“La regina, l’amore e la forza” di Elena Maneo

La regina, l’amore e la forza di Elena Maneo

Kimerik Edizioni, 2011, pp. 94

ISBN: 9788860967046 

Recensione di Lorenzo Spurio

Elena Maneo, scrittrice veneziana già autrice di Piccoli racconti (2006), Il mondo di Melì e altri racconti (2008) e Una leggenda, una storia e un sogno (2010) si contraddistingue ancora una volta, con la sua recente opera La regina, l’amore e la forza, per la sua abilità nel gestire il genere del racconto breve. Le tre storie contenute in questa silloge, pur partendo da idee diverse e avendo un retroterra letterario distinto, coinvolgono direttamente il lettore sia per la semplicità del linguaggio adottato che per la capacità della scrittrice di farci sognare ad occhi aperti e viaggiare in spazi immaginari.

A mio avviso notevole è “La rosa nera”, terzo ed ultimo racconto che compone la silloge. Si tratta del racconto più breve che, pur partendo da una cornice di tipo favolistica, inserisce temi e motivi d’indagine sociale particolarmente attuali. La Maneo, ricorrendo all’utilizzo di una narrativa breve e condensata, riesce a dire molto di più e proprio per la fascinazione che ho sentito verso questo pezzo ho deciso di scrivere una prima recensione solo su questo racconto.

Il primo racconto, invece, intitolato “La regina di Picche”, ci trasporta completamente in un viaggio nel mondo fantastico tra mostri, presenze fantastiche, spazi minacciosi e labirintici e un vero e proprio stravolgimento della logica del mondo al quale appartiamo. Difficile non respirare degli echi di Alice nel Paese delle Meraviglie leggendo questo racconto: Mattia, il protagonista, è una sapiente rivisitazione del personaggio di Alice che, al pari di lei, trovandosi in uno spazio che non conosce e abitato da presenze minacciose, finisce per provare paura, smarrimento e preoccupazione. La regina di Picche, poi, ricorda la regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie, sebbene il temperamento delle due donne sia completamente diverso: la Regina di Picche si sacrifica per dare vita al personaggio mentre la regina di Cuori è principalmente dipinta come spietata e crudele, sempre pronta a mandare alla forca. In questo universo alogico, disordinato e caotico Mattia cerca di far mente locale per poter aggrapparsi alle poche certezze che gli rimangono, proprio come cerca di fare Alice quando tenta di fare dei conti, impiegando le regole della matematica, o di ricordare basilari nozioni geografiche. Ma in entrambe le storie la logica è ormai perduta, la ragione viene di continuo minacciata e messa sotto scacco. Non c’è da meravigliarsi né da preoccuparsi perché in entrambi i casi gli autori ci danno la spiegazione che tutto ciò che è accaduto non è stato altro che un sogno. E allora sì che presenze fatate, mostriciattoli, fatti astrusi possono accadere, nell’universo onirico tutto è possibile!

Il secondo racconto, intitolato “La porta rossa”, sviluppa una sorta di thriller story che sembra esser stata adattata a uno dei tanti film horror del momento. Ma anche in questo caso la Maneo risolve la storia ricorrendo ai temi del sogno e dell’amore per fornire un finale, forse un po’ conciliatorio e avventato, ma che non stona con l’intero tenore del racconto.

La Maneo maneggia una materia che da sempre è stata ampiamente impiegata in letteratura, quella fantastica-onirica, inserendo molti elementi che fanno riferimento alla tradizione folklorica di trasmissione orale: le fate, i mostriciattoli, la presenza di reali, i continui riferimenti ai colori (tinte, sfumature) e ai materiali di costruzione degli oggetti. La scrittrice si auto-consacra come una narratrice dal gusto fauvista con particolare predilezione per le tinte forti: si ricordi che due dei tre racconti contenuti nella silloge hanno già nel titolo un termine che si riferisce ad un colore e si pensi alla serie particolareggiata delle tinte del rosso (fulvo, carminio, scarlatto, rubino, rame) in “La porta rossa” che ci fanno pensare ad esempio alla meticolosa descrizione della red room in Jane Eyre della Brontë o, comunque, a numerose altre narrazioni colte che hanno impiegato le tinte del rosso con modi e finalità diverse (La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, Il segno rosso del coraggio di Stephen Crane,…). La narrativa cromatica della Maneo è un modo efficace per rapportarsi al mondo e per trasmettere nel lettore una vivissima rappresentazione a pennellate veloci e tinte luminose. Complimenti.

