“Eresia per un giorno perso” di Valeriu Stancu, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Valeriu Stancu, poeta, scrittore ed editore rumeno attivo nella città di Iaşi, è da vari anni piuttosto noto anche nel nostro Paese. Non solo per mezzo della sua attività editoriale all’interno della Cronedit che lo ha visto seguire la curatela di varie opere di autori nostrani, prodotti e dati a conoscere in doppia lingua nell’antica Dacia di romana memoria, ma per mezzo della sua attività di autore. Sue opere, infatti, sono state tradotte da vari marchi editoriali e, nel tempo, hanno ottenuto una discreta visibilità su riviste nella forma di segnalazioni che hanno permesso di evidenziare il suo ampio e lucente percorso letterario.

Tra le opere più recenti vi è Eresia per un giorno perso pubblicata nell’ottobre del 2021 dai Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, realtà editoriale che ha sede a Sannicola nella provincia salentina. L’opera, della quale il generoso autore mi ha recentemente fatto dono, è interamene in lingua italiana e si apre con una curiosa e al contempo pertinente nota di introduzione di Andrea Tavernati. Il lavoro di traduzione è stato eseguito, invece, da Simona Stancu.

Compone l’opera un numero consistente di liriche che l’autore ha deciso di stampare in un’edizione il cui formato non è il canonico A5, ma in una struttura editoriale più ampia che fa pensare a qualche catalogo fotografico. In realtà il lettore, predisponendosi alla lettura del volume, ben presto scopre che questo formato, e la relativa disposizione del dettato poetico nelle pagine, ben si sposa al respiro che la vena poematica del Nostro sembra in continua ricerca.

L’immagine di copertina, non meglio riconducibile a una realtà a noi unanimamente nota, crea qualche dubbio e, comunque, è capace di far interloquire il lettore con i reconditi pensieri che, in base alla suggestione visiva, possono prendere il via nel suo cervello. Le tinte appassite fanno pensare a uno scatto d’antan sulle scelte cromatiche di un filtro seppia; l’immagine ritratta, una donna con occhi chiusi con una benda (forse per dormire meglio?) alzata in prossimità della fronte, di certo dà da pensare. Si tratta, come viene evidenziato all’interno del volume, di un’illustrazione di Paola Scialpi. Vengono alla mente tanto immagini di vecchie cartoline stile Liberty di gusto francese, ritraenti uno squarcio domestico dell’alta classe, ma anche la pittura raffinata e di grande pregio di Amedeo Modigliani che dipinse la donna instancabilmente, sempre con particolare attenzione all’universo dello sguardo.

Durante la lettura ho notato degli elementi del lessico che, a varie altezze e nel corso dell’intero volume, ritornano e che, se non è possibile dire che rappresentino delle vere isotopie o delle chiavi di volta per poter accedere al testo – e al pensiero sotteso del poeta – senz’altro si configurano come elementi dominanti proprio per la loro reiteratività e multipla occorrenza. Si condensano attorno alle parole “eresia” e “cecità”, due condizioni particolarissime che coinvolgono l’umana specie (ma non solo, se pensiamo che vi sono forme di cecità anche nell’universo animale) che attengono tanto a una condizione meramente socio-ideologica dell’uomo (l’eretico è colui che non si uniforma, si ribella, ha un suo credo da difendere che non si allinea al pensiero dominante) e quella fisico-patologica rappresentata proprio dal fenomeno della condizione di ipovisione. Stancu parla spesso di impossibilità di vedere, di sguardo celato o impossibile, di mancanza di visione, di cecità e di occlusione della percezione visiva. Questo comporta, di riflesso, la formazione d’immagine sfocate, non ben realizzate, frutto di un’immaginazione fruttuosa più che di un mero dato empirico. L’autore rumeno, che mette in scena il tema della cecità non vuole però che esso venga individuato in maniera basica, quale semplice intendimento a riferirsi a una realtà sfocata, difficile da visualizzare, impossibile da delineare e, dunque, da conoscere e descrivere. In maniera allegorica richiama quell’attitudine dell’uomo contemporaneo che sempre più s’identifica con forme di disattenzione, inascolto e distanza nei confronti dell’altro. La cecità verrebbe a rappresentare sia il non poter vedere, che è un dato oggettivo, che il non voler vedere (o il non essere in grado di vedere) che, invece, è un dato soggettivo, dettato dalla percezione e dalla coscienza dell’individuo.

Credo che una buona lettura dell’opera del nuovo libro di Stancu nel nostro Paese non possa esimersi dal relazionarsi con questi due topoi – l’eresia e la cecità – sui quali l’autore vuole condurci per farci riflettere. Non tanto sul mero dato interpretativo dei suoi singoli testi ma verso un campo di realtà, esperienziale, conoscitivo, sociale e relazionale ben più ampio, che attiene alla nostra presenza nella società odierna.

