La verità delle favole: quando gli antagonisti diventano protagonisti. “Quello che nessuno sa” di Cristina Desideri

Saggio di FRANCESCO SCATIGNO

Raccontare una storia da un’angolazione diversa può trasformare ciò che è familiare in qualcosa di straordinario. È esattamente ciò che fa l’autrice Cristina Desideri in questa raccolta di dieci favole e fiabe, Quello che nessuno sa edito da Pav Edizioni, offrendo una prospettiva inedita sulle storie che abbiamo imparato ad amare fin dall’infanzia. In un ribaltamento sorprendente, i protagonisti di queste narrazioni non sono gli eroi classici, ma i cosiddetti antagonisti: personaggi spesso etichettati come “cattivi” senza appello. 

Questa inversione di ruoli invita il lettore a rivedere il proprio giudizio, sollevando interrogativi profondi su temi come il pregiudizio, l’empatia e l’idea stessa di giustizia. Qual è la vera storia del Lupo Cattivo? La Strega Malvagia ha davvero scelto il male, o è stata spinta da circostanze ingiuste? Attraverso questa raccolta, l’autrice dimostra che dietro ogni figura apparentemente negativa si nasconde una complessità umana che merita di essere indagata

L’originalità dell’approccio risiede nella capacità di trasformare le fiabe classiche in strumenti per riflettere sulle sfumature del bene e del male. Le storie diventano così un terreno fertile per interrogarsi su temi universali, ma anche attuali, spingendo il lettore a uscire dalla propria zona di comfort interpretativa. 

Questo lavoro non si limita a intrattenere, ma rinnova il significato delle fiabe, rendendole ancora una volta rilevanti per il nostro tempo. In un’epoca in cui è sempre più necessario comprendere le ragioni dell’altro, dare voce agli antagonisti diventa un atto letterario coraggioso, capace di aprire nuovi orizzonti nella narrativa contemporanea.

L’antagonista come protagonista: un ribaltamento culturale

Dare voce agli antagonisti è un atto sovversivo, capace di sfidare le convenzioni narrative che da secoli influenzano il nostro immaginario collettivo. In questa raccolta, i ruoli tradizionali vengono capovolti, spingendoci a esplorare le motivazioni, le paure e i sogni di quei personaggi che troppo spesso vengono liquidati come “il cattivo di turno”. Attraverso questo cambio di prospettiva, le fiabe diventano un campo di indagine psicologica e sociale, in cui ogni antagonista rivela una profondità che va ben oltre gli stereotipi. 

Prendiamo ad esempio il Lupo di Cappuccetto Rosso: una figura da sempre associata alla ferocia e all’inganno. Ma cosa accade se ci fermiamo a riflettere sulle sue ragioni? La fame, l’isolamento, la demonizzazione da parte della comunità: ecco che il Lupo si trasforma in un simbolo della marginalità, un essere che lotta per sopravvivere in un mondo che lo considera irrimediabilmente diverso. Lo stesso vale per la Strega della fiaba di Hansel e Gretel, la cui casa di dolciumi potrebbe raccontare una storia di solitudine e desiderio di connessione, condivisione, soffocati dall’ombra dell’avidità e del pregiudizio. 

Questo ribaltamento non è solo narrativo, ma anche culturale. Rimettere in discussione il manicheismo delle fiabe classiche significa affrontare questioni più ampie: chi decide cosa è bene e cosa è male? Quali voci vengono silenziate nelle storie che tramandiamo? 

Cristina Desideri sembra suggerire che gli antagonisti non siano nati tali, ma lo siano diventati a causa delle circostanze o delle scelte altrui. È un invito potente a rivedere le nostre convinzioni e a chiederci quante delle “streghe” e dei “lupi” nella nostra vita reale meritino in realtà una seconda possibilità di essere compresi.

Una scrittura evocativa e multisensoriale

La forza di questa raccolta non risiede solo nel ribaltamento delle prospettive, ma anche nello stile narrativo che l’autrice adotta per dar vita alle sue storie. Ogni fiaba è costruita con un linguaggio evocativo e ricco di dettagli che stimolano i sensi, trascinando il lettore in mondi intrisi di atmosfera. 

Le descrizioni delle ambientazioni, dai boschi oscuri alle dimore decadenti, sono pennellate che ricreano paesaggi quasi tangibili. È facile immaginare l’odore umido della foresta, il crepitio del fuoco nella casa della strega, o il suono inquietante dei passi su un ponte di legno. L’autrice dimostra una straordinaria capacità di giocare con i toni cromatici e con i suoni, intrecciando immagini e sensazioni che restano impresse nella mente. 

Anche i dialoghi contribuiscono a questo effetto multisensoriale: le parole scelte riflettono non solo il carattere dei personaggi, ma anche il loro stato emotivo. Quando il Lupo parla, lo fa con una voce graffiante e intrisa di amarezza; la Strega, invece, sceglie un linguaggio che alterna crudeltà e malinconia, come a suggerire una dualità interiore irrisolta. 

La narrazione, seppur semplice nella struttura, si carica di una poetica che invita alla riflessione. Attraverso immagini potenti e metafore, l’autrice non si limita a raccontare una storia, ma costruisce un’esperienza letteraria capace di toccare l’anima del lettore. 

