi di Napoli “Parthenope” – fondatrice dell’Associazione Artur – giornalista e scrittrice.

Ismete Selmanaj Leba – Giornalista e scrittrice

Cosimo Sframeli – Giornalista, scrittore – Tenente dei carabinieri in congedo

Tonia D’angelo – Regista e attrice teatrale, poetessa.

Maria Teresa Infante – Giornalista, scrittrice, poetessa

Nina Giordano – Giornalista, scrittrice, poetessa Daniela Pinto – Poetessa – scrittrice – musicista Elena Malta – Prof.ssa in un liceo scientifico, poetessa e scrittrice. Emanuele Zambetta – Poeta – (conoscitore dei dialetti italiani)

Giovanni Monopoli – Poeta – scrittore e operatore culturale

Rosaria Di Donato –Prof.ssa in un liceo classico statale – poetessa – scrittrice.

Geltrude Vollaro – Poetessa – scrittrice – editrice

Rossella Campisi – Insegnante in una scuola statale – scrittrice.

Art. 13) INFORMAZIONI

Ulteriori informazioni si possono richiedere telefonando, negli orari serali al 389-1285065 oppure inviando una e-mail: info@accademiaraffaeleviviani.it

Copia del presente regolamento è scaricabili dal sito http://www.accedemiaraffaeleviviani.it

La partecipazione al concorso comporta la piena accettazione di tutte le norme citate nel presente regolamento.

Dedicato a Maria Luisa Spaziani il IX Premio di Poesia “Isabella Morra”

La Casa della Poesia di Monza annuncia l’XI edizione del PREMIO di Poesia ISABELLA MORRA, il mio mal superbo 2021. Il premio, fondato da Antonetta Carrabs, nasce per celebrare Isabella Morra, petrarchista e pioniera della poesia romantica. Nata a Favale nel 1520, visse segregata nel proprio castello, lontana da corti e salotti letterari. La sua breve vita, contrassegnata da isolamento e tristezza, si concluse nel 1546 con il suo assassinio da parte degli stessi fratelli per la sua presunta relazione con il barone Diego Sandoval de Castro, che subì la stessa sorte. Sconosciuta in vita, grazie agli studi di Benedetto Croce, divenne nota per la sua poetica tanto da essere considerata una delle voci più autentiche della poesia italiana del XVI secolo.

Il Presidente onorario è Guido Oldani. Ogni anno il Premio di Poesia viene dedicato ad una donna poeta italiana non contemporanea. Dopo Sibilla Aleramo e Ada Negri, l’edizione di quest’anno è dedicata a MARIA LUISA SPAZIANI (Torino, 7 dicembre 1922 – Roma, 30 giugno 2014). Poetessa tra le più significative del panorama nazionale ed europeo, nonché storica della letteratura francese, una delle personalità di rilievo del panorama letterario del XX secolo.

La Giuria è così composta:

Presidente di giuria Iride Enza Funari, Poeta e Scrittrice

Donatella Bisutti Giornalista – Scrittrice e Critica Letteraria

Antonetta Carrabs Poeta – Scrittrice Presidente de La Casa della Poesia di Monza

Massimo Morasso Poeta e Critico Letterario

Andrea Galgano Poeta e Critico Letterario

Elisabetta Motta Critica Letteraria – Saggista

Gianna Parri Presidente del Premio Letterario Brianza

Il Premio è a tema libero e si articola in tre sezioni:

Sezione 1 Adulti (dai 20 anni di età)

Sezione 2 Detenuti (senza limite di età)

Sezione 3 Studenti (dai 13 ai 19 anni)

Per la sezione 2-Detenuti e la sezione 3- Studenti la partecipazione è gratuita. Si concorre inviando un massimo di tre poesie inedite in lingua italiana. Ciascun testo non dovrà avere una lunghezza superiore a 50 versi. Sono ammessi anche testi in lingua dialettale purché accompagnati da traduzione in lingua italiana. Nell’invio dei testi occorre specificare il titolo della silloge, in assenza di esso occorre specificare i titoli dei singoli componimenti. Termine ultimo di consegna il 10 settembre 2021.

MODALITA’ DI INVIO

Per le Sezioni 1 e 3 i testi andranno inviati in formato word e in duplice copia (una anonima, l’altra completa dei dati anagrafici) a: premiomorra@lacasadellapoesiadimonza.it con il seguente oggetto: Premio Letterario Isabella Morra 2021. Per la sola sezione 1-Adulti la partecipazione è subordinata al pagamento di una quota di 15.00 euro. Il versamento va effettuato tramite bonifico bancario, specificando il nome dell’autore e intestandolo a: La Casa della Poesia di Monza- Premio Isabella Morra 2021 – Banca Intesa Sanpaolo Paolo Ferrari 10-Milano

IBAN IT19 C030 6909 6061 00000 139 920 – La cerimonia di premiazione si svolgerà sabato 23 ottobre 2021 ore 17,00 REGGIA di Monza viale Brianza 2. I risultati saranno pubblicati sul sito www.lacasadellapoesiadimonza

Monza, gennaio 2021

“Itaca nel cuore” di Stefania Pellegrini, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Vorrei

giungere in vista di Itaca,

sentire la tua mano sulla guancia,

come rugiada nel cuore d’una rosa (97).

Di recente pubblicazione è la nuova raccolta di poesie di Stefania Pellegrini, autrice nata in terra d’Irlanda e da tanti anni residente nei pressi di Aosta. Non si tratta della sua opera prima e numerosi suoi testi sono già apparsi in rete, soprattutto sul suo sito personale «Parole Nomadi», su varie uscite della rivista di poesia e critica letteraria «Euterpe», nonché su antologie di premi letterari.

Il nuovo volume, edito per i tipi di CTL di Livorno, porta il titolo di Itaca nel cuore e già da questa definizione che richiama il mito classico – e con esso il mistero del viaggio – compendiamo che il percorso che la Nostra ci propone d’intraprendere immergendoci nelle sue liriche ha qualcosa d’analogo a un itinerario odeporico vale a dire di quella letteratura di viaggio che non è semplice cronaca di trasbordi e viaggi fisici quanto – ben più spesso e in forme ancor più profonde – di carattere esistenziale e interiore.

La Pellegrini ha deciso di suddividere il copioso materiale poetico che qui trova posto in varie sotto-sezioni che, in realtà, appaiono più come delle vere e proprie micro-sillogi che possono essere concepite, lette e dunque fruite nella loro singolarità: sono autosufficienti ai contenuti e complete e non necessariamente debbano trovare riflesso e collegamento con le altre sezioni. Ed è la stessa Autrice a chiarire nella nota introduttiva del volume quella che è stata la sua intenzione alla base di questa necessaria e ben condotta cernita di titoli e relativa catalogazione in sottogruppi. C’è una prima sezione che porta il titolo “La forma dei giorni”, enunciato nel quale non facciamo difficoltà a percepire l’intenzione della Nostra di volersi riferire a quegli aspetti della vita odierna, agli ambiti colloquiali e transeunti dell’uomo contemporaneo, in balia tra pensieri e ossessioni, a volte ostaggio di incomprensioni, altre pervaso da moniti di fuga e sempre – comunque – fortemente attraccato alla vita concreta nella quale la Nostra ritrova il senso delle cose in circostanze di meditazione, pausa, riflessione, ricerca di sé e attribuzione di significati all’essenziale che ci contraddistingue.

A rivelare questo (possibile) atteggiamento sono i titoli stessi delle poesie che si trovano contemplate in questa prima parte: “Sono così oggi”, “Cambiare prospettiva”, “Mia solitudine”. Sono, in effetti, testi particolarmente intimi in cui l’interiorità della Nostra viene offerta al lettore non tanto perché ne faccia testamento proprio quanto perché, senza difficoltà né superfetazioni, può ritrovarcisi egli o ella stessa. Pensieri, dubbi, divagazioni, riflessioni e rievocazioni, ma anche memorie, ricordi che riaffiorano, promesse, visioni incantate o comunque piacevoli (non sempre in linea con l’animo dell’io lirico) fanno da sfondo a questi componimenti. Penso anche a testi quali “E nasce il giorno” e “Il mare”.

