E’ uscito “Liriche scelte” di Ada Negri che contiene una selezione dell’opera della poetessa ravennate

La casa editrice milanese Miano Editore ha recentemente dato a conoscere l’uscita del volume Liriche scelte della poetessa ravennate Ada Negri – omonima della nota poetessa accademica lodigiana del Secolo scorso – all’interno della prestigiosa collana “Analisi Poetica Sovranazionale del Terzo Millennio”. Il volume è arricchito dalle prefazioni di Enzo Concardi, Michele Miano e Mario Santoro.

Nella dotta e particolareggiata prefazione del critico letterario Concardi leggiamo: “Se vogliamo fare un tuffo nel passato, ma un passato di grande valore, possiamo seguire Ada Negri nel suo amore per la classicità, che è l’argomento, lo stile, il sogno di questa prima sezione del libro. Sono testi d’altri tempi, nel senso che tale genere di poesia non è propria dei contemporanei e costituisce un viaggio comunque di scoperta per l’autrice, catturata e incantata dal mondo greco-latino.

La lirica è descrittiva e neoclassica, raffigurando, in modo quasi classificatorio, le conquiste artistiche e civili di quelle culture, la cui grandezza è per la poetessa eterna e universale. È altresì una lirica oggettiva, che lascia poco spazio ai sentimenti personali, in quanto, forse, l’intento della scrittura è didascalico e rivolto a trasmettere il vero e il bello secondo i parametri antichi. I tesori ellenico-romani sono cantati per il mito che rappresentano, il fascino che ancora emanano, la forza epica delle opere.

Anche la scelta di scrivere quasi sempre con l’uso di strofe tradizionali, costituite da quartine in rima, fa parte del canone neoclassico riesumato per l’occasione. Fanno eccezione alcune composizioni, come ad esempio la Parodia della tragedia greca. “Antigone” di Sofocle, che ha una struttura dialogica tra Ismene, Antigone e il Coro; e Il classicismo nella poesia di Giosuè Carducci, che invece d’avere le quartine con rima a-b / c-d si sviluppa con un rimare a-c / b-d. Così troviamo in Crociera in Grecia,strofe di questo tipo: “…Aleggiava una vaga atmosfera / trepidante tra sogno e chimera. / Ci sembrava di vivere ancora / con Omero una fulgida aurora”. Mentre nell’omaggio al Carducci: “…Nelle ‘Elleniche’descrisse, / con profonda competenza, / gli elementi che rivisse / con piacevole frequenza…”.

Il suo percorso culturale-classico inizia proprio dai banchi di scuola. Ricordando quel periodo formativo scrive: “Per me il classicismo è innato …// A scuola mi fu sviluppato / con notevole risultato: / mi piacquero Greci e Romani / coi loro costumi lontani…”.

Qui accenna anche alle opere immortali dei classici, all’origine della nostra lingua dagli etimi greco-latini, allo splendore di quelle civiltà che coltivarono scienza, filosofia e le arti. Continua poi con un viaggio in Grecia per toccare con mano ciò che aveva studiato sui libri: rimane colpita da zone archeologiche mai viste, a cui seguono altre mete, come Rodi con l’Afrodite, Olimpia, Delfi, Sparta, Micene, l’Acropoli, ove immagina le abitudini care a Socrate. Indi tutti i monumenti e i colonnati di Atene storica, l’Attica e il Peloponneso. Un’altra lirica è dedicata a La parola, alla sua funzione nella vita della comunicazione, alla sua importanza come mezzo per trasmettere pensieri, messaggi, stati d’animo, sentimenti tra le persone e lessico in cui il popolo si riconosce. Troviamo nel libro anche una lunga composizione riservata a Il classicismo nella poesia di Giosuè Carducci, dove ripercorre le tappe della sua esistenza riferite al propugnato ritorno al classicismo e al suo patriottismo.

 Ora scomodiamo un grande della letteratura per attestare assonanze d’interessi neoclassici. Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) pubblica nel 1795 le Elegie romane, venti pezzi poetici in esametri e, nella prima elegia esalta la grandezza di Roma: “… Sì, qui un’anima ha tutto, fra queste divine tue mura, / eterna Roma!…// Tuttor chiese e palagi, rovine contemplo e colonne…// In vero, o Roma, un mondo sei tu; ma pur senza l’amore / non saria mondo il mondo, e nemmen Roma, Roma” (da Elegie romane, Giusti Editore, Livorno 1896, Traduzione di Luigi Pirandello). Ada Negri scrive una lunga Ode a Roma in cui risuonano anche questi versi: “… Palazzi e templi, archi e colonne, / attestan l’opera davvero insonne, / livelli alti di vita civile, / il culto del bello e un tipico stile”.

 Quindi “Roma caput mundi”esercita in ogni epoca e su chiunque un fascino indiscutibile: nel nostro caso l’autrice rimane integralmente legata al classicismo, mentre Goethe inserisce nel giudizio finale l’elemento sentimentale dell’amore e si proietta verso il Romanticismo, creativo e non imitatore di poesia”.

Ada Negri è nata a Conselice (RA) e residente a Ferrara, laureatasi in lettere classiche a Bologna, ha insegnato per oltre trent’anni greco e latino nei Licei. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Viole del pensiero (1993), …E la luce fu (1994), Il mare della vita (1996), Paesi e città del cuore (1997), I girasoli (1998), Opera Omnia (1999), Realtà e fantasia (2000), Verso il terzo Millennio (2001), Il fascino di Ferrara (2002), La bandiera italiana (2002), La Vita Umana (2003), Arcobaleno (2004), Nuova stagione poetica (2010); i testi di saggistica: Litterarum latinarum fragmenta (1999), Il kommós delle «Coefore» di Eschilo (2000), Limpide voci (2001), Saggi classici (2003), Saggi ferraresi (2003), Sintesi storico-letteraria dell’età ellenistica e greco-romana (2006), L’Età Classica della Grecia antica (2009), L’età Jonica della Grecia antica (2017). La biografia e l’attività letteraria di Ada sono trattate in due monografie curate da Fulvio Castellani: Dentro e attraverso la quotidianità (2003), Il racconto di una vita (2006).

“Arianna e il labirinto”, saggio di Cinzia Baldazzi

Saggio di Cinzia Baldazzi

 

Nel Libro XVIII dell’Iliade (vv. 590-604) leggiamo:

 

E lì una danza intrecciò lo zoppo famoso

simile a quella che un tempo nella vasta Cnosso

Dedalo aveva inventato per Arianna dalla bella

chioma. Qui giovani e fanciulle che valevano molti

buoi danzavano, tenendosi i polsi con le mani;

le une indossavano veli leggeri, gli altri chitoni

raffinati, che lucevano dolcemente d’olio.

Le ragazze portavano belle corone, i ragazzi

spade d’oro e cinture d’argento.

 

   Omero sta descrivendo una parte dello scudo di Achille: non l’originale andato smarrito nella lotta mortale di Patroclo con Ettore, ma quello nuovo forgiato da Efesto, fabbro divino, per il numero uno degli Achei rimasto, come dire, “disarmato”. Lo studioso Werner Jaeger, mettendo in rilievo la posizione dell’uomo nel κόσμος ritratta da Omero, precisa quanto proprio le immagini della corazza rispecchino «perfettamente questa universalità e completezza della visione omerica della vita e della virtù umana (’ἀρετή)».

   Nei versi appaiono, in cerchi concentrici, lavori dei campi e processi, città e campagna, vitigni, zone acquose, fino alla danza del Labirinto di Cnosso, costruito dall’architetto Dedalo per volontà di Minosse, sovrano di Creta, allo scopo di rinchiudervi il mostruoso Minotauro nato dall’unione della moglie Pasifae con un toro. Nell’istoriare lo scudo, Efesto si ispira a una coreografia simile a quella che il geniale Dedalo aveva ideato in omaggio alla bella Arianna, figlia del re cretese.

1 - Arianna labirinto

   Nella mitologia greca, il racconto di Arianna si snoda su tre storie principali: l’aiuto fornito al principe ateniese Teseo, di cui si innamora quando egli giunge a Creta, aiutandolo con il celebre gomitolo a uscire dal labirinto dopo aver ucciso il Minotauro; la successiva fuga con Teseo e l’abbandono sull’isola di Nasso; il provvidenziale arrivo di Dioniso e il loro matrimonio.

