E’ uscito “Rigor cordis. Per una filosofia del cuore” di Giuseppe Pulina

Giuseppe Pulina esce con Rigor cordis. Per una filosofia del cuore

(Zona editore)

RIGOR CORDIS - copertina solo primaSiamo o non siamo i contemporanei della fine del mondo? Franco Battiato canta questo motivo da molto tempo nelle sue canzoni; il filosofo Nietzsche, si potrebbe dire, lo ha sostenuto da sempre. Della fine del mondo parla anche l’ultimo libro di Giuseppe Pulina in uno dei capitoli forse più coinvolgenti di Rigor cordis – Per una filosofia del cuore, uno dei titoli di punta del catalogo 2013 dell’editore aretino Zona. La fien del mondo sarebbe, infatti, per l’autore, una sorta di prerogativa del cuore, la cui esorbitante dimensione sarebbe interdetta alla ragione. Questo è naturalmente solo uno dei tanti temi affrontati da Pulina in un libro che, per parlare di cuore, non può sottrarsi ad un serrato confronto di questo con quella che, da Pascal in poi, è stata spesso considerata la sua più naturale controparte: la ragione.

Cuore o ragione? Ma siamo proprio sicuri che queste due forze siano necessariamente contrarie e contrapposte? E se piuttosto tra loro s’instaurasse un salutare agonismo? Pulina s’interroga sulla natura di questo binomio, schierandosi dalla parte del cuore ma non andando, per ciò stesso, contra rationem. Si chiede così quante e quali cose sappia fare il cuore, chiamato in causa nelle esperienze capitali della vita in cui la ragione non sempre è di conforto e d’aiuto. “Eppure – argomenta l’autore – il cuore non ridimensiona la ragione, così come quest’ultima, quando sa essere ragionevole (quello che dovrebbe essere per natura), si guarda bene dal mortificare il cuore”. Tuttavia, l’uomo cardiaco – come lo definisce Pulina – avrebbe un primato e una possibilità che l’uomo cerebrale non ha, perché sarebbe con il cuore che la vita viene intesa e “auscultata”, perché “è con il cuore che può percepire il suo viscerale attaccamento al mondo”.

Una peculiarità del libro (rara, in un certo senso, nel mercato editoriale della filosofia in Italia) sono le illustrazioni di Marco Lodola, autore della copertina. Con sette diverse immagini, l’artista pavese racconta la propria immagine del cuore, ispirandosi a diversi capitoli di Rigor cordis. Non si tratta della prima collaborazione tra Pulina e Lodola, perché i due, già nel 2005, con Minima Animalia (Mediando editore), diedero vita ad un saggio sul rapporto tra filosofia ed etologia, di cui il filosofo curò i contributi teorici, mentre l’artista tentò di concentrare in una serie di illustrazioni le tesi portanti dell’opera.

Dalla quarta di copertina che riproduce una delle pagine centrali del libro.

“Ogni giorno è il giorno che è e io vorrei gustarne l’unicità facendo mie tutte le primizie di cui è capace. Il primo bacio, la prima lacrima, il primo brivido, il primo sorso d’acqua, la prima ferita, il sapore del sangue, l’odore del sangue, il colore rosso cangiante del sangue, la prima stella cadente, il mare, la linea dell’orizzonte, l’orizzonte, la prima boccata d’aria, il sapore del sale e di tutte le spezie del mondo, la prima neve, la primavera, uno stormo di corvi, il contatto di una mano, la mia, di altra persona, il primo sonno, il primo sogno, il primo risveglio, il frastuono delle onde, la mia faccia, che si fa viso, che si fa sguardo osservato, il primo sorriso, il profumo della pelle, la prima pelle, il primo latte, il primo dente, la prima immagine riflessa allo specchio, ma soprattutto il primo battito del cuore, perché è lì che la prima volta ha avuto la sua prima volta, è lì che tutto cominciò”.

 

 

Giuseppe Pulina insegna filosofia al Liceo Dettori di Tempio Pausania e Antropologia filosofica e Filosofia delle relazioni internazionali all’Istituto Euromediterraneo della stessa città. Per Zona ha già pubblicato L’angelo di Husserl. Introduzione a Edith Stein (2008) e La cura. Anche tu sei un essere speciale (2010). Ha all’attivo studi e pubblicazioni su Michelstaedter, Capitini e Pessoa. Si è occupato del rapporto tra etologia e filosofia in Minima Animalia. Piccolo bestiario filosofico (Mediando, 2005, illustrazioni di M. Lodola), Animali e filosofi (Giunti, 2008) e Asini e filosofi (con Francesca Rigotti, Interlinea, 2010). Tra i lavori più recenti, Pillole di filosofia della scienza per ricercatori in formazione (Plus, 2012 – in collaborazione con l’Università degli Studi di Sassari).

