Silenziosa notte
racconto di Gianluca Paolisso
Il piccolo paese di Oberndorf era avvolto nel silenzio della notte. Il solo lieve rumore che avreste potuto udire in quel tempo era la neve che lentamente si posava sul terreno ghiacciato. Praterie di bianco si perdevano a vista d’occhio fino al limitare dei boschi, che avvolti dalle tenebre apparivano come una indelebile macchia di inchiostro su un foglio inviolato.
I focolai oramai in fin di vita emanavano piccoli lampi di luce a intermittenza, che riflettendosi sui vetri delle finestre screziate d’azzurro, creavano fugaci e irripetibili giochi di colore. Nell’aria fredda dell’inverno si respirava un profondo desiderio di vita, e di riposo.
Eppure, la notte del neonato ventiquattro dicembre non portò ristoro a tutti.
In lontananza, una piccola fonte di luce nacque pian piano dalle lunghe e buie pareti della Chiesa di San Nicola.
Il Reverendo Joseph Mohr camminava nervosamente nella piccola stanza in penombra che fungeva da Sacrestia, posta esattamente dietro il lato sinistro dell’altare. Leggeva e rileggeva quasi ossessivamente un foglio: al minimo contatto, la carta sembrava bruciare più delle fiammelle ancora vive nel camino di fronte a lui. Si asciugò con l’avambraccio la fronte madida di sudore, poi sedette di peso su una sedia, reclinando il capo in avanti. “Non può essere vero!”, mormorò, passandosi entrambe le mani sul volto accaldato.
Ad un tratto, il cigolio sinistro di una porta lo fece sobbalzare:<< Chi è? >>.
:<< Stia tranquillo, Reverendo, sono io.
:<< Oh, Elizabeth …
:<< Mi scusi, non avrei voluto spaventarla.
:<< Non preoccuparti – mormorò Joseph, sedendosi nuovamente – Cosa ci fai sveglia a quest’ora?
:<< La stessa domanda potrei fargliela io – replicò la donna, il volto evidentemente provato dal sonno interrotto. L’uomo annuì lentamente, lo sguardo perso nel vuoto. Dopo secondi che parvero eterni, invitò Elizabeth a sedersi accanto al fuoco.
:<< Qualcosa vi turba, Reverendo? – Come unica risposta Joseph Mohr le porse quasi meccanicamente il foglio graffiato d’inchiostro, fonte del suo turbamento notturno: la donna ne lesse rapidamente il contenuto, gli occhi illuminati da una gioia irrefrenabile. Guardò il Reverendo, incredula.
:<< E’ il canto di Natale?
:<<Sì.
:<< Oh, che gioia, Reverendo! Tutti i fedeli del paese lo aspettavano con ansia, quest’anno più degli altri anni!
:<< Avevano paura che avessi perso completamente l’uso della penna … – replicò Joseph, amaramente.
:<< Questo pensiero ci ha sfiorati, lo ammetto, ma abbiamo sempre sperato che questo periodo passasse in fretta. Le nostre preghiere sono state ascoltate!
:<<Elizabeth, devo farti vedere una cosa>>.
Joseph condusse la giovane donna sul fondo dell’altare, dove l’imponente organo di San Nicola regnava incontrastato, diffondendo la sua ombra autoritaria fin quasi al principio della lunga navata centrale.
Elizabeth tremava per il freddo, emettendo piccoli sbuffi di vapore candido dalla bocca.
:<<Guarda i tasti – disse Joseph, indicando i lunghi rettangoli bianchi e neri disposti come soldatini sotto i loro occhi.
:<<Non vedo nulla – mormorò Elizabeth, sfregandosi le mani.
:<< Guarda meglio. – La donna si avvicinò alla tastiera, incuriosita. Nella penombra regnante sull’altare notò sottili e lunghe crepe azzurrognole estendersi sulla superficie dei tasti, a creare uno strano effetto color madreperla. Provò a premere un tasto, ma invano. Sembrava bloccato. Guardò Joseph, interdetta.
:<< Credo proprio che non ci sarà nessun canto di Natale, Elizabeth – sentenziò l’uomo, scuro in volto. La donna guardò a lungo la tastiera dell’organo, incredula.
:<<Come è possibile?
:<< Il freddo. Ha gelato quasi tutti i tasti.
