La madre di un mostro di Bruno Previtali

La madre di un mostro

di BRUNO PREVITALI

Editore BookSprint – 12/2011 www.booksprintedizioni.it

Pagine 120

Prezzo € 13,10

ISBN 9788865957189

http://www.booksprintedizioni.it/vbs/thumb.aspx?f=/public/libri/copertina_bruno_previtali.jpg&w=200&c=100Municipio di Squarti, 8 marzo 1953. La madre del mostro riceve dal sindaco la notizia della morte del figlio. Costanza, che ha sofferto per le atrocità commesse, rifiuta di dargli sepoltura … Venanzio è nato con la testa più grande del normale, è cresciuto in assenza di educazione e con un padre che lo abbandonerà. Il rapporto morboso con la madre sfocia nelle angherie e nelle violenze anche verso di lei. Venanzio però ha bisogno di altre prede e va in cerca di donne. Ne ucciderà tre, con le stesse modalità: prima la violenza sessuale, poi lo strangolamento e lo scempio, e infine l’asportazione del pube, che ogni volta dona come trofeo alla propria madre, la quale nasconde le prove delle atrocità. Venanzio finge di aver placato la propria bestialità. In lui emerge una doppia personalità, la seconda, “cattiva”, lo spinge a provare ad agganciare anche sua cugina. La assale, ma lei riesce a fuggire e un contadino lì vicino dà l’allarme. Venanzio si dà alla fuga. Si rifugia dal prete, sperando in una sua protezione, ma viene invitato a costituirsi. Braccato dai parenti delle vittime si arrende. Nel processo si mostra insensibile e cinico. Tutti lo vorrebbero morto, ma viene condannato al carcere duro a vita … Costanza, dunque, non vuole seppellirlo. Ma la verità è più profonda. È stata lei a uccidere indirettamente il figlio per mezzo del prete, inconsapevole, che lo visitava in carcere. Ma nessuno lo scoprirà né saprà mai. Costanza, ormai chiusa nel proprio mondo, fa sparire quelle infamanti prove (i pube delle donne) della sua connivenza alle atrocità del figlio, e si da la morte con …  

Bruno Previtali

Via Carabello Poma, 4

24040 Suisio BG

Tel. 035902497

e-mail: previtali.b@alice.it 

web: www.previtali-b.com  

La saggezza dei posteri di Cristina Lattaro

Titolo: La saggezza dei posteri
Autore: Cristina Lattaro
Editore: Nulla die

ISBN: 978-88-97364-16-0

Prezzo: 23.50 euro
Pagine: 418

Quarta di copertina:
Claudio Zeppe, come i suoi antenati, ha una particolare abilità nel trovare l’acqua, ma non è un rabdomante.  Si è arruolato e ha raggiunto l’Afghanistan nel 2003, al seguito della spedizione italiana ISAF, per scavare 500 pozzi.
Sette anni dopo, da civile, dovrà ricostruire nei dettagli cosa accadde dopo l’assalto subito dal convoglio militare italiano diretto a nord di Herat. Un attacco sferrato da un pugno di predoni, ma progettato da un essere senza morale che la sua famiglia chiama da generazioni l’uomo del pozzo.
Booktrailer:
www.youtube.com/watch?v=2iAm4Ezhxfo

 

Estratto: 

http://issuu.com/cristinalattaro/docs/lasaggezzadeiposteri_estratto

 

Sito:http://cristinalattaro.eu

Due libri di Elena Benvenuti

Segnaliamo due libri di ELENA BENVENUTI, scrittrice nata a Pesaro nel 1978 che vive a Bologna, dedicandosi all’insegnamento, alla scrittura e al teatro. 

Tra le sue precedenti pubblicazioni figurano Voci (poesie, 2010)e Giocatori di specchi (racconti, 2010).

 

“Stanze”

di Elena Benvenuti

raccolta di racconti

II Edizione, 2011, pp. 136

ISBN: 9788891005908

“Stanze”: sono gli angoli bui a osservare e riportare le storie, gli oggetti a rappresentarle, le pareti e i pavimenti a racchiuderle o gettarle fuori. L’umanità che ne emerge è fragile ed eroica al tempo stesso. Perché l’essere umano è il protagonista assoluto di questa collezione di cose: l’essere umano che sbaglia, piange, cade, si rialza, volteggia al passo di una danza che tanti chiamano “vita”.
Link alla scheda del libro (cliccando su “inizia a leggere” si apre un’anteprima grauita: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=692393

 


“Le dee della discordia”

di Elena Benvenuti

Edizioni Ilmiolibro.it

Gruppo Editoriale l’Espresso

I edizione, 2011

ISBN: 9788891004680

“Le dee della discordia” sono voci femminili di rara sensibilità e durezza. Portano al mondo una saggezza a lungo cullata tra le braccia, custodita nel buio delle case, in segreto, fingendo di non vedere e non sentire. E quando ciò che tace decide di parlare, il risultato è un tuono – o una risata, essendo la denuncia e l’ironia, in fondo, le enigmatiche facce di una stessa medaglia.

 

Anteprima gratuita su: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=634508

 

Per contattare l’autrice dei due libri:  elee_de@yahoo.it 

 

“Parole a mezza voce nella sera” di Ilaria Celestini

Parole a mezza voce nella sera

di Ilaria Celestini

Aletti Editore, Villalba di Guidonia (Roma)

Anno: 2011

ISBN: 9788864988979

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Ilaria Celestini, poetessa bresciana il cui difficile percorso di vita che l’ha portata a una vera e propria battaglia per l’equiparazione dei diritti nella nostra società, con Parole a mezza voce nella sera, sua nuova silloge poetica edita da Aletti Editore, ci regala un testo in cui la parola viene celebrata con attenzione al fine di rivelarne il suo potenziale di espressività. La volontà di inserirsi in un filone poetico di carattere esistenzialista-intimista e in parte vittimista si evince dall’appropriata citazione in esergo, tratta dal poeta metafisico John Donne. La poetessa, dall’animo attento e filantropico, sempre aperta all’aiuto nei confronti di disagiati o di emarginati nella società, riversa in questa silloge molte delle sue idee e convinzioni di carattere intimistico e sociologico che negli ultimi anni si è andata facendo vivendo sulla propria pelle certe situazioni. E’ in questo contesto un lavoro quanto mai realistico e biografico, dal quale traspare molto non solo della vita della poetessa ma anche di come ella si vede in rapporto al mondo.

Il testo si compone di quaranta liriche di lunghezza diversa che partono da considerazioni altrettanto composite tra loro: si va da una sorta di immanentismo vegetale o di vero e proprio panismo nella lirica “Tu in tutto” (p. 9) che apre la raccolta e che ci fa pensare ai celebri versi dannunzani di “La pioggia nel pineto”, finissime liriche d’amore che impiegano un linguaggio semplice e diretto non evitando però di trasmettere un grande fascino (“Desiderio”, p. 10; “Incontro”, p. 25), e un vero e proprio desiderio di regressione all’infanzia, nel mondo dei sogni, dove poter esser cullati dolcemente (“Amore”, pag. 14).