“I libri di Giuseppina Vinci, tra poesia, racconti e articoli d’attualità”, a cura di Lorenzo Spurio

I due libri di Giuseppina Vinci, tra poesia, racconti e articoli d’attualità

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

La poesia più bella
è il ricordo.
(in “Un ricordo”, BDA, p. 26)
 
La tua vita
è una catena
ci tiene insieme la catena della memoria,
lei non sarà mai sepolta
mai si dissolverà.
Tutto è memoria.
(in “La memoria”, CELS, p. 30)

 

DSCF3031Solitamente riservo una recensione o commento a ogni libro singolo, ma questa volta mi sento di fare un’eccezione per varie ragioni, la prima delle quali è che ho letto i due libri di Giuseppina Vinci parallelamente e da essi ne ho tratto un significato e insegnamento molto importante e per lo più condivisibile. Giuseppina Vinci, è una docente di materie classiche al Liceo Classico Gorgia di Lentini, in provincia di Siracusa, e negli ultimi anni si è dedicata con attenzione e capacità alla scrittura. I generi che ha trattato sono molto diversi tra loro: si va dalla poesia al racconto, dal saggio letterario su opere/poesie della letteratura italiana e inglese, all’articolo di giornale. Il suo primo libro, Battito d’ali (Aletti Editore, 2010) è una silloge di poesie ed è la prima di queste a dare il titolo alla raccolta, in essa si legge:

 La natura ci ha donato le capacità

del sentire e del discernere,
appunto ali per viaggiare
nei sentimenti,
nei pensieri.
 
in “Battito d’ali”, p. 17.

 

In questa prima silloge, Giuseppina Vinci utilizza i versi e le azioni della natura (il battito d’ali, il fragore di un’onda, la forza del mare) per esprimere i concetti universali di carattere ontologico che da sempre interessano e disturbano l’essere: qual è il senso del vivere? Dove andremo a finire? Esiste la vita eterna?, questioni che in parte la poetessa riassume in maniera laconica in questi versi: “Niente rimane nel nulla/ ma tutto è legato all’eternità” (in “Tempo dell’attesa”, p. 25).

Il secondo libro, Chiara è la sera (Angelo Parisi Editore, 2012) si compone di racconti, poesie e articoli di giornale. La parte delle poesie si apre con un omaggio a un grande della letteratura inglese, Thomas Hardy, che la poetessa ricorda e celebra durante la visita della sua tomba: “Solo accanto a te ho pregato” (p. 21) e ad Hardy è indirettamente dedicata anche la poesia “Tess” dedicata all’omonima eroina del suo celebre romanzo: “Tess, creatura amata/ […] tutti siamo te!” (p. 39). Nella silloge di poesie precedente, invece, era contenuto un impareggiabile lode a Keats, uno dei più grandi poeti in assoluto della letteratura: “La tua arte per sempre/ nei nostri cuori vivrà” (p. 29), conclude Pina Vinci.

DSCF3033Molte le poesie dall’intento chiaramente sociale e civile come “Combatti” nella quale la poetessa intima il giovane e l’uomo d’oggi a combattere, a manifestare le sue idee, a non lasciarsi mettere i piedi in testa e non farsi abbindolare dai potenti che ricercano sempre più potere; lo sguardo è a tratti amaro (“la sciocca strada della vita”, p. 24), a tratti catastrofico (“il male trionfa”, p. 24) e in parte sottende a una filosofia esistenzialistica cupa ed estrema: “L’unica cosa certa è l’infelicità” (p. 17) con echi di Schopenahuer e Leopardi (si noti che al poeta romantico marchigiano è dedicata una poesia commemorativa intitolata “Recanati” nella quale si legge: “Recanati oggi/ devo renderti onore/ devo inchinarmi ai Suoi versi/ all’immortalità della Poesia/ alla Speranza della Poesia” (p. 37).