D’altro canto non possono – né devono – passare inosservati gli scambi lirici nei quali la Nostra tematizza la vita nella forma del percorso, tramite l’allegoria del viaggio, metafora nota del cammino dell’uomo, viandante in terre che non conosce, scopre, caratterizzato da continue dislocazioni per ragioni dettate da aspetti pratici della vita. Si pensi ai componimenti “La locomotiva”, “Andata-ritorno” ma anche “In quell’andare” e “Il viaggio” dove questo si fa particolarmente palese.

Noto è il mito di Ulisse che ritorna ad Itaca dopo numerose peripezie di varia natura di cui Omero dà di conto in una delle epiche più studiate e affascinanti dell’intera letteratura mondiale. Eppure al suo ritorno Ulisse non viene riconosciuto da chi l’ha visto nascere e crescere (con eccezione della nutrice Euriclea oltre che del cane Argo s’intende), dal suo popolo e questo elemento – che vedrà la sua agnizione nel momento che il personaggio considera valevole di far cadere il mondo di impostura e tradimento che per i tanti anni di sua assenza si è creato – ha dato spazio alle considerazioni critiche e alle interpretazioni più varie, a partire dalle più banali per affrontare circostanze situazionali e logiche in effetti che non hanno nulla di inferiore a un chiaro esperimento sociologico. Credo che il non riconoscimento di Ulisse al suo approdare su Itaca non derivi dal semplice fatto che lui è di molto cambiato, invecchiato, barba incolta e travisato da mendicante, e dunque restituisce un’immagine assai differente da quella che tutti hanno di lui, ma attiene anche all’impossibilità di saper cogliere l’essenziale, l’incapacità di scorgere l’autentico, la miopia e la faciloneria che portano l’uomo in senso generale ad essere connaturatamente più propenso al giudizio (e al pregiudizio) che al ragionamento e al collegamento meditato. È pur vero che Ulisse è diverso, ma non solo fisicamente, dunque nel mero aspetto, è un uomo formato, completamente maturo, temprato dalle fatalità della vita, le cui vicissitudini lo hanno ispessito e reso saldo in una maniera da averne fatto un uomo essenzialmente diverso da com’era. Eppure si mantiene in lui la compassione e l’amore che nella scena con la ritrovata Penelope – l’unica sofferente della sua assenza – risalgono in superficie. Ecco, la poesia della Pellegrini ha qualcosa di analogo a questo comportamento ambiguo di Ulisse: al di là del fascino arcaico verso il mare visto sia come ecosistema puro ma anche come elemento di attraversamento verso spazi diversi e lontani dai propri, nelle poesie della Nostra sembra di percepire, pur diluiti in contesti emozionali introiettati ed esperiti come propri, i motivi del viaggio e dell’evasione, dell’allontanamento e della crescita interiore e morale, dell’asperità della vita, della condizione di esule, ma anche del ritorno, del recupero di quel che si credeva perso e di cui, non senza difficoltà (proprio come la memoria dei nostri cari ormai sottratti al tempo), possiamo riappropriarci.

Un’illustrazione del ritorno ad Itaca di Ulisse

La seconda sezione del volume, dal titolo “Oltre le pagine sporche”, con un sottotitolo inciso che recita “Incontri”, ha a che vedere con la dimensione spiccatamente civile della Nostra, di cui sulle pagine della rivista «Euterpe» si è già avuta, più volte, dimostrazione. La Pellegrini abbraccia l’arma della poesia per parlare di drammi, situazioni di difficoltà, condizioni di vita marginali e di sopraffazioni, contesti di violenza, infanzia negata, situazioni d’indecorosa indifferenza e di crudeltà umana. Sono testi mossi – in taluni casi – da episodi concreti, partoriti da una cronaca efferata e iterata, così dolorosamente colpevole di riempire l’informazione che ci giunge da angoli reconditi del mondo. Ma, altrettanto spesso, anche da situazioni e contesti della nostra Provincia, che accadono poco distanti da noi, nell’indifferenza e nell’incomprensione dei più, mix deleterio che impoverisce il senso di concordia umana che andrebbe rinsaldato e protetto. Doverosamente preponderante appare il tema del fenomeno migratorio: “Fiore del deserto / vertigine bronzea di vellutata pelle, / occhi grandi incrostati di sale / colmi di mistero, e di passione, / dalla furia del mare sgranati di terrore” (53) si legge nella poesia “Amàli” che apre questa sezione del volume. Il tema ritorna in “Alya, Alya” che ci narra di un altro naufragio divenuto eccidio: “Brucia le labbra l’acqua salata, / ostile, ansiosa di tenermi con sé. // […] // L’acqua sale, le labbra, gli occhi bruciano” (58-59).

Tra le altre rievocazioni di sciagure umane che la Pellegrini richiama quali motivi trainanti di un duro affondo di sgomento e denuncia vi è la shoah con un ricordo relativo a undici giovani fucilati a Nus, in provincia di Aosta e dove l’Autrice risiede, nel luglio del 1944. “Non piangere madre, / un tempo c’è stato, e non è stato vano” (55) recita l’explicit, in un singulto di dolore che non svanisce con gli ultimi versi della lirica e che, invece, pare raggrumarsi come uno spiacevole nodo alla gola. C’è una grande partecipazione dell’io lirico in questi testi, lo si nota dal grande garbo verso una materia spesso abusata e maltrattata – anche in poesia – fatta oggetto di facili utilizzi, quando non addirittura di indecorose strumentalizzazioni. Nelle poesie della Nostra si riscontra un pathos la cui intensità risulta difficilmente configurabile a parole. Alto è il senso di pietas della Pellegrini, di quell’ascolto gratuito e doveroso verso l’altro che, anche nella circostanza di episodi ormai lontani e consegnati alla Storia, non dovrebbe venir meno. C’è il senso dell’umanità, trafitta dalle sofferenze, ma anche il monito a non dimenticare per non cadere in baratri analoghi. Se la Storia è testimonianza di vita, diviene doveroso e imprescindibile per l’uomo d’oggi farsi testimone per le nuove generazioni.

Sguardo attento anche verso l’esodo del popolo curdo sottoposto al continuo esilio da una terra che lo rende “appeso al filo della speranza” mentre vive disperato, sospeso, tra “un lembo di terra nomade” e “un recinto di filo spinato” (61), all’infanzia negata dei bambini siriani con “i sogni impigliati sul filo spinato” (63), finanche a un meno noto genocidio degli indiani Sioux noto come il “massacro di Chivington” che vide come scenario il Colorado nel 1864: “Agnelli al suolo sacrificati, / sciabole sguainate, corpi come grano / mietuto sui campi” (66). La Nostra dedica un componimento anche per coloro che, avendo commesso reati, si trovano “relitti ai margini del vuoto, / chius[i] nel grigiore delle ristrette mura” (67), quelle degli istituti penitenziari. Storie di profughi, di immigrati che muoiono nel loro tragitto che dovrebbe condurli in un pase dove cercano pace e futuro, spose bambine, violenze assolute, bambini soldato (“Perdona mamma muoio, / preme un’ombra nera / sulla coscienza”, 75), infanti martoriati nel corpo e assopiti nell’anima, esuli in cerca di uno spazio che possa accoglierli, deportati nei lager, donne stolkerate e abusate (“la voce melliflua che ti adula / con parole spacciate per amore / […] / ti viola insistente”, 78), manovalanza straniera soggiogata e vilipesa da avidi caporali, sono i nuovi martiri contemporanei.

