L’ A.P. S. Le Ragunanze con i patrocini morali del Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia a Roma, Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, Vivere D’Arte, Leggere Tutti, LATIUM di Madrid, ACTAS Tuscania, WikiPoesia, Coordinamento Difendiamo i pini di Roma Comitato Villa Glori, comunica i nominativi di tutti gli autori e artisti premiati ai quali vanno i complimenti della Giuria composta da: Virgilio Violo (Presidente di Giuria), Michela Zanarella (Presidente del Premio), Giuseppe Lorin (Vice Presidente del Premio Le Ragunanze), Elisabetta Bagli (Presidente Latium), Antonio Corona (Vivere D’Arte), Fiorella Cappelli (Leggere Tutti), Lorenzo Spurio, Serena Maffia.
Sezione poesia a tema natura:
1° classificato: “Sine nomine” di Roberto Costantini (Roma)
2° classificato: “Senza titolo” di Fabio Romano (Roma)
3° classificato: “Il mio amico albero” di Alessandro Porri (Roma)
Menzione d’onore:
“Simboli del tempo” di Antonella Ariosto (Roma)
“Il pino e il parrocchetto” di Giovanni Battista Quinto (Matera)
“Non sanno niente” di Fadi Nasr (Milano)
“Custodi di segreti” di Carla Abenante (Napoli)
“Una quercia e un pino” di Rossana Bonadonna (Roma)
“Il viale dei venti alberi di pino” di Lucia Izzo (Roma)
“Patria” di Sofia Skleida (Grecia)
“Los pinos de Roma” di Anja Granjo (Spagna)
“Los pinos de Roma” di Veli Bogoeva (Spagna)
“Solitario pino mediterraneo” di Loli Garcia (Spagna)
“Inseguito dal sole” di Gianni Servadio (Roma)
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Sezione libro edito poesia
1° classificato: “Luce del tempo” di Marco Onofrio (Roma)
2° classificato: “A corpo libero” di Doris Bellomusto (Lucca)
3°classificato: “La croce di carta” di Luciano Giovannini (Roma)
Menzione d’onore:
“Apophoreta” di Stefano Baldinu (Bologna)
“Il prigioniero della luce” di Danilo Poggiogalli (Roma)
“Fiorisce il mandorlo a Natale” di Gianni Pallaro (Padova)
“Lettere da quarantena” di Guido Tracanna (Roma)
“Sbalzi d’amore” di Fra Gilé (Messina)
“Poesie minuscole” di Colomba di Pasquale (Macerata)
“Se lo sguardo è da un oblò” di Ornella Gatti (Roma)
“Con gli occhi e con l’anima” di Isabella Petrucci (Ancona)
“Vivremo tutto il resto” di Loretta Liberati (Roma)
“Parliamo finché la luce non si spenga” di Stefania di Leo (Messina)
È di poche settimane fa la notizia dell’uscita di una nuova raccolta di poesie in lingua straniera per la poetessa Michela Zanarella che ha già alle spalle varie pubblicazioni bilingui tra cui in rumeno, in inglese e in arabo. Stavolta la pubblicazione è in doppia lingua spagnolo-italiano. La traduzione è a cura della poetessa Elisabetta Bagli. Si tratta, per la nota poetessa Zanarella, da anni “naturalizzata” romana, della ventunesima pubblicazione.
Non si tratta dell’unico lavoro della Nostra in lingua spagnola dato che in Colombia la poetessa veneta aveva pubblicato il libro La verdad a la luz per i tipi di Papel y Lapiz. Ora è il caso del mercato editoriale argentino che accoglie i suoi versi. Il volume, dal titolo La experiencia de la mirada/ L’esperienza dello sguardo esce per il marchio Arte Sin Aduanas Ediciones all’interno della collana (curata dai poeti Elisabetta Bagli e Gastone Cappelloni) che porta quale titolo “Dal Mare all’Oceano”.
Nel testo di prefazione Silvia Clarión ha avuto modo di rivelare: “Ci accolgono le lune primaverili che invadono di ricordi gli sguardi immortali. Emergono orizzonti remoti, promessi da amori antichi, incompiuti, insoddisfatti” mentre queste a seguire sono le parole dell’editrice Daniela Tomé: “Un invito alla bellezza, alla sensibilità e alla profondità della poesia, che si nutre di soli e abissi incommensurabili”.
Nella potenza dei sentimenti e tra immagini in cui emergono gli elementi della natura continua a maturare un linguaggio essenziale, fluido e intenso, che sprigiona vita ricordandone la sacralità. L’osservazione costante del mondo diventa necessaria per comprendere il valore e la bellezza delle cose. Zanarella, che è recentemente uscita con un affascinante romanzo breve di forte impronta autobiografica (Quell’odore di resina uscito quest’anno per i tipi di Castelvecchi Editore), con la nuova opera poetica seguita ad affidarsi alla poesia per continuare il suo viaggio di esplorazione e ricerca, senza mai perdere il desiderio di stupirsi e donarsi con sincerità al lettore.
Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD). Dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha pubblicato numerosi libri, soprattutto di poesia. Giornalista, si occupa di relazioni internazionali. Collabora con diverse testate e redazioni tra cui la rivista di poesia e critica letteraria «Nuova Euterpe» (già «Euterpe»). Le sue poesie sono state tradotte in oltre dieci lingue. È tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia La ragazza di Roma Nord edito da SEM. Presidente di Giuria in vari concorsi letterari a livello nazionale tra cui il “Città di Latina”, “L’arte in versi” di Jesi, è Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze” di Roma che annualmente bandisce l’omonimo premio letterario.
É con grande gioia che attraverso questa ultima raccolta di Claudia Piccinno, innanzitutto guardando alla bellissima intesa dell’autrice con l’amica poeta e sua straordinaria traduttrice Elisabetta Bagli, intesa che continua il dialogo intessuto dalle due amiche nella precedente intensa raccolta a quattro mani, dal titolo Versos Cruzados (Editorial Dunken, 2021).
Questa corrente empatica che porta a realizzare un dialogo poetico oppure, come in questo libro, a offrire le proprie poesie in traduzione, mi conferma l’efficacia comunicativa di una modalità di incontro tra poeti che riflette un profondo scambio emozionale, ma che si spinge al di là della solita dilatazione della parola oltre un confine linguistico. Leggiamo infatti questo scambio come qualcosa che, attestando l’incontro tra due sensibilità, si oppone alla possibile deriva egoica e spesso autoreferenziale di una scrittura individuale tout court.