Chiari i riferimenti alla religione nei simboli dell’acqua, della tomba (“La tomba racchiude il tutto e il nulla”, p. 43), della cenere, del tempo che passa, nel Natale, e nel fascino della creazione di cui la poetessa parla in “Land’s end” (p. 34).

La poetessa celebra anche la sua terra d’origine, Lentini, celebre per i grandi natali di Gorgia e Jacopo e l’esorta a riaversi dal torpore nel quale è caduta e a risorgere: “Ritorna ai tuoi antichi splendori” (p. 22) è la chiusa di questa poesia.

I racconti sono accomunati dalla loro brevità e al contempo dalla ricchezza dei sentimenti in essi contenuti: si parla di predestinazione e di religione, ma anche di senso del dovere, dell’importanza della famiglia e del rispetto e del dolce ricordo della figura materna, che nel racconto “Una donna”, viene descritta con un parallelismo con la poetessa Emily Dickinson: “Una viva nel ricordo dei suoi cari. Dimenticata dai tanti che l’hanno conosciuta. L’altra famosa nel mondo per la Sua poesia. Ho amato entrambe” (p. 19).

La parte conclusiva, quella sotto forma di articoli di giornale, contiene riflessioni, commenti apparsi su vari quotidiani locali e nazionali dove l’autrice esplica quelle che a suo dire sono le problematiche dell’oggi, cercando di indagare le ragioni dello stato letargico e indisposto della politica italiana e il perché di tanta violenza e sopraffazione. Mi sento di dire che gli articoli qui proposti, per tema, possono essere suddivisi in almeno quattro categorie:

–          gli articoli d’attualità, che prendono spunto da un fatto accaduto e al quale l’autrice ha partecipato più o meno attivamente (un incontro di poesia nel Liceo Classico, una visita a New York del dopo 11 settembre)

–          gli articoli sull’incertezza politica e il caos sociale (con riferimenti più o meno diretti e criticità nei confronti di certe classi di governo)

–          articoli ermeneutici che partono da un’analisi-confidenza con l’insegnamento cristiano e i testi biblici, il cui studio l’autrice invoca venga fatto con più dedizione nelle scuole

–          articoli su alcuni drammi sociali: la guerra, il razzismo, l’inferiorità della donna, etc.

 

Di politica si parla molto in questi articoli datati 2008: si parla della fine del governo Prodi, del clima d’incertezza, del momento delle elezioni, della classe dei potenti che “conclud[ono] patti di acciaio o di argilla con altri potenti” (p. 45) facendo finta di non sapere che “sarà sottoposto a un giudizio supremo” (p. 45). C’è insoddisfazione nei confronti dell’oggi visitato con criticità e delusione: i giovani nominano Aldo Moro come se si trattasse di un personaggio di secoli molto distanti da noi e questo genera nell’autrice rammarico e in un altro articolo lo stallo ideologico e la mancanza di una visione oggettiva e concreta all’interno delle fazioni politiche porta a chiedersi alla donna: “E se tornassero Almirante e Berlinguer? Intanto saremmo tutti più giovani. Quelli erano politici puri nelle loro convinzioni” (p. 64).

Ma i personaggi del nostro oggi che il lettore incontrerà saranno molteplici: da Martin Luther King, martire della battaglia d’uguaglianza razziale, a Obama che incarna un po’ la vittoria della classe nera che in America è sempre stata un po’ considerata sopraffatta e minorizzata; si incontreranno i pontefici: da Montini a Giovanni XIII, il Papa Buono, sino a Giovanni Paolo II e a Papa Ratzinger ricordato nel suo messaggio d’inizio Pontificato e in quello tenuto all’università di Ratisbona che tanto creò disagio e scompiglio. Personaggi che, uniti ad Aldo Moro di cui si parlava, rappresentano la cristianità e l’importanza della religione nel tessuto sociale italiano e occidentale in genere. “Riflettevo giorni fa su quanto sia diverso il mondo occidentale da quello orientale” (p. 72) scrive Giuseppina Vinci aprendo poi alla necessità al “rialzamento” della politica italiana.

