Nelle antiche leggende son narrate cose stupende
di guerrieri famosi imprese immense
di feste e di letizia, di lacrime e di pianto
di lotte d’audaci guerrieri, di ciò vedrete narrar meraviglie.
Questi sono i suggestivi versi d’apertura del poema tedesco Nibelungelied nei quali pur facendo riferimento a momenti felici (feste e letizia) s’inseriscono subito i temi negativi (lacrime, pianto, lotte) che adombrano la tranquillità e la pace dei pochi momenti felici.
La saga dei Nibelunghi è un’interessante lettura che va fatta per chi è appassionato di letteratura epica precristiana teutonica, assieme ai carmi dell’Edda poetica islandese e il Kalevala finlandese. Si tratta di un poema epico anonimo scritto in alto tedesco in un arco temporale che va dal 1190 al 1205.

Sono state fatte varie realizzazioni cinematografiche basate su questa opera tra cui il recente Ring of the Nibelungs (tradotto come La Saga dei Nibelunghi, regia di Uli Edel, paese: Germania, Italia, Gran Bretagna, Usa, anno: 2004).
Come ogni epica che si rispetti il cantar dei Nibelunghi presenta vicende di guerrieri eroici, storie di dame e intrighi di corte, imprese, duelli ed aspetti più chiaramente fantastici quali draghi e oggetti magici.
L’elemento del sogno premonitore come avvisaglia di eventi tragici imminenti è ampiamente presente nel testo. L’anticipazione è presente ma sempre in senso negativo: sogni premonitori, sortilegi, previsioni, eventi naturali interpretati come segni dell’imminente futuro hanno sempre una connotazione negativa, preannunciano la tragedia, le lotte, il sangue che verrà versato, i massacri, la morte. («No, mio Sigfrido! Io temo la tua morte, ho fatto un sogno infausto..», v.924.)
Nel testo si fa inoltre riferimento in più punti alla compresenza di cristianesimo e paganesimo elemento che ha permesso gli storici e i critici di considerare la probabile collocazione dell’opera.
Paganesimo e cristianesimo sembrano convivere pacificamente nella saga dei Nibelunghi («Alla sua corte cristiani e pagani vivevano in accordo», v. 1335) anche se ne vengono sottolineate le differenze nelle rispettive liturgie («Cristiani e pagani non cantavano messa nella stessa maniera», v. 1851). E’ impossibile analizzare il poema sia come una sorta di encomio al paganesimo germanico che come un continuo invocare provvidenzialmente un’entità superiore. Secondo alcuni critici Sigfrido (similmente a Beowulf nell’omonimo poema epico inglese) sarebbe immagine di Cristo. Secondo altri un’interpretazione di questo tipo è inaccettabile.

Il tema del destino, del germanico wyrd, pervade l’intera opera come avviene in tutte le narrazioni epiche. E’ viva e costante la consapevolezza nelle genti dei Nibelunghi che la vita non è altro che una serie di eventi casuali e che tutto è dominato da qualcuno di molto potente, il Fato contro il quale è difficile combattere o imporsi. Frasi come «Morirà chi è destinato: lasciamoli morire» (v. 150) abbondano nell’opera e sottolineano l’ineluttabilità del destino e al tempo stesso la sua spietatezza.
Sarebbe tremendamente noioso riportare nello specifico la serie di avventure, di vicende eroiche e amorose narrate nel poema dato che sono presenti numerosi personaggi e famiglie e spesso le loro sorti si intrecciano tra di loro mediante unioni, matrimoni, separazioni, tradimenti, odi, riscatti e vendette, stragi familiari. Tuttavia è possibile individuare, anche abbastanza facilmente, due grandi nuclei narrativi: le vicende di Sigfrido, re del Niederland e Crimilde che iniziano con l’innamoramento dei due e termina con l’uccisione di Sigfrido (vv. 1-1142) e la grande lotta tra Burgundi ed Unni che è trasformata leggendariamente in una faida familiare (vv. 1143-2379).

Vengono narrate le prodezze di Sigfrido, figlio del re dei Nibelunghi. In possesso della spada Balmung, Sigfrido parte per conoscere la bella Crimilde della quale si è innamorato seppur non l’abbia mai incontrata. Alla corte di re Gunther Sigfrido conosce Crimilde e la chiede in sposa a suo fratello ma Gunther, innamorato di Brunilde, regina d’Islanda (foto a destra), chiede a Sigfrido di aiutarlo a conquistare Brunilde. Se ci riuscirà gli lascerà sposare sua sorella. Con degli stratagemmi Sigfrido riesce a far superare a Gunther le prove che Brunilde aveva imposto per farsi sposare. Come da patti, Gunther acconsente a far sposare sua sorella con Sigfrido.
Sigfrido ottiene, dopo l’abdicazione del padre, la corona regale e dopo dieci anni di regno Crimilde dà alla luce un figlio che viene chiamato Gunther in onore dello zio. Nello stesso periodo Brunilde partorisce un figlio che viene chiamato Sigfrido.
Brunilde invita alla sua corte Sigfrido e Crimilde e in quella sede le due regine iniziano a litigare, a punzecchiarsi tra loro allora Crimilde rivela che era stato proprio suo marito Sigfrido, sotto mentite spoglie, a farle perdere la verginità e non suo marito Gunther. Brunilde comincerà a provare un grande odio verso Crimilde.
Intanto Hagen, un vassallo di Sigfrido, firma inconsapevolmente la condanna a morte del suo padrone rivelando qual’è l’unico punto del corpo nel quale è vulnerabile. Sigfrido viene ucciso. La vedova, Crimilde, debole dal dolore e dal lutto ordisce la sua vendetta. Ulteriore dolore le viene dopo che viene rubato il tesoro dei Nibelunghi.
A questo punto Attila, re degli Unni chiede in sposa Crimilde e lei accetta con l’idea che Attila l’avrebbe aiutata a vendicarsi di Crimilde. La regina Crimilde ordisce l’inganno e invita nella corte i suoi fratelli, tra cui Gunther con la moglie. Hagen riesce ad uccidere Ortlieb, figlio di Attila e Crimilde e ha inizio la grande lotta tra Unni e Burgundi. Anche Gernot e Giselher, altri due fratelli di Crimilde, entrano nella lotta. Con la feroce strage dei Burgundi Crimilde vendicava la morte di suo marito Sigfrido. Alla fine venne incendiata la sala.
Gunther e Hagen vengono uccisi per volontà di Crimilde e anche Gernot e Giselher muiono nella lotta. I tre re dei Burgundi vengono annientati e con loro la loro stirpe.
Se da una parte l’incipit del poema introduceva al tema del bene e del male, alla compresenza di momenti di festa e di letizia a momenti di sangue e di vendetta, nel finale siamo consapevoli che a dominare siano proprio quest’ultimi. Dopo vari tradimenti, assassini, vendette e massacri a dominare, com’è giusto che sia in un poema epico (per altro germanico) è il sangue versato. Gli ultimi versi ci dicono:
Una grande potenza era annientata.
Tutte le genti avevano pena e tristezza.
La festa di corte era finita nel lutto,
perché sempre la gioia si volge in dolore.
Io non vi so dire quel che accadde dopo
se non che si videro piangere donne e cavalieri,
i nobili scudieri, per la morte dei loro cari
Qui finisce il racconto : questa è la rovina dei Nibelunghi
LORENZO SPURIO
14-04-2011
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