Una nota di leggero vittimismo è riscontrabile nella raccolta; la poetessa scrive, infatti, di un desiderio fugace, inattuale, immateriale comparandolo a “ali di gabbiani/ vele disperse/ nell’eternità” (in “Vele”, pag. 11); fa riferimento alla solitudine e al senso d’indefinitezza dell’esistenza umana, evidente nel passo in cui dice “Nessuna certezza ci dà la vita/ sai? Ancora siamo vivi/ è questo che conta” (in “Parole poetiche”, pag. 18). Nella raccolta è inoltre presente un prezioso omaggio a un suo avo, combattente partigiano, nel quale la Celestini, con uno sguardo amaro ma quanto mai realistico, osserva: “O si vive pienamente/ o si è già morti” (in “Amore partigiano”, pag. 28).

In “Non siamo soli” la poetessa richiama l’attenzione su temi quali la fratellanza, la costituzione della società, l’unità tra persone e popoli, la coesione, il senso di responsabilità in una lirica in cui, forse, condensa il suo significato nei versi finali: “E noi siamo parte/ di ogni frammento di vita” (in “Non siamo soli”, pag. 33).

La poesia della Celestini è una poesia metafisica, che abbraccia il reale e il mistero; pur partendo da squarci quotidiani e comuni, se ne serve per poter indagare una realtà che è altra, superiore, non visibile ad occhi poco sensibili. C’è sempre qualcosa che sfugge nelle liriche della Celestini, un senso d’incompletezza, una sorta di folata di vento che porta via con sé parole e significati. E’ una poesia ricca ma complessa e la sua complessità sta in noi lettori nel riuscire non tanto a carpirne il significato ma a comprendere i vari percorsi tortuosi che la poetessa ha attraversato per poi giungere a scrivere ciò che nella silloge è contenuto.

Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATO PUBBLICARE O DIFFONDERE STRALCI O L’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE. 

“Giorni di panna – Il viaggio” di Gianluca Regondi

Giorni di panna – Il viaggio

di Gianluca Regondi

con prefazione a cura di Silvia Denti

Rupe Mutevole Edizioni, Bedonia (PR), 2010

ISBN: 9788865910030

Costo: 10,00 Euro

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Il viaggio che Regondi ci fa fare con questa sua raccolta di poesie è interessante e al tempo stesso coinvolgente. Uno degli aspetti più caratterizzanti che esce fuori da questa silloge è sicuramente il metro allungato e quasi prosaico che l’autore utilizzata; le lunghe frasi, spesso arricchite di aggettivi e di sostantivi, in alcuni casi ci fanno pensare a una poetica che non conosce limiti né vincoli e che è così potente e vigorosa da intorbidire quelli che sono i tradizionali principi metrici.

Centrale è il tema del tempo in tutte le sue possibili manifestazioni ed accezioni: il tempo passato evocato in maniera dolce e nostalgica nelle rughe della madre nella poesia che apre la raccolta; il campanile nella piazza che segna il tempo in maniera meccanica e monotona (quasi a consentire all’uomo di ricordare che non è altro che una pedina in mano a qualcosa di universale che, lentamente, si logora e diminuisce); la domanda di una figlia di raccontare del proprio passato e del proprio padre quando il poeta, poi, finisce per capire che per ricordare ciò che suo padre è stato per lui è necessario per lui considerare il suo status di padre.

Il viaggio che Regondi ci fa fare con questa raccolta di poesie è lungo e complicato, quasi labirintico, perché percorso per vie diverse; ci sono momenti di pausa, di riposo e di ricordo, altri dominati dal sogno, un mondo irrazionale in cui tutto era ed è possibile, riferimenti biografici alle figure genitoriali viste con un po’ di nostalgia, poi i momenti d’amore, le mani intrecciate, gli attimi trascorsi insieme, sempre in piena consapevolezza dell’onnipresenza (quasi sulla scia dei Sonetti shakespeariani) di un tempo che osserva da lontano, distruggendosi lentamente. E nel dio Chronos che Regondi tratteggia di continuo come presenza costante, insopprimibile, vigilante è, forse, da intravedere direttamente il Destino, un’entità sovrannaturale indistinta, incorporea, alla quale il poeta spesso si rifà per richiamare il mistero della creazione umana, il senso di continuità della vita sempre gravato dall’inconoscibile, la storia definita come il “ripetersi del tempo” (in “Nel ripetersi del tempo”, pag. 51), il futuro imminente prevedibile o auspicabile (“mentre giocavi ai dadi/ con un futuro di domande/ infuriate nel petto”, in “Follia”, pag. 32). E’ un tempo indefinito, che ritorna come memoria, razionalmente ciclico e confuso, fortemente influenzato dal caso: “Tra poco questo giorno/ sordo e muto/ si siederà ridendo,/ sopra una qualsiasi panchina arrugginita,/ nella piazza affollata tra uomini confusi/ dall’attesa del loro destino ignaro,/ creduto,/ voluto e deciso/ solo perché sudato e sofferto” (in “Un giorno sordo e muto”, p. 27).

Altro tema fondamentale dell’intera raccolta è quello dell’amore descritto però da Regondi non come semplici ricordi stereotipati carichi di intimità né con nostalgia ma come episodi semplici di cui va rintracciando l’essenzialità e la purezza di odori, colori e sensazioni. Non mancano, però, temi più crepuscolari e cupi quali il male, la sofferenza il dolore, capaci di rovinare, annientare ogni cosa, anche il ricordo: “schiaffeggiando ogni cosa/che ti è cara e importante,/ insultando anche l’infanzia” in “Follia”, p. 32; la solitudine, la consapevolezza della nullità dell’essere,l’imbarbarimento degli animi.

Un viaggio intimista con il quale l’autore celebra in maniera dignitosa e con orgoglio la sua figura paterna, centrale nella raccolta e, credo, uno dei principali motivi da cui sorge questo progetto poetico. Regondi ci accompagna nella sua infanzia, nelle sue esperienze raccontandocele con un linguaggio sensoriale, attento ai rumori e ai suoni, che non manca di riflettere attentamente anche su atteggiamenti umani insensibili e superficiali ampiamente diffusi nell’attualità.

“Tutto passa/ finendo/ in rumore/ o in silenzio” conclude l’autore nella lirica “Tutto passa” (pag. 37); è in questa frase semplice ma al tempo stesso altamente evocativa che, forse, va ricercato il senso complesso e vivido dell’intera poetica di Regondi.

Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA DIFFUSIONE E LA RIPRODUZIONE DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Petizione – Salviamo Casa Merini

La petizione che necessita di 10.000 firme è stata aperta sul sito http://www.firmiamo.it da Giulia Poletti con la seguente descrizione:

Purtroppo, mesi di attese e proposte, non hanno reso possibili i nostri sforzi e l’asportazione dell’intonaco della parete di Alda Merini è ormai alle porte. 
Il costo è molto alto e, il Comune di Milano non ha le disponibilità economiche per affrontare il tutto, oltretutto, i proprietari dell’appartamento, non faranno ulteriori proroghe e, il 15 gennaio, inizieranno i lavori di ristrutturazione dell’appartamento in cui Alda Merini ha vissuto e partorito le poesie che tutti noi conosciamo. 
Vi chiediamo un aiuto, non permettiamo che un pezzo di storia, nonché della cultura italiana venga abbattuto.

Abbiamo pochi giorni per evitare questo scempio.

Per firmare la petizione vai qui.

“Condomini e cattivi pensieri”, racconto di Franca Berardi

racconto di Franca Berardi

L’aveva notata già da diverso tempo ormai.
Lei arrivava sempre alla stessa ora, si sedeva allo stesso bar e sempre al solito tavolino di fronte al lungolago…beveva un caffè , fumava una sigaretta e poi andava via in tutta fretta senza scambiare mai una parola con alcuno.
Così, lui, decise di seguirla…; l’aveva già fatto altre volte ma non era mai riuscito a vederla bene in viso; lei era sempre di schiena, mentre fumava in silenzio e camminava a passo sostenuto.
Né mai lui avrebbe osato avvicinarsi a lei visto che era timidissimo ed impacciato oltremodo.
In un freddo mattino di dicembre, dunque, lui la seguì mentre lei ,quasi subito dopo, sparì tra un dedalo di stradine strette, per poi finire nel portone di una elegante palazzina, in stile liberty, posta nel centro storico della città…
Anche lui entrò ed iniziò a salire su per le scale dietro di lei…
La donna si fermò sentendo i passi di lui e si voltò a guardarlo. 
Era bellissima! Lui rimase senza fiato.
Per giorni e giorni ,ancora, aveva tentato di immaginare quel suo volto, ma ora che l’aveva finalmente visto, appariva ancor più sublime di quel che si aspettava, anzi più di quanto egli stesso potesse immaginare e sperare.
Lei lo osservò…, indugiò con lo sguardo che pareva avesse assunto un tono interrogatorio, visto che lui, non riusciva a smettere di fissarla.
Rosso in viso , dapprima, si scusò e aggiunse, con voce tremante, che stava cercando un signore ma non ricordava più a quale piano si trovasse poi, gli venne in mente un cognome che aveva letto frettolosamente sul citofono della palazzina quando per l’appunto , l’aveva più volte, pedinata nei giorni precedenti.
“Ah! –rispose lei- cerca il professor Milo? È sopra di me, secondo piano”…e, detto ciò, continuò a salire le scale senza aggiungere altro.
Lui ringraziò e riprese, come se nulla fosse, a seguirla, mentre il suo cuore pareva dovesse scoppiargli in petto da un momento all’altro.
Continuò così altre volte: la incontrava per le scale mentre fingeva di andare a prendere lezioni di matematica dal dottor Milo…e , finalmente, un giorno trovò il coraggio di chiederle se poteva offrirle un caffé, magari proprio in quel bar che lei ogni dì frequentava con assidua costanza.
Lei sorrise con estrema grazia…sembrava una donna d’altri tempi; così imbarazzata, timida e schiva , chiusa nel suo paltò grigio…ma anche compiaciuta dalle attenzioni di lui.
E così, iniziarono a frequentarsi con il fermo intento, però, di rimanere, comunque sia, amici e solo amici.
Ma si sa che ogni migliore proposito, chissà perché, poi …prende sempre un’altra piega e ,quindi, lei , dopo mille titubanze, lo invitò a salire a casa sua ma , giusto per bere un tè; non di più.
Ed, invece, così non fu forse perché la vita non va mai come si vorrebbe o forse perché si era venuta a creare un’intensa complicità tra loro due. 
Lei così timida e riservata, lui ormai un fiume in piena…
Iniziò una storia d’amore, ma prima di approdare a questa decisione, così a lungo elaborata e sofferta, ella gli dovette confessare che condivideva la casa con una sorella dispotica ed ostile che, con lei viveva non tanto per affetto quanto per pura convenienza visto che l’appartamento era intestato, ahimè, ad entrambe.
Dunque la sorella mal sopportava la presenza di quel ragazzo che si vedeva così costretto, ad incontrarsi con il suo grande amore in momenti fugaci e soprattutto lontano da certi occhi indiscreti ed impietosi…
Ma anche il loro vicino del piano di sopra ,tal professor Milo ,non se la passava bene…
Da diversi anni era separato dalla moglie che era andata a vivere in una città molto lontana , portandosi via i tre figli. 
Lui , colto dalla disperazione, aveva iniziato a bere poiché si sentiva fallito come marito , ma ancor più come padre poiché impossibilitato a vedere le proprie creature.
Aveva tentato più volte di contattarli, ma i parenti di lei non gliel’avevano mai concesso e così il poveretto, solo e sconfitto , iniziò a fare mille strane congetture…
Intanto, non disdegnava di andare a consolarsi dalle due sorelle che abitavano sotto di lui… 
In particolare, aveva fatto presa su quella più anziana che si sentiva molto attratta sia dalla sua penosa storia, sia dalla sua fisicità…a tal punto, che sognava di poterlo incontrare nel proprio appartamento, in separata sede, senza la presenza ingombrante della “sorellina” e del suo scomodo fidanzato.
A ben pensarci, le due donne avrebbero potuto trovare una soluzione alternativa e pacifica o qualche espediente più sensato, per dirimere la questione.
Ma, si sa ,che i parenti non sono mai molto propensi ad andar d’accordo; semmai più proclivi a complicarsi la vita per il gusto e il piacere acclarato di farsi del male.
E così, le due sprovvedute, continuarono a farsi mille dispetti e ritorsioni.
Ma, anche l’inquilina del primo piano aveva le sue gatte da pelare, visto che doveva badare alla anziana madre affetta da una incipiente forma di demenza senile…
La giovane donna, nel prosieguo del tempo, vedeva sfiorire sempre di più il suo grande sogno e cioè quello di andare a studiare all’estero.
Talora , nei momenti di maggiore crisi, veniva assalita da pensieri che non le facevano onore, mentre imboccava l’esagitata mamma o le cambiava il pannolone.
Il padre, nel frattempo, se la spassava con una ragazza della sua stessa età.
Anzi ,spesso e volentieri, il “tenero” papà rimaneva fuori a cenare, se così si può dire,…con la sua nuova compagna, incurante della tragedia familiare che lo circondava.
Forse egli voleva sfuggire al dolore…oppure non era pronto ad affrontare una situazione così difficile ma, comunque sia ed ipotesi a parte, egli continuava a fare il ragazzino di sessant’anni, lasciando così alla figlia ogni onere; a scapito anche della sua stessa salute mentale. 
La figlia, del resto,più volte si era ribellata a questa forzata prigionia; più volte aveva scongiurato il padre di ritornare alla ragione, ma senza esito alcuno…
E così, ella ormai si sentiva in preda alla disperazione ,in virtù del fatto che non vedeva più un futuro per sé.
Peraltro, intorno a lei, c’era la solitudine e solo quella, poiché, al momento, nessuno poteva sostenerla nel suo arduo compito.
Quindi, per quanto tempo ancora la giovane sfortunata avrebbe potuto reggere ad una situazione così pesante?
Intanto che badava alla madre, sempre più confusa, agitata e delirante, pensava che doveva passare al contrattacco con ogni mezzo e,…se prima pregava, ora iniziava a preparare inquietanti rappresaglie.
Del resto visto che, i suoi sogni non gli avrebbe mai potuti esaudire, sperava ,almeno, di patteggiarli con il consenso e la benedizione di qualche entità superiore che dall’alto dirigeva quella sua vita così tormentata e sfortunata.