E la poetessa descrive a tinte forti quelli che sono i mali del secolo, i sistemi corruttivi e denigratori che rendono il Belpaese una nazione felice sì, ma decenni orsono (l’Italia è qui utilizzata come grancassa dell’Occidente tutto): la subordinazione e la violenza nei confronti della donna, il maschilismo, il fondamentalismo religioso e il terrorismo che è presente nel sostrato di vari articoli tra cui “America spezzata e umiliata!” in cui la Vinci scrive “Ho sentito l’America spezzata. La padrona del mondo umiliata” (p. 49) a seguito del grande attentato nel 2001; ma in questo libro si parlerà anche della cattiva legge elettorale italiana, della necessità della revisione del sistema giudiziario e di quello scolastico, di quote rosa ed ogni idea, di ogni singola persona, dovrà essere tenuta da conto perché “Le idee ci distinguono, altrettanto le opinioni; ma se le idee e le opinioni non si espongono, che vale possederle?” (p. 68).

Il messaggio è chiaramente gravato da insoddisfazione nei confronti di decenni di malgoverno e falsa democrazia e mancata meritocrazia che conduce la poetessa a servirsi di parole potenti che vennero utilizzate da J.F. Kennedy: “Non chiedetevi cosa lo Stato può fare per voi, ma cosa voi potete fare per lo Stato” (cit. p. 51). Tutti, dunque, siamo utili e dobbiamo esserlo. Basta che ce ne rendiamo conto e che ci impegniamo collaborativamente e attivamente per un progetto condiviso (tanto in politica, quanto nelle altre sfere) affinché la paura, “che testimonia la piccolezza dell’essere umano” (p. 62) venga messa fuori gioco.

E per sempre.

 

 

I due libri di cui ho parlato sono:

 

Battito d’ali
di Giuseppina Vinci
Aletti Editore, Roma, 2010
ISBN: 978-88-6498-168-0
Numero di pagine: 42
Costo: 12 €
 
Chiara è la sera
di Giuseppina Vinci
Angelo Parisi Editore, Lentini (SR), 2012
ISBN: 9788896137284
Numero di pagine: 76
 

CHI E’ L’AUTRICE?

GIUSEPPINA VINCI è nata a Lentini (Siracusa), la città di Gorgia e Jacopone. Insegna al Liceo Classico Gorgia di Lentini da circa diciotto anni, dopo aver insegnato presso altre scuole pubbliche della stessa città: anni che hanno significato momenti di formazione, crescita e indimenticabili amicizie. Attenta alle problematiche sociali, ha pubblicato articoli su quotidiani nazionali e locali. I suoi due libri sono la raccolta di poesie “Battito d’ali” (Aletti, 2010) e “Chiara è la sera” (Angelo Parisi Editore, 2012).

  

a cura di Lorenzo Spurio

scrittore, critico letterario

 

Jesi, 24 Aprile 2013

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Le finestre dei pensieri” di Alessandro Bagnato

Le finestre dei pensieri
di Alessandro Bagnato
BookSprint Edizioni, 2011
Genere: saggio filosofico
ISBN: 9788865955758
Pagine: 152
Costo: 13,80€

 

bagnato copertinaSinossi: «A volte osserviamo i pensieri distesi su un grande prato come la purezza dei fiori ed essi aspettano che qualcuno si accorga della loro presenza. Restano lì fermi in attesa, ma nessuno li raccoglie. I pensieri si ritrovano come le foglie che cadono dagli alberi in autunno. Cadono, cadono e cadono e rimangono lì, pure e innocue. La gente passa e le calpesta, e neanche chiede scusa.».
Le finestre dei pensieri gravita intorno a ciò di cui oggi ci occupiamo poco: il pensiero. Ci troviamo di fronte ad un flusso di coscienza che sembra nascere durante una notte insonne, in cui i pensieri vagano e si contorcono talmente che si finisce col chiedersi il perché del perché. Un testo senza pretese di scientificità che analizza un argomento già studiato e già discusso da filosofi e letterati del passato che con una rapida carrellata di analisi altrui ci porta ad un’interpretazione in chiave moderna della questione. Qui si rimette in gioco tutto ciò che è stato detto e lo si fa con gli occhi di Alessandro Bagnato, il quale in prima persona s’interroga e ragiona: le finestre dei pensieri che si aprono, si chiudono, ci fanno vedere attraverso i loro vetri e riducono allo stesso tempo la nostra visuale.

 

Chi è l’autore?