Questa attenzione al dettaglio rende ogni fiaba unica e memorabile. La scrittura si fa così un ponte tra passato e presente, mantenendo il fascino della tradizione fiabesca, ma arricchendola con una modernità che parla al lettore di oggi, portandolo a riconsiderare il mondo attraverso gli occhi dei cosiddetti “antagonisti”.

Tematiche universali rilette attraverso gli occhi degli antagonisti

Ciò che rende Quello che nessuno sa così affascinante è la capacità dell’autrice di affrontare tematiche universali attraverso le voci e le prospettive dei personaggi tradizionalmente considerati “cattivi”. Le fiabe, da sempre, sono state veicoli di valori morali e lezioni di vita, ma in questa reinterpretazione i confini tra bene e male si fanno sfumati, portando alla luce sfaccettature inaspettate e profondamente umane. 

Ogni racconto diventa un’occasione per affrontare questioni fondamentali come l’emarginazione, il pregiudizio, la solitudine e il desiderio di riscatto. La strega, spesso ridotta a mero stereotipo della cattiveria, emerge qui come un personaggio complesso, portatore di un dolore antico e di un desiderio di accettazione mai realizzato. Il Lupo, invece, si rivela simbolo di una natura incompresa, vittima di un sistema che lo dipinge come una minaccia per giustificare la paura del diverso. 

Non manca una critica implicita alle dinamiche di potere e al modo in cui le narrazioni dominanti spesso consolidano gerarchie e pregiudizi. I principi e gli eroi, in questa rilettura, non sono più figure idealizzate, ma rappresentano talvolta l’arroganza di chi detiene il controllo della narrazione. Questo ribaltamento invita il lettore a interrogarsi sulle storie che conosce, ma anche sulle narrazioni che costruisce e accetta nella propria vita quotidiana. 

Attraverso questi personaggi, Cristina Desideri riesce a rendere attuali tematiche sociali e culturali. La ricerca di una verità più complessa diventa un percorso di empatia, un invito a vedere il mondo con occhi nuovi.

Il valore di una nuova prospettiva sulle fiabe

Nel panorama della letteratura per l’infanzia e della riscrittura delle fiabe, questa raccolta si distingue per il suo approccio originale e la sua capacità di far riflettere. Ribaltando il punto di vista tradizionale e dando voce agli antagonisti, l’autrice offre ai lettori un’esperienza di lettura che va oltre la semplice reinterpretazione narrativa: è un invito a mettere in discussione le convenzioni e a osservare le storie con uno sguardo critico. 

In un’epoca in cui il dibattito sulla rappresentazione nelle storie è più acceso che mai, la scelta di riscrivere le fiabe dal punto di vista di chi solitamente è relegato al ruolo di “cattivo” appare quanto mai attuale. Se le fiabe classiche hanno spesso trasmesso modelli rigidi di giusto e sbagliato, queste nuove narrazioni insegnano l’importanza della complessità, dell’empatia e della comprensione delle motivazioni altrui. 

L’opera non è solo un esperimento letterario, ma anche un’occasione per i lettori di ogni età di interrogarsi sul potere delle storie nella costruzione della nostra percezione del mondo. In un certo senso, il libro diventa anche una riflessione sul modo in cui la società costruisce le sue narrazioni e su chi viene etichettato come buono o cattivo, giusto o sbagliato. 

Con una scrittura coinvolgente e un’attenta sensibilità nel tratteggiare le psicologie dei personaggi, l’autrice dimostra che le fiabe possono ancora stupire, emozionare e soprattutto far pensare. Questa raccolta non è solo un omaggio ai grandi classici, ma un manifesto sulla necessità di dare voce a chi, nella narrazione dominante, è sempre stato messo ai margini.

FRANCESCO SCATIGNO


Questo saggio viene qui pubblicato dietro libera autorizzazione dell’Autore senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. La riproduzione del presente testo, in forma di stralci o intera, su qualsiasi tipo di supporto, non è consentita senza l’autorizzazione dell’Autore. E’ autorizzata, invece, la citazione con gli opportuni riferimenti della pubblicazione (Sito, data, link).

“La meccanica del cuore” di Mathias Malzieu. Recensione di Rita Barbieri

LA MECCANICA DEL CUORE
Di Mathias Malzieu
Feltrinelli, Milano, 2012
Costo: 12,75 €
Pagine: 160
 
Recensione di Rita Barbieri

 

cop5 Febbraio nelle sale francesi uscirà il film d’animazione, prodotto dalla casa produttrice  Europacorp (diretta da Luc Besson),  “Jack et la mecanique du coeur” basato sul romanzo “La meccanica del cuore” di Mathias Malzieu, scrittore e leader della rock band Dionysos.

In una notte gelida e tempestosa, ambientazione ideale e incipit perfetto di ogni favola antica o moderna, nasce Jack, bambino dal cuore ghiacciato. Non ha nessuna possibilità di sopravvivere se non affidandosi alle mani sapienti della levatrice Madeleine che, da esperta guaritrice, applica  una protesi al suo piccolo cuore ibernato. Si tratta di un ingranaggio meccanico e delicato: un orologio a cucù che, per funzionare, ha bisogno di una manutenzione attenta e accurata.

Ma soprattutto ha bisogno di istruzioni precise:

 “Uno: non toccare le lancette.

Due, domina la rabbia.