a cura di Lorenzo Spurio

18-11-2011

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“La rosa nera”, racconto di Elena Maneo – commento critico

“La rosa nera”

racconto di Elena Maneo

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Nella nostra cultura la rosa nera viene considerata come una variante floreale rara e introvabile, un fiore che spesso (tranne quelli che offrono invece un’operazione di tintura dei petali) nessuno ha mai visto in forma originale.  Porta dunque con sé un senso di mistero e segretezza, oltre ad evocare un fascino distinto, una cerimoniosità austera ma elegante.  Tutto ciò si respira leggendo il breve e omonimo racconto di Elena Maneo contenuto nella silloge La regina, l’amore e la forza (Kimerik Edizioni, 2011, ISBN: 9788860967046).  La storia che ci viene presentata è semplice e propone un tema sociale importante:  quello della sofferenza, dello stato di incompletezza di una donna a seguito della consapevolezza di non poter avere figli. Il tema è comune ma la Maneo è abile nel maneggiarlo, inserendolo in una storia breve che ha tutte le caratteristiche di una fiaba. Di una di quelle storie che fanno sognare i bambini, in cui i personaggi sono re e regine, gli spazi regge e parchi fantastici e in cui si inizia con un avvenimento doloroso per poi passare a un veloce happy ending. La formula è efficace e attuale per questo tipo di storia. La contessa Angelina, pur vivendo in una sontuosa reggia e disponendo di tutte le ricchezze che desidera, è infelice e fortemente turbata a causa dell’impossibilità di avere un erede. Alla sterilità biologica della donna (o forse del marito?) si unisce un’ulteriore sterilità che è quella dei buoni sentimenti, soprattutto nel coniuge della donna, il conte Oscar Odd. Il racconto si incentra sul tema della difficoltà nel raggiungere la felicità che niente ha a che vedere con il possesso di ricchezze.  Il problema è sentito molto profondamente dalla donna tanto che la sua salute arriva a risultare gravemente minacciata dal suo stato di depressione e di crisi emotiva. L’immagine che ci facciamo del conte Oscar è quello di un uomo poco attento ai sentimenti che, stranamente, neppure è preoccupato per la sua discendenza nobiliare.

La storia prende una piega diversa quando il conte, pensando di far un gradito omaggio alla moglie che riesca a risollevare il suo stato, le regala una bambina nera come serva personale. L’episodio fa pensare direttamente all’antica pratica della tratta degli schiavi basata sulla compra-vendita di schiavi e il loro impiego coatto all’interno dell’universo domestico del signore.  Ma quella che per il conte è semplicemente una “bambina negra” (notare l’utilizzo di “negra” al posto di “nera”, che porta con sé una connotazione esplicitamente razzista) per la contessa diviene il motivo di gioia e di abbandono delle sofferenze. La donna, infatti, finisce per provare sentimenti per la bambina e la adotta, liberandola dai vincoli lavorativi e di subordinazione che il marito aveva previsto per lei.

Quella che era una schiava (un’orfana, senza identità né casa) finisce così per essere considerata dalla contessa come “la rosa nera” a cui il titolo del racconto fa riferimento, come un’entità rarissima, insolita, preziosa. Non esiste in natura una varietà di rosa nera e, quella che più le rassomiglia, la Baccara, non è altro che una rosa color rosso scuro tendente al nero. La contessa, avendo con sé una rosa nera, unica ragione del suo rinsavimento, di fatto ha qualcosa che non esiste se non nella forma di un surrogato. Come la felicità stessa, appunto.

Lorenzo Spurio 

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