Si riscontrano anche invocazioni e tentativi di dialogo con la luna: “Parlaci / delle nostre imperfezioni” (11), promesse (non facili) fatte a sé stessi, dettate da un’altalenante convinzione dell’esistenza di motivi di forza atti a imprimere un segno di cambiamento o a fortificare meccanismi di resilienza: “Vincerò le stupide paure / […] / Per affrontare / le rotte del mare sconosciuto // […] // e troverò il coraggio / per superare gli ostacoli” (15), convincimenti entusiastici dinanzi a un’avvincente scoperta: “Ma oltre / lo sguardo mira, / verso quel mare che tutte le contiene. / Ancora salperò!” (19), finanche il riconoscimento di una vulnerabilità data dalla carenza di presenze amorose e rassicuranti: “Posa la polvere e lame di luce / l’odore dei ricordi, / aleggia tra le finestre e il comò, / con il passo silente della sera, / e il marchio doloroso delle assenze” (24) mente l’insicurezza diffusa della condizione instabile e logorante del dubbio crea ansia: “Cresce – prolifica / in cerca d’attenzione / come gramigna nell’orto, / e insinua / granelli d’incertezza, / un tarlo nella mente / che rode fin dentro il cuore” (28).

Con l’ultima sezione del volume, “L’impronta del tempo”, è come se si completasse quel percorso circolare che la Nostra ha intrapreso e concesso a noi lettori di intraprendere con lei. Ritornano, infatti, ma in maniera ben più sentita e in forma quasi opprimente, i temi dell’infanzia (“Mi guardo, mi riguardo / cercando la ragazza nella foto / […] / Scopro a illudermi, / a abortire il ricordo”, 88), dei ricordi (“sola mi rifugio / tra le pieghe del ricordo / […] / mentre andavo incontro all’anse / del grande mare, / incurante dei venti contrari”, 98), dell’inesorabilità del tempo che porta la Pellegrini a ragionare su questioni supreme, d’impossibile decodifica per l’uomo, eppure temi impellenti, ricorrenti, a tratti dolorosi, necessari, che svelano un’accentuata dote intellettiva e cogitante: “E mi chiedo perché, / nell’essere non è il rimanere” (89) scrive nell’affascinante testo che porta il titolo “Sfoglia il tempo la mia vita”. Grumi di nostalgia in quel “suono dei tuoi passi andati” (100) si assommano a un senso di vera angoscia dettato dal sentimento dell’assenza (“Ti cerco – non ti trovo, / […] // Queste ore a contare / il tuo ritorno”, 101) e trovano compimento, nell’adesione alla prepotenza della realtà, che smentisce veli e smantella illusioni: “Cede la foglia il suo stare, / da un fiato di vento si lascia rapire. // […] // Vedi? / Niente resta lo stesso” (105).

L’acqua, lo scivolare, lo scorrere, il fluire, divengono in questa sezione del volume tutte sfaccettature di quell’andamento sorgivo e impetuoso improntato al divenire e, in quanto tale, irrefrenabile: immagini e riflessioni di un tempo che cambia perché progressivamente s’allontana da quel passato che ha impresso le nostre esistenze. Tale percorso – come già accennato – non sempre si mostra di facile accettazione per l’uomo perché, adombrato da meccanismi inconoscibili e restio a conformarsi alle sue precipue volontà, produce sperdimento e incomprensione: “non trovo risposte / ai miei richiami” (91), scrive l’Autrice.

LORENZO SPURIO

Jesi, 07/05/2021

Note: La riproduzione del presente testo, sia in formato integrale che di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito se non ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’autore. E’ possibile, invece, citare dall’articolo con l’apposizione, in nota, del relativo riferimento di pubblicazione in forma chiara e integrale.

“Mu”, opera poetica d’esordio di Nunzio Di Sarno

Segnalazione di Lorenzo Spurio

È di recente pubblicazione il volume dal titolo monosillabico Mu (2020) di Nunzio Di Sarno pubblicato per i tipi della Oedipus Edizioni. L’autore, come dà di conto la breve nota biografica d’accompagnamento, è nato nel capoluogo partenopeo dove si è laureato in Lingue e Letterature Straniere discutendo una tesi di laurea sul pittore futurista (ma non solo) Arnaldo Ginna (1890-1982) e le connessioni tra astrattismo e spiritualismo. Ha lavorato come operatore sociale, mediatore culturale, insegnante di italiano L2, di sostegno e di inglese. Da alcuni anni risiede a Firenze, dove insegna. Nel corso di quest’anni si è laureato in Psicologica clinica e della riabilitazione con una tesi su Yoga, Tai Chi e mindfulness come terapie complementari nella malattia di Parkinson.

Mu è la sua opera d’esordio mentre varie poesie e articoli sono già stati pubblicati su vari siti e blog letterari. L’esordio del volume – necessario per comprendere il riferimento e il significato dell’anomala titolazione del libro – è consegnato ad alcune espressioni di un koan zen che recitano: «Un monaco chiese a Joshu: “Un cane ha la natura di Buddha?” / Joshu rispose: “Mu”».

Il concetto di “mu” ha in sé la capacità di saper contenere e coniugare le forme antipolari rappresentate dagli opposti comuni e permetterebbe di trascenderli con un atteggiamento automatico, privo del ragionamento. Come ha avuto modo di avvertire lo stesso Autore, «Il koan ci mostra la strada che si fa traccia e mappa. Una mappa che si mantiene giusto per il passaggio e le luci che durano sono le realizzazioni, in balia dell’amore e l’amicizia, delle droghe, dell’alcool e delle meditazioni, della malattia, della morte e della disciplina, in seno alle famiglie “vecchie, nuove e ritrovate”».

Questo volume, per come l’Autore l’ha concepito, si presta a una varietà di risposte e accoglimenti da parte dell’ipotizzabile pubblico, infatti, come è stato osservato, «Qui il lettore non può restare sulla soglia a guardare, è chiamato ad aprirsi ed immergersi per sentire su di sé, sposando i ritmi per ritrovarsi a pezzi. Unico sentiero per accedere alle forme nuove».

A continuazione un testo estratto dalla raccolta:

Poesia

Il tempo trascorso nel dolore

A portare in giro la carcassa

È valso a sentire i limiti

E a intonare i lamenti

Per farne un canto

Vestire i panni del docente

Per sopportarne l’indecenza

Bruciando l’idiozia di stato

Negli abbracci dei Down

Correre nel tremore

Dei muscoli consumati

Trovare un cesso sicuro

Per svuotarmi le viscere

La pelle attaccata alle ossa

Fa risuonare il mondo intorno

E piano ne sfuma il contorno

Il vuoto a fatica trovato

Si riempie d’inutili macerie

Pur sempre carne

Residui di vite indistinti

Vorticanti nell’inappagabile

Cercano affannandosi

Briciole di pace e felicità

La colite dei secondini

Il reflusso degli scrutatori

È la colla rancida che

Tutto mantiene

Faccio la spola blue

Tra casa e scuola

In giro tra marmi animati

E musica d’appendice

Il vino al ritorno

È il compagno

Che accorcia

L’attesa per la cura

Ma la cura è la Vita

Che taumaturgica tace

Come vuoto che riempie

“In ordine sparso. Commenti critici sulla scrittura di Claudia Piccinno”, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

In una pregiata veste grafica, per le edizioni di Cuscino di Stelle, è stata recentemente pubblicata una raccolta di testi critici – tra lettere, commenti, recensioni e veri saggi – sull’ampia attività letteraria della poetessa e scrittrice pugliese, ma bolognese d‘adozione Claudia Piccinno. Il libro, dal titolo tanto onnicomprensivo quanto evocativo, recita “In ordine sparso”; il volume è stato curato da Armando Iadeluca. Non passa assolutamente inosservata la raffinata copertina che riporta un acquarello assai efficace che ritrae un colibrì pensato in movimento, opera particolarmente avvincente in grado di trasmettere un senso di levità, firmata dall’artista Florisa Sciannamea.