:<<Quasi?
:<< Se ne sono salvati quattro- disse Joseph, inarcando le sopracciglia in una smorfia amaramente ironica – Pochi per scrivere anche la melodia più semplice, non credi? – Elizabeth si avvicinò nuovamente alla tastiera, individuando poco dopo i quattro tasti miracolosamente scampati alla morsa del gelo. suonò un accordo, poi un tasto alla volta, con estrema delicatezza … Joseph ascoltò con noncuranza i lievi tocchi di suono prodotti dalla maestosa struttura di legno morente, pensando che per la prima volta nella sua vita il Signore aveva dimenticato di ascoltare le sue preghiere. La disperazione iniziava a regnare pericolosamente nella sua anima. Come avrebbero accolto i fedeli quella improvvisa mancanza di novità? Da oltre dieci anni l’abitudine si era mutata in tradizione: un nuovo canto di Natale rappresentava l’illusoria speranza di un anno sereno, privo di guerre o divisioni. Joseph pensò che dopo quell’insuccesso avrebbe dovuto chiedere il trasferimento, e che quelli, probabilmente, erano i suoi ultimi giorni a Obendorf nella veste di Reverendo di San Nicola.
Elizabeth intanto continuava a premere i quattro tasti superstiti, lo sguardo da scolaretta concentrata: un accordo, poi un tasto alla volta, con estrema delicatezza … poi accadde. Una melodia inaspettata invase la Chiesa di San Nicola: era semplice, eppure contornata dai colori di una sconvolgente bellezza. Joseph si ridestò immediatamente dai suoi pensieri, come incantato alla vista di angelo.
:<< Risuonalo!
:<< Cosa?
:<< Questo breve fraseggio. – Elizabeth ripeté quella serie da quattro note, e vide il Reverendo Joseph Mohr tornare improvvisamente alla vita. Un sorriso di luce si dipinse sul suo volto.
:<< Ce l’abbiamo fatta, Elizabeth! – disse, abbracciandola con forza.
:<< A far cosa? – chiese la donna, perplessa.
:<< La melodia per il canto di Natale … l’abbiamo trovata, anzi, l’hai trovata. Sei un genio!
:<< Non capisco …
:<< Non importa. Ho già il seguito nel cuore e nella mente. Devo solo trovare qualcuno che possa aiutarmi a scriverla.
:<< Ci sarebbe Franz Gruber, Reverendo. È un giovane organista arrivato da poco a Oberndorf. L’ho conosciuto qualche giorno fa. Forse potrebbe aiutarla.
:<< Sì, potrebbe. – Joseph era elettrizzato e allo stesso tempo spaventato da ciò che correva furiosamente nella sua anima. D’altra parte doveva combattere un nemico impietoso come pochi: il tempo. Dalle finestre della Sacrestia iniziavano a intravedersi i primi colori del giorno. Aveva solo ventiquattro ore per convincere quel Gruber ad una collaborazione quanto mai paradossale. In una giornata avrebbero dovuto comporre la musica, fissarla sul pentagramma, e poi provarla fino alla nausea per la domenica di Natale … e con quale strumento? Certamente in paese nemmeno il musicista più appassionato avrebbe potuto permettersi un organo da piazzare in salotto. Joseph piombò nuovamente nello sconforto. Non ce l’avrebbe mai fatta.
Se aveste chiesto l’opinione degli anziani di Obendorf riguardo quell’inverno, sicuramente vi avrebbero risposto che non se ne era mai visto uno così freddo. La neve cadeva incessantemente da mesi, con piccole pause di sereno oramai dimenticate. In breve tempo il bianco aveva sommerso il paese, rendendo inaccessibili molte abitazioni e impedendo un regolare trasporto delle merci per via. Molti giovani si davano da fare con pale e vanghe per liberare le strade e le vie di accesso: il sudore si gelava sui loro colli, e ben presto, con l’andare del giorno, venivano irrimediabilmente offuscati dalle ombre della sera, divenendo essi stessi ombre di fatica e nevischio.
Quando il Reverendo Joseph Mohr uscì dalla Chiesa, un vento gelido lo investì impietosamente: si coprì il volto con la mantellina nera, guardando per un attimo il cielo: vide unicamente una massa compatta di grigio pronta ad emettere nuovi interminabili sbuffi di neve. Si incamminò a passo svelto verso la casa di Franz Gruber che, secondo le indicazioni fornite da Elizabeth, doveva trovarsi nella parte estrema del paese, al confine con il Comune di Arnsdorf.
