“Versi in-versi” di Ciro Imperato, commento del poeta E. Marcuccio

Versi in-versi di Ciro Imperato

TraccePerLaMeta Edizioni, 2014, pp. 110

ISBN: 978-88-98643-21-9

 

Commento di Emanuele Marcuccio[1]

130_Versi_in-versi_900Poesia dal ritmo spezzato ma ricca di respiro quella di Ciro Imperato. In questa sua silloge di esordio, la punteggiatura è ridotta all’osso assurgendo a funzione espressiva e non semplicemente di pausa sintattica. Frequenti sono le strofe in monoverso, a volte anche con incipit in monosillabo, a sottolineare un dolore sommerso, come di un cuore spezzato, come nel “Tu,” di “Assassino!”, incipit in monosillabo della seconda strofa.

Tra i numerosi titoli presenti, vorrei qui ricordare la lirica che dà l’avvio all’intera raccolta, “A mio padre morente”, la quale ho già avuto modo di leggere ed apprezzare, non conoscendone ancora l’autore, durante i lavori di giuria del concorso “Libera Verso”.

Poesia che l’autore scrive ricordando gli ultimi istanti di vita dell’amato padre.

In questa lirica il dolore, quasi un leitmotiv dell’intero libro, giunge al suo culmine, nel momento in cui leggiamo “e con il cuore stretto in una morsa,”, termine della terza strofa e vertice emozionale dell’intera lirica, se non vertice letterario dell’intera silloge. Procedendo, Imperato opera un’operazione magistrale di sintesi e di respiro, consapevole che l’anima della poesia è la sintesi, nessun verso in più né uno in meno che pregiudichi il suo respiro. Sì, è essenziale che una poesia abbia respiro, senza respiro essa soffoca nelle secche della discorsività o, peggio, nelle sabbie mobili del luogo comune e della banalità.[2]

In “A mio padre morente”, Imperato, come è solito fare, spezza il ritmo in un dolore singhiozzante, inserendo ben cinque strofe in monoverso e giungendo alla chiusa con un ritmo ostinato: “doloroso tramonto.”, in cui il suono scuro della vocale “o” perdura, interrotto solo per un attimo dal suono chiaro della vocale “a”, siglando così una composizione commossa e ricca di pathos.

 

Emanuele Marcuccio

 

Palermo, 25 giugno 2014

[1] Il commento, espressamente richiesto dallʼautore a Marcuccio, è edito con il titolo di “Analisi critica” in Imperato, Ciro, Versi in-versi, TraccePerLaMeta Edizioni, 2014, pp. 95-96.

[2] Penso alla strofa in monoverso, “a doppia mappa” di “Echi infiniti”, un inciso avverbiale notevole per invenzione letteraria, ottenuto tramite un procedimento neologico per parafonia della consolidata locuzione avverbiale di modo, “a doppia mandata”.

“Versi in-versi. (Affilati e taglienti)” di Ciro Imperato, nota critica di Lorenzo Spurio

“Versi in-versi” di Ciro Imperato

Postfazione a cura di Lorenzo Spurio

download (1)Siccome l’occhio critico –il mio, almeno- va sempre a porre attenzione su ciò che normalmente, per sbadataggine, mancanza di una particolare considerazione o frettolosità, non si va ad analizzare con profondità, devo dire che mi sono focalizzato sul sottotitolo di questo libro che recita “Affilati e taglienti”, piuttosto che sul titolo stesso dell’opera che, pure, offre un accostamento interessante degno di poter essere analizzato e interpretato (“Versi in-versi”). In questa carta d’identità del libro è già contenuto a-priori un chiaro messaggio di matrice quasi avanguardista con un vocabolario che rimanda principalmente alla distorsione e alla de-strutturazione (i versi scomposti, “in-versi”) e alla natura pungente/aguzza di un contenuto corposo e non complesso del “far poesia” il cui emblema può essere forse visto nell’immagine-simbolo della lama che troneggia nella poesia “Echi infiniti”. Una poesia affilata, dunque acuminata, dalla conformazione quasi filiforme capace di azionare nel complesso cognitivo dell’uomo una risposta di tipo impressionante (e non impressionistica)[1] che sconvolge il lettore per la sua capacità tagliente (si osservi dunque l’altra componente di questo titolo).

Queste sono le caratteristiche preponderanti di una porzione delle liriche contenute nel presente libro (mi soffermo su quelle che condividono un allarme dichiaratamente sociale e che riguardano il senso civico perché secondo me è questo il canto più alto del far poesia, nel dar voce alle vittime di quella “terra brulla/ e brulicante di esseri immondi”) e che, chi leggerà con il cuore piuttosto che con il cervello, sarà in grado di assaporare. Sono le liriche più dure, che partono da uno sconcerto doloroso dinanzi ai drammi più ignominiosi dell’oggi dove è il concetto di diversità, abusato e mal-interpretato, a dettare episodi ingiusti, drammatici (“Uomo,/ tu che prima abbracci/ e poi uccidi”), che soffocano l’anima e danno carbonella da ardere ai soli cuori che sanno infiammarsi. Che sanno accendersi, scaldarsi ed effondere calore e umanità proprio come il Nostro mostra di fare attraverso questo fitto e mai stinto collage di diapositive che si sovrappongono, si inframezzano intersecandosi ed è proprio dall’incrocio riuscito di queste diverse trame che il libro prende forma. La sua impalcatura denota uno studio preciso e meditato del verseggiare e una volontà di dipingere il mondo personale (l’io) e sociale (la Terra) nelle sue gioie e dolori (“il tuo ultimo/ e solitario/ doloroso tramonto”) denotando un’anima che osserva e si interpella, che non giudica ma descrive con un occhio vagliato dal ricordo (“io mi rispecchiavo nei tuoi [occhi]”), dall’emozione e dalla lucidità dell’età matura.

 

Lorenzo Spurio

Jesi, 25.06.2014

[1] Non è un caso che la cover sia affidata a una celebre composizione di uno degli artisti più poliedrici, complessi e che rappresentarono la pittura astrattista non figurativa, il genio di Kandiskij.