 Tre, non innamorarti, mai e poi mai.

 Altrimenti, nell’orologio del tuo cuore, la grande lancetta delle ore ti trafiggerà per sempre la pelle, le tue ossa si frantumeranno, e la meccanica del tuo cuore andrà di nuovo in pezzi.”[1]

Le regole però, sono fatte per essere infrante, esattamente come i cuori… Infatti Jack, durante una piacevole passeggiata per le strade di Edimburgo, sente il richiamo di una musica triste e affascinante che, come in un incanto, lo conduce verso una bellissima  e fragilissima ballerina con occhi così immensi che vale la pena di guardarci dentro. Il cuore di Jack comincia a fare brutti scherzi, sussulta e strepita come un animale in gabbia. Madeleine lo riporta immediatamente a casa  e lo ammonisce:

 

“(…) Sappi che è una sofferenza ridicola rispetto a quella che ti può provocare l’amore. Un giorno o l’altro, tutto il piacere e la gioia che l’amore può suscitare si pagano con la sofferenza. (…) Sperimenterai l’assenza, poi i tormenti della gelosia, dell’incomprensione, infine la sensazione del rifiuto e dell’ingiustizia. (…) La meccanica del tuo cuore esploderà. Ti ho trapiantato io questo orologio, conosco perfettamente i limiti del suo funzionamento. Può darsi che resista all’intensità del piacere, e sarebbe già molto. Ma non è abbastanza robusto da sopportare le pene d’amore.”[2]

 

Ma Jack ha un solo desiderio: ritrovarla. Comincia così una lunga serie di avventure, incontri, personaggi, luoghi che sembrano usciti dalla fantasia onirica di Terry Gilliam e dalle atmosfere gotiche di Tim Burton. Maghi, prestigiatori, circensi nonché Georges Méliès in persona che diventa la guida, sentimentale e non, del piccolo Jack.

Il romanzo si fa leggere con leggerezza, con un sorriso sulle labbra appena accennato. Sappiamo che è una favola, nient’altro che un racconto per bambini già cresciuti; ma sappiamo anche molto bene che tutte le favole hanno un fondo di verità, nemmeno troppo nascosto…

Le favole, quelle antiche e quelle moderne, hanno sempre un messaggio, una morale. La morale della favola, appunto:

 

“Georges Méliès scuote la testa lisciandosi i baffi. Cerca le parole come un chirurgo sceglierebbe gli strumenti.

-Se hai paura di farti male, aumenti le probabilità di fartene sul serio. Guarda i funamboli: secondo te, quando camminano sulla corda tesa pensano che potrebbero cadere? No, accettano il rischio, e assaporano il gusto che procura scampare al pericolo. Se passi la vita cercando di non romperti niente, ti annoierai tantissimo, credimi… (…)”[3]

 

Un libro piccolo, scoperto e letto per caso, completamente fuori dai miei gusti e dalle mie letture abituali. Una storia tenera anche se non dolce, appesa a un pentagramma che, pur prevedendo sempre le stesse note, permette infinite variazioni e combinazioni.

 In amore, come in musica, c’è sempre qualcosa di nuovo da ascoltare.

 

Rita Barbieri


[1] Mathias Malzieu, La meccanica del cuore, p.30.

[2] Mathias Malzieu, op. cit., p. 28.

[3] Mathias Melzieu, op. cit., p. 57.

“Leggenda di un amore eterno” di Monica Pasero, recensione di Lorenzo Spurio

Leggenda di un amore eterno di Monica Pasero

Rei Edizioni, 2013

ISBN: 9-788827-590409

Pagine:120 – Costo: 10€

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

copE’ un dato di fatto che il bosco sia un luogo che spesso nelle narrazioni viene a configurarsi come oasi di pace, perché lontano dal caos della città e quindi come spazio incontaminato e puro; nella letteratura per l’infanzia, inoltre, esso è spesso associato a luogo magico per eccellenza con la presenza di maghi, streghe bianche o nere, druidi e quant’altro. Si pensi a quante vicende importanti del mondo delle favole avvengano nel bosco “incantato”, spazio del meraviglioso dove tutto può accadere, location sorprendente che si differenzia dal mondo dell’ordinario e dove anche il sogno, quale espressione dell’inconscio, spesso trova manifestazione o trasposizione in eventi ascrivibili nel mondo del surreale. Questa considerazione è altrettanto valida per quanto concerne il libro di Monica Pasero, scrittrice piemontese che lega con abilità e coscienziosità di scrittura il tema amoroso a quello fiabesco, come nella migliore tradizione delle fiabe. E non è un caso, infatti, che nella prefazione di Stefano Carnicelli si richiami per una serie di analogie con il personaggio principale, la figura dell’eroina sfortunata di Cenerentola.

Il bosco, dunque, quale luogo di una natura primigenia dove sembra possibile colloquiare con la natura silvestre, ma anche con esseri minuti che appartengono al mondo fatato, è lì dove nasce l’amore tra gli amanti, dove esso fugge e si rincorre quale spazio mitico che sembra essere fuori da ogni tempo. Monica Pasero accompagna mano nella mano il lettore in una storia d’amore dove non mancheranno colpi di scena, agnizioni, riavvicinamenti e sventure, tutto all’insegna della valorizzazione del concetto di amore.

