L. Spurio su “Eva non è sola” progetto contro la violenza sessuale di Lorena Marcelli

 

eva

In questo volume antologico curato dalla scrittrice abruzzese Lorena Marcelli trovano posto racconti e poesie di vari autori contemporanei che hanno aderito alla causa di denuncia contro l’inarrestabile fenomeno della violenza di genere. In particolar modo è nei contributi narrativi che i vari autori sono riusciti a rendere con tocchi di alta qualità linguistica e perfetta padronanza del genere, i degradati ambiti relazionali e sociali, le aridità umane e i nevrotici meccanismi della mente che sono protagonisti di storie inenarrabili e dolorose dove è la sregolata azione umana a dettare le esistenze dei suoi simili.

Uomini soli o scontenti, delusi e incompresi o più spesso maneschi ed ossessionati, profondamente gelosi e dalla cultura fondata su una impostazione retrograda e patriarcale, come i peggiori mostri o caratteri maligni della fiaba più terrificante, mostrano tutte le loro ambiguità di fondo, le debolezze mascherate dall’adozione della violenza e dalla manifesta supremazia. Sono descritti scenari familiari e relazionali alquanto difficili dove la comprensione per le donne sole e dominate sembra essere la grande assente, tanto da spingere le malcapitate a una fuga dal contesto domestico che difficilmente riesce a compiersi perché –per citare dal racconto di Corinne Savarese- “la sofferenza è un mantello gelido che cala addosso e toglie il sole”.

Due date importanti nella legislazione del nostro Paese che hanno concesso alla donna una maggiore possibilità di tutelarsi e di rivendicare il proprio stato d’abnegazione indotta e di vera e propria schiavitù sono rappresentate dall’abrogazione del cosiddetto delitto d’onore[1] (1981) e dal riconoscimento del femminicidio quale reato propriamente detto (2013) che prevede un inasprimento della gravità nei confronti degli atti persecutori (stalking) commessi od omicidio contro il partner, coniuge o convivente.

Un programma televisivo come “Amore criminale” (Rai3), il prossimo anno alla decima edizione, risulta essere uno dei format di denuncia alla violenza sessuale più seguiti e sarebbe senz’altro stato impensabile solamente venti o venticinque anni fa quando la violenza sulla donna veniva denunciata molto meno, malcelata o sviata in modi e forme che contribuivano alla decolpevolizzazione del gesto verso l’uomo e alla mancata protezione sociale verso la donna. Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di violenza sessuale anche per mezzo di un’ampia campagna volta alla denuncia e alla coscienziazione su quanto sia ulteriormente peggiorativo e lesivo della persona interessata e della società celare, tentare di annullare o archiviare un dato episodio di violenza. La casistica che si presenta all’interno di una coppia dove l’uomo giunge all’adozione spregiudicata della violenza è per lo più similare se non addirittura un copione ormai troppo noto che si ripete assai frequentemente.

Denunce di stalking fatte ed archiviate, denunce di violenza che impongono l’uomo a stare lontano dalla casa e dal raggio d’azione della donna, affido unico dei minori alla madre e soprattutto l’evidenza della fine del rapporto sono i temi cardine dai quali si sviluppa furiosa l’energia dirompente e annullante dell’uomo. Compreso che l’altra metà non è più in qualche modo suggestionabile e assoggettabile, l’uomo –come sospinto in un retrogrado recupero dello stato di natura- perde ogni peculiarità propria del genere umano e si brutalizza. Come un animale selvaggio impiega la forza per ottenere ciò di cui ha bisogno, una volta che il ragionamento, il dialogo, il desiderio di una crescita hanno dimostrato l’inefficacia nel suo ferino percorso di depredazione. Ecco che gli istinti di morte sopravvengono in maniera incontenibile sfociando su ciò che fino a poco prima era stato l’oggetto dell’amore, la donna della propria vita, la compagna di un’intera esistenza. Non sono infrequenti, infatti, fenomeni di femminicidio anche all’interno di coppie unite in matrimonio da vari decenni. Il femminicidio non è un fenomeno mappabile per età, livello culturale, geografia, condizione economica, confessione religiosa, etc. perché –lo si è visto dalla cronaca- interessa fasce generazionali diverse, intacca persone dall’alto profilo umano come pure persone modeste, che conducono una vita semplice. Se la cultura potesse intervenire a sanare questo difficile problema, che ha assunto i tratti di una realtà endemica, allora si potrebbe lavorare in questa direzione per non consentire che strati disagiati ed emarginati della società cadano in questo baratro ma purtroppo il livello culturale, l’apertura nei confronti della società, il grado di istruzione etc. non sono paradigmi che incidono direttamente su questo tipo di relazioni malate, su questi accecamenti della psiche quando tutto viene travolto da un annebbiamento pauroso della mente dal quale non è possibile mettersi in salvo.

Ecco, allora, che progetti come questo curato da Lorena Marcelli possono essere utili nella società frammentata dell’oggi dove il problema è sempre più concreto tanto da poter riguardare la nostra vicina di casa come pure una nostra amica che, per vergogna, riesce a tenere tutto nascosto sino a che non si presenta un episodio critico che palesa la situazione di inadeguatezza e sofferenza.

Parlare del femminicidio e della violenza in genere non serve a risolvere né a sanare un problema talmente vasto e radicato, purtroppo, in un certo tipo di cultura che, se per molte cose può dirsi all’avanguardia e innervata su un rimarchevole sviluppo umano, dall’altro canto è essa stessa erede di una forma pregiudiziale, maschilista e patriarcale, di quel patriarcato austero di provincia relegato in famiglie spesso numerose ma dove l’orrore è un fatto facile e genetico da nascondere.

La società d’oggi, suggestionata da continui casi d’inciviltà e di sfruttamento è ben informata su cosa è richiesto di fare, rispondendo alla propria coscienza e all’impegno etico di chi è cittadino del mondo, dinanzi a casi d’abuso, di violenza, di sottomissione e, in ciascun modo, di emarginazione e annullamento dell’identità altrui. Permangono delle nocive sacche di resistenza rappresentate dall’omertà e dall’indifferenza, le due spregevoli sorelle che ancora sembra difficile da battere, complice quella cultura della tradizione e della strenua difesa dell’onore che in molti ancora non sono in grado di svilire, neppure al costo del salvataggio di una vita.

C’è poi la questione religiosa che non è da sottovalutare. La vecchia Europa è da anni il bacino d’approdo di numerose famiglie di altre parti del mondo, spesso di fede musulmana. Figlie di berberi che in Europa cercano di condurre la vita familiare nella piramidale organizzazione della società com’è nella loro cultura patriarcale e dispotica che, invece, fanno loro il nuovo stile di vita, quello italiano per l’appunto, senza indossare l’imposto velo, ricorrendo ai trucchi, scegliendo abiti colorati e moderni e dedicandosi in maniera particolare alla cura del corpo. Indimenticabile la vicenda della povera Hina Saleem che alcuni anni fa venne massacrata dal padre, dallo zio e da altri uomini della sua famiglia con la colpa di aver voluto vivere all’occidentale, di aver voluto indossare jeans e prendere parte alla normale vita sociale come le sue coetanee. Si tratta, allora, in questo caso di adoperare una piccola rettifica in merito a quanto esposto precedentemente circa il fattore culturale quale elemento incidente o meno in episodi di violenza di genere. La questione si fa oltremodo articolata tenendo in considerazione che in quella circostanza, come pure in altre simili, alcuni esponenti della comunità islamica non mancarono di prendere le distanze dall’esecrabile gesto.

Con questa opera si dà voce a chi l’ha perduta perché gli è stata tolta, alle donne che sono state imbavagliate, malmenate e costrette al silenzio, a tutte quelle persone che vivono nel tormento una condizione di profondo dolore, depressione e la convinzione di essere nulli per se stessi e per il mondo tutto. Vittime sacrificali di una crudeltà che è la vita degenerata della società d’oggi dove il sentimento e il rispetto finiscono per essere poca cosa quando si viene accecati dalla gelosia, dal risentimento, dall’odio e dalla necessità di rivalsa.