   Per certi versi atipico, il mito di Arianna occupa un posto di rilievo nella galleria delle figure “non divine” dell’antica Grecia. Scrive Giulia Gentile:

I simboli sono indispensabili alla psiche, tanto che, quando non vengono forniti dall’esterno, mediante il mito, si sviluppano autonomamente dentro di noi e si presentano a noi nel sogno. Senza il loro intervento infatti le nostre energie rimarrebbero confinate per sempre nel regno banale e anacronistico dell’infanzia.

   La mitologia intraprenderebbe, così, la battaglia faticosa alla ricerca di un senso da attribuire alla vita, offrendo prototipi, comportamenti o eventi naturali a cui si dà spiegazione. Prosegue la Gentile:

Nel mito del labirinto si fondono diversi fenomeni, credenze e personaggi che, a nostro parere, presentano stupefacenti analogie con altri miti, leggende e manifestazioni magico-rituali che possono essere messi a confronto fra loro e interpretati con il metodo junghiano dell’amplificazione, o psicologia morfologica comparativa, come appunto suggeriva Jung.

   Di qui l’utilità di distendere la vita nel tempo, quasi fosse un “filo”, una sorta di richiamo al filare di lino raccolto in un gomitolo donato da Arianna all’amato Teseo per eludere le insidie del labirinto dopo aver ridotto in pezzi con le mani il mostro mangia-uomini. Ed ecco Ariadne la Santissima, emblema di creazione-ricreazione, dèa dell’estasi alle radici dell’esistenza umana, nonché della crescita interiore sviluppata nelle tappe intermedie tra nascita e morte. Sempre secondo la Gentile,

Arianna è la Signora del Labirinto, dea della luna brillante che illumina l’oscuro, l’aldilà: è colei che conosce i misteriosi percorsi della vita, i meandri dello spirito, e presiede alle fasi di trasformazione della coscienza.

2 - Arianna, Teseo e gomitolo

   Numerose sono le versioni relative alla coppia, ma per tutte i primi passi vengono compiuti a Creta, dove Zeus agli inizi è costretto a vivere nascosto in grotte sacre per sfuggire al cannibalismo del genitore Crono, il quale, temendo di essere spodestato come il padre Urano, vuole eliminare i figli. Essendo anch’essi immortali, non può semplicemente ucciderli, quindi appena nati li ingoia. Sconfitto Crono, insediato nell’Olimpo, Zeus si innamora dell’affascinante principessa Europa, notata mentre sosta con le ancelle in riva al mare. Folle d’amore, il dio prende le sembianze di un toro bianco e pascola l’erba del prato, dove la fanciulla reale, scorgendolo, ammaliata gli monta in groppa: giunti a Creta, ripresa la propria fisionomia, si unisce a lei generando Radamante, Sarpedonte e Minosse. Quest’ultimo diviene re con fama di giusto, e come tale è ricordato da Dante nel Canto V dell’Inferno nel ruolo di giudice, al secondo cerchio:

 

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe ne l’intrata;

giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Dico che quando l’anima mal nata

li vien dinanzi, tutta si confessa;

e quel conoscitor de le peccata

vede qual loco d’inferno è da essa;

cignesi con la coda tante volte

quantunque gradi vuol che giù sia messa.

  Entrato in lotta con i fratelli per la successione, Minosse chiede aiuto a Poseidone, proponendo di far uscire un toro dal mare con la promessa di sacrificarlo subito dopo: riesce a salire al trono, ma l’animale è talmente bello da indurre il neo-sovrano a tenerlo per sé, immolando all’alleato un altro esemplare bianco. Naturalmente Poseidone lo scopre e si vendica sulla regina Pasifae, instillando in lei un’accesa passione per la magnifica bestia. La donna comanda quindi Dedalo di costruirle una mucca di legno, capace di attirare in inganno il toro, e vi si nasconde dentro: attratto ed eccitato dal simulacro ligneo, vi si avventa contro e dall’unione nasce Asterione, un mostro con il corpo umano e la testa taurina.

   L’autore della Divina Commedia conosceva bene il racconto mitico, concedendo un’allocazione precisa a ogni protagonista. Dopo Minosse giudice, nel XII Canto dell’Inferno è la volta del Minotauro, posto nel settimo cerchio a guardia del girone dei violenti in quanto icona del lato impetuoso e irrazionale della mente, al pari dei peccatori guidati dall’istinto e ignari della ragione:

e ‘n su la punta de la rotta lacca

l’infamïa di Creti era distesa

che fu concetta ne la falsa vacca.

    Infine ecco la sventurata regina di Creta, la quale nel Canto XXVI del Purgatorio è invocata a gran voce dai lussuriosi come emblema del peccato contro natura:

 colei che si imbestiò

ne le ‘mbestiate schegge.

3 - Arianna minotauro

  La leggenda vuole che il re di Creta incarichi Dedalo di progettare un labirinto dove segregare la creatura di cui tutta la reggia ha vergogna e terrore; per lo stesso sovrano, il mostro è emblematico degli impulsi repressi, degli input egoistici rimossi.

   Il docente di filosofia Apostolos Apostolou spiega:

Minotauro è il desiderio irrazionale che si compie con la soddisfazione del bisogno fisico. Ma è anche l’indeterminismo ontico, che le fugaci emersioni dell’inconscio introducono come definizione del soggetto, non cessando di isolare nel soggetto un cuore, o come diceva Freud, “Kern” (nucleo) di non senso. L’inconscio è costituito da impulsi e fantasie che rappresentano desideri incompiuti, vissuti indelebili cacciati dalla coscienza o esperienze infantili che non sono mai giunte alla coscienza.

    Sigmund Freud ha operato del mito di Arianna e Teseo due distinte letture: la prima nel contesto di una fase infantile anale, con i corridoi aggrovigliati a simboleggiare l’intestino; la seconda rappresentando il labirinto al pari di un utero. In entrambe il filo appare nella funzione di cordone ombelicale, fonte di nutrimento e legame materno, e allo stesso tempo vincolo stringente, soffocante, alla figura della genitrice. Tra le innumerevoli suggestioni culturali suscitate dalla figura dell’uomo-toro (tra cui prediligo il breve e fulminante racconto La casa di Asterione di Jorge Luis Borges contenuto ne L’Aleph, 1949), ricordo la conclusione del film Shining (1980) di Stanley Kubrick, tratto dall’omonimo romanzo (1977) di Stephen King.

   La coscienza sconvolta provoca allo scrittore Jack Torrance visioni paurose e ripugnanti: tra esse, quasi a rievocare la storia di Pasifae, una figura animalesca compie un allucinato rapporto sessuale-orale. Nella sequenza finale, il piccolo Danny sfugge al padre Jack, ormai in preda a follia omicida, correndo tra le siepi labirintiche del giardino e uscendone grazie al suo potere di “overlook”. Novello Teseo, sconfigge il genitore-Minotauro lasciandolo a perdersi tra la neve e il gelo nelle svolte senza uscita: Torrance muore assiderato, in un’inquietante immagine che lo ritrae con gli occhi sbarrati all’insù.

  4 - Arianna Dioniso

Anche Dedalo, insieme al figlio Icaro, rimane imprigionato nell’intrico di gallerie da lui costruito, mentre secondo un’altra versione è Minosse ad averlo rinchiuso. Costruito un paio di ali con piume e cera, s’invola insieme al figlio il quale però, avvicinatosi troppo al sole, perisce cadendo in mare.

   Intanto Androgeo, primogenito di Minosse, viene ucciso ad Atene durante i giochi tauromachici. Minosse attacca la città e la sconfigge, imponendo ai vinti un tributo di sangue: ogni nove anni, sette fanciulli e sette vergini partiranno verso Creta per essere dati in pasto al Minotauro.

   Ed ecco Arianna comparire all’improvviso nella vita di Teseo, quando il giovane principe ateniese, deciso a metter fine all’orribile vicenda, si unisce al gruppo di ragazzi destinati alla morte. La principessa di Creta, innamorata, lo aiuta a ritrovare la via d’uscita dai meandri donandogli una matassa di filo che, srotolata, gli permette di seguire a ritroso le proprie tracce dopo aver ucciso Asterione.