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico letterario

 

Jesi, 27-07-2013

“Il castello di Folclore”, racconto di Monica Fantaci

IL CASTELLO DI FOLCLORE

 di MONICA FANTACI

C’era una volta, tanto tempo fa, un castello costruito con mura solide, le tegole erano ben posizionate e i mattoni erano rustici, quasi volessero richiamare l’attenzione alla tradizione, oscurata dai valori indeboliti dalla società odierna. In questo castello risiedeva un ragazzo forte, pieno di idee. Un bel giorno decise di fare una passeggiata lungo il giardino che costeggiava la sua dimora, annusava le fragranze dei fiori, c’erano rose rosse, rose bianche, girasoli, gelsomini, viole, lilium, inoltre l’erba era ben curata: ogni mattina il giardiniere di fiducia, Lino, un ometto basso dai capelli grigi, con baffi arricciati, si divertiva a curare quel giardino; amava il suo lavoro e cantava mentre innaffiava i fiori e le piante; aveva tramandato il mestiere dal padre, erano presso quel castello da diverse generazioni.
Giulio, il ragazzo del castello, ammirava l’intero panorama, vedeva all’orizzonte pineti, casupole che ornavano i bordi delle massicce montagne, ad un tratto non si accorse di un albero e gli andò a sbattere, cadendo sopra erba soffice appena innaffiata dal signor Lino. Carlotta, una sua compagna di scuola, era proprio lì, a raccogliere le more, lo soccorse e Giulio si alzò dolorante.
Entrambi avevano 18 anni ed erano prossimi al diploma, Carlotta si sarebbe iscritta alla facoltà di medicina, era bravissima nelle materie scientifiche, aveva sempre preso il massimo dei voti, Giulio, nonostante i buoni voti, doveva rimanere al castello, lui era il principe di Folclore e doveva a tutti i costi impegnarsi per la città dov’era nato e che da diverse epoche era governata dalla sua famiglia.
Il ragazzo non sopportava che un giorno avrebbe dovuto sostituire il padre per far fronte alla situazione della città. Di anno in anno la situazione economica peggiorava sempre di più nella sua cittadina, lui si domandava se sarebbe riuscito a risolverla. Doveva a tutti i costi cambiare la corrente che trascinava tutti nel fondale. Durante il tragitto che lo portava a casa, ne parlò con Carlotta, che non gli seppe dare una risposta.
Un giorno, mentre leggeva le pagine di storia che aveva assegnato la professoressa Miranda, gli venne un’idea: aprire i cancelli del castello a tutti i cittadini di Folclore. Il castello avrebbe consentito di fare affari, proprio per la città, avrebbe incuriosito stranieri e l’economia sarebbe ritornata splendente come il sole.
Giulio iniziò a saltellare dalla gioia, ma decise di non parlarne subito con il padre, lo avrebbe ostacolato.
La mattina seguente, dopo aver fatto colazione ed essersi lavato e vestito, si diresse a tv-Folclore, la rete che trasmetteva programmi televisivi in tutta la città, in modo da far spargere la voce.
Il ragazzo fu accolto con riverenza, ma non ci faceva caso, pensava facessero così per il semplice fatto che lui era il principe, ad ogni modo accolsero l’idea e fecero pubblicità mediante spot e telegiornali.
Lui preparò il personale del castello, l’idea si sarebbe concretizzata in pochi giorni. Nel fine settimana si alzò di buonora, aspettò che il padre e la madre uscissero e aprì il cancello alla città: una massa di gente si mise in fila, si decise di farli entrare a gruppi di dieci o quindici persone, in modo da rispettare un certo ordine.
Il castello aveva un ingresso molto ampio, entrando dalla porta principale, sulla destra c’era un mobile che risaliva al trisnonno di Giulio, il portaombrelli era in ceramica e aveva ricamato nella parte superiore fiorellini, mentre nella parte bassa rametti con disegnate appena delle foglioline verdi, nella parte centrale era appeso uno specchio con la cornice di legno. La stanza attigua all’ingresso era la grande biblioteca che ospitava più di dieci mila volumi e archivi di famiglia. La storia della famiglia Clotre e la cultura erano a disposizione della città. Ad ogni gruppo che entrava, Giulio diceva che in quella stanza potevano aprire e leggere tutti i libri che volevano, il castello sarebbe stato aperto dalle 9 fino alle 18, tutti i giorni. La sera il ragazzo ne parlò con determinatezza al padre, che lo rimproverò sostenendo che era pur sempre la loro casa privata, « Ma papà, farò visitare solo il pianterreno, gli altri piani no ». Fu così che il padre si accordò, per fortuna sua e della città.
Quel castello acclamava tanta gente già dall’aspetto invitante, ricco di verde e di luce, anche quando pioveva, un vero spettacolo.
Per diversi mesi gli abitanti di Folclore si recarono al castello della famiglia Clotre curiosi ed entusiasti, nel periodo estivo iniziarono anche a far visita i primi stranieri, gli unici a dover pagare una piccola quota per entrare. Era sorprendente il numero di Francesi e Russi che entravano lì nonostante si pagasse.
Passavano i mesi e le stagioni e già era passato un anno da quando il castello fu aperto a tutti, era quasi Natale e Giulio aveva già conseguito il diploma, aveva 19 anni.
Il 23 dicembre, come tradizione, il papà del ragazzo invitò i cittadini a Piazza Allegra, la più grande della città, per gli auguri natalizi.
A fine discorso, come al solito, chiese che chi voleva poteva intervenire e dire qualcosa, naturalmente salendo sull’enorme palco disposto all’angolo dell’enorme piazza. Un signore minuto e quasi ricurvo salì i tre gradini per raggiungere il centro del palco e disse « A nome di tutti, vorrei che suo figlio prendesse il suo posto, non che lei abbia fatto male il suo lavoro, ma il signor Giulio ha idee brillanti e ha migliorato la situazione finanziaria e culturale di Folclore »
« Cari cittadini, anche io avevo pensato da circa quattro mesi a questa idea: ormai mio figlio ha raggiunto la maggiore età, si è diplomato ed ha voglia di cambiare questo nostro luogo, nonostante abbia deciso di iscriversi alla facoltà di Scienze politiche ». Il signor Clotre, re di Folclore, si avvicinò al principe e lo nominò suo successore, la signora Clotre era emozionata, il signor Lino aveva i lucciconi negli occhi, la cittadina era contenta e festeggiava con balli folcloristici. Da quella sera stessa Giulio Clotre regnò la sua città e terminata la laurea sposò Carlotta.