Il libro, che è ben più di un repertorio di testi critici, semmai un vero e proprio saggio, nella ricchezza delle vedute, nell’ampiezza delle interpretazioni e degli squarci ermeneutici dei tanti critici che via via si susseguono, si apre con un apparato dedicato alle “recensioni sulla poetica”. La pagina incipitaria è vergata dal breve e partecipe messaggio di un nume tutelare della critica letteraria nostrana, il professore Giorgio Bàrberi Squarotti, che nel suo mirabile ed esatto intervento critico, così enuclea il piglio attento della Nostra e l’efficacia del suo dettato lirico: “La sua poetica alterna una liricità commossa e luminosa a riflessioni e pensieri di vita con efficaci giudizi sull’attualità nel dolore della storia”. In questa frase sembra contenuto un mondo: un periplo attorno al profilo letterario della Nostra che, in chiave sinottica e tra rifrazioni di simboli, ben serve per addentrarsi all’interno delle pagine di questo volume.

Non sarebbe giusto né opportuno fare “la critica della critica”, se teniamo in considerazione che anche il sottoscritto è orgogliosamente presente nel volume; al contrario, la volontà di questo breve testo è di presentare – pur per sommi tratti – la composizione del volume e accennare ai molteplici contenuti. L’operazione editoriale di Iadeluca è, infatti, da considerare assai rilevante – non solo per la spiccata autorevolezza delle voci inserite, il prestigio di altre, la notorietà di altre ancora – ma perché ricostruisce in maniera fedele il percorso letterario della Nostra che si snoda tra le varie pubblicazioni in volume, tanto per la poesia che per la saggistica. Il fatto che un poeta contemporaneo, della nostra età, possa contare su di un volume saggistico monografico su di lui – com’è appunto questo – non è qualcosa di dubbia o minima rilevanza. Al contrario è il segno tangibile – che rimane a testimonianza – di una stagione florida, promettente e indiscutibile nell’attività letteraria della Nostra, così ben strutturata, contestualizzata e, com’è giusto che sia, meritatamente riconosciuta, fatta oggetto di analisi, di considerazioni estetiche e contenutistiche.

Nel volume compaiono testi di (cito in extenso e non ad libitium) Andrea Marrone, Ignazio Gaudiosi, Fabrizio Mugnaini, Evaristo Seghetta Andreoli, Teresa Gentile, Arrigo Pareschi, Agron Shele, Nicola Maselli, Mauro Montacchiesi, Francesco Potenza, Marina Atzori, Lorena Guarascio, Carmen Moscariello, Antonio Spagnuolo (il grande poeta campano, presente nel volume con molteplici letture critiche, lunghe lo spazio di una paginetta appena, eppure così incisive e capaci di vestire le opere della Piccinno in maniera così confortevole e adeguata), Emanuele Aloisi, Alessandro Ramberti, Stefano Valentini, Grazia Procino, Domenico Pisana (con le sue recensioni assai particolareggiate nelle quali dà una doppia vita ai versi, che cita abbondantemente per poi far “respirare” il testo attraverso le sue puntuali piste investigative sui significati), Vittoria Nenzi, Maria Luisa Tozzi, Maria Rizzi, Sabina Guidotti, la recentemente scomparsa Bruna Cicala, Paola Bisconti, Nazario Pardini (presenza ineluttabile della critica alla poesia italiana contemporanea, commentatore attento di tanti poeti, artefice di chiose che sono ornamento estetico e scavo ontologico), Angela Caccia, Milica Lilic (altra presenza, dopo Shele, che testimonia l’interesse dell’attività poetica della Nostra anche in intellettuali dell’altra sponda dell’Adriatico), il sottoscritto, Fiorella Franchini, Ester Cecere, Alessandra Peluso, Bartolomeo Bellanova, Raffaella Tamba, Ninnj Di Stefano Busà, Giovanni Invitto, Angioletta Masiero (presente con due suoi commenti scritti quali motivazione per dei premi speciali conferiti alla Piccinno in seno a vari concorsi letterari), Deborah Mega, Brunello Gentile, Ugo Piscopo (uno degli ultimi veri “decani” della poesia nostrana), Massimo Massa, Paolo Pozzi, Rossella Maggio, Piero Lo Iacono, Rosanna Bonafede, Antonella Griseri, Patrizia Romio, Marco Errico, Itala Cappello, Fabrizio Bregoli ed Elisa Silvatici.

Dunque giornalisti, critici, professori universitari, ma anche poeti, com’è facile recepire da alcuni nomi piuttosto noti e ampiamente stimati (non solo in Facebook, chiaramente, che sarebbe ben poca cosa) ed è questo che – a mio avviso – appare particolarmente interessante. La critica – non tanto il giudizio secco e perentorio, inflessibile e obiettivo – di quella accademica (pure presente in alcuni brani nel volume) ma dell’universo spensierato e smagato dei poeti, di quei creatori silenziosi capaci di sviscerare emozioni che sono di tutti, interloquire con le possibilità finanche col dubbio, di sorvolare su aree inesplorate pur sapendo rimanere, al contempo, con i piedi ben ancorati al suolo. Una critica mimetica ed empatica, dove il poeta che legge un altro poeta è come se si ritrovasse (o non ritrovasse, pur avendo piacere disquisirne), come se ritrovasse parti di sé (o tentasse di farlo), annodando fili di un’imprecisata matassa che è quella dell’esistenza, la medesima con la quale – con i linguaggi che possono pure essere diversissimi – anche lui ha a che fare e alla quale si trova avvinto. Ecco perché queste letture – con la particolarità di alcune autrici femminili e con sole poche eccezioni – sono così intime e ridenti, delle vere confessioni o dei conversari tra vecchi amici. Si nota, infatti, e lo si apprezza in maniera così istintiva, il fascino e la piacevolezza che questi autori (persone, prima; poeti, poi) hanno sperimentato nel corso della lettura delle opere della Piccinno, la loro immedesimazione e partecipazione, la loro vicinanza a un sentire che è forse comune ma la cui esplicitazione su carta è data ai pochi, a coloro che – citando Federico García Lorca – hanno “il fuoco nelle mani”.

Ci sono testi anche in lingua straniera, com’è il caso dell’albanese di Agron Shele e questo mette in luce anche un’altra delle caratteristiche del percorso letterario della Piccinno che la vede particolarmente connessa ad altre lingue e culture, a universi geografici particolarmente distanti con i quali dialoga, interagisce in uno scambio mutevole di conoscenze ed esperienze. Notevole è, a tal riguardo, il suo costante impegno nell’universo della traduzione. Operazione, questa, che va meritevolmente richiamata – il saggista prof. Domenico Pisana l’ha inserita tempo fa in un suo volume Inserita in “Pagine critiche di poesia contemporanea” (Il cuscino di stelle, 2019) che è un ponte tra culture apparentemente lontane – se teniamo in considerazione la nostra società multiculturale e sfaccettata, che sempre più reclama confronti e travasi d’esperienze umane e letterarie. Il sapersi (anzi, il volersi, che è cosa diversa) relazionarsi a un contesto più ampio di quello della provincia italiana che, invece, guarda all’internazionalità, diventa, infatti, prerequisito quasi fondamentale per una completa e più attenta coscienza collettiva, finanche per una responsabilità che proprio in quell’incontro, in quel dialogo tra pari, fa intravedere motivi di crescita, consapevolezza e, non da ultimo, di umanità. Rientrano in questa stagione d’impegno nell’interpretariato una serie di opere tra le quali le traduzioni in italiano di opere del peruviano Oscar Limache (“Volo d’identità. Poesie 1979-1986”, Il cuscino di stelle, 2018), della turca Ilal Karahan (“Angoli della notte”, Il cuscino di stelle, 2019), del tedesco Gino Leineweber (“Ciao oscurità”, Il cuscino di stelle, 2019), dell’arabo Raed Anis Al-Jishi (“Gabbiani sanguinanti. Guarda, senti, vola”, Il cuscino di stelle, 2018) e il recente volume “Una brezza mediterranea tra poeti italiani e turchi / A Mediterrean Breeze among Italian and Turkish Poets” a cura di Claudia Piccinno e Mesut Şenol (Il cuscino di stelle, 2020).