All’ultimo piano della stessa palazzina, abitava una sciccosissima ed appariscente signora che spesso e volentieri soleva litigare con la figlia. 
C’è da dire che la matura donna, si era separata da molti anni ormai ed aveva iniziato una convivenza, alquanto discutibile, con un bellimbusto che sfruttava la sua ricchezza e non più la sua bellezza quasi del tutto sfiorita.
La figlia era ,ovviamente, preoccupata poiché sapeva che prima o poi, la madre avrebbe dilapidato ogni suo bene in quanto in preda ormai ad una folle storia d’amore che pareva più che altro molto simile ad una follia pura ove l’amore non c’entrava nulla.
Ormai, la povera donna, non riusciva più a gestire nulla in modo razionale.
Preponderante era per lei l’intento di accontentare le esose esigenze dell’amante che non disdegnava ,di certo, di essere trattato al pari di un principino.
La ragazza , invece, si era messa con un giovane di belle speranze ma che apparteneva , suo malgrado, ad uno status sociale molto basso, anzi quasi scadente. Anche lei, folle d’amore, come sua madre del resto, voleva aiutarlo a studiare, visto che egli era privo di mezzo alcuno per farlo. 
Ma la madre, obnubilata irrimediabilmente dalla passione, era troppo intenta a coccolare il bell’”Antonio” per potersi curare di lei… 
Talora, la povera ragazza, in preda alla disperazione, si rifugiava a piangere in cucina dopo l’ennesimo rifiuto della mamma di concederle un aiuto finanziario. Anzi vi è da dire che , oltre ciò , la sciamannata spendacciona, contestava in malo modo il fatto che la figlia frequentasse un plebeo.
Probabilmente agiva in tal modo, per giustificare il proprio operato e non sentirsi così in colpa…
Comunque sia , perseverava in questo suo atteggiamento ostile ed impietoso.
Intanto …al terzo piano dello stesso stabile, abitava una nobildonna decaduta da molto tempo ormai, sia nel corpo che nelle sostanze economiche e così , dopo anni di fasti, di lussi condivisi con il marito ed i figli, si era improvvisamente trovata in cattive acque.
Aveva ,dunque, deciso , suo malgrado ,di vendere la nuda proprietà di quello immobile tanto amato e pieno di ricordi…
Allorquando, per l’appunto, viveva felice ed orgogliosa del suo status sociale molto invidiato, peraltro, dal resto dei condomini, che spesso si lasciavano andare a commenti sgradevoli e discutibili.
Morto il marito, però, tutto era cambiato improvvisamente; i figli avevano sperperato oltre modo ogni loro bene senza che ella avesse trovato il tempo di rendersene conto…forse distratta da una vita fin troppo agiata e facile.
Pertanto, qualcosa era sfuggito al suo controllo, ebbra com’era , di una felicità che ,ormai ,era finita prima del previsto.
E così, la improvvida anziana, si vide costretta a vendere in primis i gioielli di famiglia ed alla fine, su consiglio di molti, anche la nuda proprietà.
L’acquirente , manco a farla apposta, era uno dei condomini , quello più ostile per il vero, che l’aveva sempre detestata ed invidiata.
Ora il suo rovinoso crollo economico, era per lui una rivincita morale di non poco conto, visto che, la signora , negli anni migliori, non si era mai neanche lontanamente degnata di prenderlo in considerazione.
Giusto , talora, gli elargiva un saluto frettoloso che suonava come un rifiuto cortese ma, al contempo, raggelante.
L’uomo, ormai, sapeva di averla in pugno e non vedeva l’ora di contraccambiarle la cortesia; ed , intanto, che assaporava il piacere della vendetta, aspettava il suo trapasso per occupare l’agognato appartamento.
Ma la signora, a dispetto di tutti, godeva di ottima salute ,nonostante i suoi ottant’anni suonati…
Invero, se li portava male, era vecchieggiante sì …ma con una invidiabilissima salute di ferro. 
Il suo sguardo si era spento , così come la sua alterigia, ma il cuore reggeva con ostinato orgoglio. 
E così, va da sé che il suo vicino le faceva mille dispetti e le lanciava maledizioni di ogni tipo e che , per il loro contenuto, avrebbero spaventato anche il più consumato esperto di magia nera.
E, intanto, un’altra piccola tragedia familiare si stava consumando al primo piano dello stesso stabile, ove alloggiava una vecchietta in totale solitudine.
Aveva ,però con sé, un cagnolino che pareva persino più vecchio di lei, tant’era secco, rugoso e spellacchiato…
In compenso possedeva delle corde vocali possenti ,a tal punto, che , appena percepiva i passi di qualcuno, iniziava a latrare al pari di un alano.
Ma, quella piccola creatura, rappresentava da anni ormai l’unico conforto per quella sfortunata signora dimenticata dai figli e dalla vita.
Sullo stesso pianerottolo abitava , invece, una coppietta che mal sopportava l’anziana donna; eppure c’era da notare che, gli spocchiosi inquilini , giovani e con figli, si erano sempre dichiarati di sinistra e peroravano la causa dei più deboli, degli emarginati…
Ma ,tra le mura domestiche, palesavano le loro bassezze interiori più autentiche…
L’anziana signora, non li commuoveva per niente, anzi la consideravano antipatica e maleodorante alla stessa stregua del suo povero cagnolino. 
E , come se non bastasse gli incongruenti sinistroidi…, incoerenti anche nell’animo e nella mente, si lasciavano andare a liti furiose che riguardavano l’educazione dei figli preludio questo , ad una separazione imminente.
E, sempre , in questo condominio così variegato ed animato, abitava un giovane che
soleva litigare spesso e volentieri con la madre poiché non accettava la presenza del nuovo convivente di lei…egli la minacciava continuamente di andar via alfine di raggiungere il padre che tanto vagheggiava ed idealizzava.
Forse perché quell’uomo, più non era con lui a condividere il quotidiano…
Ed un altro giovane del piano di sotto , non dava di sé un bello spettacolo.
Reclamava a viva voce i propri diritti e, le sue parole accese ,venivano udite da quasi tutti i condomini.
Si accendevano furiose diatribe poiché egli pretendeva di sposarsi e di aprire un negozio… dimentico però del fatto, che i genitori non potevano fronteggiare le sue richieste.
Ma lui non voleva aspettare né addivenire a più miti consigli…accecato tra l’altro, da una gelosia morbosa nei confronti del fratello maggiore che in effetti aveva ottenuto ciò che gli spettava…
L’altro, rancoroso più che mai, aveva totalmente tralasciato un piccolo particolare e cioè che il suo congiunto , tanto detestato, aveva risparmiato a lungo per consentirsi alfine una vita più agiata… mentre lui, aveva vissuto al di sopra delle sue possibilità.
Ed una giovane donna che, viveva in un bilocale da qualche anno , era in preda alla disperazione più assoluta poiché abbandonata dal marito.
Ella ,dunque, non poteva più onorare le spese condominiali, tra lo sconcerto e lo sdegno degli altri inquilini, che speravano che ella venisse sfrattata al più presto…
Nel frattempo, però, aveva accolto in casa sua, il fidanzato della figlia che, nel tempo, cercava di aiutarla con il suo lavoro molto precario.
Ma, intanto , il giovane si sentiva molto attratto dalla bellezza di quella donna tanto sfortunata e non lo nascondeva, né cauto si mostrava agli occhi della fidanzata che iniziava così a manifestare, in modo acceso , il suo disappunto…
Da quella palazzina, or dunque quasi tutti i giorni, si sentivano echeggiare le voci concitate di persone infelici, che sognavano di fuggire da situazioni dolorose e spiacevoli ed intanto, più in là, di fronte al lungolago s’intravedevano due giovani seduti al tavolo di un bar.
Si baciavano e sognavano un futuro migliore, tra un caffé ed una sigaretta, mentre l’acqua del lago, sotto un’algida luna, sembrava ancor più piatta, grigia ed indifferente.