MONICA FANTACI

QUESTO TESTO VIENE PUBBLICATO SU QUESTO SPAZIO INTERNET DIETRO GENTILE CONCESSIONE DA PARTE DELL’AUTRICE.

LA FOTO E’ TRATTA DA QUI: http://www.google.it/imgres?q=CASTELLO+FANTASTICO&um=1&hl=it&safe=off&sa=N&tbm=isch&tbnid=L19LKLZvmfdK7M:&imgrefurl=http://it.123rf.com/photo_8566781_il-fantastico-castello-nel-lago-nel-cielo-notturno-con-le-stelle.html&docid=p9DUrzsntm3_NM&imgurl=http://us.123rf.com/400wm/400/400/flamewave/flamewave1101/flamewave110100041/8566781-il-fantastico-castello-nel-lago-nel-cielo-notturno-con-le-stelle.jpg&w=400&h=379&ei=tE4KUL2uBoSxhAft8NHlCQ&zoom=1&iact=hc&vpx=661&vpy=192&dur=775&hovh=219&hovw=231&tx=89&ty=128&sig=113704477299930288473&page=1&tbnh=130&tbnw=144&start=0&ndsp=21&ved=1t:429,r:10,s:0,i:130&biw=1366&bih=632

“L’angelo che imparò a volare” di Anna Verlezza, recensione a cura di Lorenzo Spurio

L’angelo che imparò a volare

di Anna Verlezza

prefazione di Tiziana Ruscio

Edizioni Melagrana, San Felice a Cancello (CE)

ISBN: 978-88-6335-081-4

Pagine: 59

Costo: 10 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

 

Ma con lui c’erano anche mamma

e papà ed in fondo dove ci sono loro

c’è sempre casa. (p. 31)

 

L’angelo che imparò a volare di Anna Verlezza è un libro curioso e didattico pensato e dedicato ai lettori dell’infanzia e basato su di una storia vera. Il libro risulta particolarmente avvincente a un lettore giovane proprio in virtù del suo aspetto estetico (assomiglia più a una sorta di Student Book per le vacanze estive che a un vero libro) e per i numerosi disegni multicolori che accompagnano passo passo l’intera narrazione che la Verlezza costruisce.

Il libro si apre con la struttura della favola e contiene la storia di Francesco Pio, una storia a tratti felici, a tratti amara che, nel complesso ci trasmette un sapore di agrodolce in bocca. Ma è anche un esempio di amore, di manifestazione di sentimenti allo stato puro, di attaccamento all’altro e di speranza. E’ questo, forse, il messaggio principale che Anna Verlezza con questo libricino vuole trasmettere.

Ma, esulando la trama, sono molti i punti di forza del libro che ci consentono di dire che sia davvero, se non unico, per lo meno raro: l’utilizzo di carta riciclabile (è una scelta questa della casa editrice alla quale la Verlezza si è affidata ma credo e mi pare di intuire che sia anche una sua precisa volontà) e l’apparato sussidiario con esercizi sul testo che vogliono essere una prima guida al lettore giovane su come analizzare un testo. Non solo, gli esercizi gli permettono di rielaborare quanto letto, dare una sua interpretazione e di produrre quindi, seppur con un dominio lessicale non ancora ampio, un pensiero di tipo critico-analitico.

Per tutte queste ragioni, per la sua semplicità e sistematicità nella struttura, per la sua componente più chiaramente didattica e ludica, il testo è da consigliare ampiamente come materiale didattico nelle scuole primarie.

Chi è l’autrice?

Anna Verlezza (Caserta, 1973) dopo la maturità ha conseguito il diploma all’Istituto Magistrale spostando la sua attenzione sui bambini e i loro bisogni. Ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. Al suo attivo ha due masters universitari, di primo e secondo livello, rispettivamente sulle “metodologie e strategie d’insegnamento” e su “il profilo del D.S. Management, leadership e responsabilità”. E’ docente alla scuola d’infanzia presso la Direzione Didattica di S. Maria a Vico (Ce). Partecipa attivamente a commissioni e progetti che investono il campo della didattica di qualità.