Ma cerchiamo di entrare nelle stanze di questa raccolta che nel titolo dichiara l’apertura all’azzurro, elemento cromatico collegato da sempre, oltre che alla spiritualità, alla profondità e alla vastità. Chi legge avverte infatti subito l’aprirsi di un largo cielo visionario che attraversa realtà e memoria, natura e mito, ma che diventa anche un mare, il mare della vita personale e collettiva, le cui onde sono gli infiniti e pure inaspettati eventi da affrontare, le ferite ricevute, l’incessante ripetersi di naufragi collettivi per gli errori umani, ma anche il resistere ostinato della speranza.
In questo vasto azzurro i testi si stagliano nella loro concisione e limpidezza, come a indicare l’urgente necessità di una sincera comunicazione volta ad un rigenerarsi collettivo, nonostante le rare gioie e le più frequenti amarezze oscurino l’intensità dell’azzurro con l’ombra del disincanto.
Così accade che la percezione degli eventi nel mondo e la riflessione sull’esistenza si mescolino di continuo dando vita a scene ed epifanie in un mosaico visivo e simbolico costantemente caratterizzato da un’incisiva impronta etica.
E percorrendo dall’inizio i testi notiamo subito come la prima urgenza comunicativa sia stata quella di salvare la sacralità degli affetti fondamentali, sottraendo per sempre dalla evanescenza la memoria dei genitori scomparsi (Ad ogni finestra d’azzurro; A mio padre).
Sono queste prime finestre ad aprirsi e lo fanno in modo invertito, non aprendosi all’esterno, ma nel proprio cielo interiore, a indicare il senso profondo di un sentimento assoluto, incrollabile, dispiegato attraverso percezioni uditive (la voce materna che chiama dal cortile dei giochi), olfattive (il profumo delle arance raccolte dal padre), simboliche (la piuma, il vento, le corone d’alloro). Qui subito si evidenzia la cifra poetica di Claudia Piccinno nella forma e nel ritmo, con l’andamento libero e armonioso di un racconto-fabula in versi, a volte scosso dal battere delle anafore, spesso chiuso da un finale epifanico.
Un’altra finestra di grande delicatezza psicologica, che si apre nell’azzurro della memoria è quella che dice di un’altra mancanza, così crudele perchè avvenuta durante l’infanzia (Compagno di scuola), quando si è disarmati, tanto da sentirsi “in castigo” , per chissà quali piccole colpe ingigantite dalla perdita (quanti tra i lettori si riconosceranno in questa dimensione!).
L’esercizio incessante dello sguardo porta poi inevitabilmente l’autrice a notare le colpevoli incongruenze della contemporaneità, il mancato progresso sociale ed etico, se ancora non solo non si è raggiunta la vera parità di genere (giacché la donna è ancora oggi paragonabile alla sapiente Aspasia di Mileto, non riconosciuta nel suo valore perfino dallo stesso Pericle che l’aveva amata), ma anche perché ancora l’umanità persevera nell’errore, non annullandosi l’assurdità di guerre e violenze. Sono, queste, le domande centrali dell’oggi, cui ogni poeta non può sottrarsi. Sono domande che sottendono il senso universale profondo dell’esistere, mentre si continua a percepire il correre della vita come un insulso girare a vuoto, anzi come solo “ rumore “, privo com’è della luce dell’incontro vero (Nel codice alfanumerico).
E l’autrice reagisce ad ogni deriva dichiarando di non poter che “predisporsi al silenzio”, come in una rassegnazione muta, che trova sollievo solo nella contemplazione e nell’ascolto della natura. Sì, perchè in natura perfino le pietre, con le loro soluzioni di saggezza geologica millenaria, ci parlano di un equilibrio tra materia vivente e non vivente ancora possibile (La rupe; Le pietre di Sardegna). Se sappiamo ascoltarlo, vi è un intero continente fuori di noi che ci parla: voci di rocce acque piante a indicarci, semplicemente coabitando in vantaggio reciproco, una dimensione armonica di salvezza.
Per Claudia Piccinno vi è anche un’altra soluzione di resistenza, che sale dal profondo della sua interiorità: è il fermo proposito di conservare intatta la propria schiettezza, non tener conto del disconoscimento altrui del proprio valore, di ogni ingratitudine, anche se è doloroso veder montare la disillusione e cadere l’entusiasmo.
Ci rendiamo allora conto che queste riflessioni di Claudia Piccinno sono anche le nostre, anzi riconosciamo, come sempre accade in poesia, il senso universale che investe questa parola poetica nel nostro tempo di deriva, tempo del disincontro, che scorre tra virtuale e tecnologia, tra indifferenza e superficialità. Claudia Piccinno, come altri poeti contemporanei (posso citare Jorie Graham, Cristina Bove, Laura Liberale, Giuseppe Yussuf Conte), sta lanciando un alert in poesia, che è la nostra fiera ribellione contro la disumanità che avanza con il suo corredo di potere, alienazione, mancanza di solidarietà. E dunque accogliamo la sua indicazione nel voler restare “vetro”, che sopravvive in virtù della propria limpidezza (Plastica nelle vetrine); soluzione di semplicità cristallina, non affidata a formule, ma al proprio istinto che, decidendo di sottrarsi ad ogni pesantezza da pensieri dolorosi o da urti ricevuti, cerca solo la levità, l’onestà, la benevolenza, l’incontro e il continuo stupore (L’arte del sottrarre).
Questa scrittura di donna non poteva poi escludere l’esperienza di madre tormentata, come lo sono tante madri, che però lascia sempre aperta la porta alla fiducia nel futuro, purchè sia costruita con il legno del coraggio e mai della resa (Lente le ore), con la consapevolezza che ogni esperienza, anche la più dolorosa, è riserva di forza e sempre di sovrabbondante voglia di donare (Il dolore che mi porto dentro).
La scrittura ritorna poi a trasmettere le voci autentiche dell’umanità abbattuta e violentata nel passato, il grido di sangue versato nei conflitti che giunge da luoghi e immagini significative (Cracovia, il Piave, l’olivo di Fossoli giunto da Israele), per ricordare ancora una volta l’insensatezza della morte per-uomo (Zio Tore; Ciao Gazzella).
Non sono poi da tralasciare le poesie raccolte a fine libro nella sezione Frammenti di vita, dove l’autrice mostra la sua ricchezza visionaria unita alla sapienza nel mescolare immagini, colori e sensazioni e alla sua straordinaria padronanza del ritmo (Ragnatele cremisi e segg.).
Poesia profondamente civile e dunque profondamente contemporanea, pure poesia coraggiosa, che prende le distanze da ogni eventuale giudizio smaccatamente letterario-estetico, preferendo dichiarare la propria fede aperta alla parola della speranza: quella di un’inversione di rotta dell’umanità verso l’etica dei comportamenti, la sola dimensione che fa umano l’essere umano (E tu nascesti, nasci e nascerai).