 

Franca Berardi

RACCONTO PUBBLICATO SU QUESTO SPAZIO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERO RACCONTO SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

Antologia poetica Labyrinthi, a cura di Ivan Pozzoni

Il signor IVAN POZZONI, curatore della Limina Mentis Editore rende noto quanto segue:

Carissimi amici,

Sto concretizzando un’idea di antologia seriale in progress che desidero chiamare LabyrinthiPer una lirica democratica, che Limina mentis mi ha autorizzato.

Si tratta di un’antologia, in serie di volumi (come i miei Voci dall’Ottocento e Voci dal Novecento), aperte ad artisti di tutt’Italia, noti e meno noti, d’ogni orientamento poetico (importante che abbiano un orientamento), intesa come dialogo poetante costante in comunità di artisti, con testi firmati (con aggiunta di una biografia finale di ciascun artista che collabori al volume).

L’essere il volume in serie (vol.I / II / III / e così via) garantirà massima efficacia del dialegesthai tra autori diversi.

Inizierò a lavorare al vol. I, selezionando testi.  Chiunque sia interessato, mi contatti, che invierò informazioni dettagliate.

Chiedo a tutti, cortesemente, di diffondere tra amici e conoscenti (artisti), in modo da allargare al massimo il range di collaborazione, fino ad includere tutt’Italia (o l’estero di lingua italiana).

Qualora tutti ci impegneremo a farla funzionare, il dialogo sarà continuativo e monumentale.

Attendo contatti di tutti

Cari saluti

 Ivan Pozzoni

Per contatti:

E-mail: ivan.pozzoni@gmail.com 

Sito: http://www.liminamentis.com/

Situations Comiques, laboratorio di teatro condotto da Maria Benoni

MOVIMENTONETTOLaboratorioTeatroPermanente

apre le iscrizioni a

SITUATIONS COMIQUES

Laboratorio di Teatro Contemporaneo condotto da Maria Benoni

il 17 e 18 dicembre 2011

 San Sperate (CA)

SITUATIONS COMIQUES tratterà:

DRAMMATURGIA DEL CORPO, grammatica e poetica.

TECNICHE DI IMPROVVISAZIONE dalla partitura di un soggetto alla messa in scena.

 

A Dicembre continua il lavoro di ricerca sul Cosmo Comico: il  laboratorio intende evidenziare alcuni degli aspetti che consideriamo fondamentali  di questo genere teatrale, passeremo attraverso le molteplici esperienze del teatro fisico, dai comici dell’arte, alla recitazione nel cinema muto, all’affermazione del mimo contemporaneo – asciutto ed incisivo –  di Etienne Decroux.

 

Cercheremo di cogliere l’eredità di questa esperienza attoriale nel teatro contemporaneo.

 

Per partecipare non è necessario avere esperienze teatrali precedenti.

Tutti possiamo essere interessati e interessanti.

 

SITUATIONS COMIQUES è un laboratorio teatrale che parte dal corpo e dalla consapevolezza delle risorse di questo straordinario mezzo espressivo.

Un lavoro attoriale sul corpo e sul suo potenziale. Lavoreremo sulla presenza e sull’equilibrio in rapporto allo spazio e al mondo che ci circonda e quindi entrando in contatto con sé ma anche con l’altro.

Il training in teatro è un allenamento fisico ma include anche la capacità di ciascuno di inventare. Accendere e tener vivace ed attiva quell’incessante “corrente” che ci anima e ci permette di esplorare e di inventare, come accade per esempio ai bambini. E’ importante mettersi in gioco in “sincerità”, con la leggerezza del fanciullo.

L’avvicinarci al COSMO COMICO ci consente di conoscere e approfondire alcuni degli aspetti del lavoro teatrale partendo dalla straordinaria lezione dei comici dell’arte, gli attori fisici per eccellenza.

Il Lavoro sul Comico si articola in diverse fasi per meglio evidenziare i suoi aspetti molteplici, per questo intendiamo offrire ai partecipanti un ciclo di incontri intensivi, in progressione, volti ad approfondire  il tema del comico.

Successivamente, acquisito il materiale, sarà possibile montare una o più “Situations Comiques”. Infine condivideremo l’esperienza di lavoro in questa fase grezza con gli spettatori in un  contesto di “lezione-spettacolo”.

                                                                                                                                                 Testi di Maria Benoni

 

Maria Benoni è attrice, autrice e regista.

È stata assistente, allieva ed insegnante nella scuola di Parigi di Etienne Decroux, una delle scuole più importanti nello scenario europeo del teatro contemporaneo.

Info ulteriori:

http://movimentonetto.wordpress.com

http://facebook.com/MOVIMENTONETTO

http://www.pigrecoemme.com/teatro/maria-benoni.htm

http://www.pigrecoemme.com/teatro/fonti.php#

 

 

Le due giornate di laboratorio saranno così articolate:
Sabato 17 dicembre: 9.00/13.00 – pausa pranzo – 15.00/21.00 – rientro a casa propria.