   Silvia Romani, studiosa del mondo classico, ha rilevato un aspetto personale e privato nel gesto di Arianna:

Quella manopola di filo, tesa in modo resoluto sulla superficie di tanti vasi antichi, è un dono irrazionale e generoso, un tentativo di legare a sé il proprio amato in un vincolo d’amore: il contraccambio per una nuova vita al suo fianco, nel palazzo regale di Atene. 

   Il vocabolo “labirinto” indica nella forma classica una struttura quadrata o più spesso circolare con una sola entrata e un unico vicolo cieco alla fine del percorso. Ha scritto Apostolou:

Il labirinto in generale può essere visto come metafora della ricostituzione dell’ordine perduto, e di conseguenza come metafora del pensiero umano, della psiche e della sua struttura, per l’appunto, labirintica.

   Nell’Eutidemo, Platone riporta le parole di Socrate nell’atto di evidenziare lo schema labirintico del “dialogo”:

Giunti all’arte di regnare ed esaminandola a fondo per vedere se fosse quella a offrire e a produrre la felicità, caduti allora come in un labirinto, mentre credevamo di essere ormai alla fine risultò che eravamo ritornati come all’inizio della ricerca, e avevamo bisogno della stessa cosa che ci occorreva quando avevamo incominciato a cercare.

   Lo spazio aggrovigliato, intricato, simboleggia un contesto dove mondo, norme e logica rimangono oscuri, incomprensibili all’uomo; nondimeno, rappresenta spesso anche l’iter tortuoso e niente affatto lineare dell’anima umana, a parere di Aristotele coincidente con la nascita della filosofia.

   È vero, Teseo è l’eroe solare capace di acquisire il controllo degli istinti e delle forze dell’inconscio profondo, ma il ruolo rivestito da Arianna è senza dubbio maggiormente significativo. Scrive la studiosa Cinzia de Bartolo:

Mai come in questo caso il mito ci illumina sul rapporto fra l’elemento maschile e quello femminile: Teseo compie un pericoloso viaggio nei paurosi recessi del labirinto-inconscio e, dopo essersi confrontato con gli umani istinti bestiali, si affida ad Arianna – l’elemento femminile – che lo guida verso la luce della coscienza.

   Ancor più in chiave psicanalitica il commento di Jacques Attali in uno studio di venti anni orsono:

L’idea del Labirinto non è estranea al primo percorso dell’uomo al termine del quale egli diventa persona: quello che lo fa fuoriuscire dal ventre materno: la donna è il primo Labirinto dell’uomo.

   Dunque, cosa rappresenta Arianna? Secondo Giulio Guidorizzi è la “Signora del Labirinto”, in base a un’iscrizione in lineare B risalente circa al 1.400 a.C.:

Ha un nome, Arianna, e un mito tutto suo. Non è più una dea ma un’eroina, anche se dentro l’Arianna del mito si intravedono ancora caratteristiche divine: un personaggio che salva, protegge, e finisce per sposare un dio.

   Da Creta, culla dell’arcaica civiltà europea, provengono però altre immagini femminili particolari: libere, ribelli, sovvertitrici del reale imposto, dai tratti mitologici violenti, dalla sessualità anomala. Sono magari aspetti di un’antica fase della religione precedente al patriarcato di Zeus, quando regnava una dea modello di fertilità, indomita, potente, chiamata Grande Madre, e descritta alternativamente da Carl Gustav Jung come saggia, benevola, feconda, protettiva, tollerante, e segreta, occulta, tenebrosa, divorante.

   Una donna cretese del genere può essere Pasifae, madre di un mostro; Fedra, infedele alla sorella Arianna perché innamorata di Teseo e attratta dal figliastro Ippolito; Europa, invaghita di un toro; infine Arianna, complice nel massacro del fratello Minotauro.

  5 - Arianna Minosse

Quale sarà il fato della misteriosa Arianna, figlia non prediletta, sposa rifiutata, con un fratello mostruoso e un compagno infedele? Abbandonata da Teseo in riva al mare, nell’isola di Naxos, assisterà come per incanto al fragoroso arrivo di Dioniso su un carro trainato da quattro pantere: proprio lui, il “nato due volte”, icona dell’Uno-Molteplice, all’altezza di conciliare umano e divino, immanente e trascendente, la porta in salvo e la fa sua sposa.

   Scrive Guidorizzi:

Teseo e Arianna sono una coppia di innamorati, Dioniso e Arianna una coppia nuziale: un uomo non l’ha voluta, ma un dio la sposa.

   Il gomitolo si trasforma nell’emblema di un percorso in grado di allontanare dal caos: è legame amoroso importante e ambiguo, capace di garantire armonia, soddisfazione, gioia, e insieme smarrimento, dolore inconsolabile. Assomiglia al filo dipanato e tagliato dalle Moire, divinità che presiedevano al destino dalla nascita alla morte. Torniamo così al labirinto, del quale Arianna non oltrepassa la soglia ma fornisce il mezzo per uscirne, a differenza della protagonista del film L’anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, dove le parti dei due giovani prìncipi sono invertite: nel finale, la protagonista si inoltra nell’intrico di siepi del giardino all’italiana per scomparire agli occhi dell’uomo che ne rimane fuori.

   Nell’interpretazione delle figure archetipiche, soccorre come sempre il pensiero di Jung:

È un simbolo interiore: siamo tutti labirinto, intrico di viscere e di pensieri contorti. Per uscirne è necessario entrarvi. Perdersi nelle strade di una città, è un modo per avvertire quanto questo assomigli alla nostra mente, alla nostra vita; può essere un esercizio per reggere lo spaesamento incombente.

   Persino quello attuale, così presente.

 

CINZIA BALDAZZI

 

Ringrazio Adriano Camerini per la collaborazione alla stesura del testo.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Silvia Romani, Arianna. Le insidie dell’amore, introduzione di Giulio Guidorizzi, Milano, Mondadori 2019

Giulia Gentile, Approccio alla psicologia analitica. Arianna e Teseo: alla ricerca del filo della vita, a.a. 2013-2014, Unitre Val di Cornia – Università delle Tre Età

Apostolos Apostolou, Mitologia e psicoanalisi (Il Labirinto di Cnosso e Teseo), 17/6/2014

https://rassegnaflp.wordpress.com/2014/06/17/mitologia-e-psicoanalisi-il-labirinto-di-cnosso-e-teseo/

Cinzia de Bartolo, Alla ricerca del femminile perduto – La rivincita di Arianna, febbraio 2009 https://www.ilcerchiodellaluna.it/pag_set_frame.htm?central_Labir_Ari.htm

Jacques Attali, The labyrinth in culture and society: pathways to wisdom, Berkeley, CA (USA), North Atlantic Books, 1999, pp. 124.

 

L’autrice del presente testo acconsente alla pubblicazione su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi pretesa o disputa possa nascere in relazione ai contenuti del testo e a eventuali riproduzioni, ricadendo unicamente sull’autore del testo ciascun tipo di responsabilità.

“L’altra ELENA” di Simona Martorana, recensione di Vittorio Sartarelli

Recensione di Vittorio Sartarelli

 

download.jpgL’altra ELENA (Edizioni Elison Publishing, 2017) di Simona Martorana è un interessante libro che porta a due importanti considerazioni letterarie e culturali, la prima che è evidentissima, certifica, quasi, che l’autore del libro è una donna, per la delicatezza dell’esposizione letteraria inconfondibile all’occhio attento del critico esperto. La seconda, trattandosi di una tragedia storica, epica e mitologica, esercita una sicura attrazione verso i cultori di un’educazione umanistica e classica. Questa branca del sapere nella quale sono cresciuto, educato e istruito e della quale sono orgoglioso, esercita la propria influenza per una vita sociale sicuramente colta e orientata verso principi morali e umani molto al di sopra del comune sentire, che indirizzano la persona che li riceve nel senso di una vita sociale e umana anzitutto  con l’onestà, la dirittura morale e il buon senso, e una propensione naturale nei confronti di sentimenti come la magnanimità, la lealtà, la generosità  e il rispetto del prossimo che poi rappresenta l’intera umanità. Lasciando adesso queste ovvie ma necessarie considerazione che poi tanto ovvie non sono, mi accingo con piacere a recensire questo magnifico lavoro della Professoressa Martorana.