Alessandro Bagnato nasce a Milano nel 1984, anche se ora è residente in un piccolo ma incantevole paesino in provincia di Vibo Valentia, vale a dire, San Costantino di Briatico, a soli dieci minuti dalla più conosciuta Tropea. Sin da subito in lui si manifesta la passione per la scrittura e per la filosofia e già da piccolo a ben nove anni pensò di scrivere il suo primo eBook che doveva avere il titolo di “La povertà e la felicità della vita”. Si è laureato in Filosofia e Scienze Umane all’Università degli studi della Calabria, e continua a lavorare ai suoi progetti futuri di scrittura. Lavora e studia per scrivere un nuovo eBook che sarà denominato “Ethos”. Sogna di essere conosciuto un giorno come uno dei più importanti filosofi contemporanei, e intanto collabora con riviste culturali e associazioni filosofiche e cura un blog personale, donando il suo sapere al servizio degli altri e sperando che questo sia un utile strumento per la comprensione e il miglioramento di ognuno. Nel frattempo continua a fare ciò che ama di più: studiare i comportamenti dell’uomo tramite la percezione filosofica. Spera un giorno di realizzare il sogno di scrivere l’eBook che pensò quando aveva nove anni.

 

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Intervista a Iuri Lombardi, autore di “La sensualità dell’erba”, a cura di Lorenzo Spurio

LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua opera?

IL: Il titolo è ovviamente una metafora, d’altronde l’intero romanzo vuole essere una allegoria. Sicuramente vuole richiamarsi simbolicamente alla sfera sessuale, nello specifico a l’organo sessuale femminile. Inoltre, vi è una spiegazione più spicciola: nel romanzo più volte si fa riferimento ai prati, a l’erba dei campi estivi o primaverili; luoghi in cui il protagonista, Ernesto, si trova a compiere atti intimi, d’amore, con alcuni ragazzi con i quali è solito esprimere, essendo lui affetto da manie e da turbe di personalità nevrotica e sopraffattrice, le sue passioni erotiche demenziali. Il perchè del demenziale lo si scopre leggendo il libro, ovviamente. In fine, ma non in ordine di importanza, mi piaceva dare un senso enigmatico al libro e così, cercando di riassumere gli aspetti sopra riferiti, mi è venuto in mente il titolo possibile e potenziale del romanzo.

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

IL: La letteratura è il modo per eccellenza di esprimere noi e gli altri, il nostro di dentro e l’esterno che ci circonda. Certo, inevitabilmente, c’è qualcosa di autobiografico, se pur in uno stadio simbolico del termine, mnemonico se vogliamo. Tuttavia, tralasciando gli aspetti più esegetici e filosofici, il libro vuole essere e sicuramente è una trama, un vortice di proiezioni oniriche e conscie di me. In fondo, Ernesto, il protagonista, può essere il prototipo di uomo che purtroppo incontriamo spesso al mondo d’oggi: sul lavoro, in bottega, al supermercato, in banca, ovunque. Purtoppo è insito nell’uomo l’egoismo e la sopraffazione; non importa leggersi i poeti o i filosofi, i famosi maestri del pensiero, per accorgersi di questo. Io stesso, nel mio piccolo, sono egoista, poco autocritico, presentuoso o altro; così come il mio vicino di casa, il dirimpettaio, il bancario: tutti siamo affetti dal medesimo male- come dice una canzone di De André.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

IL: I miei autori preferiti sono molti. Sia italiani sia stranieri. É certo che Celine resta uno dei miei autori preferiti, assieme a Gogol, Pasolini, Sciascia, Tondelli (al quale sono stato accostato più volte per la somiglianza delle tematiche). Ma sono molto affezionato anche a Volponi, a Pavese che è tato il mio grande amore letterario dell’adolescenza (passavo giorni a leggere Pavese e ad ascoltare Luigi Tenco, da deprimersi), ma tanti altri scrittori mi piacciono, ad esempio J. Amado, Sabato, A. Mutis. Interessante anche gli autori sardi dai due Dessi a Salvatore Niffoi. Dei contemporanei amo molto De Luca, per l’Italia, mentre degli americani Don DeLillo (secondo me, il più grande scrittore vivente).