Per queste ragioni sento questi versi costeggiare la Parola assoluta, divenire segno umano degno di memoria.
E per queste ragioni invito caldamente i lettori in due lingue a leggere queste pagine.
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Pochi giorni fa è uscito il primo volume in lingua spagnola della poetessa Michela Zanarella, La verdad a la luz per i tipi di Papel y Lapiz, casa editrice colombiana diretta dal promotore culturale Aaron Parodi Quiroga. La pubblicazione va ad aggiungersi a un ricco repertorio di libri di poesia che la Zanarella, poetessa e giornalista veneta nata a Cittadella (PD) nel 1980 ma residente e attiva da molti anni nella Capitale, ha pubblicato nel corso degli anni. Il suo repertorio poetico è risultato particolarmente apprezzato anche nel contesto internazionale e ciò è evidente dalla pubblicazione di sue poesie, tanto su riviste che in antologie, in numerose lingue tra cui l’inglese, il francese, lo spagnolo, l’arabo, il rumeno, il serbo, addirittura il cinese, il giapponese e l’hindi. In precedenza, inoltre, ha dato alle stampe un selezionato corpus della sua opera in volume tanto in rumeno con la pubblicazione Imensele coincidenţeedita da Bibliotheca Universalis nel 2015, quanto in inglese con la pubblicazione Meditations in the Femine del 2018 con la Bordighera Press e anche in arabo con il libro bilingue italo-araboInfinito celeste pubblicato con Universitalia di Roma nel 2021.
Michela Zanarella – apprezzata recensionista e membro di spicco di giurie di prestigio nel vasto panorama di concorsi letterari nazionali e non – è strenuamente convinta che la poesia sia canto universale e che, come tale, essa abbia la capacità (ma anche il dovere) di abbracciare il mondo. Indistintamente. Da questa fiera convinzione è nata la nuova raccolta poetica in lingua spagnola, La verdad a la luz, con traduzioni della poetessa Elisabetta Bagli, autrice a sua volta e riconosciuta promotrice culturale tanto nel nostro Paese quanto in Spagna, dove vive da vari anni nella capitale madrilena. Contribuiscono ad arricchire il volume, già di per sé particolarmente saporito e allettante, la nota di prefazione a firma della docente e autrice Brunhilde Román Ibáñez. Esponendosi sulla cifra stilistica e contenutistica della pregevole poesia della Zanarella, così quest’ultima ha avuto modo di esprimersi: “è un viaggio in un universo di materia attraversata dalla luce. Questa luce è essa stessa il tema, la metafora e la causa ultima del libro”. Ed è proprio la luce, quale tema concreto e possibile traccia da intraprendere, a dominare tra le pagine, a far risplendere le emozioni, a ricalcare i sentimenti. Anche l’opera di copertina si affida a questa proiezione di fiducia completa nel colore e nella potenzialità del vibrato di cromatismi. In essa campeggia la riproduzione di un’opera grafica della pittrice Tatyana Zaytseva che il lettore pregusta con particolare entusiasmo e, al termine della lettura del volume, non può che associare in maniera precipua ed empatica al percorso stesso delle liriche. Luce e verità, dunque, i due elementi legati indissolubilmente tra loro che primeggiano in maniera spontanea nell’opera della Zanarella. Sono elementi inscindibili eppure così particolarissimi nelle loro caratteristiche distintive, offerti in una riuscita chiave sinottica ricca di omogeneità e di significati molteplici, trasposizioni e riverberi. Elementi che diventano non solo utili e rivelatori a sondare un sentimento altro, ma in qualche modo efficaci ed essenziali per accedere nei testi e nell’anima della poetessa, che traduce in versi l’amore, i sogni, le speranze, senza mai fingere. Così il lettore viene avvolto da un turbine intimo e cosmico, sincero e potente, in cui la poesia è meta e rifugio, la stanza in cui restare per ascoltare il proprio io e dipingere il mondo vagliato dalla propria interiorità.
Lorenzo Spurio
Jesi, 05/02/2022
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Dopo il grande successo incassato l’anno scorso per il Congresso Annuale della EMUI_EuroMed University dedicato ai rapporti tra Pier Paolo Pasolini e Rafael Alberti, quest’anno il Presidente della detta istituzione culturale internazionale, il professore Román Reyes, ha recentemente dato a conoscere il tema e i contenuti dell’edizione congressuale di quest’anno.
Il titolo di questo Festival letterario sarà “Pasolini e la Realtà dei Diseredati” con l’indicazione esplicita, nel sottotitolo, di “Galdós, 100 anni dopo” – Le persone come materia prima e ultima del lavoro artistico. Così, partendo dalla figura controversa e pluritematica di Pier Paolo Pasolini, uno dei maggiori intellettuali del Secolo scorso del quale si sono recentemente celebrati i quarantacinque anni dalla sua tragica morte, si andrà ad analizzare rapporti, legami, confluenze, echi, possibili letture, parallele o comparative, tra l’intellettuale romano e un altro esponente letterario di primo piano, di origine spagnola, questa vola il romanziere e drammaturgo Benito Pérez Galdós (1843-1920). Lo scrittore canario, noto per l’opera Doña perfecta (1876) e per una fitta composizione di “Episodios nacionales”, è considerato, a ragione, assieme a Pío Baroja (1872-1956) e ad Azorín (1873-1967), uno dei fondatori del romanzo moderno spagnolo.
A causa delle limitazioni dettate dall’emergenza sanitaria in atto quest’anno l’intero congresso internazionale, al quale partecipano e collaborano importanti istituzioni culturali quali il Centro Studi e Ricerche “Pier Paolo Pasolini” di Casarsa della Delizia (PN) e il Dipartimento di Diritto della Universidad Complutense di Madrid, si terrà in forma virtuale, nella modalità “a distanza” nelle giornate 23-25 novembre. Come è possibile leggere dal sito ufficiale, infatti, “L’EMUI metterà a sua disposizione, o alla sua portata, tutti i mezzi affinché questa azione prioritaria si svolga in formato virtuale, fornendo al format le tecniche più adeguate affinché l’impatto raggiunga il livello da noi proposto”. A figurare nel comitato tecnico-scientifico di questo congresso sono il prof. Antonio Giménez-Merino (Università di Barcellona, Vicepresidente EMUI), Paloma Criado (Direttrice dell’Ufficio EMUI – Presidenza) e i consulenti istituzionali Enzo Lavagnini (Direttore CSRPPP) e Román Reyes (Direttore CSRPPP).