Il volume Eva non è sola curato da Lorena Marcelli si avvale del sostegno di amministrazioni pubbliche locali che hanno apprezzato l’esimio lavoro promosso riconoscendolo come degno di spessore a livello sociale, tra di loro la Provincia di Teramo e il Comune di Roseto degli Abruzzi dove si è tenuta la presentazione ufficiale del volume il 25 novembre u.s. presso la Sala Consiliare. A seguire l’antologia è stata proposta anche a Campobasso, Termoli e Pescara e tra le prossime tappe che la vedono protagonista figurano L’Aquila (il 18 gennaio) e Giulianova (il 20 gennaio). Il costo contenuto del volume (10€) permette una lettura non facile né dolce ma ricca di spunti di analisi tanto da rinvigorire quell’impegno socio-civile spesso tiepido e vacuo, a favore di una battaglia che è indistintamente di tutti. Affinché Eva non sia sola è necessario, però, sradicare il pregiudizio, archiviare i superomistici spiriti d’orgoglio maschile ed impiegare il cervello, unico mezzo che può consentire di comprendere la realtà. La violenza non è dell’uomo e quando egli se ne appropria deve essere condannato duramente senza scusanti di sorta.

 

 

La curatrice del volume

Lorena Marcelli vive in Abruzzo. Con lo pseudonimo di “Laura Fioretti” ha pubblicato i romanzi Uno strano scherzo del destino (2014), Per averti (2014) e Avrò cura di te (2015). Nel 2014 è risultata vincitrice assoluta del Concorso Nazionale indetto dall’editore Marcelli di Ancona nell’occasione del 50esimo anno di attività con il thriller storico L’enigma del Battista. In digitale ha pubblicato, con i tipi della Casa Editrice EEE, i romanzi La collina di girasoli (2015) e Un’altra direzione (2016).

Lorenzo Spurio

Jesi, 22-12-2016

 

[1] In Italia, come in altri paesi dell’Europa, veniva riconosciuto un attenuamento sensibile di pena o addirittura la cancellazione di pena in determinate circostanze nelle quale un crimine commesso interessava questioni di difesa dell’onore familiare. Vale a dire il genitore che uccideva la figlia perché questa si era unita sessualmente con un uomo diverso dal marito da lui ordinatole, contravvenendo a infangare il suo onore e la rispettabilità della famiglia, non era propriamente un reato ma un’azione preventiva e sanzionatoria in qualche modo concessagli dallo stato. Il crimine non veniva considerato in quanto tale ma era valutato in base alle logiche relazionali tra gli intervenuti e le ragioni che portavano all’assunzione di quel dato gesto omicida.

“Oreste a Elettra”, poesia di Emanuele Marcuccio

ORESTE A ELETTRA[1]

DI EMANUELE MARCUCCIO 

Oh quale dolore provasti

per la tua

trista sorte:

reietta, percossa, disprezzata!

Ma ora,

felicità insperata

giunge

alle tue pupille stanche:

tuo fratello,

creduto morto,

giunto è alfine

a liberarti,

ad abbracciarti,

dolce sorella;

quanto hai sofferto…

aspra guerra…

quale battaglia…

fosti risoluta!

Come montagna

che giammai trema

sotto le sferze del ciclone,

come cascata,

che vasta

erompe precipite,

non t’arrestasti!

Pronta eri

anche a morire,

cara sorella…

pronti erano

a seppellirti viva,

pur di

serrarti la bocca…

una bocca che nacque

ad indorare baci

quando sposa…

casta fanciulla,

ambra di rose…

non soffrir più…

riposa

sul mio cuor…

non soffrir più…

non soffrir più…

 

Orestes_Electra.jpg

[1] Ispirato da un episodio dell’Elettra di Sofocle. Scritta il 9 ottobre 1996, poi edita in Emanuele Marcucio, Per una strada, SBC, 2009, pp.72-73, viene presentata in una seconda versione riveduta del 4 dicembre 2016. [N.d.A.]

Lucia Bonanni su “Dipthycha 3” di Emanuele Marcuccio

Dipthycha 3 di Emanuele Marcuccio[1]

a cura di Lucia Bonanni 

È questa corrispondenza il motore, il fulcro di questi particolari dittici, tra le diverse voci di due poeti, i quali non cercano di imitarsi a vicenda, ma rimangono fedeli, ognuno al proprio modo di poetare.  (Emanuele Marcuccio)

E alla poesia come a tutta l’arte si ricorre per sentire un accenno di umanità, di fraternità, di dolore, ma anche speranza e fede, comprensione e amore […].  (Michele Miano)

[G]li autori in dittico sembrano quasi tenersi leggiadramente per mano, scanzonati, […] per poi unirsi agli altri in un girotondo, che poi è il girotondo dell’Anima.  (Lorenzo Spurio)

In un tempo in cui l’incapacità di stare con noi stessi condiziona le scelte individuali e i valori in cui credere, l’arte creativa è necessità, attenzione, equilibrio interiore, sollievo e terapia. Ritrovarsi in un’unica ed armonica identità, stringere mani simbolicamente, applaudire, esultare, provare emozioni, abbracciare una policromia di voci è momento eccelso di interazione sociale in cui la comunicazione offre contatti privilegiati.

Dipthycha 3_original cover_front_900.jpgIn questa raccolta antologica, unica nel suo genere e nella sua valenza concettuale, sono confluite decine di liriche a confermare la validità del progetto ideato da Emanuele Marcuccio per rispondere a chi in tono distaccato e pessimista chiede se è ancora possibile la poesia. Anche per questo la lettura di ciascun dittico apre processi dinamici che fanno accedere alle emozioni di ciascun autore. Diversamente dai primi due, in questo terzo volume i poeti oltre a dialogare in simbiosi con Marcuccio, si ritrovano in “[a]ltre dittiche corrispondenze” proposte dal curatore e dalle voci poetiche dei partecipanti e non mancano le corrispondenze affini con grandi nomi della letteratura.

“Il poeta è l’uomo che vive di coraggio” scrive Salvatore Quasimodo e il coraggio dimostrato da Marcuccio si identifica con l’amore incondizionato che egli dimostra verso la poesia. Forte di una robusta preparazione culturale e dotato di grande onestà morale e intellettuale e animo disposto al bene e all’accoglienza, al pari di un “incantato pigmalione” e “grande demiurgo” Marcuccio individua e crea legami empatici, portando in superficie realtà inattese di “umanosentire”. A me che abito in terre medicee piace nominare Marcuccio quale Magnifico poeta, un mecenate che ama circondarsi di artisti per allacciare affinità elettive e donare soffi di anima a chi come lui ha fatto delle lettere ragione di vita.

«Anche la poesia costituisce un valore sociale: dovrebbe essere certo, ma valore poco tangibile, assai meno della pittura, del cinema, del romanzo. Una società come la nostra che volete che se ne faccia?» dichiara e ammonisce Mario Luzi (1914 – 2005). Quindi la sfida letteraria del curatore consiste proprio in questo suo voler andare incontro ad una realtà frammentaria e rendere alla poesia la giusta espressione di valenza sociale, trasportando il canto poetico in una dimensione collettiva e maggiormente umana, “il tutto amalgamato sapientemente da Marcuccio in un grande e ideale abbraccio fraterno nei confronti dell’umanità intera” (dalla prefazione di Michele Miano) e “l’operazione [da lui] svolta, democratica e ampia, si inserisce in un procedimento letterario assai onesto” (dalla postfazione di Lorenzo Spurio). E dato che, come tiene a sottolineare lo stesso Marcuccio, “il tema comune, da solo, non fa un dittico a due voci, ci vuole altro, sarebbe troppo facile”, mi sembra doveroso, se non opportuno, enunciare di volta in volta i vari nuclei tematici su cui si imperniano i diversi generi di poesia presentati poi in dittico da Marcuccio. I ricordi, gli affetti e l’amore, i poeti e la poesia, gli animali e l’ambiente, le profonde riflessioni e il silenzio, ed ancora le espressioni intimiste e quelle sociali pongono in evidenza i contenuti di questo manufatto tanto originale nella sua ideazione e proprio come in un dittico pittorico fanno da cerniera per quelle affinità empatiche tra i vari autori che nella maggior parte dei casi non si conoscono neppure di presenza.

Ti porto con me/ nel brio del vento,/ che tu possa restare/ per sempre nel tempo” è la dichiarazione d’amore di Teocleziano Degli Ugonotti che oltre alla persona amata, per una diversa interpretazione di senso, potrebbe essere rivolta anche alla Poesia. “Come gardenia/ All’occhiello…/ Ti portai con me” risponde in dittica presenza Giusy Tolomeo mentre in “poetica consanguineità” Aldo Occhipinti propone un “dittico a caldo” con il d’Annunzio de “La pioggia nel pineto”, esprimendo tutta la passione amorosa che avvince il suo animo, “Noi a null’altro dobbiamo pensare,/ adesso:/ a null’altro che Amare”. Ed ancora Daniela Ferraro e Marcuccio allietano con un “Canto d’amore” in cui il sentimento si intreccia con elementi dell’ambiente, facendo risaltare “labbra di velluto” e “sospirosi ardori”. E qui mi piace riprendere le «Quartine» di Omar Khayyâm (1073 – 1126) in cui il poeta persiano esprime non solo gioia e dolcezza, ma anche misticità e immediatezza lirica: «Quando sono sobrio, la Gioia mi è velata e nascosta/ quando sono ebbro, perde ogni coscienza la mente»[2] a dire che il sentimento d’amore come il vino annebbia i sensi e fa perdere coscienza di sé, quando la passione arde il cuore e la mente.