Raramente Joseph avrebbe potuto attraversare la via principale del paese senza essere fermato da numerosi fedeli in cerca di assistenza materiale o spirituale: quella mattina Obendorf sembrava disabitata. La neve aveva costretto i più ad una reclusione forzata.
Il Reverendo, in un quadro così apparentemente desolante, sarebbe apparso come una macchiolina di inchiostro nero sfuggita erroneamente alla mano di un pittore.
:” Dovrebbe essere questa”, pensò Joseph. In effetti le indicazioni coincidevano: una piccola casa in legno situata sul limitare del bosco. Il Reverendo si avvicinò alla porta, ansimando, ma prima che potesse bussare, questa si aprì energicamente. Joseph quasi saltò dallo spavento. Un uomo dal fisico imponente e dall’aspetto burbero lo osservava con evidente sospetto.
:<< Chi siete? – chiese il padrone di casa, rivelando una voce profonda e cavernosa.
:<< Come avete fatto a sapere che stavo per bussare?
:<< Vi ho visto dalla finestra. Chi siete?
:<< Sono il Reverendo Joseph Mohr, della Chiesa di San Nicola.
:<< Non ho soldi.
:<< Oh, no, non preoccupatevi, non sono venuto per questo. Siete Franz Gruber?
:<< In persona.
:<< Bene, allora forse dovrei essere io a darle dei soldi.
:<< Non capisco …
:<< Posso? – chiese Joseph, tremando visibilmente.
:<< Oh, sì … prego, accomodatevi>>.
La casa, esternamente di una semplicità che oseremmo definire “popolare”, all’interno presentava un unico ambiente caldo e accogliente: un caminetto sfrigolava con le sue fiamme color arancio acceso, dietro una tendina un letto color panna intagliato nel legno, e tutt’intorno una mobilia semplice e frugale. Franz Gruber fece sedere il suo inatteso ospite senza troppe cerimonie. Scostò alcuni spartiti dal tavolo al centro della stanza, poi chiese:<< Allora, cosa vuole? >>. Joseph Mohr tirò un profondo respiro, poi raccontò all’organista la sua personale sventura.
:<< Posso comprendere la sua preoccupazione – esordì Franz Gruber, dopo aver ascoltato pazientemente la storia del Reverendo – Ma non capisco in che modo io possa esserle d’aiuto.
:<< Ecco … il favore che le chiedo è grande, me ne rendo conto. – Tirò un nuovo sospiro, poi decise di non perdere più tempo in inutili preamboli – Avrei bisogno di stendere con lei una melodia che sia pronta per essere suonata e cantata domani mattina in Chiesa >>. L’organista aggrottò la fronte, visibilmente stupito da quella richiesta.
:<< Lei vorrebbe comporre una melodia in un giorno, partendo da sole quattro note di base?
:<< L’ho già composta, signor Gruber. È tutta qui, nella mia mente!
:<< E dovrebbe essere pronta per la Messa di domani mattina?
:<< Sì.
:<< Che pazzia!
:<< La prego, lei in questo momento è la mia unica speranza.
:<< Me la canti, allora.
:<< Cosa?
:<< Mi faccia sentire questa nuova melodia natalizia. In caso contrario non potrò aiutarla in nessun modo>>. Joseph arrossì di colpo: stupidamente non aveva considerato quella eventualità. Non aveva scelta. Si slacciò leggermente il bavero del colletto, sorridendo nervosamente. Prese dalla tasca il foglio con il testo, dispiegandolo con cura e, dopo qualche attimo, iniziò a cantare. La sua voce era chiara e limpida, a tratti squillante. Provò una forte emozione che per attimi apparentemente infiniti provocò in lui ricordi sopiti nel fondo della sua anima. Aveva gli occhi lucidi. Franz Gruber ascoltò in religioso silenzio, fino alla fine, poi guardò a lungo Joseph, senza proferir parola. Questi fu il primo a rompere il silenzio:<< Cosa ne pensa?
:<< Lei è un tenore – rispose Franz Gruber, sorridendo impercettibilmente.