Come accaduto nel precedente congresso, esso si mostra ricchissimo di interventi e contenuti. In “Galdós, Pasolini e la realtà dei diseredati” nella giornata del 23 novembrevedrà gli interventi della cattedratica di Etica presso l’Università di Salamanca, la professoressa M. Teresa López de Vieja che parlerà di “Pandemia e mutazione antropologica. Pasolini: Scritti corsari e Lettere luterane”; il prof. Román Reyes (Direttore EMUI) terrà un discorso su “Galdós – Pasolini: due sguardi, due viaggio. Viaje a Italia (1888) e La lunga strada di sabbia (1959)”; Roberto Chiesi, della Cineteca di Bologna, parlerà di “Pasolini e l’ultimo degli uomini: la maledizione di Accattone (1961)” mentre il prof. Antonio Giménez Merino dell’Università di Barcellona terrà un discorso dal titolo “Il punto di vista del diseredato come progetto letterario e morale”.
Il secondo giorno del congresso, il 24 novembre, vedrà gli interventi del giornalista e saggista Dario Pontuale dal titolo “Gadda e Pasolini: due non romani a confronto”; del critico letterario e poeta Lorenzo Spurio dal titolo “Los condenados di Benito Pérez Galdós, dell’onore e del riscatto”; della scrittrice e giornalista Simona Zecchi con l’intervento “Pasolini: il movente che lo ha condotto alla morte” e a conclusione della giornata si terrà un reading poetico coordinato dalle poetesse Michela Zanarella ed Elisabetta Bagli.
Reading che proseguirà nella terza giornata, il25 novembre, e al quale seguiranno gli interventi della prof.ssa Isabel Jimeno dell’Università degli Studi di Genova con il contributo “Galdós nell’opera e nella voce di María Zambrano” e della prof.ssa Carmen Márquez-Montes dell’Università di Las Palmas de Gran Canaria con il discorso critico su “Le donne della scena galdosiana: protagoniste e attrici”.
La chiusura della tre giorni di incontri dovrebbe (la notizia deve essere ancora confermata) spettare all’eminente cattedratico, nonché Direttore del Cervantes e docente dell’Università di Granada, il prof. Luis García Montero che interverrà su “La influencia de Galdós y Pasolini en la literatura social posterior”.
Per poter prendere visione del programma completo e di tutte le indicazioni che diano notizia o accesso alle dirette e interventi dei relatori, si rimanda al sito ufficiale: http://pierpaolopasolini.net/2020/index.html
Il percorso poetico di Silvana Stremiz, poetessa di origini friulane nata in Canada, è ormai consolidato da anni di pubblicazioni, partecipazioni a concorsi con lodevoli riconoscimenti nonché dalla organizzazione di iniziative antologiche con fini umanitari, tra cui un volume di poesie che raccoglie ben trentasette autori pubblicato nel 2012 e curato assieme a Barbara Brussa, volto a sostenere i terremotati del sisma dell’Emilia Romagna. Ha esordito nel 2007 con il volume La vita con i miei occhi (Aletti) e da lì l’itinerario della poetessa si è fatto capillare tanto da divenire instancabile, cesellato da una buona risma di commenti critici, interpretazioni ai suoi testi e conferimenti di premi per le sue innate doti creative. Il volume più recente, a circa dieci anni di distanza dal suo esordio come poetessa sulla carta stampata, s’intitola Ti porterò con me e contiene un cospicuo numero di liriche d’amore proposte in doppia lingua: in italiano e, a fronte, in spagnolo. Le traduzioni di Te llevaré conmigo, questo il titolo del libro in castigliano, sono state curate da validi esponenti della scena contemporanea tra cui Marisa Zedda, Monica Sturza, Raquel Ferrer Capella e la stimata poetessa naturalizzata madrilena Elisabetta Bagli, autrice dei volumi poetici Dietro lo sguardo (2013) e Voce (2015).
Nelle note critiche di apertura al volume, firmate da Matteo Tuveri e Isabella Gambini, responsabile di Intermedia Edizioni, casa editrice umbra che ha dato pubblicazione al libro della Stremiz, alcune parole chiave richiamano l’attenzione del lettore e veicolano già una data lettura nonché l’incamminamento ermeneutico del testo.
Ci troviamo dinanzi a poesie d’amore, pregne di sensualità e dove l’istintualità, ovvero il gesto spicciolo, autentico e non premeditato, domina sull’azione degli amanti. Le poesie si mostrano nella forma di attestazioni esplicite d’amore, invito ad abbattere le distanze e ad annullare i tempi, dichiarazioni di vivido trasporto, nonché esternazioni di sogni, incursioni nell’inconscio e addirittura nel proibito. La poetessa si svela verso dopo verso mettendosi in mostra come una donna profonda e romantica, che ha eretto l’Amore come legge morale, l’unica possibile al cuore.
Isabella Gambini pone, giustamente, l’attenzione su quegli “amori imperfetti” frequentemente richiamati dalla Stremiz in varie liriche ad intendere un amore totalizzante e radicato, viscerale e incommensurabile che si staglia al di là di problematiche, possibili differenze nonché evidenza di difetti, tanto da richiamare alcune immagini distinte e arcinote dei Sonetti shakesperiani.
L’amore, da concreto e carnale com’è in alcune liriche, viene allora a sublimarsi per diventare aereoso, metafisico, impalpabile in maniera concreta ma a suo modo universale e onnipresente. Si tratta di un sentimento che la Stremiz descrive con dolcezza e prestanza di linguaggio, a trasmettere con vivacità ed energia un vibrato sensuale che, pur discostandosi volutamente dall’erotico, ha comunque una buona componente di spasmo d’unione, aneliti di dominazione e spiriti d’offrirsi che fanno della sua poesia un atto di libertà e coscienza.
La partecipazione all’atto d’amore, ora sussurrato, ora esplicitato, si fa talvolta altisonante al punto da richiedere il ricorso a un linguaggio più concreto e di forma anti-lirica ad accentuare il desiderio d’unione e la necessità di completezza.
L’amore non è solo motivo originante delle poesie qui contenuto ma anche oggetto e finalità, a descrivere un tracciato sinusoidale di ampio chilometraggio dove anche la dimensione ludica di questo sentimento viene presa in considerazione.
In questo canzoniere d’amore a unica voce, dove abbiamo, cioè, attestazione dell’amore da una delle due parti della coppia, il lettore potrà percepire un velato senso di estraneità dinanzi alla confessione di un universo talmente intimo. Questo non cozza con la volontà della donna che ha fatto dell’arte, del linguaggio poetico, la sua compagna più fedele ed efficace per dichiarare l’amore, lodare l’amato, riconoscere sé stessa in un amore che dà linfa ai giorni e fa raccogliere le stelle. Un canto che, se può sembrare monocorde e a tratti possibile solo platonicamente, è in grado di tessere un inno alla vita, cogliendo i raggi più luminosi di un cuore raggiante che emana gioia e acuisce il desiderio dell’altro, a testimonianza di un amore che si vive e si crea in quell’alternanza e connubio irrazionale d’intenti taciuti.