Riflettere su disagi e dilemmi porta a cercare conforto nelle varie espressioni del creato ed allora un filo d’erba, una piccola foglia, un animaletto, il brillio delle stelle mentre “ricolme d’anni/ passano/ le ore” (Marcuccio) e lacrime di commozione solcano il viso per un tramonto arrossato che di fuoco incendia il cielo e “[s]orsi di piena sera/ gocciano nenie” (Silvia Calzolari), il cuore trova dimora “[l]à dove un pianto diventa sorriso” (Rosalba Di Vona) e l’anima assetata di quiete raccoglie “colori e rugiada/ [in quel] dedalo che lacera/ l’ultimo spicchio di luna” (Maria Rita Massetti) e dinanzi a lei “[s]i apre tutto un mondo” (Marcuccio) di canti e di suoni.

Talvolta “rughe di pensieri” (Antonella Monti) si insinuano talmente nel tessuto dei giorni da far desiderare di lasciare tutto e fuggire lontano, anche da se stessi per ritrovarsi “a pochi giri dal sole” (Monti) e nel ceruleo di “quel varco di cielo/ [acquerellato di]/ un chiarore d’azzurro/ [che affanno e]/ il tedio estivo/ scolora” (Marcuccio).

Il viaggio e l’erranza, il bisogno di fuggire, l’evasione, il presagio, il ritorno, il distacco dal mondo e da se stessi sono i temi che da sempre hanno avvinto l’animo dei poeti, specialmente di quelli più “strambi e diversi” come ad esempio poteva essere Dino Campana il cui unico punto di riferimento era la poesia che forse è proprio quel “musico cuore” giusto come amava definirlo Sibilla “l’errante”, che lo amò di più.

«La luce del crepuscolo si attenua:/ inquieti spiriti sia dolce la tenebra»[3]. Uno dei temi ricorrenti nella poetica di Campana è la notte, la notte con i suoi silenzi cupi, le finestre rischiarate da “luci opache”, le voci smorzate, i respiri sommessi e “buio pesto/ [che] vapora/ nelle nebbie” (Marcuccio) e “[…] non attende/ necessariamente/ La notte/ Ma la luce attende/ ansiosamente” con le sue “Stelle sul mare” e i suoi “Giochi d’artificio” proprio come ci dicono i versi di Luigi Pio Carmina. Un altro tema ricorrente nella poetica del marradese è lo scorcio e il porticese Ciro Imperato nella lirica “Quei vicoli” sembra quasi ricalcare le immagini di Campana “le anime, tormentate bruciano/ e ingannandosi del ver non vero,/ lente sviano tra i vicoli notturni”. Alla solitudine dei vicoli fa eco uno “[…] sguardo smarrito/ [e un’]agire impedito” (Marcuccio) che guarda oltre la folla, la oltrepassa senza farsi notare e rimanendo invisibile in mezzo alla moltitudine.

E. Marcuccio_foto da Presentazione_Bagheria_Antologia-Sciascia.jpg

Il poeta palermitano Emanuele Marcuccio ideatore e curatore diel progetto poetico-antologico “Dipthycha”

Il tema dell’acqua come quello dei colori ed anche della musica erano nuclei tematici assai cari a Federico García Lorca che ne faceva metafora di vissuti e accadimenti non sempre felici come ad esempio la morte per acqua. In questa raccolta il richiamo all’elemento liquido è contemplato in più componimenti. Nella lirica “Mare Innocente” Francesca Luzzio descrive il “destino infame” di tante povere ombre che “sulle creste delle onde/ […] lente sussurrano nomi”; sono i nomi di poveri migranti incatenati sotto la “coperta azzurra” di un “mare sereno e azzurro” che nella sua calma apparente sembra essere indifferente anche al gracchiare dei gabbiani. Il mare “fondo fondo” (Marcuccio) con i suoi orizzonti velati, le onde che si perdono sulla scogliera, tra “[…] le ruote dentate delle acque” (Lucia Bonanni) rapisce e ingoia flebili voci di bambini innocenti. “Nelle […] acque sparisce il tempo/ la speranza s’annida”, quella che Maria Rita Massetti rivolge al mare, è un’invocazione alla quiete, a frenare le onde selvagge per lasciare al salso respiro per respirare “sale e sole” -molto bello questo bisticcio fonico- e poter raccontare “di arcani mai dimenticati”. Giusy Tolomeo ci dice che il mare dialoga col fiume che alla foce giunge da lontano, che scava la roccia e attraversa monti e vallate. Qui il fiume è inteso nella sua immagine di vita che scorre e fluisce per perdersi “[…] dove le dolci acque diventano salmastre” (Di Vona), dove “[…] le onde si rincorrono/ […] e le luci si disperdono” (Marcuccio) [e] “la sabbia si fonde con il cielo” (Di Vona).

Molteplici gli argomenti e i rimandi agli archetipi che si allacciano in questa silloge di forti corrispondenze empatiche e dove “[o]gnuno, per sua natura, è viandante, alla continua ricerca del proprio sé […][4]

Conoscere se stessi è impresa ardua ancor più che conoscere il mondo circostante in tutte le sue sfumature. Scendere nell’inferno di noi stessi per ritrovare l’Euridice del nostro essere, equivale al viaggio agli inferi intrapreso dagli eroi delle opere classiche. È sempre “[l]a corsa folle incontro alla vita” (Giovanni Nives Sinigaglia) che crea vuoti incolmabili per quelle ferite spesso procurate da un “grande immortale ruggir”(Marcuccio) che non permette di rinvenire il proprio sé negli altri. Ma per ritrovare se stessi “[q]uando il cuore pesa” (Sinigaglia) e le lacrime sciabordano dagli occhi, occorre “[l]ibrarsi, alzarsi” (Marcuccio) oltre le contingenze del vivere e con sguardo limpido guardare alla bellezza del Creato. Nelle liriche “Cuore” e “In volo” echeggiano i versi di Joyce Lussu (1912 – 1998) che esorta a riferirsi alle bellezze della Natura, quando il dolore si insinua e opprime l’animo.

Talvolta in “rugosi pensieri” (Ferraro) i ricordi aggallano alla mente e allora “[f]reme d’intorno un andare” (Marcuccio) mentre le ombre si dilatano nell’oscurità del dolore e “nel riposto cortile” (Ferraro) anche il tiglio perde la fragranza dei fiori. “Silenzio/ che ascolti il mio silenzio/ disturbato dai battiti del mio cuore/ e dal mio respiro” (Maria Chiarello), “Indietro non andar,/ rimani e odi il silenzio,/ che fugge via come il pensiero” (Marcuccio). Nei componimenti “Silenzio” e “Picchi di silenzio” i due poeti riflettono sulla necessità del silenzio allorché il pensiero si volge in parole e nel deserto dei giorni l’anima cerca oasi di speranza. Il silenzio è essere animato che grida, canta, piange, chiede perché e lascia che le lacrime possano finalmente trovare la libertà sperata.

«[I]l primo componimento poetico della letteratura italiana è il Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi [in cui il Poverello] loda Dio attraverso tutte le sue creature»[5] e come in Dipthycha 2 in cui era celebrato il barbagianni, anche in Dipthycha 3 non poteva mancare il riferimento agli animali anche nel rimando ideale alla predica agli uccelli da parte del santo Francesco. “Sopito il tuo volo/ al mio davanzale./ […] Pettirosso,/ impavido di voli impensabili” (Sinigaglia), “Nel silenzio/ ignaro d’esistenze/ […] Gli sguardi/ rappresi tesi/ d’indicibile” (Calzolari). Il Poverello era uomo dello spirito, un fondatore di comunità e non cercava la presenza di Dio ai margini del vivere, ma nel cuore stesso della vita tra amor benevolo e caritas profonda. “Tenendoci per mano, con le corrispondenze del cuore, se segnano itinerari che non si smarriscono, noi possiamo dare un sole all’altro sole”[6].