I tanti contributi critici raccolti nel volume permettono, così, di avvicinarsi ad alcune opere della Piccinno, che vengono proposte in un percorso à rebours, partendo dalla più recente spostandosi progressivamente alle precedenti pubblicazioni in ordine, dunque, anacronologico che tende, nel percorso a ritroso, all’evidenza di un percorso diluito nel tempo. Qui, infatti, vari autori di recensioni e commenti parlano di questi suoi libri: “La nota irriverente” (Il Cuscino di Stelle, 2019), “Rime sparse. Il suono di due voci del Mediterraneo” (CreateSpace Independent Publishing Platform, 2018 – opera a quattro mani col poeta albanese Agron Shele), “Ipotetico approdo” (Mediagraf, 2017), “Ragnatele cremisi” (Cuscino di stelle, 2017), “Il soffio. Cortometraggi d’altrove” (2013), “Potando L’euforbia” (inserita nel volume collettaneo “Transiti diversi”, Rupe Mutevole, 2012), “La sfinge e il Pierrot. Una voce in due tempi” (Aletti, 2011). A questo punto – di colpo – si cambia genere e vengono riportati commenti e recensioni su un recente volume della Piccinno di carattere saggistico che porta come titolo “Asimov: un volto inedito. L’umorismo di Isaac Asimov tra realtà e fantasia” (Il cuscino di stelle, 2020) interamente dedicato al celebre scrittore russo, pietra miliare del genere fantascientifico e creatore delle tre leggi sulla robotica con particolare attenzione alla sua raccolta di racconti “Azazel” (1982). Particolarmente pregevole e ben orchestrato, tra gli altri, è l’intervento del poeta brianzolo Fabrizio Bregoli.

Il volume si chiude – seguendo un’ideale percorso ovoidale – nelle prossimità di dov’era iniziato, ovvero ai nostri giorni, al 2020 da poco lasciatoci alle spalle, con la fresca pubblicazione “Tintenflügel / Ali d’inchiostro” (Ed. Verlag Expeditionen, 2020) che propone in doppia lingua tedesco-italiano una scelta di poesie della Nostra (la versione in tedesco è di Gino Leineweber) e “In nomine patris” (Il cuscino di stelle, 2018) opera di poco precedente.

Questa polifonia di voci qui raccolte che promanano dall’attenta lettura delle opere della Piccinno è così diversificata – per linguaggi, punti di vista, sistemi di perlustrazione e tanto altro – che l’opera risulta avvincente e l’interesse dell’ipotetico lettore mai viene meno. La combinazione dei testi, nelle loro diversificate analisi, fa sì che il lettore si senta incuriosito a ricercare e leggere determinate opere della Nostra anche per poter vedere quale potrebbe essere il nostro personale giudizio, determinato dall’effetto che l’opera ha prodotto in noi. Le risposte – infatti – sono molteplici, tutte a loro modo valide e confacenti all’opera della Nostra e tale polifonia – che è una ricchezza che si autoriproduce – non può non far pensare a quel che Pedro Salinas – poeta dell’amore e della poesia pura per antonomasia – ebbe ad osservare: “Quando una poesia è scritta è terminata, ma non finisce; comincia, cerca un’altra poesia in se stessa, nell’autore, nel lettore, nel silenzio”.

LORENZO SPURIO

Jesi, 12/02/2021

Note: La riproduzione del presente testo, sia in formato integrale che di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito se non ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’autore. E’ possibile, invece, citare dall’articolo con l’apposizione, in nota, del relativo riferimento di pubblicazione in forma chiara e integrale.

“Frammenti” di Francesca Costantini. Commento critico di Lorenzo Spurio

Il presente testo, scritto quale recensione al volume “Frammenti” (Bertoni, Perugia, 2020) di Francesca Costantini, e tale già diffuso su varie riviste online e cartacee, verrà inserito quale postfazione alla ristampa del volume nel corso del c.a.

Ho letto con piacere questo libro – opera prima di Francesca Costantini – che ho avuto l’occasione d’incontrare varie volte in seno ad alcune iniziative poetiche. Noto con piacere che nella raccolta figurano alcuni testi che la poetessa aveva letto nel corso di una manifestazione poetica itinerante tenutasi nel 2019 nelle Marche. Vincitrice della tappa svoltasi ad Urbino, presso la Sala della Poesia di Palazzo Odoasi, si era automaticamente aggiudicata l’accesso alla finale del Ver Sacrum – questo il nome del progetto sviluppato dall’Ass.ne Culturale Euterpe – dove con grande entusiasmo era stata proclamata vincitrice indiscussa della gara poetica itinerante. La cerimonia finale, inizialmente pensata per tenersi a Jesi, si tenne a Cupramontana in un contesto particolarmente piacevole, all’interno degli spazi suggestivi del MIG – Musei in Grotta.

Ricordo, tra i suoi testi, in particolare, la lirica “Terremoto” che mi colpì molto sin dalla prima volta che l’ascoltai pronunciata dalla stessa poetessa. Con uno sguardo attento sul testo, brevi accenni verso un pubblico in ascolto, la voce sicura non restia a un dolore intimo contenuto nel dramma di quegli enunciati. Ritrovo ora la poesia pubblicata in questa silloge. Conservandone un ricordo impressivo non ho potuto che soffermarmi a leggerla più volte notandone – anche nell’ordito dello scritto – la perfezione formale della lirica, oltre all’indiscussa capacità espressiva, la forza magmatica di comunicazione che in poesia non è mai qualcosa di scontato né semplice.

La struttura di questo componimento è data da brevissimi versi – in alcuni casi, come nel secondo verso, costituiti da un solo lemma – riuniti a gruppi (mi piace definirli così anche se si tratta di vere strofe) di tre versi. Il linguaggio scarno, volutamente teso a rimuovere il superfluo per far risaltare il necessario tra i lembi di un’assenza dolente che è data dal terremoto che ha prodotto macerie, creato il silenzio e ampliato distanze, è tale che, pur essendo un testo assertivo – lontana l’implorazione e la denuncia, finanche lo sdegno mosso da tensioni civili – arriva con grande potenza nell’ascoltatore. La levità delle immagini, la parsimonia lessicale che contraddistingue tutta la sua poetica, così incisiva e puntuale, nel caso della poesia “Terremoto” fungono da contraltare – non è un espediente, tutto avviene in forma autentica – alla drammaticità delle immagini evocate, al dolore insito tra i versi.

Questa poesia si ritrova all’interno del secondo compartimento di liriche che la Costantini ha raccolto sotto il titolo di “Frammenti di luce”. Nella poesia appena richiamata, che descrive un contesto di stordimento e di scuotimento, tanto fisico quanto emotivo, ritrova (o è intenzionata a ritrovare) la sua “luce” in quella – pur fioca – “speranza [che] riemerge/ e si fa/ voce di vita” (59). Versi, questi, che siglano l’explicit della lirica in un miscuglio di resilienza e fierezza arcaica del popolo marchigiano che dinanzi alle catastrofi e alle privazioni che ha incontrato sul suo cammino non ha mancato mai di far risaltare la sua identità ed espressione orgogliosa e combattiva.

Le poesie che compongono questa sezione – proprio come la poesia “Terremoto” – sono per lo più poesie di buio e di apparente rassegnazione, di tribolazione e di sonno della coscienza che nella sintesi delle vicende poste in oggetto, nelle varie tematiche – molte d’impegno civile – che interessano questi testi, permettono, comunque, l’apertura di un varco di luce, la possibilità di un cambiamento, un bagliore pronto a rischiarare, così come avviene in “Lato oscuro” la cui chiusa richiama un’immagine di luminosità. La poetessa vuol forse lasciar intendere che, sebbene il mondo sia spesso dominato dal male, dai vizi e dalle disattenzioni verso le situazioni di rischio ed emarginazione, la possibilità della luce mai deve essere scartata e, anzi, al contrario, deve essere sostenuta, praticata, percorsa e – chiaramente – condivisa.