La cucina arancione di Lorenzo SpurioTraccePerLaMeta Edizioni, 2014Recensione a cura di Elisabetta Bagli
“La cucina arancione”, la nuova raccolta di racconti di Lorenzo Spurio, è un libro da leggere piano e da rileggere in modo ancor più accurato per soffermarsi su quei particolari sfuggiti a una prima lettura, che altro non sono che indizi indispensabili alla creazione di riflessioni profonde sulla psiche umana e le sue ragioni che spesso non ha. Proprio da qui l’abilità dell’autore di addentrarci, con il suo stile diretto e di forte impatto, nella nostra mente alla scoperta di quel che siamo o pensiamo di essere. “La cucina arancione” è il luogo dell’infinito, uno spazio aperto e vivo, dotato di una forte complessità, un luogo nel quale l’indagine non si limita solo a quel che è visibile, ma scava nel profondo dell’anima umana, esaltandone la necessità di riflessione ed esternazione.
Lorenzo Spurio, con la sua scrittura fluida e coinvolgente, riesce a costruire situazioni e personaggi dalle caratteristiche ben diverse. Tutti sono accomunati da un unico filo conduttore: il desiderio dell’uomo di sperimentare, di vivere passioni e fantasie in modo irrazionale e folle, così da poter individuare i limiti da superare e quel che si prova spingendosi oltre essi.
L’arancione, il colore forte e acceso che nel libro domina l’uomo, rappresenta la sua paura verso l’ignoto e la consapevolezza che, solo oltrepassando il mistero, potrà capire se quel che cerca nell’azione è davvero l’unica cosa che possa dare un senso alla sua vita.
L’uomo, anche nella sua apparente inerzia, muove il pensiero e lo spinge a riflettere, a “rotolare” come una palla nella sua mente, per sentirsi mobile, per agire e combattere i suoi conflitti interiori come avviene quando sentirà di essere diventato un nano e non potrà più fare quel che fanno tutte le persone “normali”, schiavo della sua condizione mentale (“La mezza vita”).
Ma dove risiede la normalità? Forse nei sogni abitati da “La vecchia col cappotto ocra”, talmente reali da condizionare l’intera vita del protagonista? O, forse è nella realtà di Giovanna, la “Regina Rossa” che si sentiva morta e rifiutava la sua presenza nel mondo? O risiede nello scetticismo della vita e delle sue girandole di chi vive, muore, ama e di chi, invece, si lascia vivere senza decidere (“Scettico”)?
In questi racconti c’è paura e desiderio di superarla e c’è la Morte e il desiderio millenario dell’uomo di maltrattarla, di violentarla fino a volerne la sua stessa “morte”, come a esorcizzare l’impotenza dell’essere umano che nulla può nei suoi confronti. E, proprio come accade nel racconto “La cucina arancione” che dà il titolo alla raccolta, la colpa di tutto è da ricercarsi nell’irrazionalità dell’arancione.
L’uomo è figlio del mistero e per tale motivo ne è da sempre attratto. Cosa c’è nell’al di là? Come possiamo continuare a mantenere l’incandescenza e l’energia della nostra vita oltre la morte?
L’essere umano è contraddittorio per natura, si affanna a vivere e diventa folle nell’impresa di superare le sue ossessioni, diventa perverso nelle sue azioni; non si rassegna a salire quotidianamente sulla stessa giostra, a percorrere la strada che gli viene indicata dagli altri o sulla quale si trova senza averlo veramente desiderato. Per natura, l’uomo è nato libero, scevro da catene, anche mentali, per questo non riesce ad accettare i conformismi sociali che lo allontanano dalla sua vera essenza. L’essere umano ha il desiderio di continuare a perseverare la sua esistenza oltre la morte e Lorenzo Spurio, grazie alle intuizioni e ai tormenti che animano i suoi personaggi e le sue storie, riesce a donarci spaccati di vissuto interiore che aprono gli occhi della mente.
“La cucina arancione” è una raccolta nella quale la dimensione visiva è dominante e la capacità dello scrittore di renderla è tale da penetrare negli occhi del lettore in modo invitante e seducente tanto che lo stesso non potrà fare a meno di credere che gli eventi che si sviluppano all’interno della raccolta siano accaduti nella realtà. E ciò avviene anche quando si affronta ironicamente e con molta commozione il tema dell’ibernazione (criogenizzazione) in “Tra quattrocento anni”: le affinità con l’arte visiva, specialmente su pellicola, sono estremamente evidenti.
L’attenzione al sociale di questa raccolta è ben visibile e l’universalità dei temi trattati in essa può dirsi tangibile, considerando che le problematiche della psiche analizzate nei racconti sono vissute da molte persone quotidianamente. Molto spesso, però, accade che le persone portatrici di tali sintomi non solo non sono in grado di attribuire a esse un nome, ma non sono neanche in grado di riconoscere i propri disagi.
Attraverso la scrittura di Lorenzo Spurio, il lettore viaggerà nei sogni e negli incubi dell’uomo con la giusta dose di furore e osservazione, di incertezze e percezioni, di fuoco e poesia, inscindibilmente incarnati nel mistero della vita.
E’ davvero una voce originale quella di Lorenzo Spurio, di uno scrittore raffinato e colto che emerge per fantasia e imprevedibilità e che ha fatto della libertà di mente il suo modus vivendi.
Intervista a Franco PastoreA cura di Lorenzo Spurio
LS: Quando cominciò a scrivere i primi versi? La sua prima produzione era influenzata da poeti e scrittori che ha letto durante l’adolescenza? Quali?
FP: Cominciai a scrivere versi alle scuole medie, ma erano più satire che poesie. Ne ricordo, infatti, una sul mio paese, che evidenziava l’assenza di strutture e la scarsa igiene delle salumerie. Dopo una pausa piuttosto lunga, iniziai a scrivere versi al liceo, ispirato dai classici greci e latini. Ricordo che polarizzarono la mia attenzione le traduzioni delle brevi poesie di Saffo ed Alcmane: «εὕδουσιδʼὀρέωνκορυφαίτεκαὶφάραγγες… dormono le cime dei mon-ti, le vette e le valli…»; per non parlare di Pindaro: «‘ l’uomo è l’ombra di un sogno ». La poesia latina invece faceva riflettere, ma comunque impazzivo, dell’Eneide, per i magnifici versi sulle nozze di Didone ed Enea. E che dire dei canti di Catullo, dove esterna il suo amore per Lesbia: «Dà mi bàsia mìlle, dèinde cèntum,…dammi mille baci, poi ancora cento…». Fu molto più tardi che fui attratto dalla poesia di Montale, dopo che avevo dedicato circa un quinquennio al Leopardi. Verso i ventisei anni, mi dedicai alla letteratura russa, che abbandonai poco dopo il servizio militare, il mio preferito era Puskin. A trent’anni iniziai ad avvertire il fascino della poesia dialettale, soprattutto per i versi in romanesco ed in napoletano: Trilussa, Guglielmo Somma ed Antonio De Curtis. Oggi mi piace molto anche il dialetto siciliano, tanto che molti amici mi inviano le loro composizioni.