Valeriu Stancu (Iaşi, Romania, 1950) è poeta, prosatore, saggista, editore e traduttore. Dopo gli studi secondari, si è iscritto all’Univer­sità, dove ha completato gli studi superiori di Filologia con una tesi su “Bacovia e Rim­baud”. Nel suo paese ha pubblicato più di sessanta libri tra raccolte di poesie, poe­sie in prosa, romanzi, racconti, saggi, interviste, appunti di viaggio. Numerose sue opere sono state tradotte e pubblicate all’estero nei paesi: Belgio, Francia, Germania, Italia, Croazia, Turcia, Moldavia, Messico e Canada. È stato tradot­to, oltre che in francese, inglese e italiano (da Gerardo Vacana e Simona Stancu), in tedesco, spagnolo, cata­lano, russo, neerlandese, serbo, arabo, albanese, macedone, giapponese, croa­to e turco. Suoi testi poetici figurano in varie antologie e riviste letterarie sia rumene che straniere. Ha partecipato a svariati Festival Internazionali di Poesia in Europa e in sud America, oltre che in Algeria, Egitto e Vietnam. Dirige la casa editri­ce Cronedit di Iaşi, direttore del Festival Internazionale “Europoesia” e caporedattore della rivista «Cronica» con la quale si è occupato di traduzione e ha pubblicato vari autori italiani dandoli a conoscere in Romania tra cui Dante Maffia, Marco Onofrio, Claudio Pozzani, Laura Garavaglia. Numerosi i premi letterari che gli sono stati attribuiti per la sua insigne e intensa attività letteraria e culturale, tra di essi citiamo: il “Lucian Blaga” (1993), il “Poesis 96” (1996), il “George Bacovia” (2000), il “Liviu Rebreanu” (2011), il “Naji Naaman” (Libano, 2014), il “Lyra” (Kischinev, Moldavia, 2010), finanche l’onorificenza “Cavaliere delle Lettere” da parte dell’Ordine dei Cavalieri del Danubio (2003) e quella di “Uffi­ciale al Merito Culturale” dal Presidente della Repubblica Rumena (2004). Nel nostro Paese ha ricevuto il Premio Europeo di Letteratura “Capo Circeo” (2017), ambito riconoscimento che venne attribuito, tra gli altri, anche a Mario Luzi, Herta Müller, Arturo Pérez-Reverte e il drammatugo nonché ex Presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel e il Premio Internazionale di Poesia “Roberto Farina” (2018). La Francia gli ha concesso l’onorificenza di Cavaliere all’Ordine delle Arti e delle Lettere.

Lorenzo Spurio


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“Sixta Pixta Rixa Xista” di Elena Vesnaver, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Sixta Pixta Rixa Xista

di Elena Vesnaver

Edizioni di Karta, 2011

ISBN: 9788897543046

Prezzo: 2,99 Euro

Recensione a cura di Lorenzo Spurio


Sixta Pixta Rixa Xista
è un racconto lungo o romanzo breve della scrittrice friulana Elena Vesnaver dal titolo quasi impronunciabile. A una prima vista l’abbondanza delle “x” e del suono frusciante che queste producono nel pronunciarle farebbero pensare a qualche parola nella lingua basca, le cui origini a tutt’oggi non sono ben chiare. Ma non divaghiamo. Leggendo, nelle prime pagine, scopriamo che non si tratta altro che di una formula magica per tenere a distanza le streghe. E’ infatti, quello della stregoneria, il tema di questo racconto.

Il racconto in questione prende le pieghe della storia di una certa Luzie, una sorta di fattucchiera d’altri tempi che “raccoglie sorbo nel bosco e balla davanti a un fuoco di notte”. E’ una strega. Il racconto è ambientato in un universo provinciale, campagnolo, dove gli altri abitanti del paese, come pure gli altri esseri viventi (animali e piante), finiscono per dare una voce corale all’intera narrazione: “C’erano gli alberi, i cespugli, l’acqua dei torrenti o la pioggia, gli animali, il vento e la terra, soprattutto la terra, che pulsava viva sotto i piedi e parlava, se la si sapeva ascoltare”.

Luzie, grazie all’eredità di conoscenze alchemiche della nonna, sa come interpretare il mondo, come cambiarlo a seconda delle sue volontà. E’, dunque, una persona forte, potente e anche temuta nella comunità. Gli spazi e la narrazione della Vesnaver hanno molto in comune con i celebri romanzi dello scrittore vittoriano Thomas Hardy che con i suoi Wessex Novels descrive un mondo provinciale, campestre, arcadico che ormai va perdendosi a seguito degli sviluppi industriali e culturali che, irreversibilmente, minacciano anche il tessuto religioso-popolare degli strati subalterni. Ma non è solo questo, perché la Vesnaver coniuga questa storia immergendola nel clima di repressione alla magia e della caccia alle streghe del Seicento inoltrato, ormai lontano dal Medioevo in cui tali pratiche era semplice consuetudine.

Sebbene nel racconto della Vesnaver trovano posto vari personaggi, di ambo i sessi, l’unico vero intermediario o confessore dei suoi monologhi sembra essere il gatto. Seguiamo le vicende di Luzie tra i suoi pensieri rivolti alla nonna, ormai morta, al suo desiderio di un uomo tutto per sé e i suoi spostamenti al mercato sino alle amare pagine finali che ci narrano dell’esecuzione dell’amica Madalene.

Una narrazione ben modulata, avvincente e che raggiunge il suo apice di suspence nelle ultime pagine con le quali il lettore viene fornito di tutti i mezzi necessari per intravedere il finale del racconto.

Chi è l’autrice?

Elena Vesnaver è nata a Trieste nel 1964 e attualmente vive in provincia di Pordenone. E’ amante della letteratura noir e thriller e ha anche scritto un paio di libri per ragazzi (Le storie di Pozzo e Elide dov’è? Il mistero della bidella scomparsa). Nel 2006 ha pubblicato con la casa editrice Castalia la raccolta di racconti per ragazzi Strane storie d’amore e nel 2007 presso la Magnetica Edizioni ha pubblicato Sixta pixta rixa xista, una storia di stregoneria ambientata nel 1600. Vari suoi racconti sono presenti in antologie. Negli ultimi anni è stata impegnata anche in campo teatrale.

 a cura di Lorenzo Spurio

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