“Dammi la mano” di Claudio Secci, recensione di Lorenzo Spurio

Claudio Secci, Dammi la mano, Edizioni della Goccia, 2015.

Recensione di Lorenzo Spurio 

imageDammi la mano, la recente silloge narrativa dello scrittore torinese Claudio Secci possiamo concepirla come un accorato invito all’aiuto, una preghiera all’ascolto, un desiderio di compartecipazione nelle vicende che caratterizzano la vita di tutti i giorni.

L’autore ha deciso stavolta di immergere le sue trame nel non facile mondo scolastico delle elementari, un momento di rilevante importanza nei giovanissimi e in chiave formativa e per l’apertura al mondo sociale. Gran parte di noi, ormai adulti, non può che non ricordare con piacevolezza quell’età segnata da un incanto particolare verso la novità: il banco di scuola, il primo amico, la maestra che diviene per il giovane scolaro una sorta di nuova mamma e non sono sufficienti i primi compiti, le poesie da imparare a memoria a rovinare questo mondo nuovo ricco di fascino e curiosità che si para dinanzi a questi piccoli ragazzi, il futuro della società.

Nel corso del tempo, degli ultimi decenni, moltissime cose sono cambiate anche all’interno dell’universo scolastico, non è giusto dire in maniera perentoria se in meglio o in peggio, ma è chiaro che già dai racconti dei propri genitori, dei propri nonni e delle personali esperienze vissute, è possibile vedere delle differenze sia nel sistema didattico, nell’approccio dell’insegnante, sia nel comportamento del ragazzino dinanzi al corpo docente.

Secci in questo libro ha raccolto tre racconti in sé slegati, che appartengono a storie di ragazzi che vivono il mondo della scuola in luoghi diversi (nel primo racconto si parla di Ascoli, nel secondo di Terni, etc.) accomunati, però, dalla trattazione del disagio giovanile e da varie forme di emarginazione.

La scuola che ci descrive Secci in queste storie non è, allora, il felice luogo di incontro di coetanei, momento di evasione dalla monotonia delle giornate passate in casa, ma diventa lo scenario di violenze e tribolazioni, di angherie subite, di privazioni della propria identità. Nel primo racconto, “Io sto fermo” assistiamo, infatti, a un becero episodio che si protrae nel tempo in cui il nostro vulnerabile protagonista è alla mercé di un gruppo violento e arrogante sempre intento ad incutere terrore al Nostro o ad usargli violenza. Si delinea, così, come spesso la cronaca ce ne dà informazione, un caso di violenza scolastica che matura all’interno della classe dove la personalità taciturna e remissiva del Nostro in un certo senso dà man forte all’attuazione delle violenze da parte del gruppetto capeggiato da un tiranno frustato con il mondo e infelice della vita.

Dinanzi a una simile situazione, all’acutizzarsi di condizioni sempre peggiori per la salute fisica e psicologica del ragazzino, ci aspetteremmo che fosse la scuola ad intervenire per mezzo dei suoi insegnanti garanti, non solo di istruire i ragazzini ma anche di educarli, dunque di formarli tout court per l’ingresso effettivo, da protagonisti, nel mondo sociale. Dal racconto di Secci il lettore non può che maturare una certa criticità nei confronti di quanto accade nell’aula dove una prima disattenzione e incapacità nel comprendere della maestra viene a significare, per un dato periodo, il prolungamento delle sevizie.

Sarà il Nostro, quando non gli sarà più possibile tacere, uscire da quel bozzolo di dolore e sottomissione nel quale ha cercato di rintanarsi per non subire gli attacchi del mondo di fuori, a confessare tutto alla maestra che poi darà seguito alla cosa.

Colpisce la disattenzione e l’incuranza dei genitori del ragazzo, l’anaffettività e la loro assenza nel contesto relazionale di famiglia e, ancor più, il fatto che il padre non di rado sia dedito all’uso delle mani tanto che la famiglia non è quell’ambiente che si identifica nella protezione e nella tranquillità, piuttosto diviene l’antro di altri dolori fisici e psicologici. Il profilo del ragazzo, allora, tanto che si trovi alla scuola che in casa si configura adiacente all’immagine della vittima sacrificale (a scuola) o dell’elemento di punizione (a casa) sempre, comunque, dominato da una espressione di forza superiore: i bulli a scuola, il padre ammonente a casa.