LS: Oggigiorno sono in molti a definirsi “poeta” per il semplice motivo di scrivere in versi o di spezzare frasi con gli “a capo”. Qual è un suo giudizio qualitativo sulla grande produzione poetica che si è sviluppata negli ultimi anni e quale tendenze/espressioni preferisce di più?
FP: Tutti oggi scrivono poesia, un po’ è una moda, ma forse è un escamotage per non essere annullati come persone umane. Il valore poetico? è rapportato alla superficialità della cultura e ad un “lavoro scolastico” sempre più povero di contenuti. Ma non mancano intuizioni liriche notevoli, magari espresse con mezzi espressivi inadeguati, ma pur sempre notevoli. Là dove è presente la cultura, anche la poesia si tracima in atmosfere ricche di toni e di pispigli. Tuttavia, non ho molta simpatia per i fraseggi e gli assembramenti di fonemi ritmati e non, che chiamano in modi diversi, ma sono sciocchezze assurde alcuni, altri pura follia.
LS: Uno degli esponenti di spicco della celebre “generazione del ‘27” assieme a Rafael Alberti, Luis Cernuda e Federico García Lorca, fu Pedro Salinas (1891-1951), importante anche per il suo impegno sociale. Salinas viene ricordato come uno dei maggiori “poetas amorosos” grazie a una serie di sillogi di importante levatura quale La voz a te debida (1933), Razón de amor (1936) e Largo lamento (1938). Le propongo la lettura di “Per vivere non voglio” (“Para vivir no quiero”) tratta dalla silloge La voz a te debida:
Per vivere non voglio
isole, palazzi, torri.
Che grandissima allegria:
vivere nei pronomi!
Ora togliti i vestiti,
i connotati, i ritratti;
io non ti voglio così,
travestita da altra,
figlia sempre di qualcosa.
Ti voglio pura, libera,
irriducibile: tu.
So che quando ti chiamerò
in mezzo a tutte le genti
del mondo,
solo tu sarai tu.
E quando mi chiederai
chi è colui che ti chiama,
colui che ti vuole sua,
seppellirò i nomi,
le etichette, la storia.
Strapperò tutto ciò
che mi gettarono addosso
prima ancora che io nascessi.
Poi, tornando all’eterno
anonimo del nudo,
della pietra, del mondo,
ti dirò:
“Io ti voglio, sono io”.
FP: Se fosse possibile liberarsi di ogni preconcetto, di ogni ipocrisia, se fosse possibile liberarsi di mode, aggettivazioni che allontanano e distinguono, che grande cosa sarebbe l’uomo, nel suo relazionarsi con l’altro, con se stesso e con il mondo! E’ un po’ il concetto del nosce te ipsum, quella conoscenza del sé, nudata di ogni struttura fuorviante, di quello che è stato imposto da subculture e dottrine finalizzate, o da ignoranze ataviche, inculcate per tradizione, un γίγνωσκε σαυτὸν, alla maniera degli esoterici. Ecco come i poeti sognano e proiettano sull’anima i propri sogni.
LS: L’idea di questa intervista è quella di poter diffondere le varie interpretazioni sulla Poesia e in questo percorso ho ritenuto interessante proporre a ciascun poeta alcune liriche di poeti contemporanei viventi, per richiedere un proprio commento-interpretazione. La prima poesia che Le propongo è “Rami di mirto”[1] di Antonio Spagnuolo[2]:
Nel triste regno dei fantasmi il tuo fantasma
è straniero, quale fantasia che cambia colori,
sorpreso a beffare la vecchiaia,
che intorpidita sospende i miei segreti.
Qualche rimorso mi sollecita ancora:
ripiombare nel tempo abbandonato…
Come il nero che in verticale
a fatica ingombra il precipizio,
che per caso è ferita di una verità,
Basta il bagliore di un rapido tramonto,
il riflesso che abbandona lì orizzonte
per ricostruire il lamento delle manchevolezze.
Ormai poche parole inutilmente
percorrono il vermiglio sgranato,
per il sangue che ricuce i frammenti
io ho soltanto del mirto.
FP: E’ la liricità che preferisco: infatti, scaturisce dall’animo, come acqua pura di sorgente e ti entra dentro recando una malinconia soffusa, che lentamente si apre, come un fiore sotto il sole di maggio ed espande il profumo tipico del canto, che, dal tramonto rapido, esonda nel rimpianto e nel vivere di … poesia. Alla fine, solo il rimorso per qualcosa che non hai fatto, o che non dovevi fare, ti costringe al ricordo, ma non più di tanto, tutto scompare con il tramonto e le ombre divengono una lunga notte, ricca di silenzio essenziale.
LS: Di seguito, invece, Le propongo una poesia della poetessa Elisabetta Bagli[3] intitolata “Tortura”[4], di stile e contenuto molto diverso dalla precedente e sulla quale sono a chiederLe un suo commento:
Nuda, umiliata,
martoriata,
supina sull’asfalto
del mio tunnel,
aspetto.
La sua oscurità mi avvolge,
voglio liberare
la mia esistenza
con pneumatici pietosi
oscillanti sul mio corpo,
macellare la mia carne,
polverizzare le mie ossa.
Speranza incompiuta.
Sei arrivato tu.
Suadente voce
non mi hai permesso
di andare.
Mi hai preso per mano,
portandomi dentro te
nel tunnel buio
della tua anima
costellata di stelle velate
che vuoi scoprire con me.
Pizzichi la mia fantasia
come le corde di quel violino
che non vibrano senza te.
I tuoi ritmi sono dolci e irruenti
come le tue parole,
leggeri aliti di vento sul mio collo,
come il tuo vegliare su di me
mentre annusi la mia essenza.
Mia lenta,
inesorabile tortura.