È innegabile che tutta la storia narrata nel libro oltre a interessarmi dal punto di vista letterario mi ha evocato ricordi piacevoli e, purtroppo, oggi lontani nel tempo, di quand’ero un ragazzetto alle prime armi con lo studio e la cultura, frequentando il ginnasio e poi il Liceo classico “Ximenes” della mia città. Quanti ricordi, leggendo e studiando l’Iliade, ero diventato un fan di Ettore, il glorioso eroe troiano che purtroppo veniva ucciso in duello dall’altro eroe greco Achille che però io non stimavo perché la sua falsa vittoria era stata agevolata dal fatto che Achille fosse invulnerabile. Egli, figlio di Peleo e della Ninfa nereide Teti, appena nato era stato immerso dalla madre nel fiume Stige, tenendolo per un tallone per procuragli l’invulnerabilità, però il suo corpo era invulnerabile ad eccezione del tallone tenuto dalla madre e quindi non immerso per intero nel fiume terapeutico. La cosa avrà un tragico seguito nell’epilogo della guerra di Troia.

Al Liceo poi ho studiato l’Eneide e mi sono sentito quasi legato, sentimentalmente, alla gente di Ilio, perché ho gradito che Enea nel suo soggiorno sul mio territorio dove, proprio alle pendici del Monte Erice, abbia seppellito il padre Anchise, prima di ripartire per il Lazio, dove ha creato i presupposti per la futura fondazione di Roma. Alcuni suoi compagni, però, sono rimasti a Trapani continuando in loco la loro vita.

Il titolo del libro pone un interrogativo retorico alludendo ad una seconda Elena e trattandosi di una Elena famosa non si può che alludere a Elena, moglie del re greco Menelao, la quale rapita dal troiano Paride sarà la causa scatenante della Guerra di Troia, protrattasi per 10 anni. Ma chi è questa Enone di cui parla il racconto?

Si tratta di una ninfa fluviale che viveva sulle pendici del monte Ida, nei pressi di Troia. Qui comincia la vicenda raccontata, con molta immaginazione e tanta cultura e professionalità dell’autrice del libro e l’inizio è piuttosto traumatico perché descrive proprio la fine di Enone. Chi comincia la lettura non fa quasi caso a questo inizio funesto, ma trattandosi del decimo anno della guerra di Troia e quindi prossimo alla sua conclusione, appare normale quello che sembra un suicidio disperato per la perdita di un grande amore è, in effetti la conclusione di tutto il disgraziato contesto di una guerra, annunciata da profeti e premonitori greci di quel tempo, anche molti decenni prima, che avrebbe coinvolto e distrutto un intero esercito ed una intera città compresi gli abitanti dopo 10 anni di guerra. Questo avvenne grazie ad un inganno ideato da Ulisse, un combattente greco, che costruì e fece entrare entro la città di Troia un enorme cavallo di legno entro le viscere del quale erano celati diversi soldati greci che di notte, uscirono dal ventre del cavallo ed appiccando il fuoco alla città ed aprendo le sue porte, consentirono l’ingresso dell’esercito greco nella città che fu distrutta e la maggior parte dei suoi abitanti uccisi.

Il personaggio principale del racconto è Paride la cui figura è un compromesso tra un aitante e abile giovane troiano ed uno spregevole essere violatore di ogni legge dell’onore e della fiducia che viene tradita. E’, alla fine, una figura che, dalla sua nascita, è preparato a compiere degli atti che oltre a danneggiare la sua città, i suoi stessi progenitori e i suoi concittadini, tradirà anche Enone che l’aveva trovato abbandonato in un bosco, lo aveva cresciuto ed alla fine se ne era innamorata. Paride prima di concludere la sua disgraziata esistenza, in un episodio della guerra, ucciderà Achille, colpendolo con una freccia proprio al tallone scoperto dalla protezione di invulnerabilità, ma sarà a sua volta colpito dai dardi di Filottete un combattente greco, zoppo. Egli ferito, invoca la presenza di Enone sperando che possa guarirlo dalle ferite ma Enone giunge troppo tardi e Paride muore. Il resto è la conclusione ripetitiva della scena che ha iniziato il romanzo. Enone, dopo aver scritto una lettera di addio, non resiste al dolore e si getta da una finestra sulle fiamme che sprigiona la pira sulla quale giacciono le spoglie di Paride.  Ma, tuttavia, le sue ceneri risorgono nel corpo di una Fenice che vola alla volta del monte Ida dove c’è suo figlio, Corito, che in volo vuole rivedere per l’ultima volta. La tragedia è finita e la nostra scrittrice ha mostrato, con una prosa accattivante, morbida e leggera, oltre che una fervida immaginazione, serie capacità di regia rappresentativa, supportate oltre che dalla sua diamantina cultura umanistica da una lunga esperienza professionale di educatrice e di insegnante. Complimenti vivissimi.

VITTORIO SARTARELLI

 

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Esce “Il sospiro di Medusa”. La nota performer maceratese Morena Oro destruttura il mito classico e denuncia l’ipocrisia

A cura di Lorenzo Spurio

Allora l’esser mostro mi consola, 

riabilita l’anima mia intoccabile

ormai da qualsiasi dissacrazione.

È uscito da poche settimane il nuovo libro di poesie della poetessa e performer maceratese Morena Oro, Il sospiro di Medusa, per i tipi di Le Mezzelane Editore di Santa Maria Nuova (AN). Il titolo, evocativo nei suoi legami più classici al noto mito di Medusa, richiama da subito un universo altro e sospeso immergendoci in un’alterità mitologica dalla quale, però, la Nostra subito intende smarcarsi; difatti nella sinossi da lei scritta e diffusa sul sito della casa editrice leggiamo: «La Medusa di Morena Oro si ribella all’interpretazione stereotipata del mito che la riguarda, vuol prendere coscienza del proprio ruolo all’interno di quella mitologia e stravolgerlo, sovvertirlo, farlo avanzare verso l’infinitudine delle possibilità ancora sconosciute ai più […] Questa Medusa sospirante non è che il mostro che ha compassione di se stesso, che si ama profondamente accettando la propria condizione divenuta simulacro della negazione degli altri al cospetto delle proprie deformità interiori. […] In ogni donna uccisa, decollata nel sonno, urla il mostro arbitrariamente giustiziato di Medusa».

La storia del mito di Medusa, che è ben nota ai più, è bene a questo punto richiamarla per una ragione semplicissima, ovvero per poter comprendere come poi, col suo lavoro, Morena Oro abbia operato secondo un approccio de-costruttivista (Guy Debord decostruiva spazi, qui si decostruisce miti), riscrivendone le peculiarità di questo personaggio diabolico e misterioso al contempo. De-costruire, che è un atto automatico e rigenerativo, prevede una sperimentazione autentica che porta a una nuova “costruzione”: la Medusa di Morena Oro, pur avendo senso per essere ciò che è e che comunemente noi concepiamo richiamando la mitologia e i riferimenti classici è, però, anche altro, perché ricaricata di un significato che l’autrice stessa ha deciso di affidarle.

L’etimologia di “medusa” sembra essere dubbia al punto tale che vi sarebbero varie idee al riguardo. L’idea preponderante che viene comunemente presa come maggiormente valida è quella di vedere la parola quale derivato del nome proprio di Medea il cui significato ha a che vedere con la capacità attrattiva e seducente, dell’ammaliare. Medusa si contraddistingue per essere un mostro alato dalle sembianze femminili, creduta come la più orribile e l’unica delle tre Gorgoni a non essere immortale.[1] Dal nome di Medusa deriverebbero terminologie la cui comprensione è facilitata se si pensa al comportamento della divinità, che hanno scarso impiego nell’uso comune della lingua: “medusare” quale sinonimo di “ammaliare” e “meduseo” ad intendere qualcosa che abbia natura ambigua e sinistra: ammaliante e tremenda al contempo o che si riferisca a qualche peculiarità fisica della divinità (la capigliatura con serpenti o la prerogativa pietrificatrice). Risulta dunque utile ed elemento di contestualizzazione ricordare l’origine classica del mito di questa figura ammaliante e intimorente; ne Le Metamorfosi[2] di Ovidio la vicenda di Medusa è contenuta nei Libri IV e V:  figlia di Forco, di lei si parla della “potenza del mostro” (Libro IV, v. 745)[3] e come “orrenda Medusa” (Libro IV, v. 784) e delle sue peculiarità trasformative da animato a inanimato (in roccia, per l’esattezza): “Per aver guardato la Medusa, erano stati mutati in pietra, perdendo la loro natura” (Libro IV, vv. 781-782). Medusa è l’unica “delle sorelle [che] portasse i serpenti intrecciati ai capelli” (Libro IV, vv.792-793), essere malevolo la cui fine, forse, ripaga della malvagità della sua essenza capace, però, di una progenie buona, il poco noto Crisaore, capostipite di una schiera di giganti.