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Claudio Secci, l’autore del libro

Una storia, quella del primo racconto, in cui il finale apre alla speranza e alla inaugurazione di un clima sociale migliore, fondato –se non sul rispetto e la stima- sicuramente sul rigetto della violenza come mezzo prescelto nelle logiche interpersonali.

Di disagio giovanile si parla anche negli altri due racconti: ne “Il prezzo di un sorriso” il Nostro dà spazio questa volta all’esistenza di una ragazzina che, a causa delle esigue condizioni economiche della famiglia, vive la sua non omologazione alla classe come elemento emarginante, portandola a una sofferenza lancinante che vive nel silenzio. Anche qui, come era stato nel precedente racconto, ritroviamo un padre manesco, fatto che acuisce ancor più il senso di malessere della ragazzina che già vive nel tormento di sentirsi diversa perché povera e stigmatizzata dalla classe come zingara.

L’ultimo racconto, invece, ci narra di un ulteriore episodio di mancata integrazione nel gruppo sociale, nella forma questa volta di una vicenda dove il razzismo fa da padrone. Al ragazzo africano adottato da una famiglia italiana aspetterà una vita difficile nell’universo scolastico dove il solo colore della pelle verrà preso come motivo infamante e denigratorio verso la sua persona.

Sono, quelle che Secci narra in questo breve libro, delle vicende assai realistiche e concrete, diremmo addirittura all’ordine del giorno, dove notizie simili non sono rare come quella che ebbe grande eco del ragazzo “con i pantaloni rosa” che, sottoposto alle minacce e alle ingiurie dei suoi coetanei perché ritenuto omosessuale, decise di uccidersi o come il più recente fatto in cui una ragazzina, in maniera non molto diversa, è stata indotta al suicidio dopo un periodo pesante di continui oltraggi e svilimenti della propria persona.

Secci, per sintetizzare, ci parla della scuola come ambiente nel quale, a differenza del suo scopo educativo, si presentano anomalie tra persone, atteggiamenti di rivalsa, comportamenti sadici tra ragazzi che maturano in un clima spesso non palese agli educatori. Violenze fisiche e psicologiche, continue offese che giorno dopo giorno degradano la propria anima rendendola zero. L’autore ha voluto far luce su quanto sia necessario per il maestro essere al contempo un educatore, ma anche una sorta di genitore e di capire, ben prima che le situazioni si cancrenizzano, cosa c’è che non va nelle vite dei propri studenti. L’importanza che il docente sia al contempo una analista del benessere dei ragazzi si fa ulteriormente rilevante ben tenendo presente che non di rado il germe delle varie devianze, i prodromi delle sofferenza hanno origine nel nucleo familiare.

Nel “dammi una mano”, allora, un proclama all’unione, il motto urlato di chi ama costruire ponti e non ergere muri. L’integrazione è l’ingrediente necessario che può consentire la sana coesione sociale, pur nelle tante differenze che sempre debbono essere rispettate.

Lorenzo Spurio

Jesi, 01-03-2016

“Con la GLI di coniGLIO” di Anna Maria Boselli Santoni, recensione di Lorenzo Spurio

“Con la Gli di ConiGLio” di Anna Maria Boselli Santoni

Edizioni Pragmata, 2014

Pagine: 132 – Costo: 12 €

Isbn: 9788897792659

 

Recensione di Lorenzo Spurio

I nostri programmi di allora ci chiedevano di formare le teste degli scolari e non di riempirle fino all’orlo di nozioni slegate tra loro e perciò non riutilizzandoli in altri passaggi dell’apprendimento perché fini a se stesse, destinate probabilmente ad un veloce irreparabile oblio. (55)

1412756640_10495862_327186277462773_8694612666861528296_oIl nuovo libro di Anna Maria Boselli Santoni è una nuova folgorante scoperta su una donna dall’animo gentile che ha fatto un patto di sangue con la scrittura e con la rievocazione del ricordo. Ha alle spalle una nutrita carriera letteraria dove ha spaziato sapientemente tra i generi più disparati, soprattutto in campo narrativo, di cui ricordo con vivo piacere le letture fatte delle sue opere più recenti, lavori dai titoli che richiamano da subito l’interesse del lettore, interesse che non cala mai man mano che ci si prodiga nella lettura. Mi riferisco a Forse là, dove danzano i girasoli e Rosetta e le ciambelle, entrambi editi da Marco Serra Tarantola Editore di Brescia e il più recente La dolce Rua Sovera (Edizioni Pragmata, 2014) dove i luoghi si animano di personalità e l’universo del piccolo borgo costruisce una fitta rete di collegamenti tra la protagonista e tutto ciò che ne definisce l’essenza urbana.