FP: E’ sempre l’amore che vince sul buio della più nera malinconia. Chi ti ama ha il potere di tracimarti oltre ogni incomprensione di te ed oltre quell’abbandono che si fa muro tra noi ed il mondo. Ma non un amore semplice, fatto di profumi e di musica, come quello di una margherita sui fili verdi del prato, bensì un sentimento più forte, generoso ed intimo, dolce ed irruente, che parla con la musica delle parole e l’armonia del respiro, un amore che diviene eco, nel silenzio notte. Un amore fisico ed intellettuale, che ti entra dentro e, concretizzando i sogni, si impone “ come tortura inesorabile” alla mente, togliendo pace all’anima.
LS: Quali sono secondo lei le condizioni migliori per dedicarsi alla scrittura di una poesia? C’è un momento della giornata che predilige per “confessarsi” e trasmettere agli altri le sue considerazioni, pensieri o paure?
FP: Non vi è un momento particolare, né penso che la poesia sia una confessione. Ogni momento è fertile per esternare quell’idea che nasce improvvisa e che nemmeno tu sai dove vuole andare a parare. Spesso, può accaderti anche nel dormiveglia della notte, ma sei troppo pigro per alzarti e ti riprometti di realizzarla più tardi, quando si accenderanno le luci del mattino, ma non ricordi più nulla e stai male tutto il giorno. Che strana condizione quella che ti porta a scrivere versi, anche nei momenti di malat-tia, o dopo gravi accadimenti, a volte anche funesti! Basta un lampo nel diverticolo della memoria ed ecco che una vecchia sensazione, un ricordo si fa presente.
Un presente misterioso, che emerge dalle ombre del mistero, dopo che tutti i frastagli del contorno reale si sono mitigati; un ricordo nudo che ti parla dentro e, con l’animo, muove la mano, mentre la poesia si concretizza. Successivamente interviene il cervel-lo, che va a verificare la musica delle parole e l’efficacia della trasmissione.
LS: C’è una sua silloge poetica alla quale si sente più legato? Se sì, quale è e perché ne è particolarmente legato?
FP: Non posso rispondere a questa domanda, perché una sorta di maledizione mi fa amare in modo irrazionale, sempre l’ultima silloge che vado a realizzare, togliendomi persino il ricordo delle precedenti e l’ultima è quella che s’intitola OLTRE LE STELLE e verrà pubblicata nel 2014. E’ dedicata al paese dell’amore S. Valentino Torio, in provincia di Salerno, dove sono nato 69 anni fa. Questa è la dedica: Ricordi Incessanti, / come pispiglianti aneliti,/ l’animo catturano /ed il cuore. / Rarefatte dal tempo, / emozioni riemerse / rinnovano la mia storia. / Come ombre di memoria / sovviene l’infanzia / con l’umido delle strade / di basalto e, più in alto, / i balconi di rose, / dove m’attendeva / mamma mia … / Era l’amor di casa / e della terra mia, / che contornava / tutto di poesia. / Torna il passato / nel canto del silenzio, / ma i morti / non hanno più voce!
LS: Secondo lei per poter carpire al meglio il messaggio e la musicalità della poesia straniera è bene leggerla in lingua originale laddove si comprenda la lingua oppure è sempre opportuno ricorrere alla traduzione in italiano. Perché?
FP: Certamente, se si conosce la lingua, è opportuno leggere la poesia nella lingua in cui è stata composta. In caso contrario, ci si dovrà accontentare della traduzione, che non potrà mai offrire tutte quelle emozioni e sfumature, a volte così evanescenti, che sicuramente coglieremmo nella lingua di scrittura, ma spesso, la nostra limitatezza non ci permette un connubio più proficuo con l’opera.
LS: Il poeta galiziano Mario Villar (1965) in una sua poesia riflette sulla condizione del poeta e osserva:
Il poeta è un fingitore
ma lo fa di nascosto
quando si tratta d’Amore
per rimanere come una tortora
nell’attimo del distacco.[5]
Che cosa ne pensa di questa interpretazione del poeta e in che modo, invece, intende lei la figura del poeta nella nostra contemporaneità?
FP: Il poeta, oggi come ieri, è colui che vede al di là di ogni impostura, guidato si, quale esteta, a cogliere il bello, ma nel suo contorno di giustizia e di vero universale. Per questo, “fare poesia” non si può racchiudere in un assioma, né in un schema razionale; fare poesia è della persona umana, che si interessa dell’uomo, perché vive tra gli uomini in modo fertile (homo sum et nihil humani a me alienum puto), guidato da una sensibilità che lo porta a guardare gli eventi, super partes, facendo sentire la propria voce, chiara come l’acqua di una fonte, penetrante come il pianto di un bambino, forte, più di quella del demonio che è in ogni uomo della terra.
LS: Cosa si sente di dire ai giovani poeti che seriamente si impegnano nella letteratura cercando di trovare attenzione da parte di un pubblico sempre maggiore, rischiando il più delle volte di non trovare voce e rimanere un’ esperienza di nicchia?
FP: Bisognerebbe dire ai giovani che la poesia è una cosa seria. Non è una moda, né una sorta di scrittura a rigo stretto. Bisognerebbe pure dire che la scuola, oggi, è solo una occasione di impegno, ma che spetta ad essi formarsi, attraverso una volontà personale ed un duro lavoro di tavolino. Oggi, scrivono milioni di giovani e meno giovani, per un pubblico già refrattario alla lettura; quando poi si offrono stoltezze e masturbazioni di pensiero, allora viene a scadere ancora di più l’interesse per la poesia, tanto che oggi se ne è smarrito il senso. Allora, come si fa ad offrire agli altri i nostri “versi”, quando noi medesimi ignoriamo i grandi della poesia: i lirici greci, le tragedie di Euripide, Dante, Foscolo, Leopardi, Carducci ed ancora Jaques Prévert, Montale, Gatto e così via? Alla fine, penso che quando il messaggio della nostra anima è valido, prima o poi verrà comunque recepito da chi ama leggere poesia.
Salerno, 3 gennaio 2014
[1] Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p. 170.
[2] Per maggiori informazioni sul poeta si legga la sua biografia nel capitolo-intervista a lui dedicato.
[3] Elisabetta Bagliè nata a Roma nel 1970. Vive a Madrid dal 2002. Ha pubblicato le raccolte poetiche Voce (ilmiolibro, 2011) e Dietro lo sguardo (ArteMuse Editrice, 2013). Si è occupata, inoltre, di narrativa per l’infanzia e ha pubblicato Mina, la fatina del Lago di Cristallo (Edizioni Il Villaggio Ribelle, 2013). Molte sue poesie sono, inoltre, presenti in varie opere antologiche.
[4] Elisabetta Bagli, Dietro lo sguardo, Gruppo Editoriale D & M, 2013, p. 106.