:<< Sì, ed ho qualche rudimento musicale …
:<< Notavo. Reverendo, le dico la sincera verità: penso che questa melodia sia molto bella, ma avrebbe bisogno di qualche modifica interna.
:<< Non sarei venuto da lei, signor Gruber! – replicò raggiante Joseph, porgendogli il foglio.
:<< Inoltre dovremo lavorare con poco. L’unico organo funzionante che io conosca si trova ad Arnsdorf, nella scuola elementare al centro del paese, dove insegno. Ma con questo freddo credo sia inutile anche solo pensare di muoversi. Avrei una possibile alternativa, Reverendo.
:<< Mi dica.
:<< Scrivere una partitura per chitarra e due voci soliste. In questo caso opterei per un tenore e un basso, in mancanza di un coro.
:<< Mi affido a lei, signor Gruber. Ma la chitarra …
:<< Ne ho una qui. Direi di metterci al lavoro.
:<< Certo. Signor Gruber …
:<< Mi dica, Reverendo.
:<< Grazie.
:<< Non lo faccio per lei. Lo faccio per me>>.
In poche ore i due stesero una prima bozza del canto su spartito. Franz Gruber accompagnava con la chitarra il canto del Reverendo Joseph Mohr, che pian piano vedeva nascere e consolidarsi un piccolo e inaspettato miracolo. Eppure la sua mente tornava costantemente ad una frase pronunciata dal suo collaboratore organista qualche ora prima:” Non lo faccio per lei. Lo faccio per me”. Così, davanti ad un silenzioso e fumante caffè, trovò il coraggio di chiedere:<< Cosa la turba, signor Gruber? – L’uomo alzò di scatto la testa, come una preda di fronte al predatore.
:<< Lei non è qui per confessarmi, Reverendo. La sto aiutando, e tanto basta.
:<< Non vorrei risultare invadente, ma lei poco prima ha affermato che ha accettato questa collaborazione non tanto per me, quanto per lei. Perché?
:<< Preferirei non parlarne>>. Franz Gruber si alzò, camminando lentamente verso la finestra. Joseph tacque, ripercorrendo con lo sguardo lo spartito ancora incompleto. Il silenzio si protrasse a lungo. Ad un tratto, l’organista mormorò:<< Si tratta di mia figlia. – Il Reverendo alzò lo sguardo – Non mi parla da mesi, oramai.
:<< Perché?
:<< Non lo so. Vede, sua madre morì due anni fa … un incidente. Fu un duro colpo per tutti. Ecco, da quel momento Katrine ha iniziato pian piano ad allontanarsi da me: nutre nei miei confronti un odio inspiegabile. È come se ogni suo sguardo volesse ricordarmi le mie responsabilità per la morte della madre. Forse ha ragione: non sono mai stato un padre e un marito esemplare, e questo mi fa soffrire ancor di più tutte le volte che sento la sua mancanza. Dopo qualche tempo decise di lasciare la nostra casa a Mariapfarr, e si trasferì qui a Obendorf dalla sorella della madre. Non la vidi per due anni. Solo pochi mesi fa ho trovato il coraggio di trasferirmi qui, con la speranza di trovare un lavoro che potesse mantenermi, e soprattutto con la speranza di rivederla. Il lavoro è arrivato: insegno musica ai bambini della scuola comunale di Arnsdorf …
:<< E Katrine?
:<< Ogni volta che ci incontriamo per strada, fa finta di non vedermi, e passa oltre.
:<< Capisco.
:<< Mi ha chiesto perchè questa collaborazione aiuta più me che lei … Ecco, Reverendo, è molto semplice: non riuscirei a vedere la mia vita separata da uno strumento musicale o da uno spartito. La musica mi ha sempre salvato dalla crudeltà della vita. Alle volte immagino che ogni mia piccola composizione possa arrivare nel cuore e nella mente di Katrine, e che possano farle comprendere quanto io, in tutto questo tempo, non abbia mai smesso di amarla.
:<< Forse lei lo sa. – disse Joseph, scaldandosi le mani sulle pareti della tazza ancora colma di caffè.
:<< Non lo so, Reverendo. Non so più nulla. Rimettiamoci al lavoro, vuole?