Anna Maria Boselli Santoni si definisce maestra e teologo laica; in questa nuova pubblicazione dal titolo Con la Gli di Coniglio (Edizioni Pragmata, 2014) è contenuta propria una densa biografia della Anna donna di istruzione, impegnata quale maestra non solo nell’istruzione dei giovanissimi, ma anche nella loro educazione, comprensione e lettura delle personalità. La componente di teologia laica (espressione impiegata con parsimonia nel panorama letterario culturale in virtù forse di un timore che essa contenga una contraddizione di fondo) la si ravvisa in Anna Maria invece in ogni singola frase che compone i propri libri dove è un animo altamente sociale (pure con i suoi momenti di necessità della solitudine per una maggiore comprensione di sé stessa e di ciò che accade attorno a lei), di vicinanza empatica al prossimo non solo in termini di aiuto al bisognoso, ma di comprensione degli stati di disagio e di compartecipazione alla vita personale degli altri. Sono, queste, componenti peculiari di una caratterialità votata all’esigenza di espressione e di ricerca di convivialità, di spiccate doti d’estroversione, costruttività e interrelazione che descrivono in maniera al quanto limpida la caratterialità di una donna energica e solare proprio come Anna Maria.

Ma per attenerci al nuovo volume in particolare dirò che è un libro-ricordo sull’esperienza di insegnamento della scuola, ma anche un manifesto di quanto la scuola primaria sia importante e determinante nella formazione culturale dei futuri giovani e soprattutto nel modo di integrazione e di interagire con il mondo di fuori dalla scuola e dalla famiglia.

10711004_321565521358182_5765807423940646735_n (2)Anna Maria senza puntare il dito in maniera eclatante contro qualcuno, sottolinea quanto i modelli didattici spesso si configurino come troppo freddi e distaccati nell’atto del loro insegnamento, troppo tabulari e schematici, senza consentire la libera espressione del soggetto o incentivarne le sue particolari inclinazioni o preferenze a determinate tematiche. La scuola che fuoriesce da questo tipo di insegnamento è un sistema standardizzato di moduli didattici che vengono trasmessi in maniera troppo rigorosa senza permettere una viva compartecipazione della classe possibile con l’introduzione di una dimensione di tipo ludica, di laboratori artistici ed espressivi, quindi applicativi, di diversa forma. La Anna Maria insegnante è anche una attenta indagatrice della psicologia dei piccoli che ha intorno a sé e, da buonissima insegnante ma anche amica (tutti avremmo voluto una maestra come lei), non fa difficoltà a scorgere episodi di disagio, di isolamento o di incapacità ad esempio nella scrittura, individuando casi di dislessia che all’epoca venivano duramente repressi dagli insegnanti con obblighi di continui esercizi di ricopiatura.

Il volume traccia un po’ quello che è stato il diverso approccio dell’insegnante nei confronti degli allievi nelle prime fasi della istruzione e la Nostra cita numerosi autori e testi, sociologi, studiosi e pedagoghi che si sono occupati proprio della formazione del giovane; non è un caso che il metodo Montessori provvedesse a indirizzare i genitori dei piccoli verso l’adozione di scelte, se non le più ovvie e a un primo acchito le più logiche, di sicuro quelle che a lungo termine avrebbero avuto una funzione decisiva sul comportamento del giovane. Il seminario di Asiago in cui la protagonista Mira, felice proiezione della Nostra, partecipa è per lei ulteriore motivo di avvicinamento a quella materia di interesse sociale-pedagogico che lei metterà in atto nella sua classe riscotendo vivo entusiasmo da parte dei giovani.

Entusiasmo che si conserverà poi nel corso degli anni quando la maestra, per ragioni sue personali dovrà abbandonare l’universo della scuola, ma ancora a distanza di tanti anni durante i quali i suoi allievi sono diventati maturi, non potrà non sentirsi ancora molto legata ad essi percependoli un po’ come suoi figli. Ed è così che il ricordo della bocciatura di un giovane e del decesso in piscina di un altro ragazzino, sono memorie dolorosissime che salgono alla mente della maestra ormai in età pienamente matura mentre la vediamo passeggiare con il suo bastone in giro per la città.