La prima presentazione del volume si terrà a Corridonia (MC) il prossimo 28 ottobre presso l’Officina delle Arti. Il volume sarà presentato dal Direttore Editoriale de Le Mezzelane Casa Editrice, Rita Angelelli assieme alla dottoressa Loredana Finicelli (storica dell’arte) e Lucia Nardi (poetessa e critico letterario). Durante l’evento, che avrà inizio alle ore 17:45, l’autrice farà la performance omonima Il sospiro di Medusa.

In precedenza a questo lavoro, Morena Oro ha pubblicato i libri di poesia Affetti collaterali (2011), Anima nuda (2009), Autopsia del mio demone (2013) e Memorie dell’acqua (2017). Tra le sue ultime performance poetico-danzanti vanno ricordate “I mondi fluttuanti”[4] (Treia, gennaio 2018; riproposta a Montecassiano nell’aprile dello stesso anno) e “Dea ex Machina” (Ancona, luglio 2018). Alla scelta oculata e avvincente dei testi proposti e recitati con particolare verve – a seconda delle esigenze comunicative – Morena Oro non ha mai celato il fatto che ciascuna cosa, secondo lei, abbia una veste esoterica e, pertanto, gli oggetti sono sia quel che rappresentano ma anche il loro ‘simulacro’ ovvero la loro elevazione immaterica.

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La camaleontica poetessa Morena Oro, autrice del libro “Il sospiro di Medusa” (Le Mezzelane Editore, 2018)

Come si evince da alcuni titoli risulta evidente l’elemento dell’acqua[5] nel percorso poetico dell’autrice ed è ella stessa a rivelare significati reconditi e simbologie, richiami evocativi e misterici che essa, quale elemento fluente, assomma a sé: «Quindi acqua come elemento di trasformazione, flusso, conoscenza, come simbolo di qualcosa che non è mai uguale a se stessa pur essendo la stessa.  […] Acqua come purificazione, come lavaggio, come ascesa nello spirito, acqua come elemento malleabile che prende la forma di quello che riempie, al tempo stesso forza dirompente in grado di scavare la roccia con infinita pazienza e tenacia, di spazzare via tutto in maniera incontenibile.  Elemento che dà la vita ma anche la morte. […] Tutto si muove sempre come in una danza trasformandosi in qualcosa d’altro».[6] 

Per ricondurre il discorso all’oggetto principe di questo articolo, ovvero il nuovo libro di Morena Oro, credo che non ci siano migliori parole che quelle della stessa che, pur che fornirci una chiave interpretativa – come troppo spesso vien fatto in testi anticipatori o a preambolo – volutamente rende il tutto più ingarbugliato, diremmo enigmatico, con uno scopo fondamentale: quello di procedere nella lettura con consapevolezza e ragionamento. Poesie che vanno percepite per quel che sono, certo, ma che abbisognano di una introspezione propria per poter percepirne le vere ragioni che in qualche modo le hanno originate. La bellezza[7], da canone estetico e motivo di diagnosi sofisticata, diviene condizione labile da accettare nel suo deterioramento, scantonando meccanismi ipocriti che mascherano la realtà[8] o in qualche modo la distorcono impedendone il fluire proprio. Ecco, allora, che, nella macro-forma del ‘mostro’ che da sempre intimorisce ma apre alla perplessità che Morena Oro dibatte con questo libro in cui Medusa non è solo creatura ferina ma anche emblema di lotta, divenendo espressione di una rinata coscienza che può riaffiorare, pur con difficoltà, a seguito di un dato percorso che consapevolmente si è imboccato e percorso. Così scrive l’autrice: «Nell’epoca in cui si rincorre la bellezza artificiosa elevando a status l’immagine effimera di se stessi, l’unica maniera di affrontare il mostro che alberga in noi […] è aggirarlo alle spalle, coglierlo nel sonno e decollarlo, cancellandone il volto, negare perciò quella identità che risiede nei tratti somatici che lo scorrere del tempo acuisce, svilisce, rende sempre più marcati […]. Tagliare la testa di Medusa vuol dire quindi rendere sopportabile il mostruoso, il diverso, esponendo solamente il suo simulacro, la sua icona, il suo trofeo».

Le considerazioni poste in questo suo testo, che meriterebbero davvero pagine e pagine di analisi e approfondimenti, mostrano già di per sé la natura profondamente riflessiva, profonda e investigativa dell’animo della Nostra, unita a una critica velata, eppure percepibile, dinanzi a tendenze diffuse o, si dovrebbe dire, a mode comuni e automatiche, riproposte in maniera sciatta e priva di fondamento razionale spinte dall’ottenimento di un risultato assurdo che, in parte si raggiunge, con i suoi strascichi di un’insoddisfazione crescente che si autoalimenta.

Parlando della nostra società, riflettendo adeguatamente su alcuni comportamenti diffusi che si realizzano, l’autrice così annota: «Ogni epoca, di fatti, ha i propri mostri da distruggere, da decapitare, da affrontare evitando di guardarli negli occhi per non sentirne il peso e la storia. Vogliamo […] uccidere la caducità, il sentimento di precarietà percepito come mostruoso, pauroso, inaccettabile […], attraverso la perdita sistematica della sfera umana legata alla sensibilità, al sentimento, alla dimensione imprescindibile dello spirito e dell’anima». Tale tentativo di uccisione, di sparizione coatta, di meschino travestimento e, dunque, di rifiuto del normale scorrere del tempo con la soppressione dell’istinto e della passionalità ricorda, per certi versi, il motto vanaglorioso dei futuristi che, in un manifesto, inneggiavano a un’azione tanto nefanda quanto illusoria, quella, appunto, dell’ “uccidere il chiaro di luna”. Parimenti, in questo manifesto scritto e pubblicato in francese nel 1909 e in seguito, nel 1911 in italiano, Marinetti inseriva, in una narrazione di guerra, il celebre motto che avrebbe impiegato in un discorso nella città di Venezia nel quale si scagliava contro il sentimento, che in ogni modo, doveva esser appiattito: «Quando gridammo “Uccidiamo il chiaro di luna!” noi pensammo a te, vecchia Venezia fradicia di romanticismo! Ma ora la voce nostra si amplifica, e soggiungiamo al alte note: “Liberiamo il mondo dalla tirannia dell’amore! Siamo sazi di avventure erotiche, di lussuria, di sentimentalismo e di nostalgia”!».

Il discorso sulla bellezza che Morena Oro anticipa nel testo d’apertura e al quale dà forma nelle liriche del volume sembra un continuum ragionato e una sorta di risposta a un serrato contraddittorio sulle potenzialità tremende di Medusa, donna malvagia e anfibia, vittima ella stessa del male e della dominazione e che, di contro al suo potere disumanizzante verso gli altri, non ha il dono dell’infinitudine, della conservazione illimitata, della perdurante esistenza contro qualsiasi limite imposto al regno dell’umano. Ovidio, per bocca di un imprecisato “straniero”, a conclusione del Libro IV così riporta in relazione a Medusa, donna affascinante e terribile al contempo: «La sua fu una bellezza eccezionale e motivo di speranza e di gelosia per molti pretendenti; ma in lei tutta non ci fu una parte più bella dei capelli; ho incontrato qualcuno che diceva di averli visti. Si narra che il signore del mare la stuprasse nel tempio di Minerva: la figlia di Giove si voltò indietro, coprendosi i casti occhi con l’egida; ma, perché questo crimine non rimanesse impunito, trasformò la chioma della Gorgone in serpenti ributtanti. Anche ora, per atterrire e sbigottire i nemici, la dea porta sullo scudo stretto al petto i serpenti che fece nascere».