:<< La ringrazio, signor Gruber. Non so come avrei fatto senza il suo aiuto. – disse Joseph, osservando le prime ombre della sera far capolino sui tetti di Obendorf.
:<< No, Reverendo. Lei ha aiutato me, più di quanto possa immaginare. E, so che le sembrerà strano, ma vorrei chiederle un favore.
:<< Dica pure.
:<< Lasci che sia io ad accompagnarla domani mattina. – Joseph sorrise, scuotendo il capo.
:<< Avevo giusto bisogno di un basso. – A quelle parole il Reverendo strinse la mano dell’organista, che sorrise a sua volta con sguardo complice, poi si incamminò nel bianco della strada, stringendosi alla mantellina ondeggiante nel vento. Pian piano la sua ombra scomparve nelle spire del buio.
Franz Gruber respirò a pieni polmoni l’aria della sera, percependo una fetta di gelo trapassargli il petto con dolce violenza. Poi mormorò, quasi a se stesso:<< Benvenuta, silenziosa notte >>.
Finalmente arrivò il tanto atteso venticinque dicembre. Arrivò il Natale.
Quella mattina, la neve non cadde. Un cielo terso si affacciò sulle case e i selciati di Obendorf, che sembravano respirare il sereno con avidità, come volessero trattenerlo per sempre nei loro cuori di legno e pietra. I radi stormi di uccelli in volo potevano osservare dall’alto un paese improvvisamente tornato alla vita, dove centinaia di puntini neri in movimento si dirigevano lentamente, a piccoli gruppi, verso la Chiesa di San Nicola. Le campane suonavano a festa, annunciando la divinità, o forse solo la grande umanità di un uomo.
Alla fine della cerimonia, Il Reverendo Joseph Mohr abbracciò con un sorriso tutti i fedeli di Obendorf, seduti in religioso silenzio, in attesa. Discese lentamente le due file di scale che separavano l’altare dall’inizio della navata centrale, avvertendo un lieve brivido corrergli lungo la schiena. Il momento era arrivato:<< Come potete vedere – esordì, indicando il lato destro dell’altare, sul quale svettava una piccola pedana in legno a più livelli – quest’anno non avremo un coro. E, fino a pochi giorni fa, io stesso credevo di non poter mantener fede alla nostra vecchia tradizione. – Lievi mormorii si sollevarono vivacemente dall’uditorio – Eppure – continuò il Reverendo – il Signore non ha smesso di ascoltare le nostre preghiere.>>. Con un cenno della mano, invitò Franz Gruber a salire sull’altare: egli avanzò con sicurezza, la chitarra in mano, gli occhi evidentemente provati da una forte emozione. Sedette al fianco del Reverendo, che rimase in piedi, gli occhi rivolti verso un punto indefinito. Ad un tratto, lievi arpeggi di chitarra risuonarono nella Chiesa, leggeri come una brezza che bagna gli alberi sul far della sera. Il pizzicare delle corde diradava nel freddo un silenzio fatto di sospiri.
Dopo minuti che parvero eterni, un applauso fragoroso, simile alla pioggia che batte sui vetri di una finestra. Molti fedeli, commossi, non potevano far altro che abbracciare il vicino, scossi da una gioia incontenibile. Altri rimasero in silenzio, come incantati da un’ eco sconosciuta.
Joseph Mohr guardò il signor Gruber. Piangeva. Posò delicatamente una mano sulla sua spalla, in segno di ringraziamento, ma l’organista non vi fece caso: il suo sguardo si perdeva negli occhi di una ragazza seduta tra le prime file, le mani giunte come ad implorare perdono.
Poco dopo, sul sagrato di San Nicola, centinaia di fedeli si strinsero intorno al Reverendo Joseph Mohr, confuso nell’animo da quell’inaspettato e tumultuoso calore. Ringraziava tutti, e gli sembrava di non aver ringraziato nessuno; sorrideva distrattamente, come se il suo animo fosse distante dal presente, ancorato alla magia di un canto. Si guardò intorno, alla ricerca del signor Gruber, ma invano: sembrava essere scomparso.
Ad un tratto, vide Elizabeth farsi spazio tra la folla, saltellando graziosamente come una ragazzina:<< Reverendo! – esclamò, abbracciandolo con forza – è stato … Oh mio Dio!
:<< Elizabeth – riuscì ad articolare Joseph, stretto in una morsa di ferro – Grazie …
:<< Non so cosa dire.