[5] cit. in traduzione italiana in Hebenon, Rivista internazionale di letteratura, anno XIX, quarta serie nn. 3-4, speciale Aprile-Novembre 2009, p. 45. In lingua originale in Miro Villar, 42 décimas de febre, A Coruña, Toxosoutos, 1994, p. 27.
Presentazione di “Dietro lo sguardo” di Elisabetta Bagli
e “L’eremita tra la folla” di Alberto Bonomo
a italiana_madrid
– Il 15 gennaio 2014 a Madrid alle ore 17.00 a “Radio Círculo” intervista in diretta di Marco Ricci agli autori Elisabetta Bagli e Alberto Bonomo. Sarà presente anche l’editore Giovanni Fabiano. “Radio Círculo”, la radio del Círculo de Bellas Artes de Madrid, C/ Alcalá 42
– Il 15 gennaio 2014 a Madrid alle ore 21.00 presso “italiana_madrid” Librería-cafetería a Corredera Baja de San Pablo , 10 – tel. 915 23 21 26.
Durante la serata, l’attrice italiana Marta Guardincerri ci onorerà con la lettura e l’interpretazione delle nostre liriche. http://martaguardincerri.wordpress.com/
Venerdì 28 giugno 2013 alle ore 20,30 ci terrà la presentazione della nuova silloge poetica “Dietro lo sguardo”, di Elisabetta Bagli, pubblicata da ArteMuse Editrice. La presentazione avverrà all’S.P.Q.R. Ristorante, Pizzeria ed altro ancora, sito in Via Ostiense 119, Roma. L’autrice sarà presentata dalla poetessa Michela Zanarella e le letture delle liriche sono a cura di Giuseppe Lorin, accompagnate dalle note del pianoforte di Bartolo Montanari.
“Dietro lo sguardo”, di Elisabetta Bagli Dietro lo sguardo La silloge poetica “Dietro lo sguardo” di Elisabetta Bagli si presenta come uno spaccato di momenti di vita vissuta, come un collage di istantanee scattate rubando l’attimo al tempo e messe insieme a formare un puzzle bicolore, senza sfumature né mezze tinte. Solo gli assoluti incontrovertibili di un vissuto estremo.
Dalla prefazione di Andrea Leonelli
Breve biografia
Elisabetta Bagli è nata a Roma nel 1970 e vive a Madrid dal 2002. Ha pubblicato “Voce” nel 2011 con www.ilmiolibro.it. Da dicembre 2012 è entrata a far parte dello staff del Gruppo Editoriale D and M, per cui ha pubblicato, nella divisione Edizioni Il Villaggio Ribelle, “Mina, la fatina del Lago di Cristallo”. Nell’aprile 2013 pubblica con ArteMuse Editrice, sotto la collana Castalide, dellas quale èe direttrice, la silloge poetica “Dietro lo sguardo”.
Dietro lo sguardodi Elisabetta Baglicon prefazione di Andrea LeonelliArteMuse Editrice, 2013
“La silloge poetica “Dietro lo sguardo” di Elisabetta Bagli si presenta come uno spaccato di momenti di vita vissuta, come un collage di istantanee scattate rubando l’attimo al tempo e messe insieme a formare un puzzle bicolore, senza sfumature né mezze tinte. Solo gli assoluti incontrovertibili di un vissuto estremo. ” ( Dalla prefazione di Andrea Leonelli )
COMUNICATO STAMPA
ArteMuse Editrice presenta l’uscita ufficiale di Dietro lo sguardo, raccolta di poesie di Elisabetta Bagli pubblicata sotto la collana Castalide.
La silloge poetica Dietro lo sguardo di Elisabetta Bagli si presenta come uno spaccato di momenti di vita vissuta, come un collage di istantanee scattate rubando l’attimo al tempo e messe insieme a formare un puzzle bicolore, senza sfumature né mezze tinte. La raccolta, per quanto omogenea nell’intensità del sentire, è divisa in due sezioni: Luce e Buio. Ognuno dei due, inevitabilmente, portatore dello stato d’animo legato al positivo e al negativo. Questa dualità, questa contrapposizione, si evince in ognuna delle composizioni: ogni scritto ha in sé l’assenza del suo opposto, ogni bianco ha dentro e attorno il nero e viceversa, ne è circondato e delimitato e nel contempo esaltato nel suo essere. (Dalla prefazione del poeta Andrea Leonelli)
Elisabetta Bagli è nata a Roma nel 1970 e vive a Madrid dal 2002. È sposata e ha due figli. È laureata in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Attualmente lavora per il Gruppo Editoriale D and M nel quale è la direttrice della collana di poesia “Castalide” ed è autrice per la stessa casa editrice. Dopo aver lavorato come insegnante di italiano per stranieri presso l’Accademia di lingue Booklane di Madrid, ora impartisce lezioni private di italiano ed è anche traduttrice dall’italiano allo spagnolo e all’inglese. Ha iniziato a scrivere poesie e racconti brevi nel 2009 e a settembre del 2011 ha pubblicato il suo primo libro, Voce, per partecipare a un concorso di poesia. Ha poi partecipato a numerosi altri concorsi, tra cui quello indetto dal blog “Occhio della Dea” nel 2012 con la sua poesia inedita Piccola Luce con la quale è arrivata al terzo posto. Sempre nel 2012 ha vinto il concorso dello Zikkurat International Business con la poesia Amore e Psiche, presente nel libro Voce. Ad aprile 2013 ha ricevuto una targa con attestato di merito per la lirica L’addio presente in questa silloge al Premio Alda Merini di Poesia. È inoltre presente in sei antologie, Sussurri dal cuore… e dalle tenebre, Libera Espressione 2012, Le poesie che nascono dal cuore, Mille voci per Alda, I Ragunanza di POESIA del III millennio e nell’antologia bilingue Camminanti, gitani e nomadi: la cultura itinerante (Tracce per la meta) con la poesia Vago sola in lingua spagnola. Oltre ad aver partecipato come giurata a diversi concorsi di poesia di rilevanza nazionale, fa parte del Gruppo Liber@rte, dedito alla promozione di autori emergenti e a concorsi di poesia, del progetto “Poesia Viva, la tua poesia su YouTube”, e della “Prima Ragunanza di letture poetiche” che si svolgerà il 28 aprile 2013 a Villa Pamphilj a Roma. Ha un suo blog personale (www.elisabettabagli.blogspot.com.es) e collabora attivamente scrivendo recensioni e interviste per diversi blog. Da dicembre 2012 è entrata a far parte dello staff del Gruppo Editoriale D and M, per cui ha pubblicato, nella divisione Edizioni Il Villaggio Ribelle, Mina, la fatina del Lago di Cristallo. Nell’aprile 2013 pubblica con ArteMuse Editrice, sotto la collana Castalide, la silloge poetica Dietro lo sguardo.