Domenica 18 dicembre: 9.00/13.00 – pausa pranzo – 15.00/21.00 – happening 21.00/22.00.
Lavoreremo a San Sperate, immersi nella campagna, un contesto che permette di vivere le diverse fasi del lavoro in modo confortevole e appropriato.

L’abbigliamento deve essere comodo. Si lavora scalzi (chi vuole può tenere le calze).

Ci saranno situazioni di movimento ma anche di ascolto, di attore e di spettatore, per cui è necessario avere a disposizione anche abiti caldi, un tappetino e/o un plaid.

È importante avere con sé un blocco per appunti e il necessario per scrivere/disegnare.

Ognuno si porta da mangiare e da bere (bevande non alcoliche) per tutta la giornata.

Se non sei automunito riusciremo sicuramente ad organizzare un passaggio!

Il costo del laboratorio è pari a 80,00 Euro.

 

Per iscrizioni ed informazioni di segreteria chiama il 338 58 43 701

Per informazioni sul laboratorio chiama il 339 79 32 095

oppure scrivicimovimentonetto@gmail.com



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“Piccola storia algerina”, racconto di Gaetano Mustica – con un commento del prof. Vallaro, docente di Lingua e Letteratura Araba presso l’università Kore di Enna

PICCOLA  STORIA  ALGERINA

racconto di Gaetano Mustica  

 

   In Algeria, nella tribù Ouled Naïl, si narra che, per incoraggiare in qualche modo la figlia appena dodicenne, avviata, come d’uso, dal severo Abu presso le oasi per costituirsi la dote col meretricio, la consolatrice Oum, favoleggiasse alla fanciulla di Ain e del cobra Naja haje e che solo così la ragazzetta adolescente riuscisse ad ingoiare le lacrime, facendosi animo ed incamminandosi per affrontare il destino alla luce pur tenue della speranza.

Orbene, Vi narro questa piccola storia ad aedificationem, speranzoso non solo di non annoiarVi, ma presuntuoso di piacerVi al punto da conservare questo mio “Diwanetto” che la contiene nella Vostra biblioteca, o, comunque, nello scaffale dove riponete i libri destinati alla nepotanza, …ove e quando ne avesse voglianza.

State a sentire, adunque.

    In una misera capanna di paglia e fango, nel settentrione algerino, vicino al piccolo centro rurale di Aflou, vive la famiglia di caprai di Ain, una graziosa giovinetta bruna d’incarnato e con gli occhi chiari come l’acqua del ruscello da cui ha preso il nome.

L’alba è di già tracollata incalzata dal sole che l’ha punta coi primi raggi sfoderati, il piccolo parco pasto mattutino è stato consumato, il Padre è andato ad accudire le zebe nel caprile, i fratelli a vendere il latte e i caci, le sorelle già sono intente ai telai e la Madre, triste, lava per l’ultima volta accuratamente Ain che quel giorno compie il fatidico dodicesimo compleanno: ai rivoli d’acqua spremuti dalla spugna si frammischiano le lacrime copiose della fanciulla e la Oum si morsica il labbro quasi a sangue lavando il petto adolescente, il culetto da signorinella e il grembo (ahilei!) di donna fatta della figlia.

Dopo le abluzioni s’impone il trucco: la piccola fronte (ancora aggrumata di favole!) viene dipinta d’ocra gialla, le guance (ancora con velluto d’albicocche!) di carminio, le labbra (ancora succose come nespole!) di cinabro e gli occhi (ancora incantati di sogni!) vengono pitturati di polvere d’antimonio.

Adesso Ain è pronta all’ultima prova prima di partire.

L’Abu lascia la mungitura e siede su uno sgabello, accavalla le gambe e accende la pipa.  I fratelli, nel frattempo rientrati, danno fiato e mano ai pifferi melodiosi e ai cimbali eccitanti ed Ain inizia a danzare, prima timida ed incerta, poi, frastornata ed ubriacata dai tamburini, aumenta l’ancheggiamento, smuove il ventre sempre con più foga, convulsa lo fa roteare con l’ombelico, dimena, scatenata, i seni per far tintinnare i campanellini, insieme e, con perizia, ad uno ad uno, dondola le anche,  si gira e volteggia, mostrando, lubrica, che anche le natiche partecipano eccitate alla danza; infine, tutto il corpo contorcendo lussuriosamente, madida, ma non fiaccata, si propone sfacciatamente al Padre e l’Abu, compiaciuto della bravura della femmina, sbuffa un’ultima voluta di fumo e le appioppa una sculacciata significando: “sei pronta, donna, puoi partire, vai e fai la tua fortuna”.

Sulla soglia, l’Abu consegna alla figlia l’haik di corredo e Ain, reprimendo le lacrime, indossa la lunga camicia, la Oum sistema lo scialle a righe sopra una spalla della figlietta, fermandolo con lo spillone che, a suo tempo, ha avuto da sua Madre e che le ha portato fortuna e la sorella a lei più vicina d’età le appende alla cintura un piccolo specchio che le servirà per il trucco. La Madre spinge la donnina fuori dalla porta e un’ultima sculacciata del Padre, questa volta dolorosa, le fa muovere il passo, senza voltarsi, verso l’oasi di Bou-Saāda: salām e ognuno volge il capo prima a destra, indi a sinistra (I genitori, le sorelle e i fratelli si appartano per piangere e raccomandarla ad Allah il misericordioso e il compassionevole…, non v’è altro Dio che Iddio e Maometto è l’Inviato di Dio…amin. Le capre, i commerci, i telai e le faccende domestiche oggi dovranno aspettare che almeno una piccola parte della malinconia sia smaltita con le lacrime). 

Colà, nell’oasi prescelta -per l’intersecarsi delle carovane prima dello snodo per l’Altopiano degli Chott, o per l’Atlante Sahariano e per il deserto-, la raminga, se vorrà farsi una ricca dote e tornare a casa con catene d’oro al collo, ai polsi e alle caviglie, dovrà vincere la concorrenza delle prostitute delle tribù di Ouled Rahah e di Beni Amer, sorridendo invitante e lasciva ai viandanti, con arte danzando per loro la conturbante danza del ventre, truccata alla perfezione e pronta a soddisfare tutte le loro brame, fingendo di godere del loro impeto lussurioso.

    Ahi! Ahi! Ahi!, povera  piccola tenera  Ain…, che, andando, ti ferisci le mammelline con le unghie, strappi i peli del pube e martirizzi il culetto sedendo sui sassi più acuminati…: abbi Fede,  Allāh Akbar!  Lo vedi come t’ha sorriso lo scorpionaccio che hai risparmiato e che prima volevi spiaccicare con un colpo di pietra violento quanto la tua rabbia e pesante come la tua pena?  E quando mai occhio umano ha visto sorridere benevolo uno scorpione?! Vedrai…,  Iddio è il più grande, non lo prende mai né sopore né sonno, e saprà…: Ohè!, ma dico!, ora è a me che vuoi scagliare la pietra?  D’accordo, sei stufa di suwar: giuro che d’ora in avanti se avrai voglia di un consiglio, potrai solo aprire il sacro Qur’ān, il libro perspicuo, e sceglierti la sura che più ti aggrada.  Ma, attenta ai cobra…. Il fischio d’un sasso che mi sfiora mi zittisce; per cui darò ormai solo seguito alla storia.  E che finisca come Dio clemente e misericordioso, che ode e sa tutto,  vorrà.