In qualche modo è insita, seppur celata, una forma di debolezza arcaica in Medusa, la cui sevizia sessuale sofferta ha probabilmente deviato la sua propensione sociale verso l’alterità, decidendo di attuare, parimenti alle sorelle, in maniera spregiudicata, vendicativa e molesta contro gli altri. Ma «nessuna donna è mai tanto bella/ come quando può essere fragile,/ fragile come un grappolo»[9] come scrive Morena e, in effetti, Medusa è affascinante, attrattiva e seducente ma in lei è celato il pericolo. Si faccia, però, attenzione che Medusa non dà direttamente la morte: non uccide, non trafigge, non decapita né dissangua (sorte che capiterà a lei), semplicemente opera trasformando la materia, riducendo a uno stato di inabilità e di soppressione degli istinti vitali. Il prodotto finale del suo agire, pertanto, non è il dar la morte, ma il tramutare. Nell’omonima poesia dell’autrice che dà il titolo all’intera raccolta netta e perentoria è la condanna verso l’universo maschile, patriarcale, negletto, che si è arrogato il diritto di padroneggiare su tutto. L’episodio della violenza sessuale sofferto da Medusa da derivarne – possiamo ipotizzare – oltre a un’onta corrosiva e un trauma logorante, diviene urlo carico di sprezzo: «Siate voi maledetti, uomini e divinità,/ che avete brutalizzato la mia innocenza/ quando era un soffio di grazia ineffabile,/ inginocchiata nel tempio di Atena/ a render venerazione alla sua potenza,/ ero avvolta nel vapore setoso dei miei capelli d’oro/ e non intendevo ancor ragione del perché/ la bellezza scateni implacabili vendette».

La denuncia va ben oltre ed assume una carica ancor più dirompente: non è solo l’uomo, meschino e usurpatore, ad essere imputato del peccato commesso con l’uso della forza ma anche – cosa ben più grave e ingiuriosa – la stessa Atena, divinità della sapienza, che, nel tempio dove ha dimora e dove si è svolto il misfatto, non è intervenuta per proteggere Medusa né deplora l’accaduto. Qualcosa che fa pensare alla vicenda della giovane Tamar che, stuprata con l’inganno dal fratello Amnon, nel racconto biblico non viene difesa dal padre di entrambi, il re David, che preferisce non castigare il figlio né mostrarsi solidale con la figlia. Nella Bibbia, come nei testi mitologici, lo stupro e l’incesto sono all’ordine del giorno e sono resi ancor più dolenti perché la vittima è costretta a permanere nel contesto ambientale nei quali li ha subiti, senza che vi sia una compartecipazione concreta al dolore sperimentato. Così l’autrice denuncia veemente: «Atena non sia lodata per la sua sapienza/ ma si erga trionfante come casta protettrice/ del più incallito e secolare maschilismo,/ la dea guerriera che infierisce sulla vittima/ invece di scagliarsi contro lo stupratore».

C’è in Morena Oro un’attenzione continua verso l’universo femminile, di quelle donne in qualche modo ingiustamente silenziate o tenute ai margini, di quelle donne timide e taciturne, che si sentono vulnerabili e non capite, la cui identità è scissa e percepita come problematica, non conformiste, difficilmente catalogabili, estranee, spesso, in un corpo che non riconoscono completamente. Ecco alcuni versi, che reputo di alta intensità lirica e di pregnante corporeità, di precedenti lavori della poetessa che, in chiusura, vorrei richiamare: «Siamo fatti di ferite,/ paesaggi scomposti/ di croste aride/ e abrasioni fresche,/ piaghe che il tempo non asciuga,/ infezioni arrossate che le medicine/ non possono stroncare.// …/ Siamo un planetario/ dove localizzare le nostre esplosioni»[10] e, ancora, nell’affascinante “Kintsugi”, metafora di un mondo lacerato eppure ricco ed espressivo: «Preferisco le persone rotte./Accasciate. Rappezzate./ Tenute insieme col nastro adesivo./ Amo le persone resuscitate mille volte.// […]/ Sono uguale ai perdenti nati,/ che hanno paura di tutto/ ma non si spaventano con niente».[11]

Medusa: mostro aberrante o carne dilaniata? Ecco, forse, quale potrebbe essere l’ambizione massima del filosofare d’oggi: «dissotterrare la poesia/ laddove ci sono solo sequenze».[12] Questo, nel ricordo certo eppure slavato nei dettagli, di quelle “memorie d’acqua” in cui «l’acqua on pensa,/ riflette-/ il cielo si specchia»[13], alla maniera di una formula da fare propria, scevri da briglie strette perché, per dirla con Juan Ramón Gómez de La Serna, se «l’acqua non conserva la memoria [e] per questo è così pulita», navighiamo sempre in acque fosche e dense di pulviscolo.

Lorenzo Spurio

Jesi, 17/10/2018

 

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NOTE

[1] Tale condizione è ricalcata dalla stessa autrice nella poesia che dà il titolo all’intero lavoro: «Io diversa lo fui da principio,/ di tre sorelle ero l’unica mortale,/ a me toccava, a lor differenza, d’invecchiare,/ di vivere col giogo del tempo intento/ a rosicchiare senza requie la mia beltà».

[2] Il riferimento a Ovidio non ha da esser considerato come forzato o causale. Nell’opera poetica di Morena Oro, a più livelli ed espresso in forme varie, ricorre il tema del cambiamento e della metamorfosi. In un testo poetico amoroso così si legge: «Ogni ferita col tempo/ si trasforma/ in raffinatissimo ricamo» (MORENA ORO, Memorie d’acqua, Simple, Macerata, 2017, p. 132) e in altri ancora: «Qui tutto muta ritornando sempre se stesso./ Come una fontana, zampilla, crea giochi d’acqua,/ si mescola e ritorna a zampillare./ Sempre diversa. Sempre uguale.// Tutto scorre/ ma non lo sa./ È sempre uguale/ la grande fontana della vita» (Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 215); «Guardare gli alberi/ è l’arte di/ osservare il mutamento» (Memorie d’acqua, Op. Cit.., p. 231), «Continue rinascite,/ laboriose metamorfosi che trasmutano/ quello che non passa in cieca esultanza» (MORENA ORO, Il sospiro di Medusa, Le Mezzelane, Santa Maria Nuova, 2018). Pochi versi più in là ci si riferisce ancora alla violenza quando l’autrice richiama l’estrema bellezza di Medusa e la carica di fascino che la sua sontuosa capigliatura trasmetteva agli altri: «Nel tempio di Atena fui concupita./ Gridai, mi negai e mi nascosi/ dietro la sua sacra effige ma quei miei capelli/ luminosi erano invitanti traditori».

[3] Tutte le citazioni da Le metamorfosi sono tratta da questa edizione: Ovidio, Le Metamorfosi, a cura di Nino Scivoletto, testo a fronte, UTET, Milano, 2005.

[4] A questo importante comparto concettuale dell’autrice, magistralmente inscenato nella suddetta performance, possiamo ascrivere l’omonima lirica, “Il mondo fluttuante”, nella quale leggiamo: «Tutto ciò che scrivo,/ ormai, sopravvive/ solo pochi momenti./ […]/ E più questa forma mi si avvicina/ più brevemente sopravvive» (Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 150).