Un amore indissolubile verso la scuola che si respira in ogni singola frase del presente volume, attorno al quale Anna Maria intreccia con sapienza e con originalità la storia del suo privato: del suo matrimonio, dell’attrazione quasi fatale verso un giovane incontrato alla scuola, del dramma di scoprire un figlio dislessico che, grazie alle sue conoscenze e profonda empatia con la materia, riuscirà di certo ad aiutare, contribuendo anche a far conoscere questo tipo di disturbo che ha un’alta incidenza nei giovanissimi ma che raramente viene diagnosticato con precisione e in tempo.

Il ricordo dei momenti vissuti e la vita rutinaria del presente si fondono in un unico magma incandescente dove la forza delle parole e le immagini dei ricordi sono estremamente potenti tanto da riportare la Nostra nel dolore più lancinante o anche farle rivivere splendidi momenti. Su un ogni vicenda dell’esistenza resta la percezione di una maestra-ascoltatrice rarissima, di una donna che più che insegnare, si è lasciata cullare e stupire dai ragazzini, un genio indomabile nella ricerca di forme di insegnamento alternative come il giocodramma e la capacità di saper interagire con il mondo, facendo ogni volta sue le varie sfaccettature di questo mondo come quando, ricorda: “Penso, sorridendo, a come ogni piccolo essere umano di auto percepisce” (75).

Questo è ciò che dovrebbe star a cuore ad una maestra, ancor più dei compiti del giorno prima proprio perché: “Non è il giudicare che […] interessa, ma il capire e il comprendere ciò che è giusto e necessario sapere, come insegnante” (94).

Il mio plauso ad Anna Maria per questa nuova ricca pubblicazione, capace di chiamare a una sana riflessione.

Lorenzo Spurio

Jesi, 11-12-2014

E’ uscito “Liceali” di Francesca Luzzio

E’ uscito “Liceali” di Francesca Luzzio

Liceali

di Francesca Luzzio

Genesi Editrice, 2013

Pagine: 132

ISBN: 9788874144051

Costo: 13€

Link diretto alla vendita

COPERTINA LICEALI

Dalla prefazione di STEFANO GROS-PIETRO:

La scena del bel libro di Francesca Luzzio inizia, dunque, sulla zattera dei naufraghi. Fra di loro, improbabile comandante della scialuppa già destituito di autorità, c’è la giovane e bella professoressa Giulia Lo Cascio, sposa e madre felice, ma che si lascia rapire da un amore impossibile e finisce tra le braccia di un suo allievo, dalla corporatura aitante e dalla carne profumata di gioventù. E lì c’è anche Alice, che apre il suo cuore di adolescente all’amore, ma rimane incinta dal compagno di scuola Giovanni, il quale, come sa che la ragazza è in dolce attesa, si trasforma in un lupo mannaro e la insulta barbaramente, le rinfaccia il cedimento dei sensi che la ragazza ha avuto sia con lui sia con chissà quanti altri, per cui la giovane vacilla stordita in strada, viene travolta da un’auto, si risveglia in ospedale, e trova vicino a sé come unica ancora di salvataggio la mamma, che forse collaborerà a ricostruire la vita della figlia. C’è Mario, che è stato pestato a sangue dai suoi compagni nei gabinetti della scuola, e che in segno di spregio e di umiliazione è anche stato lordato di urina, perché i bulli non accettano la sua individualità improntata al riserbo e all’isolamento, lo ritengono supponente o addirittura antagonista, tale da meritarsi la violenta punizione. C’è la tragedia di un altro Mario, figlio di genitori abbienti, che si è iniziato alla droga, per noia e per desiderio di evasione, e che giungerà a scappare di casa, per poi farvi ritorno con l’unico scopo di rapinare e pestare selvaggiamente i genitori. C’è Andrea, amico di infanzia di Giuseppe, a cui il ragazzo si lega con l’aspettativa in cuore di realizzare un legame omosessuale, mentre Giuseppe si innamora di Rita e Andrea sprofonda in una spirale depressiva di umiliazione, in fondo alla quale c’è la tragedia di un atto non conservativo rivolto contro se stesso. C’è Luigi, figlio del custode del palazzo dove abita la bella Daniela, che invece è figlia di una famiglia più che agiata, e Luigi, grazie ai favori scolastici che egli offre ai compagni più ricchi, pensa di potere essere accettato in un ceto sociale molto al di sopra del suo e perciò andrà incontro a una cocente mortificazione. C’è il branco di Marco, Alessandro, Daniele, Giuseppe, Vincenzo, Caterina e Daniela che organizza serate in discoteca con ampio consumo di droga presa a prestito dallo spacciatore, con il progetto di sdebitarsi organizzando una rapina ai danni dei barboni che vivono all’addiaccio, ma le cose non andranno come previsto e Vincenzo ne subirà le tragiche conseguenze. C’è Giulio, soprannominato il “ragazzo fagotto” perché sballottato come una valigia nelle case dei genitori separati, entrambi infastiditi dalle esigenze di vita e di studio del ragazzo. C’è Mohamed, ragazzo che è ritenuto solo a metà italiano perché i genitori sono sudanesi e, quindi, il giovane ha la pelle di colore più che scuro, ed egli vorrebbe tentare in ogni modo di sbiancarla con l’uso degli acidi. Ci sono molti altri casi di disagio educazionale e di violenza familiare o di cattiva educazione instillata dai genitori ai loro ragazzi, a causa di un esasperato desiderio di promozione sociale, sviluppato fino ai limiti della presunzione o addirittura dell’arroganza.