    Cammina, cammina, un passo dietro l’altro, orientandosi con le stelle e sostando quando i ginocchi  minacciavano di piegarsi e i piedi di piagarsi, Ain arrivò dopo qualche tempo a una piccola oasi pietrosa nei pressi di Messaad e non volendo entrare in paese sconciata com’era dal lungo andare, si decise a dormire sotto una palma, non prima, però, d’essersi lavata, ché puzzava peggio d’un becco, rifocillata con un pezzetto di caprino, pane raffermo e qualche dattero, bevuto una lunga sorsata d’acqua, sbadigliato e preparato, alla bene e meglio, un giaciglio con delle frasche di lentischio e un guanciale con la pietra più levigata del ruscello.

S’era appena appisolata, quando udì un flebile lamento ed anzi una specie di lagna: si alzò preoccupata che non di lamento si trattasse, ma d’un qualche verso d’animale pericoloso che mugolasse alla ricerca d’una qualche preda; ma no, era proprio un lamento piagnucoloso e quasi un pianto…. Una nuvola inopportuna velò, però, la luna e Ain non poté al buio sincerarsi d’alcunchè. Rannuvolata dal timore, stentò a riaddormentarsi e così sentì e risentì lo strano rumore di pianto, finché la luna non mostrò di nuovo la sua faccia tranquilla.  Rincuorata, Ain prese a cercare fra le pietre e cerca ricerca, nuovamente a tentoni, per via di un’altra nuvola dispettosa, toccò qualcosa di viscido e freddo, oddio!: al tocco, il qualcosa aumentò i lamenti ed anzi proruppe in un pianto accorato:

–         “Sono un cobra, fanciulla; no, non scappare…, sono ferito, a morte, temo; va bene, allontanati un poco, ma stammi a sentire,. te ne supplico, un cobra …della famiglia dei Naja haie…”-

–         “Un Naja haie!, ma allora sei velenosissimo, micidiale, come m’ha insegnato l’Abu;  da te posso salvarmi solo se riesco a  incantarti con lo zufolo che la Oum m’ha messo nella sporta, dammi, ti prego –intanto fischietto, senti?- il tempo di prenderlo e d’accostarlo alle labbra: certo non sarò brava come Aronne al cospetto del Faraone, ma qualcosa suonerò… di dolce per te, cosicché tu non mi morda come il tuo crudele parente con la seducente Cleopatra consenziente…”-  

–         “No!, ti prego, lo zufolo no: mi toglierebbe le residue forze, m’imbambolerei e non saprei più pregarti, spiegarti…”-

–         “Ma io non voglio affatto che mi spieghi come m’assassinerai: ma tu guarda che killer cinico mi doveva capitare!…”-

–         “Io, ahimè, io mi sono imbattuto in un killer! –come voi giovani chiamate oggi gli assassini-, io… in un cinico cammello che, neanche l’avevo guardato –brutto e gibbuto spelacchiato pidocchioso com’era!- e m’ha calpestato, il malnato, sferrato zoccolate dovunque e, alla fine, non contento, m’ha pure pisciato addosso e lordato della sua merda, … avesse almeno fatto all’incontrario, prima lordato e poi pulito col piscio…, povero me, mi ha anche rotto gli occhiali…; che sua moglie gli faccia le corna, così lo portano allo zoo, in mostra, nella gabbia, ché non faccia più male a nessuno…”-

–         Ma che mi conti, che sibili?, tu ora mi vuoi incantare? Ti sembro una ragazzetta ingenua? E, invece, sono una donna fatta (e mostrò petto e culetto) e vado a farmi la dote coi gioielli che gli uomini mi daranno in cambio …delle mie gioie; capito mi hai, ofide dalla lingua bifida, seppur sciolta?!”-

–         “Sciii…sciii, vuoi aumentare i miei dolori, farmi morire di crepacuore?!: una fanciullina tenera come il germoglio del grano, pulita come una gattina, dolce come una tortorella, una appena svezzata dalla Oum, andare a prostituirsi?!, che ulteriore patimento per me già così sofferente….”-

–         “Senti, non siamo parenti, non t’accorare per me, come io non m’accoro per te …”-

–         “E, invece, siamo parenti, seppure non stretti –meglio per te…, dato che son cobra- perché abbiamo un unico Abu…”-

–         “Non t’offendere, ma dubito che mio Papà, abbia potuto, anche ubriaco, tradire la mia Mamma con una serpentessa, sia pure  elegante, seducente e con gli occhiali coi lustrini da sera, come doveva essere la tua Oum…: Buonanotte e che il sonno ti ristori e ti risani e…ti tenga ben lontano da me.”-

–         “Ma allora vuoi lasciarmi morire, qui, all’addiaccio -come le pecore, ma quelle hanno la lana e, comunque, s’addossano l’una all’altra, come sai-, senza il tuo conforto e il calore del tuo corpo?! Ho freddo, tremo verga a verga…, ti prego, ti supplico, per pietà, deh…, prendimi in collo, come un fantolino con la febbre,  e accucciami sul tuo grembo, cosicché io guarisca o muoia col tuo affetto.  Brrr…, ho freddo di morte nel corpo martoriato, brrr…, pietà….”-

 Ain, duro il cuore e asciutto il ciglio, tornò al giaciglio e  il serpente continuò a gemere;  e più pativa e gemeva e più la fanciulla non riusciva a prendere sonno, anzi, chiudendo gli occhi, senza volerlo, aumentava la capacità di raccogliere suoni con l’udito, sicché divisò di provare a dormire ad occhi aperti; ma s’è mai visto?, ah, i ragazzi!  La luna, intanto, prese a farle le smorfie e gli occhiacci, anzi forse solo gli occhiacci perché le smorfie di dispetto era la giovine a farle all’astro, colpevole, secondo lei, in quella spiacevole circostanza, di spandere importuno lucore. 

 –         “Ahi come mi dolgo! Non sento più il terzo, sesto, settimo e nono anello e gli altri…mi stringono…come…come se si fossero ristretti al piscio immondo di quella immonda bestia… Brrr che freddo cane! Brrr, forse è quella cucciolata di cagnolini che ho ingoiata che m’è rimasta sullo stomaco: ah l’avessi vomitata agli ululii della madre!  E ora il freddo è “cane”, ma deliro, forse sto andando…, muoio…, sprofondo, o mi sto alzando… e nessuno che mi conforti: solo come un cane: e ridalli!, delirerò, ma se me la scampo, giuro che non toccherò mai più un cane, semmai una volpe…, di tanto in tanto… Brrr…., il freddo, come fredda lama, sarà l’ultima pugnalata nel mio corpo martoriato….”-

 Ain sente gemere e piagnucolare il serpe: è insopportabile! La lagna dolente è più pungente del freddo della notte, davvero gelida da quelle parti: i brividi le percorrono la schiena… e comincia a soffrire anche lei…, per lui e…per lei.