[5] Un aforisma dell’autrice così recita: «Sulla sponda/ del fiume, ascolto./ L’acqua canta» (Memorie d’acqua, Op. Cit.,  p. 79). Curioso osservare che Pegaso, uno dei due figli di Medusa nato dal suo sangue che sgorga una volta che viene decapitata da Perseo, sia collegato con l’elemento dell’acqua. Nella sua etimologia più accreditata, di origine greca, “pègaso” deriverebbe da “fonte, scaturigine” e “generare” adducendo come giustificazione del termine che egli è «nato presso le fonti dell’Oceano o, perché aveva, come narra la favola, fatto con un calcio scaturire sull’Eliconia il fonte Ippocrene […] le cui acque destavano l’estro poetico in chi lo beveva» (Dal Dizionario Etimologico Online, www.etimo.it) Dalla narrazione di Ovidio, in merito alla genesi di Pegaso, leggiamo: «Mentre un sonno profondo teneva avvinte le serpi e lei [Medusa] stessa, le [Perseo] troncò il capo dal collo: dal suo sangue erano nati il veloce Pegaso alato e il fratello» (Metamorfosi, Libro IV, vv. 784-786). Al personaggio di Perseo la poetessa ha dedicato una lirica dal titolo “Perseo e lo scudo” nella cui chiusa si legge: «Quando tutto urla così silenziosamente/ sembra che esista solo l’assenza» (Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 22) mentre nel nuovo libro si sottolinea la sua genesi dal fluire del suo sangue per scannamento: «Perseo, ti dono tutto il mio sangue/ dal quale Pegaso si leva in volo/ risorgendo dalla mia grazia violata» (Il sospiro di Medusa, Op. Cit.).

[6]  Estratti da una conversazione privata avuta con l’autrice nei mesi scorsi.

[7] Cito ancora dalla nota che descrive il nuovo volume: «L’ingiustizia della bellezza che sfiorisce, della vita che ci segna e ci condanna in modi e condizioni che non abbiamo scelto ma che dobbiamo subire […], trovano a volte riscatto illusorio nell’accanimento contro il mostro riflesso che eleviamo a unica degna rappresentazione delle nostre paure […]. Nessun essere umano potrà mai sottrarsi al gioco degli specchi. […] Siamo chiamati a trovare il coraggio di mostrare ciò che siamo davvero».

[8] Cito dalla poesia “De Profundis”: «Scegliti la maschera per oggi./  Possiamo fabbricarne a iosa./ Tutte sono vere./ Nessuna lo è.// In profondità tutto si distorce./ Non c’è chiarore./ Nessuna ferma definizione./ La verità ama nascondersi» (Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 122).

[9]  Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 232.

[10] Poesia “Fiabe sfatate” in Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 73.

[11] Poesia “Kintsugi” in Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 90.

[12] Poesia “La sezione aurea del detto” in Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 116.

[13] Haiku contenuto in Memorie d’acqua, Op. Cit., p. 119.

 

La riproduzione del presente testo, in forma di stralcio o integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dell’autore.

Gabriella Cinti: la presentazione del libro “Madre del respiro” a Jesi il 20 ottobre

Nel libro, il dialogo con le divinità greche e il canto dell’antico

Sabato 20 ottobre alle ore 17:30 presso la Sala Maggiore del Palazzo dei Convegni di Jesi (Corso Matteotti n°19) si terrà l’attesa presentazione al pubblico del libro “Madre del respiro” (Moretti & Vitali, 2017) della poetessa e performer jesina Gabriella Cinti.

L’iniziativa, organizzata dall’Associazione Culturale Euterpe di Jesi, verrà introdotta e presentata dalla poetessa Michela Tombi. Durante l’evento, nel quale la Cinti interpreterà brani poetici del suo libro, si terrà anche un intervento del filosofo Valtero Curzi.

Nel volume “Madre del respiro” la poetessa si affida a un immaginario ancora memore del giardino edenico. In esso vive la magia rivelatrice di ciò che è realmente ed essenzialmente iniziale. Il suo volume è da intendere come forza della vita, come spazio che le macchine non possono soffocare.

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Chi è l’autrice?

Gabriella Cinti, in arte “Mystis”, è poetessa, saggista, scrittrice e performer. La sua attività poetica si è ben coniugata, nel corso degli anni, alla sua volontà di “vivere i testi antichi nel suono della parola e nella scrittura”. Da diversi anni si occupa di poesia, mitografia, antropologia e archeologia delle lingue europee e soprattutto di poesia greca antica di cui è stata voce in varie manifestazioni artistiche o teatrali quali “Festivalia nella Marca” (2006) e più recentemente a “Senigallia Sotterranea” (2017) e “MythosLogos” a Lerici (2017).

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La poetessa e performer Gabriella Cinti

Del ricchissimo curriculum letterario della Cinti citiamo le altre sue pubblicazioni poetiche: “Suite per la parola” (2008), “Il canto di Saffo-Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci” (2010), “Euridice è Orfeo” (2016). Alcune sue poesie sono presenti su riviste; ha pubblicato, inoltre, numerosi saggi per riviste specializzate tra le quali “Mosaico”, edita a Rio de Janeiro dalle università del Brasile. Tutti i suoi lavori sono stati meritevoli di premi e riconoscimenti in concorsi letterari e internazionali tra i quali: Premio Nabokov, Premio Albero Andronico, Premio Città di Cattolica, Premio al “Cinque Terre-Golfo dei Poeti”. Recentemente ha vinto il Premio “Ascoltando i Silenzi del Mare-Isola d’Elba” con la silloge “La lingua del sorriso: poema da viaggio”, di prossima pubblicazione.

 

INFO:

www.associazioneeuterpe.com

ass.culturale.euterpe@gmail.com

Tel. 327-5914963

Il bando di partecipazione del Premio letterario “Eyelands Book Awards” per opere edite/inedite in lingua inglese

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EYELANDS BOOK AWARDS

Eyelands.gr literary magazine in collaboration with Strange Days Books  organize an annual international short story contest, and a flash fiction contest, the only international  story contests based in Greece. Every year, writers from all the continents of the world participate in them.

The short story contest has been running continuously for the past eight years, offering hundreds of writers the opportunity to see their short story printed in one of our collections, created through the contest entries. For many of these writers it is the first time that a story of theirs is printed in a book or featured online. The jury reads all submissions blind.

The English section of  the EISSC contest has been recognized as a truly reliable, fair and serious short story contest. Every year, many reputable websites, such as

https://duotrope.com/, https://www.booktrust.org.uk/, www.justacontest.com, www.londoncomedywriters.com, www.literarylightbox.com
https://www.writersandartists.co.uk/ virtualwritersinc.com,

www.prizemagic.co.uk, www.artsjobs.org.uk, https://www.inkitt.com, http://www.writermag.com, http://creativewriting.ie
http://www.zapmeta.ws, https://nothingintherulebook.com

http://www.allwritemoya.com, http://www.christopherfielden.com

http://www.writersreign.co.uk, https://ilpiacerediscrivere.it/

                                    

and many others all over the world post the announcement of our contest, which has earned its reputation year after year, by honoring all its promises, following the rules meticulously and meeting all criteria that allow a contest to gain respect and recognition on an international level.

The flash fiction contest made a very successful start this year and we are very proud of it but we try another project here, the Eyelands Book Awards

www.eyelands.gr

e-mail:  info@eyelands.gr

Facebook: https://www.facebook.com/eyelands.portal

https://eyelandscontes.wordpress.com/

PRIZES

Grand prize (published books): Five-day holiday in Athens plus a special handmade ceramic designed especially for Eyelands Book Awards and publication (excerpts) online on our website.

Grand prize (unpublished books): Publication from Strange Days Books

Six more prizes one for each category of every section also win a a special handmade ceramic designed especially for Eyelands Book Awards

Certification document for every prize.
Final results are to be announced on December 20th 2018.

The award will be given in a special ceremony in Athens
Award Ceremony: 5th of May, 2019
Place: Polis Art café, Athens, Greece

Judges: Andriana Minou (poetry), Gregory Papadoyiannis (novels, novellas), Antonis Tsirikoudis (short stories)

Entry fee: $30

SUBMISSION GUIDELINES & DATES & DETAILS

Opening: Monday, July 2, 2018

Closing: Tuesday, October 20, 2018 at midnight PST.

Submit your book or manuscript online or via snail mail with a $30.00 entry fee

Eligible submissions include: poetry, novellas, short story collections, novels.

Multiple submissions allowed (with a separate fee for each submission).

Simultaneous submissions allowed, but please notify us if full manuscript is accepted elsewhere. 

Finalists for every category to be announced on November, 20, 2018

Final results are to be announced on December, 20, 2018.

There are no restrictions regarding nationality

Participants must be 18 years old otherwise we need parents’ consent to accept the submission.

Manuscripts must be written in English.

There is no restriction about the form or style of writing. We prefer the pages to be numbered. Files should be uploaded as an MS Word document or PDF. Fill the entry form, copy and paste it in the body of your email.