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

IL:Sicuramente Viaggio a termine della notte di Celine. Di quel libro mi affascina tutto ad iniziare dallo stile. Sia in questo romanzo, sia in Morte a credito, Celine mette in discussione l’intera lezione occidentale nel modo di fare letteratura, di vedere la vita. La prosa, ibrida tra scritto e parlato, la famosa scrittura bucata, vale a dire piena di eclamazioni e punti di sospensione, è un modo per cui, secondo me, lo scrittore parigino ha voluto compiere una sorta di rivoluzione in toto; sia sul piano morale sia su quello stilistico e narrativo. Leggendolo uno si accorge di come la sua scrittura è melodia, una partitura sinfonica, a tratti violenta. Tuttavia mi è piaciuto molto sudore di Amado, dal quale ho cercato di apprendere la descrizione degli odori, cosa non facile da trascrivere. Cecità di Saramato e poi Borges,e  tanti altri che sicuramente mi sfuggono. Molto interessante Tempo di morire di Flaiano.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

IL:Sicuramente degli italiani Sciascia e Pasolini. Degli stranieri Celine, anche se la mia prosa e la mia poesia è lontana anni luce da loro e dal loro modo di esprimersi. E tanti sono gli autori che ho amato, a cominciare dai russi per poi passare ai francesi, meno gli scrittori tedeschi, anche se mi sono laureato con una tesi sul romantiismo tedesco. Tuttavia, e non è campanilismo, la letteratura più bella resta la nostra, escludendo quella antica che necessita di una attenzione e di una riflessione a parte.

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

IL:Assolutamente sì. Mi piace molto scrivere a quattro mani, credo sia un modo utile per misurarsi, comprendere l’altro, cercare in sé, cosa non facile, un briciolo di umiltà che è sinonimo di intelligenza e sensibilità. Purtroppo in Italia non è molto in uso questo comportamento, in particolare in letteratura. Il mio primo romanzo edito nel 2006 Brganti e Saltimbanchi, è scritto a quattro mani, firmato da me e dal maestro Vincenzo Labanca.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

IL: Il mio pubblico, purtroppo, e di questo ne sono consapevole è di nicchia. Dico purtroppo perchè mi piacerebbe che tutti mi leggessero, approfondissero quello che scrivo, che è quello che penso, il mio modo di vedere e affrontare la vita. Ma purtroppo certe tematiche sociali, certe riflessioni intimiste sono desuete per l’attenzione del grande pubblico e non per colpa del pubblico, ma per colpa del sistema che invece di promuovre certe tematiche nell’arte cerca di propinare, per questione di interesse, tematiche più frivole, più leggere e così il pubblico si abitua a leggere certi libri piuttosto che altri. Ma ripeto, e questo è importante, non è colpa del pubblico. Il lettore ha sempre ragione.

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato/a con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

IL:L’editoria attuale è spesso un furto legalizzato. E’ una giugla in cui le vittime sono gli scrittori e il pubblico, penalizzati sempre, comunque. Molti editori barano, sempre per ragioni di interesse, pubblicano a spese dell’autore (e già questo è un furto), promettano distribuzione e pubblicità che poi non rispettano. Bisogna avere pazienza, saper cercare l’editore giusto, misurarsi da uomo ad uomo, altrimenti è il buio. Con il mio editore ultimo, intendo Biondi Editore, con il quale ho edito la sensualità dell’erba, mi sono trovato bene. Sarei un idiota a dirne male. Certo, essendo un piccolo editore, che pubblica solo un certo tipo di libri, avendo delle potenzialità economiche pari a zero, la cosa è sicuramente difficile; come ad esempio la distribuzione, che non ha e che non può garantire. Il  mio romanzo infatti è reperibile solo on-line tramite il miolibro.it o tramite Bolt, oppure libreriauniversitaria.it.

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

IL:Certo che sì. Sono utili. Sopratutto i corsi di scrittura creativi, i piccoli e medi gruppi o laboratori di scrittura. Molto anche i concorsi, sopratutto quelli meno in vista, più di nicchia, più semplici, artigianali voglio dire. Non amo molto l’ambito accademico.

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

IL:Moltissimo. Un autore esiste, si esprime perchè esistono gli altri autori, gli altri suoi colleghi. Io, ad esempio, ho sempre cercato amicizie, relazioni, corrispondenze elettive e intellettuali con gli altri autori; credo sia un modo per misurarsi, per apprendere sempre più. Un modo per crescere, per sottolineare la propria forza e i propri limiti sia di uomo sia di scrittore.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

IL:E’ fondamentale. La letteratura è una foresta di richiami e di similitudini, di rimandi. Se non fosse così tutto crollerebbe. D’altronde io sono ciò che è stato, per rimando, un autore precedente. Poi certo, uno scrittore ha sempre dei punti di riferimento, dei maestri di pensiero, e cerca nel suo piccolo di proseguirne il sentiero tracciato secoli o tempo prima dall’altro, dal maestro voglio dire. D’altronde la letteratura è l’arte del non dire, come direbbe Sartre. Vale a significare che è un’arte che si riafferma sempre proprio perchè porta in sé un segreto, un enigma e il dilemma, il rebus non è altro che uno strato di conoscenza letteraria, un teatro di reminescenze, un labirinto gioioso di richiami, di echi, di nomi, di passioni intellettive.