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O DIFFONDERE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O IN STRALCI, SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE. 

a cura di Lorenzo Spurio

“L’angelo che imparò a volare” di Anna Verlezza

LA FAVOLA “L’ANGELO CHE  IMPARO’ A VOLARE” NASCE DALLA TRISTE STORIA DI FRANCESCO PIO MARTINISI E DI SUA NONNA ENZA , MORTI IN UNA CAMERA IPERBARICA, A MIAMI , DUE ANNI FA.

Il libro, in chiave semiseria e fantasiosa ripercorre alcuni episodi della vita del piccolo. Nelle ultime pagine è presente una sezione didattica. Tutti hanno rinunciato ai diritti (dall’autrice alla casa editrice la MELAGRANA NON PROFIT)e l’intero ricavato sarà destinato al progetto” il sorriso di Frio” che attiverà laboratori per bimbi disabili. Il costo del libro è di 10 euro e l’isbn è 978-88-6335-081-4.

La presentazione ufficiale ci sarà presso il Comune di S.Felice a Cancello (ce) il 27 gennaio 2012 alle ore 17:00 alla presenza di autorità e dirigenti scolastici della zona . Altra presentazione sarà venerdì 3 febbraio presso la libreria Ubik di Napoli.

Anna Verlezza (Caserta  5/12/73) dopo la maturità classica, consegue il diploma all’istituto magistrale spostando la sua attenzione sui bambini e i loro bisogni. Consegue la laurea in giurisprudenza presso  l’università Federico II  di Napoli e termina anche , gli studi in scienze religiose con 110/110 e lode. Oggi, al suo attivo, ha due masters universitari di I’ e II’ livello sulle “ metodologie e strategie d’insegnamento …” e su “ Il profilo del D.S. management, leadership e responsabilità”. Docente alla scuola dell’infanzia, partecipa attivamente a commissioni e progetti che investono il campo della didattica di qualità”. Ha partecipato a qualche concorso letterario e sta lavorando ad una raccolta di poesie, un diario introspettivo già pronto per la pubblicazione (sulla falsariga di “lettera ad un bambino mai nato” della fallaci)e l’idea di sviluppare un libro di narrativa in più racconti tutti dedicati alle donne.


“La regina, l’amore e la forza” di Elena Maneo

La regina, l’amore e la forza di Elena Maneo

Kimerik Edizioni, 2011, pp. 94

ISBN: 9788860967046 

Recensione di Lorenzo Spurio

Elena Maneo, scrittrice veneziana già autrice di Piccoli racconti (2006), Il mondo di Melì e altri racconti (2008) e Una leggenda, una storia e un sogno (2010) si contraddistingue ancora una volta, con la sua recente opera La regina, l’amore e la forza, per la sua abilità nel gestire il genere del racconto breve. Le tre storie contenute in questa silloge, pur partendo da idee diverse e avendo un retroterra letterario distinto, coinvolgono direttamente il lettore sia per la semplicità del linguaggio adottato che per la capacità della scrittrice di farci sognare ad occhi aperti e viaggiare in spazi immaginari.

A mio avviso notevole è “La rosa nera”, terzo ed ultimo racconto che compone la silloge. Si tratta del racconto più breve che, pur partendo da una cornice di tipo favolistica, inserisce temi e motivi d’indagine sociale particolarmente attuali. La Maneo, ricorrendo all’utilizzo di una narrativa breve e condensata, riesce a dire molto di più e proprio per la fascinazione che ho sentito verso questo pezzo ho deciso di scrivere una prima recensione solo su questo racconto.

Il primo racconto, invece, intitolato “La regina di Picche”, ci trasporta completamente in un viaggio nel mondo fantastico tra mostri, presenze fantastiche, spazi minacciosi e labirintici e un vero e proprio stravolgimento della logica del mondo al quale appartiamo. Difficile non respirare degli echi di Alice nel Paese delle Meraviglie leggendo questo racconto: Mattia, il protagonista, è una sapiente rivisitazione del personaggio di Alice che, al pari di lei, trovandosi in uno spazio che non conosce e abitato da presenze minacciose, finisce per provare paura, smarrimento e preoccupazione. La regina di Picche, poi, ricorda la regina di Cuori in Alice nel Paese delle Meraviglie, sebbene il temperamento delle due donne sia completamente diverso: la Regina di Picche si sacrifica per dare vita al personaggio mentre la regina di Cuori è principalmente dipinta come spietata e crudele, sempre pronta a mandare alla forca. In questo universo alogico, disordinato e caotico Mattia cerca di far mente locale per poter aggrapparsi alle poche certezze che gli rimangono, proprio come cerca di fare Alice quando tenta di fare dei conti, impiegando le regole della matematica, o di ricordare basilari nozioni geografiche. Ma in entrambe le storie la logica è ormai perduta, la ragione viene di continuo minacciata e messa sotto scacco. Non c’è da meravigliarsi né da preoccuparsi perché in entrambi i casi gli autori ci danno la spiegazione che tutto ciò che è accaduto non è stato altro che un sogno. E allora sì che presenze fatate, mostriciattoli, fatti astrusi possono accadere, nell’universo onirico tutto è possibile!