Il contrasto oscurità-luce, metafora di discesa-ascesa, morte-vita, abbattimento-speranza, si ritrova in “Candele e lanterne”, un componimento che ricalca il dramma del periodo dettato dall’emergenza Coronavirus (“si spengono / le vite / al soffio di questo gelido vento // Una dietro l’altra / come foglie d’autunno / cadono // […] // come formiche allineate / sfilano / le bare / con dentro i vostri corpi”), fotogramma della triste scia di autocarri militari di Bergamo – nel picco della prima ondata del COVID-19 – che nessuno di noi può dimenticare (né fingere di non aver visto). Anche in questo caso la Costantini prevede una chiusa di speranza, stavolta in chiave spirituale: “Ma le vostre Anime! / Come lanterne volanti / quelle in cielo / salgono / una accanto all’altra”.

Il poeta Stefano Sorcinelli, che sigla l’articolata prefazione al volume, richiama la cosiddetta poesia confessionale di marca americana (Plath, Sexton, Lowell) per avvicinarsi e descrivere la poetica della Nostra. Credo che ci sia senz’altro qualcosa di questa confessione che si muove nelle pieghe dell’io, in quel bisogno non procrastinabile di ascolto interiore, di ricerca personale, di auscultazione, di dialogo intersoggettivo dinanzi ai tristi accadimenti del presente che si fanno storia. Eppure mi pare di poter osservare che è un atteggiamento partecipe e filantropico, teso a una lettura solidale e collettiva di un sentimento comune, dove l’àncora di salvataggio spesso è vista, dietro quella confessione intima che è sorgiva e impellente, proprio in quel desiderio di riferirsi a un’alterità, a un al di là possibile e necessario per poter spiegare (nei limiti di spiegazioni razionali) il senso e la destinazione di accadimenti difficilmente configurabili.

Tanto in “Terremoto” che in “Candele e lanterne”, difatti, sembra di trovare, rileggendo più volte i rispettivi testi, un senso di pacificazione dato dal percorso che la Poetessa attua con i suoi versi. Dinanzi alla spigolosità dei fatti, la Nostra è in grado di entrare nella materia poetica, di viverla, di renderci partecipi della mestizia, della perdizione, del tormento. Questo, però, che in altri autori ha visto avere quali esiti il melenso pietismo o, al contrario, la condanna spietata, nella Costantini prende la forma di una meditazione dai tratti quasi ontologica, di una preghiera, sulle onde di un sentimento che è intimo ma anche plurale, personale e collettivo. Scopo della poesia non è parlare di sé e costruire biografie in versi che hanno forse utilità in chi le produce e che rimangono distanti (quando non incomprensibili) a terzi, ma di rendere universale il reale, di estendere la validità di un accadimento (e di un dolore) alla partecipazione onesta e sentita di una pluralità. Una poesia, quella della Costantini, che si staglia tra preghiera e riflessione, ben lontana da forme gridate di condanna o da insulso vittimismo.

Torno ora, con un percorso à rebours che – spero – mi si perdonerà, alla prima parte dell’opera, anch’essa “giocata” sui contrasti tra bagliori e abissi; essa ci parla di “Frammenti di ombra” dove a dominare sono i temi che girano attorno al senso di mancanza, alla frustrazione dettata dal percepire l’assenza di una persona amata, finanche la passività dolorosa che detta il senso d’impotenza (che non deve lasciar il posto alla rassegnazione) dinanzi ad accadimenti improvvisi e imprevisti che a volte la vita ci mette dinanzi.

Liriche per lo più notturne, dai contorni non meglio definiti, o dove questa patina d’incertezza e oscurità sembra non dare scampo all’io lirico (“mi guarda indifferente / mentre la mia ombra si confonde fra la gente”). Se dovessimo riferirci a uno dei cinque sensi per descrivere queste liriche, al di là della vista il cui senso oggettivamente è pervasivamente presente in tutto il volume nei contrasti testé richiamati, penso che è l’universo sonoro a rappresentare una posizione di rilievo. Poesie quali “Parole”, “Come potevo” (con i suoi incalzanti interrogativi), “Sono qui” (con il caratteristico rimando anaforico), “La tua voce” ricordano – spesso in una logica privativa – la dominanza di una dimensione sonora: percepita o meno, ricercata, evocata, echeggiata, mal udita, inascoltata, etc.

Ad arricchire il volume sono alcuni dipinti della nota Mara Pianosi che, pure, è l’autrice del dipinto curioso, che svela e copre, fa intravedere e immaginare, un particolare del volto dell’autrice colta mentre fissa in un punto imprecisato che è verso un “oltre”, un al di là dal reale, in una direzione approssimativamente verso l’alto. Tale immagine, oltre a fondersi e a rispecchiarsi molto bene col titolo del libro – quel fragmenta che è partizione di una totalità – è un appropriato apripista visivo ai contenuti poetici che questa silloge propone, con un’asciuttezza formale che mai fa venir meno l’alta capacità espressiva e mimetica in noi lettori.

LORENZO SPURIO

Jesi, 01/02/2020

Note: La riproduzione del presente testo, sia in formato integrale che di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito se non ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’autore. E’ possibile, invece, citare dall’articolo con l’apposizione, in nota, del relativo riferimento di pubblicazione in forma chiara e integrale.

“Variazioni minime” di Luciana Raggi, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Cerco luoghi nuovi

per riporre speranze antiche. (43)

Leggendo la nuova raccolta poetica della poetessa Luciana Raggi, Variazioni minime (Lithos, Roma, 2020), mi sono magicamente subito sentito in sintonia: ho percepito, dinanzi ad alcuni versi di potente fascinazione visiva, un sentimento di vero e proprio coinvolgimento che trovo difficile anche raccontare a parole. La poetessa romana Michela Zanarella tempo fa, scrivendo la prefazione al mio libro di poesie Pareidolia (The Writer, Marano Principato, 2018), concludeva che la mia poetica era quella di una persona che “narra in versi l’invisibile” e questa definizione, per altro molto suasiva e pertinente, credo che possa ben addirsi anche alla presente opera della Raggi dove, manco a farlo a posta, l’apertura è data da una ricca e personalissima nota critica della stessa Zanarella.

Si percepisce, nel dettato che anticipa la silloge multipartita, un fascino intestino con i versi, un animo densamente diffuso nella liricità e nell’evocazione. Nella prefazione – che mi pare di leggere con le lenti di una vera e propria prosa lirica – si legge: “Luciana Raggi si accosta all’invisibile sulla soglia della trasparenza, attraverso una poesia fluida, intuitiva, quasi magica” (6) e poi, ancora, “Variazioni minime è da considerarsi una raccolta raffinata e completa per imparare ad osservare ciò che sembra etereo o introvabile” (7). Stupenda questa definizione che la Zanarella impiega nel tentativo, arcano quanto insondabile ai più, di riferirsi a un campo di possibilità potenzialmente infinito, vago e apparentemente astruso, che si compie in quel senso privo di margine dell’infinito e dell’assoluto. Osservare ciò che è etereo sembrerebbe un paradosso, eppure è proprio questo che l’occhio vigile e la penna parca della Raggi fanno: viviseziona l’invisibile, affronta realtà incorporee, dialoga con lo spazio, circumnaviga l’assenza delle forme. In questo procedimento linguistico che non rasenta lo psichedelico ma che fa dell’ineffabile e dell’inavvertito i motivi trainanti di un sentire superiore, metafisico, nebulizzato, si ravvisa l’impronta – direi per lo più inedita se pensiamo ai precedenti lavori della Raggi – della poetessa romagnola, da tanti anni attiva nella Capitale.