Giorgia Catalano esterna e canta tutto il suo afflato di madre per “[…] quegli adorati diamanti” che rendono preziosa la sua vita: “Se potessi…/ cambierei le carte/ della vita/ […] Insinuerei nel vostro cuore,/ il sorriso d’un vero amore”. Come donna e madre Giorgia dona luce solare ad altri soli e nel suo prodigarsi infinito si auspica che il cuore dei suoi figli sia sempre allietato dalla gioia che solo un amore vero sa portare.

Il tuo amare è aria del destino/ tenero germoglio di perdono/ avvolgente profumo di casa”. Nei versi di Grazia Tagliente la “Donna” è “artefice di vita” che moltiplica i propri frutti “con ventre e seno” e in ogni momento della vita devono sempre ricevere baci le sue mani “dure nelle fatiche, morbide nelle carezze”. L’autrice sembra esortare la donna, “zelante colonna” ad abbracciare il mondo, bisognoso di pensieri illuminati e carezzevoli abbracci perché “il tempo trasforma,/ abbraccia, racconta il mistero” (Massetti).

Già conoscevo la passione di Marcuccio per la musica classica e adesso dalle note biografiche leggo che Teocleziano Degli Ugonotti oltre che tenore leggero è anche studioso e cultore di Musica Antica e Barocca e che Giusy Tolomeo esprime la propria passione per la musica con lo studio del pianoforte e la collezione di dischi di musica jazz. Quindi in questa raccolta non potevano non essere presenti versi dedicati al canto e alla musica nonché ai personaggi creati dai grandi musicisti nelle loro partiture d’opera. “Drammatico è l’epilogo/ quando, nel gesto estremo,/ delle mura lo spalto offre unico/ trionfo d’amore risolto in una fine”. Maria Palumbo ci parla di Tosca, la protagonista femminile dell’opera di Giacomo Puccini (1858 – 1924) su libretto di Giacosa, che si getta dalle mura di Castel sant’Angelo dopo la fucilazione di Mario. Silvia Calzolari si chiede “Cosa resta di Tosca…”, però nel suo dire quel che resta dell’infelice donna sono soltanto “[…] mura lontane/ d’allaga(n)ti ricordi/ a sfioro di vicini schianti/ mano nella mano”.

Ad acquietare l’animo e sublimare la commozione dopo la lettura di questi versi, come scrive Giorgio Milanese, c’è l’immagine di una baita di montagna dove “[s]’illumina il focolare,/ [e] s’approntano le sedie,/ [mentre] il fuoco scoppietta allegro/ […] odor di muschio regna/ [e] la tavola imbandita,/ dà senso di calore”. Fuori fa freddo. Nevica. E la neve “[c]andida/ manti erbosi/ ricopre./ Soffice, pulita/ piove dal cielo,/ posa il suo viso/ leggera/ com’una carezza/ […] di sera” (Catalano).

Il poeta è un uomo né migliore né peggiore degli altri, che sa guardare la realtà con occhi diversi, che gioca con le parole, che coglie il mistero delle cose e sa emozionare.

«La stella dei poeti è la nostra ispirazione, capricciosa padrona che spesso tarda a farci visita»[7]. Senza ispirazione il componimento poetico risulta arido esercizio di stile in quanto l’ispirazione è quel fuoco che si alimenta di sogni e ricordi, di emozioni e fantasia.

PhotoGrid_Dipthycha_3 Voll.jpg

Collage grafico contenente le cover dei tre volumi del progetto “Dipthycha” curato da Emanuele Marcuccio di cui è in lavorazione il quarto volume

I poeti, incalliti sognatori,/ sempre con matasse di pensieri gitani” (Tagliente) tessono arazzi di sogni, “[…] seguendo le stagioni/ del cuore” (Tolomeo) ed è la poesia il loro sole, “un sole che ci illumina/ anche di notte” (Marcuccio) e “di seta/ [è] la parola/ [che] verga/ veloce il rigo/ leggero// pieno” (Marcuccio) anche perché la poesia è sempre una “[m]etamorfosi tessuta a mani aperte/ [e la] [p]arola…/ [un] tessuto sfarfallato/ di illusioni e pensieri” (Bonanni). Ed è a F.G. Lorca, uno degli autori più grandi della letteratura, che Lorenzo Spurio dedica versi di intensità luminosa. “La storia si fermò senza dilungamenti/ quella dei libri è stantia e deforme”, scrive Spurio in “La luna si nasconde” in occasione del 79° anniversario dell’assassinio del poeta andaluso, fucilato nel 1936 all’inizio della guerra civile spagnola mentre “Nel secco degli aranci” (Bonanni) la luna con “la camicia inargentata/ appariva stizzita e si celava” per non vedere “gli occhi neroseppia” (Spurio) di Federico che “tra mute campane e l’esilio di chitarre” (Bonanni) perdeva per sempre la sua lucentezza. E presso Fuente Grande anche “il cielo taceva,/ [e] la luna/ […] di tristezza era piena/ […] non voleva neppure/ dormire/ [perché sapeva che]/ i sogni si sarebbero smarriti/ in una notte troppo scura” (Grazia Finocchiaro). La poesia di Lorca è spiritualità ed emozione pura, ma è anche riscatto per i tanti emarginati e per questo si connota nel genere della poesia etica e sociale. La poesia civile non mira soltanto a descrivere gli accadimenti per una successiva divulgazione, ama usare le parole per dare corpo ai pensieri quale valido strumento di protesta e denuncia e il poeta civile scrive versi per contrastare quelle dinamiche sociali che spesso producono vittime e inaspriscono contrasti.

Non credete di aver questo scettro/ di limitare una terra non vostra/ come vi pare/ [sappiate che] l’aria non può essere divisa/ e l’acqua non si separa,/ né nei fondali è spartita” (Spurio), “[t]agliate questo filo spinato,/ prendetene un pezzo/ un giorno, chissà potrete venderlo/ e ricavarne guadagni” (Tolomeo). Nei componimenti “Di scisse emozioni” e “Filo spinato” con versi netti e decisi, i due autori riportano vicende sociali che hanno imbarbarito i cuori e annientato la storia.

Le “[f]iumane di genti” in fuga verso confini sigillati con muri e filo spinato a limitare la libertà di chi si allontana da “spettri e cadaveri” (Spurio). “Ma quanti muri ancora/ dovrete costruire/ nel cuore della notte”, G. Tolomeo ripercorre tracciati storici e i suoi versi evocano immagini di morte e distruzione, richiamando “[…] la colpa [che] ancora pesa/ sul cuore dell’umanità”.

Ne “Il sogno spezzato” e “Ritornato sei” R. Di Vona e L. Spurio riprendono il tema della violenza di genere sulla donna. “[F]ragile e tremante” è la figura che ci mostra la poetessa, una giovane donna che “[s]ognava l’amore/ [e] desiderava un cuore per donare il suo”, ignara del triste destino che si nascondeva “[d]ietro la siepe”. Anche “[l]a luna pallida e vibrante […]” rischiarando le trame del buio, qui simbolo del male, voleva metterla in guardia contro “[…] il gioco vigliacco che si stava compiendo”, ma poi anche il vento con i suoi lamenti aveva coperto “[…] le urla che squarciavano il cielo” (Di Vona) mentre “[…] Dio piangeva a fiumi,/ genuflesso sui carboni ardenti/ [e] le fronde assistevano/ attonite, mute per la vergogna” (Spurio) a tanto scempio. Qui la Natura è testimone oculare di delitti efferati, causati da “[…] indomite pulsioni/ [di] luride esistenze […]” per quei “neuroni sfatti” (Spurio) che annientano ogni tipo di etica e di morale.

A chiusura dell’intera silloge “tre dittici con tre grandi voci della nostra letteratura: il poeta e critico letterario Aldo Occhipinti ci propone un dittico con l’eclettico Gabriele d’Annunzio e un altro con il profondissimo Eugenio Montale; mentre il sottoscritto ne propone uno alla poetessa Lucia Bonanni, con il funambolico Aldo Palazzeschi” (dalla nota di Introduzione di E. Marcuccio, pp. 7-8).

In “Un dittico a caldo”, proposto da Aldo Occhipinti, il poeta, come egli stesso scrive, non vuole “fare certo il verso allo scritto originale”, ma nella pienezza emotiva e passionale, esprimere tutta la sensualità dell’attimo d’amore, un momento che fa scaturire anche l’ispirazione poetica.