:<< Non dire nulla, ma lasciami respirare! – La donna sciolse l’abbraccio, ricomponendosi con evidente imbarazzo.
:<< Mi scusi, Reverendo, sono così felice! Questo nuovo canto è meraviglioso, unico … non ho mai ascoltato nulla di simile!
:<< Hai visto il signor Gruber, per caso?
:<< Reverendo, non mi prestate attenzione – replicò Elizabeth, offesa.
:<< Perdonami – disse Joseph, lo sguardo perso oltre la folla che pian piano andava disperdendosi – Vorrei solo ringraziarlo per quanto ha fatto.
:<< Eccolo, Reverendo! Lo vede? – disse la donna, indicando un punto lontano – E’ in dolce compagnia>>.
Joseph vide l’organista sul limite estremo del sagrato parlare con una ragazza dai capelli rossi color fuoco. I due si abbracciarono a lungo, poi la giovane donna si incamminò verso casa. L’organista la vide scomparire nel bianco, passandosi un avambraccio sulle gote rigate di lacrime.
:<< Signor Gruber.
:<< Oh, Reverendo …
:<< Era Katrine?
:<< Sì. Pensavo che non mi avrebbe salutato.
:<< E invece? – l’organista alzò le braccia al cielo.
:<< Come può sentirsi un uomo felice, Reverendo?
:<< Non lo so – disse Joseph, sorridendo – ma credo che non se la passi poi così male.
:<< Sono d’accordo con lei! Sa’, penso che la musica mi abbia salvato ancora una volta.
:<< E’ il destino degli uomini di spirito: essere salvati dalle loro stesse creazioni. Il divino respira in tutte le melodie della terra >>. Joseph strinse la mano di Franz Gruber – Ora vada da lei. La starà aspettando. Buon Natale, signor Gruber.
:<< Anche a lei, Reverendo. E grazie >>.
Non appena Franz Gruber fu a debita distanza, Joseph vide Elizabeth camminare con passo lento verso di lui. Come aveva previsto, ancora una volta la sua innata curiosità sembrava non conoscere confini.
:<< Hai origliato.
:<< Solo qualche parola, Reverendo. – Joseph scosse il capo, con aria di falso rimprovero. Respirò profondamente, passando un braccio sulle spalle della donna.
:<< Sai, Elizabeth, credo di aver imparato una cosa importante in questi due giorni. L’amore non può perdersi mai. Per quanto si cerchi di allontanarlo, alla fine ritorna sempre ad invadere il nostro animo, più forte di prima. Da sole quattro note può rinascere una serenità che credevamo perduta.
:<< E’ un miracolo …
:<< Sì, Elizabeth.
:<< A proposito, Reverendo: come mai non ha raccontato ai fedeli la verità?
:<< Quale verità?
:<< La storia dell’organo.
:<< Nessuno dovrà mai saperlo. – la interruppe Joseph, risoluto – Nessuno!
:<< Non posso raccontarlo nemmeno a mio marito?
:<< Elizabeth!
:<< Va bene: saprò mantenere il segreto.
:<< E’ una promessa.
:<< Certo, Reverendo, ma si ricordi che le prime quattro note sono frutto della mia creatività. Lo rivendicherò sempre e comunque. >> Elizabeth si avviò trionfante verso il paese, canticchiando la melodia che poco prima aveva incantato l’intera popolazione di Obendorf.
Joseph Mohr, sconsolato, alzò gli occhi al cielo, mormorando:<< Signore, dammi la forza! >>.
Joseph Mohr scrisse il testo della celebre canzone natalizia “Stille Nacht” nel 1816. Trasferitosi nella cittadina di Obendorf nel 1817, chiese al musicista Franz Xaver Gruber di comporre la musica per le sue sestine, in un arrangiamento per due voci soliste, coro e chitarra. Non è noto il motivo per cui venne fatta questa richiesta.
Nel giro di pochi anni, la canzone si diffuse in tutte le diocesi di Salisburgo, e poi in tutta Europa. La versione italiana, dal titolo “Astro del Ciel”è una libera composizione del prete bergamasco Angelo Meli, pubblicata nel 1937.
QUESTO RACCONTO VIENE QUI PUBBLICATO SU GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE.
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