Il raffronto e il dialogo con un contesto che sfugge dall’empirismo per richiedere una soluzione olistica nella Raggi prende la forma di un narrare un non visto, di dar forma all’amorfo, di concretizzare nei versi l’imprendibile. Questo non comporta, come in altri casi è accaduto, a una verticizzazione dell’analogia, alla creazione di un testo spinoso ed enigmatico dove risulta impossibile trovare le chiavi – tanto fisiche che ermeneutiche – per addentrarsi nell’opera, né a una deriva asemantica poiché è proprio nell’interstizio tra reale e possibilità di reale, tra confine tra ciò che sperimento e ciò che, invece, costruisco mentalmente, che la creazione poetica della Raggi deve essere situata.

Questo libro si presenta con una suddivisione interna in ulteriori partizioni, la prima della quale, dal titolo “Tutto cambia”, è anticipata da versi di Julio Numhauser e del beat centenario Lawrence Ferlinghetti. Il tema è quello del cambiamento, dell’irreversibile mutamento che nelle varie forme della crescita, derivazione e consunzione, esso rappresenta. Concetto parallelo a quello della temporalità – uno dei fili rossi del volume – è quello del cromatismo; la Nostra non manca di riferirsi al sistema di luce e ombre, ai fenomeni ottici e luminosi che decretano la visione, nell’uomo, di determinati colori o condizioni particolari. Ecco che il motivo della “Variazione” appare in varie poesie, essa ha a che vedere con la percezione e il grado di avvicinamento all’oggetto che ci si pone di analizzare; non una minuzia né un dettaglio trascurabile dal momento che, come asserisce, “Ogni variazione vale / inclusa questa / di questa scarna parola / da assaporare” (12). In un’altra poesia che appartiene sempre a questa prima sezione si legge: “Minime variazioni / arrivano lentamente” (14). Le poesie di Luciana Raggi, forse più di altre che appaiono fruibili più velocemente ma assai più convenzionali, necessitano una duplice lettura dal momento che vari possono essere i significati a seconda del tipo di legame che vogliamo far emergere tra i singoli vocaboli che la compongono.

I temi che possono essere posti in rilievo dei quali, più o meno direttamente, si parla nella nuova silloge sono il tempo che passa e il tempo d’attesa, il cambiamento e la rinascita, la dispersione e la mutabilità, la rifrazione e il rispecchiamento (spesso, in questa società difficile, risulta complicato mostrarsi per quel che si è ma altrettanto complicato è riuscire a riconoscersi), la cecità emozionale e l’incongruenza di linguaggio. L’idea del cambiamento, come già anticipato, non sempre è benevola, vale a dire in alcuni contesti prende la forma di una cornice nella quale si parla di un’età che decade, che si consuma o dalla quale, per qualche ragione, si tende ad allontanarsi se non addirittura a fuggire.

Che a dominare sia l’isotopia del vedere con tutte le sue relative connotazioni è evidente non solo dal titolo e dall’uso di una terminologia specifica che fa riferimento, appunto, alla dimensione dell’oculistica e dello studio della luce, ma anche alla stupefacente immagine di copertina, dove nei toni di un verde acquamarina e leggermente sfumato si intravede un primo piano di un occhio (non è dato sapere se di uomo o di donna, non è questo che realmente interessa) con la pupilla fissa e lucida, pur nella nerezza delle linee che la contornano, fissa a guardare chi si pone avanti, trasmettendo anche un senso di soggezione: sembra di vedere all’interno del bulbo oculare una perla luminosissima, una superficie argentata che richiama e intimorisce al contempo, una sorta di specchio che ricalca dell’altro. La postura dell’occhio sembra normale, ripreso in un momento comune e a testimoniarlo sono ciglia e sopracciglia che, in posizione rilassata, consentono di trasmettere l’idea, appunto, di un occhio che semplicemente guarda. Che non ammicca, né si sgrana, che non implora né condanna. Soprattutto, che non piange. Il fenomeno di sguardi, di luci e parvenze di forme ricorre un po’ tutta l’opera e si associa a quel mutismo della parola che non è negazione del dire quanto, forse, rivelazione e dialogo con mezzi extralinguistici, tanto prossemici che intuitivi, codificati in un veicolare segni, risposte e messaggi proprio attraverso il “saper vedere” e il “saper mostrare”: “Non servono parole: / l’impatto luminoso / cambia la scena” (21).

Versi di grande impatto e degni dell’alta tradizione lirica se ne trovano a decine in questo libro dignitosissimo nella versione grafica, ricchissimo, appunto nelle fortunate e versatili immagini in grado di costruire. Qualche esempio merita senz’altro di essere riportato: “Ogni cosa ha un’anima / che non si fa catturare” (22); “Il mondo non mi vede: / mi girerò a guardare sul muro / la luce che muore” (24). Il poeta milanese Rodolfo Vettorello, sull’onda – credo – di un’invettiva e un monito alla riflessione, tempo fa ebbe a scrivere che “Gli arcobaleni non servono a niente, come la poesia” riannodando la situazione di una questione nevralgica negli studi di settore che già fu oggetto di Montale in sede di conferimento del Nobel ovvero l’utilità o meno della poesia. Ecco che, leggendo i versi di Luciana Raggi, credo che si possa con facilità contestare la similitudine assiomatica di cui sopra che, pur utile per animare un dibattito, trova nel fascino verso il divenire, il cambiamento di luce, la sfumatura di forme e le linee vaghe di ombre e possibilità una risposta seducente pur ariosa, imprendibile eppure sì vincente.

La seconda sezione del volume, “Nomade fra le parole”, è anticipata da un estratto di un brano del cantautore-poeta Roberto Vecchioni e da un estratto dalla poetessa confessionale e intimista Emily Dickinson. Viene qui posto il tema dell’erranza del poeta, non tanto quella della mania deambulatrice ottocentesca né del flaneur disincantato ma proprio l’erranza, il sentimento di mancata radicalità del linguaggio: “Sto qui // qui a guardare il bianco: // nomade / tra le parole dette” (37). Particolare attenzione va mostrata ad alcune liriche di questa partizione: “Come ciechi i poeti / a tentoni cercano il bianco / per lasciare impronte del viaggio” (40); “Certe parole non dicono quel che dicono / vivono squilibrate per variazioni minime. / Di ciò che significavano prima / domani non ci sarà memoria. // […] / Attraversa metafore e analogie / spostamenti metonimie / gioca a disfare e rifare // […] / Nella pazienza del poeta” (44).

Nel riferirsi all’universo linguistico-comunicativo della parola importante risulta, oltre al non-detto (“Fra nodi di silenzi / celato nella solitudine / una folle idea s’affacciò improvvisa”, 56) e all’evocativo, anche il mal-detto, ciò a cui la poetessa si riferisce con l’accezione di “impigliati in risse di parole feroci” (52) e, finanche, il mal-compreso, spesso all’origine di sovrapposizione e caos, precarietà di linguaggio, mancata interrelazione e impiego di sistemi non codificati, cacofonia o riluttanza dinanzi alla sfera semantica. Ci sono, infatti, nel rapporto dialogico anche esperienze infelici di confronto, che slittano nell’incomprensione quando non addirittura nel diverbio: “Rigettate / nella furia dell’urlo // […] / Acidi suoni / […] / Parole a lungo masticate / mai digerite” (55). Finanche, come già intuito, la mimica corporale, la comunicazione extralinguistica che può imporre un segno distintivo, tanto nel bene che nel male: “Uno sguardo intenso / arretra le parole” (58).