Nelle più dolci ore,/ pensieri terrestri/ mirabilmente si fanno divini/ […] come la pioggia e la terra fondiamoci” (Occhipinti). “E andiam di fratta in fratta,/ or congiunti or disciolti” (d’Annunzio).

Se il primo è un “dittico a caldo”, teso a rivelare la passione amorosa, quello con Montale è un “dittico a freddo” per la profonda speculazione filosofica che esamina i versi montaliani e ne fa sorgere altri. Quindi i due dittici risultano essere opposti per suggestioni e motivazione concettuale.

Ritroviamo la parola, sicura/ di un’idea e della sua forma:/ che distingua e ridia di sé possesso/ all’individuo e all’arte la sua dea” (Occhipinti).

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe […]/e risplenda come un croco” (Montale).

Nella poesia di Montale e principalmente in «Ossi di seppia» il paesaggio-luogo è tra i nuclei tematici più cari al poeta ed esiste “da un lato l’immobilità come delirio”[8] che inchioda l’uomo e le cose al loro posto; dall’altro la speranza che ci sia “una maglia rotta nella rete dell’esistenza attraverso la quale qualcuno possa scappare”[9].

Nel proprio commento critico Occhipinti fa notare l’eredità letteraria che è stata lasciata in dote alle successive generazioni, chiamate a sublimare e redimere il crollo di fiducia e volontà per ritrovare nuovi perché in cui credere e idonei a ricostruire un pensiero che possa ritrovare la parola quale mezzo di comunicazione e costante ispirazione creativa.

E sull’onda anomala della creatività “[i]l poeta si diverte,/ pazzamente,/ smisuratamente!/ […] Cucù rurù,/ rurù cucù/ […] Non lo state a insolentire,/ lasciatelo divertire” (Palazzeschi). “Tra voli di fanfare/ [dove] un funambolo di fumo/ con stivali di velluto/ vende vento/ […] fru fru fru/ viva fifa/ vede verde” (Bonanni). Quello che propone Marcuccio è veramente un dittico funambolico, audace nella sua energia e curioso nel far vedere come si possa giocare e creare divertimento con le parole, libere nella loro libertà espressiva e compositiva.

E come scrive Michele Miano nella prefazione, parafrasando un autore a lui e a noi tutti molto caro, Umberto Saba, «“d’ogni male/ mi guarisce un bel verso”» per cui ai poeti “non resta che fare vera poesia” e a noi critici letterari “non resta che fare una critica onesta”.

LUCIA BONANNI 

San Piero a Sieve (FI), 23 maggio 2016

Bibliografia di riferimento:

Emanuele Marcuccio (a cura di), Dipthycha 3. Affinità elettive in poesia, su quel foglio di vetro impazzito…, PoetiKanten, 2016.

Emanuele Marcuccio, Pensieri minimi e massime, Photocity, 2012.

Omar Khayyâm, Quartine, trad. Alessandro Bausani, Einaudi, 1956.

Dino Campana, Canti Orfici, Einaudi, 2003.

Ermes Ronchi, I baci non dati, Paoline, 2007.

Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mondadori, 1991.

Note:

[1] Emanuele Marcuccio (a cura di), Dipthycha 3. Affinità elettive in poesia, su quel foglio di vetro impazzito…, PoetiKanten, 2016, pp. 180.

[2] Omar Khayyâm, Quartine, trad. Alessandro Bausani, Einaudi, 1956, p. 82.

[3] Dino Campana, “Il canto della tenebra”, in Canti Orfici, Einaudi, 2003, p. 30.

[4] Emanuele Marcuccio, Pensieri minimi e massime, Photocity, 2012, n. 77,
p. 22.

[5] Emanuele Marcuccio, Introduzione alla poesia, in Op. cit., p. 30.

[6] Ermes Ronchi, I baci non dati, Paoline, 2007, pp. 50-51.

[7] Emanuele Marcuccio, Op. cit., n. 28, p. 12.

[8] Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mondadori, 1991, p. VII.

[9] Ivi, p. 5.

Il 18-12-2016 la premiazione de “La pelle non dimentica”, concorso a tema contro la violenza sulle donne

Associazione Culturale Euterpe

Domenica 18 dicemebre a partire dalle ore 13 a Santa Maria Nuova (AN) presso il Ristorante Villa d’Este (Via Jesi 11  – www.ristorantevilladeste.it )si terrà la premiazione ufficiale del Concorso Letterario di Poesia e Narrativa “La pelle non dimentica” indetto ed organizzato nei mesi scorsi dalla Casa Editrice le Mezzelane in collaborazione con la Associazione Culturale Euterpe di Jesi. Il premio aveva come tema quello della violenza sessuale. Moltissimi i materiali che sono arrivati da ogni parte d’Italia a rappresentare le due sezioni a concorso. Due i mezzi di valutazione adoperati, quello di una Giuria popolare che, in base al numero delle preferenze, ha decretato la selezione di un dato numero di autori che saranno pubblicati nella opera antologica e la Giuria tecnica costituita da esponenti del panorama culturale, professionisti e scrittori. Alla Associazione Culturale Euterpe il compito di gestire la Giuria tecnica per la sezione poesia, che è stata…

View original post 108 altre parole

Per Novella Torregiani. Ricordando la poetessa di “Stelle de maru”

Pensieri per Novella Torregiani.
Ricordando la poetessa popolare di Porto Recanati scomparsa l’anno scorso, che ha lasciato un grande vuoto.

An angel in the city: un blog di poesia ed arte

ULTIMO FIORE – poesia di Novella Torregiani

Dischiude la terra intorno
braccia di carbone:
amaro sortilegio
-ombra infernale-
la terra-nido è arido deserto.
Stremati i miseri amanti:
nella buia landa
le porge il fiore di speranza
inutilmente.
S’innalza giammai rassegnato
il giovine amante
al cielo di catrame
grida maledizioni.
Spegne amore anelito vitale:
muore l’ultimo rosso fiore.

Cara, carissima Novella, ci siamo conosciute qui, nel blog, circa 10 anni fa: la poesia e l’amore per Giacomo Leopardi ci accomunava, e tu, recanatese, eri 

dal cuore sempre giovane e dagli occhi pieni di poesia, quella poesia che ti veniva facile, spontanea, diretta, insieme alle altre arti che padroneggiavi con maestria.

Ecco, Maestra è la parola che ti si addice. Non posso credere che te ne sia andata in un giorno di quasi primavera come questo, tra il profumo della brezza marina eil vento tra i monti della tua terra tanto amata, confortata…

View original post 126 altre parole

“Scrivere significa vincere il tempo”, il volume antologico di testi per ricordare la giovane Sara Iommi

Venerdì 23 dicembre alle ore 17:30 presso la Biblioteca Comunale di Agugliano (AN), recentemente dedicata alla memoria della giovane intellettuale Sara Iommi, si terrà la presentazione di un volume fortemente voluto dalla sua famiglia per ricordarla. Libro nel quale la casa editrice Italic Pequod di Ancona ha pubblicato una serie di testi, commenti, riflessioni e appunti che la ragazza, grande amante della letteratura e della cultura locale, ha lasciato.

sara-2

Sara Iommi

Così si definiva la giovane Sara Iommi sul seguito sito internet da lei curato, deceduta all’età di trentatré anni lo scorso giugno a seguito di un gravissimo incidente stradale che l’ha strappata a i suoi cari e a quanti l’hanno entusiasticamente conosciuta: Marchigianetta trapiantata (dolorosamente) in Emilia. Bibliofila, gattofila, lunatica, curiosa, nomade. Comunista. Coraggiosamente fragile. Apparentemente semplice. Un po’ martire come tutte le donne. Trafficante di sogni, stupratrice della penna (o della tastiera)”.

Appena un anno prima aveva conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Bologna con una tesi dal titolo “La rappresentazione cinematografica del mondo agropastorale nel documentario corto italiano (1939-1969)”. Nel corso degli ultimi due anni lavorò presso l’ E.C.Co. (EASTERN COLLEGE CONSORTIUM) di Bologna, un consorzio di Università americane (Vassar College, Wellesley College e Wesleyan University) dapprima come istruttore amministrativo poi come docente del corso “Il mondo che abbiamo perduto. L’Italia degli anni Cinquanta tra cultura tradizionale e modernità”.

Numerose le sue pubblicazioni in volumi antologici: i saggi “La rappresentazione cinematografica delle donne nel mondo contadino dell’Emilia Romagna”; “Della fine di un mondo. Vittorio De Seta”, “Presupposti per una formazione dell’audiovisivo a partire dall’ambientazione filmica”, “The Film’s setting. Notes for a pedagogy of the space/environmental functions of film”, oltre ad alcuni racconti.