Il secondo racconto, intitolato “La porta rossa”, sviluppa una sorta di thriller story che sembra esser stata adattata a uno dei tanti film horror del momento. Ma anche in questo caso la Maneo risolve la storia ricorrendo ai temi del sogno e dell’amore per fornire un finale, forse un po’ conciliatorio e avventato, ma che non stona con l’intero tenore del racconto.

La Maneo maneggia una materia che da sempre è stata ampiamente impiegata in letteratura, quella fantastica-onirica, inserendo molti elementi che fanno riferimento alla tradizione folklorica di trasmissione orale: le fate, i mostriciattoli, la presenza di reali, i continui riferimenti ai colori (tinte, sfumature) e ai materiali di costruzione degli oggetti. La scrittrice si auto-consacra come una narratrice dal gusto fauvista con particolare predilezione per le tinte forti: si ricordi che due dei tre racconti contenuti nella silloge hanno già nel titolo un termine che si riferisce ad un colore e si pensi alla serie particolareggiata delle tinte del rosso (fulvo, carminio, scarlatto, rubino, rame) in “La porta rossa” che ci fanno pensare ad esempio alla meticolosa descrizione della red room in Jane Eyre della Brontë o, comunque, a numerose altre narrazioni colte che hanno impiegato le tinte del rosso con modi e finalità diverse (La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, Il segno rosso del coraggio di Stephen Crane,…). La narrativa cromatica della Maneo è un modo efficace per rapportarsi al mondo e per trasmettere nel lettore una vivissima rappresentazione a pennellate veloci e tinte luminose. Complimenti.

a cura di Lorenzo Spurio

18-11-2011

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Bambina e la fatina computerina, intervista a Virginia Defendi

INTERVISTA A VIRGINIA DEFENTI

Autrice di Bambina e la fatina computerina

Onirica Edizioni, Milano, 2010

Intervista a cura di Lorenzo Spurio


LS: Qual è stata la genesi del romanzo? Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?

VD: Ho iniziato a scrivere Bambina e la fatina computerina, appena uscita dal mio percorso universitario. Riflettendoci ora, posso dire che, non avrebbe potuto essere altrimenti…

LS: Perché hai deciso di esordire nel panorama della scrittura con un libro per l’infanzia?

VD:Non ho “deciso”. È successo. Ho sempre amato leggere di tutto. Non avrei mai pensato a me nel ruolo di scrittrice….

LS: Quali autori italiani e stranieri, poeti o romanzieri, ti affascinano di più? Perché?

VD: Italo Calvino con: Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente e Il barone rampante.  Stefano Benni e Margherita Dolcevita. Carlo Lorenzini. Tre autori che mi hanno fatto “viaggiare” in bilico, tra realtà e mondi assolutamente fantasiosi….Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos che con: Le relazioni pericolose, mi ha fatto…. dare una sbirciatina alla posta di personaggi fantastici…

LS: Ho letto dalla tua biografia che uno dei testi in assoluto che ti  piace di più è Le avventure di Pinocchio di Collodi. E’ un testo molto bello e, contrariamente a ciò che si pensa, non è solamente un libro per bambini. Lo stesso vale per Alice nel paese delle Meraviglie e il suo seguito Attraverso lo specchio di Lewis Carroll. Perché secondo te quando in una narrazione ci sono elementi fantastici, irrazionali, magici, come nei libri citati, subito il libro viene etichettato come libro per l’infanzia, o facente parte a quella che in Inghilterra si definisce children literature mentre il testo è ricco di messaggi impliciti, di metafore, di analogie più profonde?

VD: Ho amato, fin dalla più tenera età, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Mi è sempre stato accanto.  Per un dolce gioco del Destino, al momento di scegliere l’argomento della tesi di Laurea, per Letteratura per l’infanzia, Pinocchio è riapparso nella mia vita….:-).  Per rispondere alla tua domanda, forse, un adulto che prende in mano un testo “per bambini”, tende a leggerlo in modo “leggero”.  Non soffermandovisi. L’ho fatto anch’io, per anni. Grazie alla rilettura “adulta” di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, ho compreso, però, che i libri per l’infanzia, “dicono  molto” ai “grandi”….Ed ecco che, ancora circondata dalle vicende di Pinocchio, mi sono ritrovata a ideare il mio piccolo racconto….:)

LS: E’ curioso nel tuo romanzo l’utilizzo che fai dei colori. Le favole e i racconti per l’infanzia fanno spesso riferimento ai colori o ai materiali come l’oro, l’argento e così via.. si pensi ad alcune fiabe dei fratelli Grimm o anche del danese Andersen. Ti sei rifatta a qualche autore, a qualche testo, o a qualcosa in particolare per quanto concerne il mondo cromatico presente nel tuo romanzo?

VD: Ho sempre ritenuto il mondo dell’infanzia, un luogo colorato e musicale. Quindi, mi è venuto spontaneo riportare questo mio pensiero anche in Bambina e la fatina computerina.

LS: C’è un po’ di confusione quando parli di maghi e di fate. Si tratta di due protagonisti per antonomasia delle narrazioni fantastiche e per l’infanzia che però non appartengono alla medesima cultura e tradizione. I maghi sono realmente esistiti nella misura di precursori e iniziatori della scienza medica, anche se spesso erano dei sedicenti veggenti mentre il popolo delle fate, dei folletti e degli elfi a cui tu fai riferimento trae origine dal folklore celtico e inglese. C’è dunque una certa discrepanza tra i due tipi di personaggi. Come mai hai deciso di fare del mago, marito della fata, una sorta di ebete che ripete a pappagallo quello che dice?