“L’angelo che imparò a volare” di Anna Verlezza, recensione a cura di Lorenzo Spurio

L’angelo che imparò a volare

di Anna Verlezza

prefazione di Tiziana Ruscio

Edizioni Melagrana, San Felice a Cancello (CE)

ISBN: 978-88-6335-081-4

Pagine: 59

Costo: 10 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

 

Ma con lui c’erano anche mamma

e papà ed in fondo dove ci sono loro

c’è sempre casa. (p. 31)

 

L’angelo che imparò a volare di Anna Verlezza è un libro curioso e didattico pensato e dedicato ai lettori dell’infanzia e basato su di una storia vera. Il libro risulta particolarmente avvincente a un lettore giovane proprio in virtù del suo aspetto estetico (assomiglia più a una sorta di Student Book per le vacanze estive che a un vero libro) e per i numerosi disegni multicolori che accompagnano passo passo l’intera narrazione che la Verlezza costruisce.

Il libro si apre con la struttura della favola e contiene la storia di Francesco Pio, una storia a tratti felici, a tratti amara che, nel complesso ci trasmette un sapore di agrodolce in bocca. Ma è anche un esempio di amore, di manifestazione di sentimenti allo stato puro, di attaccamento all’altro e di speranza. E’ questo, forse, il messaggio principale che Anna Verlezza con questo libricino vuole trasmettere.

Ma, esulando la trama, sono molti i punti di forza del libro che ci consentono di dire che sia davvero, se non unico, per lo meno raro: l’utilizzo di carta riciclabile (è una scelta questa della casa editrice alla quale la Verlezza si è affidata ma credo e mi pare di intuire che sia anche una sua precisa volontà) e l’apparato sussidiario con esercizi sul testo che vogliono essere una prima guida al lettore giovane su come analizzare un testo. Non solo, gli esercizi gli permettono di rielaborare quanto letto, dare una sua interpretazione e di produrre quindi, seppur con un dominio lessicale non ancora ampio, un pensiero di tipo critico-analitico.

Per tutte queste ragioni, per la sua semplicità e sistematicità nella struttura, per la sua componente più chiaramente didattica e ludica, il testo è da consigliare ampiamente come materiale didattico nelle scuole primarie.

Chi è l’autrice?

Anna Verlezza (Caserta, 1973) dopo la maturità ha conseguito il diploma all’Istituto Magistrale spostando la sua attenzione sui bambini e i loro bisogni. Ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Al suo attivo ha due masters universitari, di primo e secondo livello, rispettivamente sulle “metodologie e strategie d’insegnamento” e su “il profilo del D.S. Management, leadership e responsabilità”. E’ docente alla scuola d’infanzia presso la Direzione Didattica di S. Maria a Vico (Ce). Partecipa attivamente a commissioni e progetti che investono il campo della didattica di qualità.