Vari i riconoscimenti e le segnalazioni ottenute in numerosi premi letterari nazionali tra cui per il racconto tra cui al “Corto letterario e l’illustrazione” di Varese, al Premio “Uscita di sicurezza” di Lucca, al Premio “Città di Melegnano” e la nomina di “Aguglianese per la cultura” per meriti di produzione narrativa.

Durante la presentazione del volume Scrivere significa vincere il tempo, patrocinata dal Comune di Agugliano, interverranno il giornalista Rai e scrittore Giancarlo Trapanese, Lucia Tralli e Gabriele Ponzi.

volantino iommi2-page-001.jpg

 

15439808_1195898283833068_3279637317186674319_n.jpg

Connubio artistico per la presentazione dei libri di Sergio Cardinali e Mauro Cesaretti il 18 dicembre a Jesi

Al Teatro Moriconi va in scena Poesia di un viaggio

 

Domenica 18 dicembre alle ore 18 presso il Teatro Studio Valeria Moriconi (Piazza Federico II) a Jesi si terrà lo spettacolo Poesia di un viaggio organizzato dalla Associazione Culturale Euterpe con il Patrocinio del Comune di Jesi e dell’Assessorato alla Cultura. Il polifonico evento ideato e voluto da Sergio Cardinali e Mauro Cesaretti, sarà un connubio delle varie espressioni artistiche come riporta l’incisivo sottotitolo dell’evento “La parola, il suono, il segno, il movimento” e sarà costituito dalla presentazione di due libri: il romanzo Il viaggio che vorrei dello jesino Sergio Cardinali e la silloge poetica Se è Poesia, lo sarà per sempre del giovane anconetano Mauro Cesaretti. A tessere le fila di questa performance numerose le collaborazioni e gli interventi artistici. Si intervalleranno, quali voci recitanti di brani scelti delle due opere, Michele Ceppi e Serena Latini mentre gli interventi musicali saranno di Claudio Durpetti, Leonardo Bolognini, Valentina Rossini e Alice Cardinali. Durante l’evento si svolgerà una performance di body poetry, genere innovativo di danza sulla base di versi poetici, che sarà eseguita da Emma Paciotti, Federica Squadroni ed Elisa Baioni della Scuola di Danza di Cinzia Scuppa di Jesi. Il commento pittorico sarà affidato, invece, ad alcuni allievi di Andrea Silicati della Associazione Artistica “Il Camaleonte” di Jesi.  Lorenzo Spurio e Stefano Vignaroli, della Associazione Culturale Euterpe, interverranno in chiusura per porgere alcune domande agli autori dei due libri.

 

Sergio Cardinali è musicista e direttore della cuola Musicale “G. B. Pergolesi” di Jesi. Ha scritto La Fabbrica dei mondi, commedia musicale per bambini. La Fabbrica dei suoni, testo di educazione musicale per le scuole superiori. Tre testi teatrali: L’Orchestra… aspettando il terzo segnale, Lettera a Pergolesi, e Rosso coraggio. Ha pubblicato vari romanzi per adulti: Fiori primaverili, Le ragazze entrano gratis, Non aveva la faccia, Il bambino che seppelliva chitarre, Un regalo utile e Il viaggio che vorrei. Per la narrativa per l’infanzia ha pubblicato Alice Il Castello Noioso e Alice Il Pianeta Ghiacciato.

Mauro Cesaretti frequenta Scienze dei Beni Culturali all’università di Milano. Per la poesia ha pubblicato Se è Vita, lo sarà per sempre (2014) e Se è Poesia, lo sarà per sempre (2015), ai quali seguirà un ulteriore volume a completare la trilogia “L’Infinito”. Ideatore di performance di body poetry ha portato in giro i suoi lavori poetici in tour nazionali che hanno previsto numerose date e ai quali hanno collaborati scrittori, poeti, critici e ballerini.

Media-partners: Scuola di Danza di Cinzia Scuppa (Jesi), Associazione Artistica Camaleonte (Jesi), Scuola Musicale “G. B. Pergolesi” (Jesi), Edizioni Montag (Tolentino), Edizioni Creativa (Viareggio)

 

Info:

www.associazioneeuterpe.com – ass.culturale.euterpe@gmail.com

Tel. 327 5914963

 

Poesia-di-un-viaggio-promo-page-001.jpg

“Appunti di viaggio”. Incontro col poeta Luciano Innocenzi il 17 dicembre a Jesi

manifesto_innocenzi_01

Sabato 17 dicembre 2016 alle ore 17,30, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Jesi, presso la galleria degli Stucchi di Palazzo Pianetti a Jesi si terrà la presentazione Appunti di viaggio. Incontro con il poeta Luciano Innocenzi. L’introduzione sarà a cura di Federica Bernardini (Associazione Culturale Res Humanae); interverrà il critico Piermassimo Paloni, con letture a cura dell’autore e intermezzi musicali del violinista Tommaso Scarponi della Scuola Musicale “G.B. Pergolesi” di Jesi. 

Luciano Innocenzi (Cerreto d’Esi, 1943) per la poesia ha pubblicato Nel canto della civetta (1995), Le pietre di Deucalione (1997), Il cardellino cieco (2000), Appunti di viaggio (2002),  Zattere e frammenti (2003) Arabeschi d’amore (2007), Una vita in fuga (2014). È collaboratore dell’Istituto di Storia Antica dell’Università di Macerata con pubblicazioni in «Picus» (Studi e ricerche sulle Marche nell’Antichità) e scrive articoli culturali nel settimanale «L’Azione». Ha curato testi per opere teatrali nella scuola e sono suoi i dialoghi del film Il bivio della quercia caduta per la regia di Marco Cercaci.

Serata di poesia ad Agugliano per aspettare il Natale. Evento dell’Ass. Euterpe

Alla Biblioteca Comunale “Sara Iommi”

un evento dell’Ass. Euterpe

 

L’Associazione Culturale Euterpe di Jesi sarà protagonista sabato 10 dicembre alle ore 17 presso la Biblioteca Comunale di Agugliano, recentemente intitolata a Sara Iommi, per un evento interamente dedicato alle prossime festività religiose intitolato “Aspettando il Natale”.

La serata sarà occupata da un reading poetico al quale prenderanno parte poeti associati della Associazione e non che declameranno le loro poesie a tema sul Natale mentre una scelta di fotografie invernali e sulla festività natalizia accompagneranno visivamente i vari interventi poetici.

Saranno presenti i poeti Elvio Angeletti, Marinella Cimarelli, Michela Tombi, Laura Molinelli, Ilaria Romiti, Franco Duranti, Valtero Curzi, Cristiano Dellabella, Alessandra Montali, Luciana Latini, Renata Morbidelli, Amneris Ulderigi, Matteo Piergigli, Vincenzo Prediletto, Assunta De Maglie, Massimo Grilli, Stefano Sorcinelli, Oscar Sartarelli, Gianni Palazzesi e Rita Angelelli.

Alcuni ragazzi della locale scuola “G. Spontini” di Agugliano effettueranno degli intervalli musicali. A conclusione dell’evento si terrà il brindisi finale con scambio di auguri tra gli associati e tutti gli intervenuti. L’evento è liberamente aperto al pubblico.

locandina agugliano-page-001.jpg

 

 

 

Concorso “Poesia nel borgo” di Montignano di Senigallia (III ediz.)

CONCORSO “POESIA NEL BORGO” – III EDIZIONE

MONTIGNANO DI SENIGALLIA (AN)

Organizzato da :

LA BIBLIOTECA COMUNALE “ LUCA ORCIARI “

ASSOCIAZIONE PROMOTRICE MONTIGNANESE

CENTRO SOCIALE ADRIATICO

CON IL PATRICINIO DEL COMUNE DI SENIGALLIA

 chiesa-sg-battista-montignano

Il bando è rivolto a tutte le persone aventi compiuto la maggiore età (18 anni) allo scadere del seguente bando 30-04-2017.

Tipologia degli elaborati: poesia inedita (massimo 36 versi compresi gli spazi salto riga)

il concorso sarà diviso in tre ( 3 ) sezioni A – B ­– C

A  – poesia in lingua italiana (adulti dai 26 anni di età in poi)

B  – poesia dialettale seguita da traduzione il lingua (questa sezione possono partecipare anche i giovani)

C  – poesia in lingua italiana giovani età compresa fra 18 ai 25 anni (età da compiersi entro il 30-04-2017 )

 Ogni candidato può concorrere con n° 2 poesie per sezione.