VD: La “confusione” di cui parli, è voluta. Ho sempre apprezzato il concetto “diversità”, in ogni forma esso si presenti. Quindi, perché non creare, ed unire in una sorta di “armonia particolare”, due personaggi differenti tra loro?  Il personaggio del mago? È vero, sembra proprio un ebete:) Ma… “sembrare”, non vuol dire…. essere….

LS: Questo romanzo ci presenta una favola rivista in termini contemporanei.. l’elemento più esplicito di questa riscrittura postmoderna della favola tipo è il personaggio della fatina computerina. Come hai ideato questo personaggio?

VD:Beh, ho preso spunto dalla mia esperienza personale….. Utilizzo spessissimo il computer per comunicare, mi aiuta parecchio… E’ stato naturale quindi, ideare una fatina un po’ speciale….

LS: Come in ogni favola che si rispetti, anche nella tua storia il lieto fine è garantito. Come mai hai utilizzato un happy ending? Non sarebbe stato più curioso inserire ad esempio un elemento destabilizzante come ad esempio un potentissimo virus che avrebbe permesso una svolta decisiva alla storia?

VD: AHAHAH….Buona idea! Seriamente, quando ho iniziato a scrivere Bambina e la fatina computerina, a tutto pensavo tranne che…. avrei trovato il coraggio di inviarlo per farlo pubblicare…. Era un racconto solo mio…. Tutto ciò che è accaduto dopo averlo scritto, è stato  qualcosa di meravigliosamente inaspettato. Beh, ho sempre creduto nel “lieto fine” delle favole….e sempre ci crederò:)

LS: Una storia così ben articolata e con un buon sistema di personaggi si presterebbe a uno sviluppo seriale della storia o, almeno, ad episodi. Che cosa ne pensi?

VD: :)…. come si dice: “Nella vita tutto è possibile….”:)))

LS: Hai altri progetti in cantiere? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?

VD: Sì,sto ultimando un romanzo autobiografico,  intitolato:Vita, Storie E Pensieri Di Un’Aliena. Mi auguro possa essere ironico (al punto giusto), come è  nelle mie intenzioni….

Ringrazio Virginia Defendi per avermi concesso questa intervista.

LORENZO SPURIO

15 Luglio 2011


E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERO ARTICOLO-INTERVISTA SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

Bambina e la fatina computerina di Virginia Defendi

Bambina e la fatina computerina di Virginia Defendi

Onirica Edizioni, Milano, 2010

Recensione di Lorenzo Spurio

La Defendi esordisce nel mondo letterario con questo racconto-romanzo breve per l’infanzia. Già dal titolo, ricco di diminutivi, si capisce che nella lettura verremo catapultati in universo da sogno. Curioso il nome della protagonista, Bambina, un nome metatestuale che si riferisce doppiamente al personaggio che come si scoprirà è condannato a rimanere bambino e a non proseguire il suo percorso di crescita.

La storia è uno dei numerosi canovacci preferiti dai narratori per l’infanzia e dai favolisti: quella di una bambina in un palazzo imperiale, di una sorta di principessa potremmo dire. Ma l’originalità della Defendi prende subito piede nella narrazione e così veniamo a sapere che il palazzo nel quale vive Bambina e l’impero che erediterà hanno costitutivamente qualcosa di triste: tutto è grigio e monocromatico. Grigiolandia si configura così come uno spazio tristemente magico, fisso, infelice e monotono. Così come in molte favole, anche qui si passa da una situazione iniziale di tristezza e turbamento a una situazione finale dominata da pace e felicità, evidenziate in questo racconto dal nome che viene dato all’impero proprio in base al fattore umorale: la tetra e mesta Grigionaldia nella prima parte e poi la melodica e variopinta Arcobalenandia nel finale.

A mio parere la Defendi, rifacendosi alla tradizione folklorica popolare, inserisce troppo materiale in maniera condensata, finendo per connettere fate e maghi, personaggi quanto mai diversi e che appartengono a tradizioni tra loro separate. Dobbiamo però tenere presente che questo libro è un testo fantastico e dunque simili libertà e “concessioni poetiche” sono sicuramente da rispettare.

Una serie di elementi curiosi come Palazzo Maliardo, il Libro Incantato, la polvere riformina e soprattutto la fatina computerina, una rivisitazione tutta postmoderna del personaggio della fata, ci accompagnano attraverso questo viaggio a Grigiolandia e al procedimento fatato che permetterà di ristabilire vitalità e colore in questo impero. Con questo curioso esperimento la Defendi ci mostra come neppure il mondo fantastico e magico delle fiabe ormai non sia più immune alla computerizzazione smodata di cui siamo attori ed agenti nella società contemporanea.

VIRGINIA DEFENDI è nata a Bollate (Mi) nel 1974 ma vive ad Arese. Nel 2005 ha conseguito la Laurea in Scienze dell’Educazione presso l’Università del Sacro Cuore di Milano. Ama scrivere. Attualmente sta ultimando un romanzo dal titolo Vita, storie e pensieri di un’aliena.

LORENZO SPURIO

15 Luglio 2011

E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE  SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

Un sito WordPress.com.

Su ↑