A stemperare il (possibile) divario derivato da un allontanamento o un dissidio (più o meno complicato) originato dal dire furioso o da un’incomprensione di fondo, sembra venire in assistenza l’ultima sezione del volume, dal titolo che apre alla speranza di un ravvedimento o, per lo meno, a una possibile occorrenza di concordia ritrovata, “L’arte dell’incontro”. Questa volta i “padri putativi” che la Poetessa richiama nelle note in esergo a questa nuova partizione, oltre a Vinicius de Moraes è l’immancabile Eugenio Montale che parla di “un segno intellegibile / che può dar senso al tutto”, versi tratti da “Esitammo un istante” che fa parte del noto Diario postumo. Versi che nella loro asciuttezza e perentorietà, nella sinottica versione che ha dell’epigrammatico quanto della rivelazione, ben si condensa la poetica della Raggi con questa opera che presenta – non solo in questa partizione – un’evidente fascinazione per la poetica di Montale, ma anche di Raboni e Sereni, finanche della nostalgica Pozzi; in quel senso di mistero che ritorna – se si eccettua la virata spirituale nella Raggi per lo più assente[1] – pare in alcuni passi di leggere brani della Guidacci.

Di questa sezione finale si apprezzano in particolar modo le liriche di chiusura, poste “a specchio” dedicate rispettivamente alla Città Eterna dove la Poetessa vive e lavora da molti anni, a Sogliano al Rubicone, nel Forlivese, dove la Poetessa, invece, è nata e a Matera, la città visitata con particolare trasporto nei cui componimenti non può lasciarsi trasportare anche dal sentimento civile rimembrando l’eccelsa (e poco studiata e tributata) figura dell’attivista, poeta, scrittore e sindaco di Tricase, Rocco Scotellaro che, col romanzo L’uva puttanella e l’intera produzione poetica, parlò dei drammi del Meridione contadino: “Sguardi tristi / dal dolore antico / gente segnata dalla fatica / di un lavoro paziente / scandito dalla natura / dalla prepotenza delle stagioni./ […] / Rocco adulto che lotta / per un giusto riscatto / e ancora Rocco morto / pianto dalla sua gente. / […] / Rocco e la sua poesia” (84). Il messaggio totale di questo nuovo lavoro poetico della Raggi, in “questo errare inquieto” (75) in mezzo a “ragion[i] liquid[e] [che] […] avvolg[ono]” (76) è di certo lucente e positivo, dettato da slancio vitale: “Spinti dal rifiuto / sull’orlo del baratro / nella ferita dell’urlo. / Smarriti confusi / in fiala avanziamo” (79). C’è, dopotutto, una grande esigenza di rivelazione, una voglia di dire, di ampliare idee, di costruire, pur partendo da diorami improbabili e ombre sul muro, consensi sicuri e realtà di speranza: “non perdiamo le parole // urliamo la pace” (28).

LORENZO SPURIO

Jesi, 10/01/2021

Note: La riproduzione del presente testo, sia in formato integrale che di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito se non ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’autore. E’ possibile, invece, citare dall’articolo con l’apposizione, in nota, del relativo riferimento di pubblicazione in forma chiara e integrale.


[1] Nella poesia che apre la sezione “L’arte dell’incontro” è possibile leggere: “Non importa ragionare sull’esistenza di Dio / Bisogna essere dolci capirsi / […] / Pascolare speranze / […] / Rifrangere residui di dubbi e formattare certezze / […]/ Emettere il respiro che è centro del mondo” (63). Altro riferimento a Dio si trova in una poesia molto breve che mi sembra utile riportare in forma integrale: “Quel Dio / che spesso si sottrae // l’ho sentito quel giorno / in riva al mare. // Nel guizzo dell’onda / sussurrava il ritorno. // Era donna. / Portava in grembo l’infinito” (71).

La poesia ai raggi X: esce il saggio “Inchiesta sulla Poesia” di L. Spurio

È uscito il volume del critico Lorenzo Spurio dal titolo Inchiesta sulla poesia. L’opera – che conta 238 pagine – è stata pubblicata nella collana “I saggi” della casa editrice PlaceBook Publishing & Writer Agency di Rieti a cura di Fabio Pedrazzi. Il libro raccoglie saggi e approfondimenti che il critico marchigiano ha voluto dedicare alla poesia e alle sue varie sfaccettature ed è il completamento di un’iniziativa da lui lanciata nel dicembre 2019 quando decise – come richiama il titolo – di lanciare un’inchiesta sulla poesia. Una serie di domande, di cui la gran parte aperte, rivolte potenzialmente a tutti ma preferibilmente dirette ai poeti, a coloro che la poesia “la fanno”. L’adesione è stata massiccia, circa duecento poeti italiani e non solo ed è stata trasversale vedendo partecipare poeti di tutte le generazioni, di qualsiasi tendenza, caratterizzati da stili, tematiche e propensioni quanto mai diversificate. L’iniziativa di Spurio ha dato il via al presente saggio nel quale, tra i numerosi argomenti trattati, si parla dell’impossibilità di definizione della poesia, del suo ruolo, delle commistioni con le arti, della musicalità, del pubblico, delle manifestazioni collettive quali il reading, il premio letterario e il poetry slam con un excursus anche sui poeti dimenticati – ingiustamente, colpevolmente – sottoposti a una bieca damnatio memoriae. Diviso in opportune sezioni nelle quali si dibatte su vari argomenti, l’autore ha deciso di occuparsi anche del rapporto tra poesia e scienza, dell’importanza della critica, lasciando aperta la porta sulle possibili idee di un futuro della poesia.

Ad arricchire il volume sono una nota introduttiva del critico letterario abruzzese Massimo Pasqualone e, in appendice, alcuni contributi aggiuntivi che aiutano ad ampliare ancor più lo studio e la riflessione sulla complessità dell’universo poetico nella nostra contemporaneità. L’autore ha deciso infatti d’inserire il testo di una sua recensione scritta tempo fa per il poeta e haijin campano Antonio Sacco interamente volta ad approfondire il fenomeno della poesia epigrammatica orientale dello haiku e un saggio particolarmente interessante, sulle nuove forme e linguaggi poetici, dalla street poetry alla InstaPoetry, scritto dalla poetessa Flavia Novelli. Inoltre vi è una nutrita scelta di citazioni sulla poesia del noto poeta e giurista Corrado Calabrò estratte da un suo saggio dal titolo particolarmente evocativo (“C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia?”), pubblicato in prima versione ormai qualche anno fa e qui riproposto per accenni e rimandi che ci si augura possano apparire interessanti e, dunque, essere colti. Non mancano – nel corso dell’intero saggio – riproposizioni di brevi brani, assunti quali citazioni, di alcune delle risposte fornite dagli intervistati che Spurio ha ritenuto propedeutiche allo studio, nonché interessanti e motivo di ulteriore arricchimento per la dissertazione, da proporre e rendere fruibile alla collettività.

Lorenzo Spurio (Jesi, 1985), poeta, scrittore e critico letterario. Per la poesia ha pubblicato Neoplasie civili (2014), Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico García Lorca (2016; 2020) e Pareidolia (2018). Ha curato antologie poetiche tra cui Convivio in versi. Mappatura democratica della poesia marchigiana (2016). Per la narrativa ha pubblicato tre raccolte di racconti. Intensa la sua attività quale critico con la pubblicazione di saggi in rivista e volume, approfondimenti, tra cui le monografie su Ian McEwan, il volume Cattivi dentro: dominazione, violenza e deviazione in alcune opere scelte della letteratura straniera (2018), Scritti marchigiani (2017) e La nuova poesia marchigiana (2019). Tra i suoi principali interessi figura il poeta Federico García Lorca al quale ha dedicato un saggio sulla sua opera teatrale, tutt’ora inedito e tiene incontri tematici, oltre ad aver curato il volume Il canto vuole essere luce. Leggendo Federico García Lorca (2020). Ha tradotto dallo spagnolo una selezione di poesie di Dina Bellrham confluite in Le iguane non mi turbano più (2020). Presidente dell’Associazione Culturale Euterpe di Jesi, ha ideato e presiede il Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”. Sulla sua opera hanno scritto, tra gli altri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Dante Maffia, Ugo Piscopo, Nazario Pardini, Antonio Spagnuolo, Emerico Giachery.

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