È possibile partecipare, anche con un’opera in lingua italiana ed un’opera dialettale (per i giovani dai 18 ai 25 anni l’importo anche in questo caso è di 10€)

Livello metrico e ritmico delle opere libero.

Le poesie non dovranno essere mai state premiate nelle prime tre posizioni di altri concorsi nazionali ed internazionali.

Tema: Libero

Modalità di partecipazione: Ogni opera dovrà essere inviata via informatica

all’indirizzo di posta        montignanopoesie@libero.it     –  per chi trovasse difficoltà

Inviare il cartaceo al seguente indirizzo: Biblioteca  “Luca Orciari”

Via Del Campo Sportivo,1/3    –   60019 Marzocca di Senigallia ( AN )

Inserendo all’interno del plico oltre alle poesie ed i dati personali dell’autore la copia del pagamento effettuato, (oppure direttamente la quota in contanti in busta chiusa) Farà fede il timbro postale

 Generalità da specificare nell’email: nome, cognome, età, indirizzo, telefono, email,

aggiungere la copia del cedolino del versamento eseguito  in  WORD o PDF

Gli elaborati inviati per il concorso non saranno restituiti.

inviare le poesie con  tipo carattere  Times New Roman   dimensione carattere12.

Per la sezione B dovranno essere allegate le traduzioni in lingua italiana  e sarà utile come valido supporto non obbligatorio allegare una  registrazione in Windows Media Audio (WMA) per una più approfondita valutazione del testo poetico.

Quota d’iscrizione:

è richiesto un contributo di partecipazione, quale tassa di lettura, di 15,00 € per le sezioni A e B, per la sezione C

il contributo richiesto è di 10€

(l’importo è valido per n° 2 poesie)  da versare sul Conto Corrente Bancario

IBAN    IT 29  V  08839 21301 000050150650    BANCA SUASA CREDITO COOPERATIVO,

FILIALE DI MARZOCCA Intestato: ASSOCIAZIONE PROMOTRICE MONTIGNANESE

Strada della Grancetta s.n.  MONTIGNANO DI SENIGALLIA (AN)

Causale: partecipazione al concorso letterario nazionale  “ La poesia nel borgo”

Scadenza invio file: 30-04-2017

GIURIA: la giuria del Premio, il cui giudizio è inappellabile, sarà costituita: da critici d’arte e letterari, poeti scrittori…

i cui nomi saranno resi noti  durante la premiazione.

Premi: per ogni sezione

1° CLASSIFICATO = targa o coppa + pergamena

2° CLASSIFICATO = targa o coppa + pergamena

3° CLASSIFICATO = targa o coppa + pergamena

Saranno, inoltre, assegnate: menzioni speciali e menzioni d’onore

a discrezione delle associazioni e della giuria, tutti i partecipati riceveranno attestato di partecipazione.

La cerimonia della premiazione si svolgerà il 19-08-2017 in  Montignano di Senigallia AN – Nella piazzetta antistante la chiesa parrocchiale di Montignano, o, in caso di cattivo tempo all’interno della medesima Chiesa.

SVOLGIMENTO DELLA MANIFESTAZIONE

Apertura della serata conclusiva:

inizio alle ore 18,15

eventuali comunicazioni  saranno inviate tramite posta elettronica, saranno comunque visibili sui gruppi  Facebook (Amici della Biblioteca “Luca Orciari” –  POESIA E COLORI   –    RIME DI MARE  – LE PAROLE RACCONTANO – LUCE- I FIORI DELLA VITA – SEMPLICEMENTE POETI   ed altri)

È possibile contattare per informazioni  montignanopoesie@libero.it

Elvio Angeletti         al n° 366 8642034     

Biblioteca “ Luca Orciari”   071 698046   mail bibl07comune.senigallia.an.it    nei seguenti orari  dal lunedì al venerdì  9,00 alle 12,00  e dalle 15,00 alle 18,00

Il presidente dell’Associazione Promotrice Montignanese Elio Mancinelli

Il presidente del Centro Sociale Adriatico Claudio Costantini

Il presidente del Premio Elvio Angeletti

Presidente onorario – Prof.ssa  Renata Sellani                                   

 Montignano di Senigallia lì 31-10-16

  

 

Scheda di partecipazione

 La presente scheda compilata è requisito fondamentale per la partecipazione al concorso. Alla scheda va, inoltre, allegata l’attestazione del pagamento della relativa tassa di lettura e il tutto va inviato a entro e non oltre il 30-04-2017.

 

Nome/Cognome ________________________________________________________________

 

Residente in via ____________________________________Città________________________

 

Cap _____________________ Prov. _______________ Tel. ____________________________

 

E-mail _____________________________

 

Partecipo alla sezione:

 

□ A –Poesia in lingua

 

□ B – Poesia dialettale

 

□ C – Poesia Giovani (□ Poesia in lingua italiana     □ Poesia dialettale □ Poesia in lingua e dialettale)

 

 

titolo/i delle opere_________________________________________________________

 

________________________________________________________________________

 

________________________________________________________________________

 

Firma________________________________ Data ______________________________

 

□ Acconsento al trattamento dei dati personali qui riportati in conformità a quanto indicato dalla normativa sulla riservatezza dei dati personali (D. Lgs. 196/03) e solo relativamente allo scopo del Concorso in oggetto.

 

□ Dichiaro che il/i testi che presento è/sono frutto del mio ingegno e che ne detengo i diritti a ogni titolo.

 

□ Autore inscritto alla SIAE         □ Autore non inscritto alla SIAE

 

 

Firma_________________________________ Data _____________________________

“Formica d’Italia”: sembianze del marchigiano in una lirica di Giorgio Umani (1898-1965)

“Formica d’Italia”: sembianze del marchigiano in una lirica di Giorgio Umani

a cura di Lorenzo Spurio 

Il dimenticato poeta e saggista Giorgio Umani nato a Cupramontana (AN), paese della Vallesina, nel 1898 e morto ad Ancona nel 1965, ha lasciato, all’interno della sua ampia produzione letteraria e scientifica, una poesia dal tono incalzante nella quale prende a pretesto alcune sfaccettature che denotano l’apatia e l’inettitudine del marchigiano nel farsi notare a livello nazionale. Umani, con alcune battute sagaci che dimostrano con chiarore una veridicità di contenuti in parte condivisibile anche oggi, si scaglia contro il marchigiano stesso incapace, per la sua natura silenziosa e refrattaria, di farsi valere unanimemente per essere dotato di distintive qualità creative, operoso nonché incompetente nella valorizzazione delle ricchezze che contraddistinguono il suo ambiente. Monologo furioso in cui l’indignazione si palpa in maniera netta, a evidenza di un temperamento umano e sociale al contempo che si è radicalizzato con tutte le sue significazioni meno positive a decretare un identikit assai scialbo e inconcludente, anomalo e abbruttito del marchigiano.

Giorgio Umani fu attratto sia dalla Scienza che dalle Lettere, ne è testimonianza la ricca bibliografia che di lui conserviamo tanto per studi, ricerche e saggi di carattere scientifico, e in maniera particolare rivolti allo studio degli insetti, che dinanzi a pubblicazioni di carattere filosofico, nonché poetico. Un intellettuale di ampio respiro e di tutto rispetto del quale, a più di cinquanta anni dal suo decesso, ormai si è perduto il ricordo[1], nonostante la sua polifonica trattazione di svariate branche del sapere, i suoi profondi ragionamenti estetici, l’importante apporto –in campo scientifico- di un innovativo metodo di conservazione delle specie, tecnica definita dei “preparati Ummo”.

img_20161207_184322

Il poeta Giorgio Umani

Per la poesia pubblicò i libri Parabole gnostiche (1926), Il canto delle lacrime (1926), Il volto nemico (1928), A segno di stella (1930), Il libro scarlatto (1933), Il Prometeo (1933), Umani 1937 (1938), L’ineffabile orgasmo (1953), Meraviglia d’essere (1954), L’arco teso (1956), Sporgersi degli adesso (1959), Dove s’incontrano le parallele (1960), L’incompiuta (1961), Quello che vedo è splendido (1961), L’ora degli ultimi (1962). Per la narrativa pubblicò il romanzo I nati per sempre (1935) e il racconto Atil (1938). Di carattere saggistico, estetico e filosofico i volumi Storia sacra della bellezza (1934), Storia sacra dell’arte (1937), Orizzonti di storia soprannaturale (1938), Abecedario universale (1942), Adamo si mette a capire (1953), Anatomia del mistero (1956),  Il Messia della Legione innocente (1958), Storia sacra dell’ ‘adesso’ (1965).