LS: Hai in cantiere nuovi lavori e progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?

IL:Sì, sto progettando un mega romanzo, sulla scia dei libri di Don DeLillo, ambientato in Italia e sarò, per la stesura, impegnato per anni. Nel fratempo però, proprio per non restare fermo a causa del grande cantiere, vorrei pubblicare un libro di racconti. Nel fratempo collaboro a riviste letterarie, scrivo poesie, o più semplicemente vivo.

 

INTERVISTA A CURA DI Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERA INTERVISTA SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“C’è da giurare che siamo veri…” di Vincenzo Calò

C’è da giurare che siamo veri…

di Vincenzo Calò

con prefazione di Flavia Weisghizzi

Albatros Editore, Roma, 2011

ISBN: 9788856750751

Pagg. 58

Prezzo: 11,50 Euro

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Che questo recente libro di Vincenzo Calò sia improntato a un’analisi particolareggiata dei recessi della coscienza umana l’ho capito già dalla sua gentile dedica nella prima pagina dello stesso in cui l’autore, armato di una matita solitamente estranea a uno scrittore, ha impresso un “buona esistenza” sul quale molto mi sono domandato. Infatti, non si tratta di un augurio molto comune e, inoltre, mi suona anche abbastanza anomalo o ridondante. L’esistenza, appunto, è il tema centrale di questo libro e l’esistenzialismo, l’intellettualismo mirato alla continua ricerca di cause e alla spiegazione di dubbi e quesiti più o meno ampi, è la filosofia che sottende l’intera opera.

Calò ci offre sedici testi abbastanza brevi che risultano difficilmente catalogabili in un genere preciso; l’utilizzo del verso farebbe propendere a pensare che si trattano di poesie ma in realtà il contenuto, pur avendo una componente lirica, è per lo più mirato a divagazioni ampie e di stampo filosofico. I titoli stessi sono formati da frasi incompiute alle quali Calò ha inserito dei punti sospensivi finali quasi che il lettore debba completare le frasi a seconda delle sue convinzioni. L’autore ci fornisce così dei validi spunti sui quali riflettere, senza intervenire però con un intenzione didattica né morale.

La raccolta composita di poemetti filosofico-esistenziali spazia da idee e intendimenti diversi; Calò utilizza una materia che è tutta contemporanea alludendo spesso ad oggetti o a pratiche legata alla modern way of life. Non c’è un unico modo per interpretare le poesie di Calò ma esse danno luogo a una polifonia di letture, a una molteplicità di possibilità. Qual è il percorso che Calò ci fa fare con questo libro? E’ un tragitto tortuoso, labirintico, difficilmente tracciabile su una mappa. Non c’è un inizio né una fine, o ce ne sono tanti. L’essenza della silloge sta proprio in questa ricerca esasperata della verità; si ricordi a questo riguardo il titolo del libro, C’è da giurare che siamo veri… Ma come facciamo ad essere veri se non sappiamo che cosa è la verità? Se non sappiamo come riconoscerla? Questo è uno dei grandi temi di fondo che sorreggono l’intero progetto di Calò in cui a tanta semplicità di immagini evocate si contrappongono temi e questioni profonde e filosofiche che Calò investiga a suo modo.

 

VINCENZO CALO’ è nato a Francavilla Fontana (Br) nel 1982. Dal 2003 ha pubblicato vari componenti poetici, di narrativa e saggistica su varie antologie. Ha conseguito menzioni, s segnalazioni e riconoscimenti nel campo letterario nazionale e internazionale. Scrive sul periodico di Roma “L’Attualità” trattando prevalentemente tematiche etico-sociali. Assieme ad Antonio Di Lena cura la web fanzine musicale “Suoni del Silenzio”.  C’è da giurare che siamo veri…, raccolta di poesie, è stato pubblicato nel 2011 da Albatros Editore.

 

Lorenzo Spurio

 

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