Lui è solo ed ha paura, ma anche lei è sola e il timore per ciò che sarà è grande forse altrettanto di quello del Naja haje. Come vorrebbe stringersi a qualcuno per cercare protezione dall’ignoto…, per farsi un po’ di compagnia, darsi reciprocamente un po’ di calore, di sodale conforto affettuoso….

A mezzanotte, mezza notte e mezza, Ain non resiste più, s’alza, cerca fra le pietre, si lacera anche le mani con quelle più taglienti, si punge pure le braccia cogli spini del roveto e, alla fine, lo trova: lo raccoglie pian piano, lo bacia sul capo –sconsiderata!- per zittirne i lamenti o mitigarne i dolori e lo porta con sé, sotto la palma, a dormire, o a cercare di dormire con lei.  Ma anche a fianco ad Ain il cobra non ha requie, ormai è sicuro, trema, sta morendo! Forse davvero di freddo…, così la fanciulla, pur sudando freddo, lo riprende in mano e, con ogni cura, lo acciambella sul suo ventre, al calduccio, fra i riccioli del suo pube.

Alle cinque e mezza, un quarto alle sei, Ain si sveglia e, punta da un raggio lampante di sole, fa il punto: oddio! Ha dormito con una serpe in grembo!, o ha sognato? S’alza concitata e va al ruscello per lavarsi e chiarirsi le idee, ma, appena giunta, vede riflessa nell’acqua limpida una ricca signorina, …tutta adorna di gemme, ai lobi delle orecchie, al naso… e tre giri di catena d’oro pesante al collo, sette, otto bracciali dello stesso aureo metallo ai polsi e alte cavigliere d’oro zecchino alle caviglie snelle di gazzella.

 –         “Allāh Akbar: sono diventata ricca, sono ricca e …non sono nemmanco arrivata a Bou-Saâda….”- si mise a gridare, saltellando di gioia la nostra Ain.

–         “Se non sei ricca, hai comunque tanto per una ricca dote e per un buon marito. Tornatene, dunque, a casa dai tuoi, benedetta, l’Abu ha già tolto la spranga e aperto il bab e la Oum ha già acceso il fuoco nella dàr: la tua pietà  mi ha e ti ha salvato!  Vai con Dio Onnipotente, Ain, e sii sempre dolce con tutti, come sei stata dolce anche con un serpentaccio come me…”- disse, sbucando da un anfratto d’infra la fratta di tamarisco, il Naja haje, soggiungendo:  – “Ho detto “anche” perché io sapevo ch’eri buona per averlo appreso da uno scorpione che hai risparmiato: sai com’è, da queste parti spopolate, quasi desertiche, nei pressi del Grande Erg, le notizie, col ghibli che soffia dal meridione,  si propalano veloci come nella Kasba.  Sii benedetta, Ain, vai, vai con Dio Signore nostro e che dalle tue orme nascano gigli per la gloria di Allah clemente e misericordioso”. 

 Dal folto di tamerici esce un dolce suono di mandolino: il Naja haje con la coda pizzica il tambùa, festeggiando la salvezza sua e di Ain.-

“Quarta di copertina” redatta dal Prof. Michele Vallaro –Ordinario di Lingua e Letteratura Araba presso l’Università Kore di Enna-  per  “Il Diwanetto” di Gaetano B.G. Mustica 

A una prima occhiata questo “Diwanetto” potrebbe richiamare alla mente certe fascinose finzioni letterarie quali l’Ossian del Macpherson, il Mirza Schaffy del Bodenstedt, il Hasân-el-Tarâs di quel raffinato gran signore che fu Alberto Denti di Pirajno. Ma qui la cosa è diversa: Gaetano Mustica è contemporaneamente Ossian e Macpherson, Mirza Schaffy e Bodenstedt, el-Tarâs e Denti di Pirajno. Il suo pirotecnico affabulare, mirabolante anche dal punto di vista linguistico, crea mondi policromi e poliedrici che fanno pensare a Decameroni rappresentati con miniature persiane o Mille e una notte raccontate da Antonello da Messina. Nell’orizzonte di Mustica, parafrasando Kipling, East is West, West is East. Pura fantasia? Gusto d’un pantagruelico novellare? Forse, invece, a un livello profondo, più verità di quanto le desolate e desolanti cronache odierne possano far supporre.

Enna, 12 dic. 2010

E’ SEVERAMENTE VIETATO PUBBLICARE E DIFFONDERE STRALCI O L’INTERO RACCONTO/COMMENTO SENZA IL PERMESSO DA PARTE DEGLI AUTORI.

“Andrà tutto bene” di Stefano Iannacone

Autore      Stefano Iannaccone

Titolo       Andrà tutto bene

Casa editrice La bottega delle parole

Collana       Ápeiron         

Isbn        978-88-906674-0-4     

pp.               160           

prezzo      10,00 euro

 Le incertezze della vita universitaria.

Le prospettive di un lavoro precario.

L’ansia verso l’instabilità sentimentale.

Marco, aspirante giornalista che sogna di diventare scrittore, affronta e cerca di superare quel momento della sua vita in cui ogni cosa sembra aver perso il suo senso. Dietro il suo tormento c’è lei, l’enigmatica Fabiana, pittrice per passione e cameriera per necessità, che vive dipingendo anche solo con gli occhi la realtà che la circonda quotidianamente.

Sullo sfondo di una Roma dalle mille possibilità, la vita di Marco si intreccia con quelle di tanti giovani, suoi amici, solo in apparenza più sicuri di lui e diventa lo specchio di una generazione indefinita e tormentata, in equilibrio precario tra la paura e l’ansia tipiche di chi pensa al suo futuro mentre cerca di riappropriarsi di un presente che gli sembra spento e svanito.

Un romanzo giovane, appassionante, alternativo, ironico e sarcastico, ma soprattutto riflessivo che diventa la voce di una generazione, la nostra generazione che, nonostante tutto, spera ancora che…ANDRÀ TUTTO BENE!

Stefano Iannaccone è nato ad Avellino nel 1981. Attualmente vive a Roma, è giornalista pubblicista, collabora con l’agenzia di stampa Iris press e altre riviste on line, trattando principalmente temi di politica ed economia. Nel 2007 ha fondato il sito di comunicazione sferapubblica.it di cui è anche autore. È infine Cultore della Materia nelle cattedre di Teorie e tecniche della comunicazione politica e sociologia della comunicazione presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.

Un sito WordPress.com.

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