In maniera vivida e in forma assai incalzante Giorgio Umani diede un’immagine del regionale per mezzo della sua poesia “Marchigiano” contenuta in L’ineffabile orgasmo (1953) nella quale ne sottolineava la doppiezza caricaturale del soggetto: da una parte creativo, abile nelle arti e degno di rispetto dall’altro debole e sottomesso, incapace di valorizzare se stesso e il genio dei suoi compari corregionali. Ricco di contenuti e di potenzialità ma scarso nella promozione e nella difesa. Consapevolmente intellettuale ma troppo vulnerabile per l’autopromozione (“non saprai mai/vendere bene/la merce che hai”), per la dichiarazione netta e convinta del suo stato.

Ed è così, in questa altalenante realtà di ricchezza e remissione, di intelligenza e inettitudine, che Umani descrive il regionale come la “formica d’Italia”, esserino piccolo e apparentemente insignificante, vulnerabile e minuto tanto da non essere visto. Eppure c’è.

Il marchigiano è parsimonioso e modesto (“mangi per mezzo”), operoso al punto di ergersi sulla sua personale forza d’animo che rappresenta una autosufficienza esistenziale (“non tendi la mano”). Una persona che si accontenta e tace, che osserva e non dice, che non recrimina né condanna, che non si lamenta né piagnucola, un uomo vulnerabile che è più portato all’assoggettamento che all’autorevolezza. Che si adegua e muta con la necessità degli eventi, che non grida né ricerca gesti celebrativi né accusa mancanze e disagi mantenendo sempre e comunque la sua completa mite, semplice ed orgogliosa auto sussistenza alla vita.

Il marchigiano è un uomo semplice che viene dalla terra (“parente/ povero d’ogni vicino”) che non ha nel suo dna la propensione ad esuberanze e velleitarismi ma, secondo la disanima attenta e realistica di Umani, è poi anche quello che facilmente finisce gabbato, usato, sfruttato, semplicemente non considerato per le sue potenziali ricchezze e proprietà, per la sua bontà d’animo che risiede nella generosità, nella tacita confidenza, nella devota sincerità. Un popolo al quale è facile prendere e al contempo altrettanto facile è il non-dare, il non-riconoscere, a favore di un abbassamento se non un vezzeggiamento delle sue genetiche qualità.

La tempra del marchigiano è quella di un uomo saldo e vigoroso, che si è fatto e maturato sul lavoro pesante, sul lavoro nei campi ma anche nella partecipazione dignitosa a conflitti armati.

L’abbassamento del marchigiano, questo continuo sminuire, deprivare le reali ricchezze che lo contraddistinguono è un fenomeno comune ispessitosi dal fatto che è lui stesso il primo a non adoperarsi per evitarlo. La smodata parsimonia, il riserbo connaturato, il silenzio, il temperamento sottaciuto, il rigetto di magniloquenze o estremismi, lo fanno debole ed emarginato, isolato e vulnerabile, pacioso di una bonarietà retrattile e perniciosa. Di questo “ingegno sottile”, della palese talentuosità del regionale, Umani richiama alcune delle potenze espressive maggiori, da Gentile a Raffaello, da Gigli al Bramante, passando per Spontini e Rossini non mancando di citare il Poeta per antonomasia, modello di riferimento instancabile, il locale Giacomo Leopardi. In una composta e fruttuosa elencazione dei talenti più incisivi a rappresentare le varie arti, Umani condensa una ricchezza che non è solo orgoglio marchigiano, ma patrimonio culturale dell’umanità tutta.

Dinanzi al chiasso e all’ostentazione il regionale preferisce il riserbo e la compostezza pagando un prezzo che sa di essere assai alto: il silenzio e l’inattività, la tacita presenza che, di contro, favoriscono l’affermazione di chi, diverso da lui, ha mezzi più eclatanti e rumorosi che, però, producono effetto: “Tu dove gli altri/ si fanno avanti/ a furia di gomiti/ a furia di spinte,/ sai solo l’arte di farti da parte,/ sai solo il modo/ di star tra le quinte,/ tu sempre pronto/ a cedere il passo,/ sempre disposto/ a coprire di fiori/ i padreterni/ che vengon di fuori”.

Minimizzazione, reticenza e incapacità, inettitudine e mancanza di scaltrezza, fuga dagli antagonismi e dai ribellismi, mancanza di una forte autodeterminazione improntata alla difesa identitaria e delle proprie ricchezze. In tutto ciò domina, forse, una non radicata autostima, un senso di vulnerabilità e timore, un’ossessione reverenziale verso l’altro piuttosto che il sacrosanto ascolto di sé stessi: “Pare/ che chiedi scusa/ di respirare”, annota Umani, a significazione evidente di questo atteggiamento quasi insano del regionale che è sintomatico e artefice di un processo di negazione identitaria, preoccupante e, invero, di carattere paurosamente genetica.

Ecco poi che dalla genialità artistica di alcuni marchigiani eccellenti il poeta passa all’elencazione di alcuni ambiti naturalistici che arricchiscono la Regione (il Conero, il Furlo, Frasassi, etc.) lasciando intendere, anche in questa circostanza, la sua tendenza a non sapersi autopromuovere, a farsi conoscere, a celebrare il bello che ha in casa sua. Predominano, ancora, nell’approssimazione che si sta facendo al temperamento regionale, i toni grigi di reticenza e inabilità, nonché una forma enigmatica e pesante di rassegnazione vittimistica.

page3-img1-big

La conclusione dell’Umani, perentoria e assai aspra, ha la forma di una autocondanna pressante da portare: “tu sarai sempre/ il Marchiano/ quello che tira il carretto,/ […]/ quello che porta il peso/ e non se ne dà per inteso,/ quello per cui non c’è posto,/ non c’è né fumo né arrosto”. Il monito che lancia è però evidente: se il regionale non si arma di orgoglio e di volontà e non fa nulla per cambiare, allora rimarrà l’ultimo ad aver voce, sarà dimenticato e bistrattato e, cosa ben più grave ancora, sarà lui stesso colpevole per non aver permesso di mettere al bando lo svilimento della sua immagine.

Il marchigiano è un uomo di atteggiamenti distinti e netti, privo di gradazioni intermedie: retto e austero, ironico e beffardo (“pio e strafottente”) capace di grandi cose ma dall’animo tendenzialmente mesto ed appiattito (“buono a far tutto/ e pago con niente”), incline a una profonda nostalgia, ingrigito da uno stato di noia, da un’indecisione di fondo che risiede proprio nella sua mancanza di esuberanza e attivismo.

Umani chiama in causa anche lo spauracchio nero dell’invidia che spesso può riguardare chi non riesce ad esprimere un lecito e fisiologico stato di felicità dinanzi all’affermazione motivata di un suo compaesano, di un suo regionale, preferendo, in maniera masochistica, trovare il modo –anche il più abbietto- per affossarlo con l’intento di infangare il talento che dovrebbe, invece, ingenerare in lui felicità e condivisione (“tu che dovresti/ dargli una mano,/ sei sempre il primo/ che l’ha da colpire,/ sei sempre quello/ che gli ha da far guerra/ e sotto ai piedi/ gli scava la terra”).

La chiusura della lunga lirica ritorna sull’immagine della formica da Umani scelto a rappresentare questo popolo semplice e taciturno, pieno di ricchezze, che custodisce gelosamente quasi con il desiderio di preservare quella coralità provinciale chiusa in se stessa. Nell’auto-denigrazione di sé stesso, nel processo di impoverimento e riduzione che il marchigiano intuitivamente è portato ad attuare risiede al contempo causa e conseguenza del suo male: l’incapacità di crescere o di sognare godendo del riconoscimento del proprio lavoro e della propria operosità nella difesa della propria terra e della promozione delle eccellenze.

Lorenzo Spurio 

Note

[1] Nel 2005, nell’occasione dei cinquanta anni dalla sua morte, a Cupramontana, sua città natale, si è tenuta una giornata di studi in sua memoria nella quale sono intervenuti il prof. Giancarlo Galeazzi (Università di Urbino), il prof. Guido Garufi (Università di Macerata) e il prof. Carlo Francalancia (Università di Camerino). Gli atti della giornata sono contenuti nel volume Testimone del ‘900. Atti della giornata di studio, 3 dicembre 2005, a cura di Riccardo Ceccarelli, Cupramontana, 2006.