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O DIFFONDERE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O IN STRALCI, SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE. 

a cura di Lorenzo Spurio

Educare, una sfida possibile di Rosalinda Lo Presti Gianguzzi

“EDUCARE, UNA SFIDA POSSIBILE” di Rosalinda Lo Presti Gianguzzi 
Nulla die Edizioni
Recensione a cura di Monica Fantaci

L’autrice, partendo dalle sue esperienze di madre, di insegnante, di pedagogista e quindi di educatrice, delinea le tappe che l’hanno spinta a proporre un modello pedagogico che mira a dare valore al bambino (persona dotata di potenzialità, di autonomia, di consapevolezza) e alla famiglia (che deve essere supportata dallo Stato e dalla scuola pubblica, attraverso l’efficiente organizzazione di strutture che rispondono alle sue esigenze).
Educare, nella società complessa in cui viviamo, è una sfida, ma è tale perché è necessario che ogni educatore, insegnante e/o genitore, moduli il suo comportamento in base alle esigenze momentanee dell’alunno/figlio.
Un cambiamento della scuola può avvenire se i ministri si facessero consigliare da studenti dell’educazione e sperimentassero prima di definire e rendere ufficiale la loro iniziativa politica.
Il libro evidenzia la realtà in maniera sorprendente, focalizzando l’attenzione sugli effetti devastanti e diseducativi della televisione, che abbindola i bambini, i ragazzi, cioè gli adulti del futuro, verso un atteggiamento volgare, violento e minaccioso nei confronti degli altri, impoverendo sempre più il bagaglio culturale e minimizzando l’importanza della scuola nello sviluppo integrale della persona. Proprio la scuola di ogni grado è la protagonista fondamentale del testo, un luogo che deve trasmettere conoscenze partendo dalle esperienze degli alunni, attraverso l’uso concreto di attrezzature, di strumenti che rendono piacevole, stimolante, curioso il lavoro scolastico.
E’ un grido verso la giustizia, verso i diritti e i doveri quasi negati da chi sta al potere, come l’astensione obbligatoria dopo il parto per le lavoratrici madri, previsto dalle leggi, di come bisogna organizzare la famiglia alla nascita di un figlio, perché non tutti possono permettersi una baby-sitter, inoltre le liste dei nidi sono interminabili. Così lo Stato visibilmente è assente, come risultano essere carenti tutte le sue strutture, infatti dovrebbe impegnarsi di più nell’analisi dei problemi dei cittadini e di tutto il Paese.
Si rammentano le lotte fatte dai precari della scuola, come lo sciopero della fame davanti Montecitorio, gli interventi ad incontri pubblici o le interviste rilasciate nelle trasmissioni televisive come Annozero, per difendere la scuola, per dare una valenza sempre più forte alle idee che servono per rendere la società migliore e più equa.
Gli insegnanti, nella realtà odierna, vengono soprannominati eroi e missionari, cioè persone che non si nascondono, che dicono ciò che pensano, che conoscono, perciò a loro vengono addossate le responsabilità delle scelte politiche legate alla scuola, chiamandoli fannulloni, comunisti; chi governa considera gli insegnanti del nord più bravi di quelli del sud d’Italia, non considerando che al nord insegna chi proviene dal sud.
Il modello che propone il libro è quello di una scuola sociale e di una politica solidale, al fine di evitare discriminazioni sociali offrendo pari opportunità, oltre ad avvicinarsi sempre più alle necessità di tutti i cittadini, favorendo così anche un’educazione sociale che mira ad investire su risorse e servizi che aiutano il futuro adulto a mettere le basi per diventare qualcuno.
Sarebbe opportuno, in età prescolare e in età scolare, la presenza e il buon funzionamento di strutture pubbliche, come nidi pubblici, baby sitting, scuole con stanze apposite per fare laboratori di musica, di immagine, di palestre, ma il tutto deve avere a disposizione, oltre agli insegnanti, persone altamente qualificate nello specifico settore e che si intendono di pedagogia, anche per soddisfare ampiamente e nello specifico la curiosità di ogni alunno e la preparazione intellettuale e pratica delle discipline, partendo dai loro interessi, dalle loro aspettative, dai loro vissuti. E’ un libro che rispecchia la realtà di ogni lettore: tutti siamo figli, tutti siamo alunni, tutti siamo educatori, tutti siamo cittadini.

Monica Fantaci



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