 

Submit your manuscript to:

eyelandsmag@gmail.com  [or]  strangedaysbooks@gmail.com

or send your book by post to:

Chimarras 6, 74100, Rethymno, Crete, Greece 

 

PRIZES & PUBLICITY

Section: Published books

Grand Prize: A five-day holiday in Athens plus a special handmade ceramic designed especially for Eyelands Book Awards and publication (excerpts) online on our website. Eyelands cover all accommodation costs for the award winner. Air tickets not included. The author must agree to participate in the EBA ceremony (which will be held in Athens at the time of his/her holidays) and the related publicity (interviews e.t.c.).

There will be five finalists for each category.

Three more prizes one for each category also win a special handmade ceramic designed especially for Eyelands Book Awards

Certification document for every prize.

Section: Unpublished books

Grand prize: Publication from Strange Days Books. Released via amazon.com (international release) & from Strange Days Books

Three more prizes one for each category also win a a special handmade ceramic designed especially for Eyelands Book Awards

There will be five finalists for each category.

Certification document for every prize.

For each entry, submit the book, entry form, and $30 fee (via paypal). Registration will be confirmed via email. In December, all entrants will be notified of winners. Please fill in, copy and paste the entry form in the body of your email

ENTRY FORM & PAYMENT

Pay via paypal – See the banner on this website

Click the «buy now» button. Fill the description with: EBA

Entry fee is 30.00 $

* After the payment is complete, you can send the email with your manuscript as an attachment and the entry form completed, copied and pasted in the body of your email

*An email confirmation that your entry has been received will be sent within three/four days

* We do accept simultaneous submissions

* Every writer can submit more books with the payment fee of $30 for every one of them

* Name and address of the author are to be submitted only in the body of the email

*There is no fee for the first prize winners of previous eyelands international short story contests

*Click here to download the entry form: ENTRY FORM_EBA

*All books must be published between September 20, 2016 and September 20, 2018.

 

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1/Full-length books of fiction (novels or novellas)

2/ Collections of short stories by one author

3/Collected and selected poems by one author*                            

*any novel (up to 500 pages)  or book of poetry (up to 250 pages) written by a single author is eligible

EBA follows the CLMP Contest Code of Ethics.

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the Judges

ANDRIANA MINOY/ POETRY

Andriana Minou is a Greek writer and musician living in London since 2004. She holds an MA in Performing Arts and a PhD in Piano Performance. Her short story collection, Underage Noirs was published in 2013 by Strange Days Books. Her second book, Dream-mine, an experimental novel in the shape of a labyrinth, was published by the same publisher in 2017 while its English version has also been published by Verbivoracious Press in a Festschrift about the Oulipo Movement. Dream-mine was recently presented in the form of a performance and installation as part of UNESCO’s Athens 2018: World Book Capital. Her work as a writer has been included in several anthologies and literary journals in Greece such as Geometry of an invisible generation (Mandragoras), codepoetry (Athens plaython), Autumn Stories and Sandgraphs (Strange Days Books), entefktirio, poetix. Her texts have also featured in literary journals in the UK and the US, such as The Paper Nautilus, rattle journal, FIVE:2:ONE, typehouse magazine and in the anthology, A six-pack of stories (Story Brewhouse). Andriana also writes librettos, song lyrics and texts for performances that have been presented around the world (Athens, Amsterdam, London, Berlin, Zurich, New York and more). She has also translated Gregory Papadoyiannis’ novel, The Baby Jazz, published by Fomite Press. In 2017 she was one of the selected writers at the Young Writers’ Festival of Thessaloniki International Book Fair. For the past four years she has co-organised Sand Festival, the only literature festival on the Greek islands.
www.andrianaminou.com

 

ANTONIS TSIRIKOUDIS / SHORT STORIES

ΑntonisTsirikoudis was born in the mid-seventies on World Poetry Day, but stopped writing poetry when he was twelve, devoting his creative force to prose. Short stories of his have been included in various anthologies, and in 2016 Paraxenes Meres published his first book, “When you least expect it”, a collection of 33 short and very short stories. Since then, he is focused on his first novel. He has also participated in the writing of a novel with another 11 writers, and has translated literature from English, and Spanish. Before moving to Crete, he lived in Sydney Australia, and Tallinn Estonia. He has been living in Heraklion city for the past seven years, with his partner, two dogs and a cat, teaching literature and Greek language in a high school. Any opportunity given, he travels, mostly to places he hasn’t visited before, next one being India. He has a degree in Philosophy, and an MD in Special Education. He speaks English, Spanish and reads Portuguese and Russian. When not writing and teaching, he loves cooking and entertaining.  For the past four years he has co-organised Sand Festival, the only literature festival on the Greek islands.

GREGORY PAPADOYIANNIS / NOVELS

Gregory Papadoyiannis graduated from the Law and Journalism Schools, studied cinema direction and worked at newspapers, magazines, radio and television, initially as a sports editor and later as a columnist and editor.  At the same time, he worked as a translator of literature books in collaboration with several publishing houses and translated books by William Faulkner, Francis Scott Fitzgerald, Jack London, Marc Twain etc. into Greek.

In 1991, he was awarded the national prize for young playwrights at the competition of the Ministry of Culture for his play The situations. He was awarded the second prize twice at the same competition, in 1995 and 1999. He has translated theatrical plays by authors such as David Mamet and Tennessee Williams for the purposes of performances in prestigious theatres of Athens. He has also worked as a director’s assistant at the National Theatre of Greece as well as the Theatre of Thessaly. He has been involved with the cinema as well; as a director of two short films that were screened in Greek film festivals and as a script-writer for feature and short films. He has also worked as a script-writer and director’s assistant in several television series.

Gregory is a co-founder, administrator and writer for the books & cinema section of the website http://www.eyelands.gr .  He is the curator for the only Greece-based international short story competition, run by http://www.eyelands.gr . He also co-ordinates and leads a series of workshops on creative and collaborative writing all over Greece. After living in Athens for several years, he now lives in the island of Crete. He currently works as a translator and editor for Strange Days Books Publishing (www.strangedaysbooks.gr ) He is co-founder and has co-organised Sand Festival, from 2015 among with Andriana Minou and Antonis Tsirikoudis.

PUBLICATIONS IN GREEK
– To the Almighty, hereunto, comic album, 1988
– The situations, play, 1992
– The Philadelphus case, science fiction novelette, 1999
– Sniff, novel, 2008 (first edition: Empiria Ekdotiki (2008) third edition: Strange Days Books 2014)
– The city beyond the river, short story collection, 2011
From this collection: The short story The Whole Family won the third prize in the literary contest of the Greek online magazine “Stella’s Literary bistro” (2011) and was shortlisted at the International Annual Fish Short Story Competition.  The short story The city beyond the river was shortlisted and Highly Recommended at the Tom Howard Short Story Contest (2009).

PUBLICATIONS IN ENGLISH
– 52 eyelands, a sentimental guide through the Greek islands (2013, Strange Days Books)
– Greece: The child that never grew up, short story included in Stories for our Time, an Interactive Exhibition from LibArts London (London School of Liberal Arts, 1 May – 31 July 2013)
-The city beyond the river, short story included in the anthology Future eyes of PaleHouse Magazine (2012, Los Angeles, California, http://www.palehouse.com/FE-Papadoyiann.html)
The Whole Family, short story included in Jakes Monthly anthology of Magic Realism
In the Majestic’s nest, short story published in Foxing Quarterly (2013, print-only literary and arts journal published in Austin, Texas)
– An excerpt from his novel “Sniff” was posted to the European Literature Network (June 2017)  http://www.eurolitnetwork.com/authors-pitch-sniff-by-gregory-papadoyannis/
– His novel «The baby Jazz» released in USA from Fomite books in February 2017
– His comic album Ephemera/Life is short released in Greece on December, 2016. Two of the stories from the album published in Porcupine, an anthology of poetry, art, and short stories from 23 contributors across the globe, on November 2017.

papado374@gmail.com
https://gregorypapadoyiannis.wordpress.com/

the Artist

Costis Malousaris was born in 1972 in Athens. There he studied photolithography and graphic arts. In 1997, along with friend Margarita Leousi, they made the fanzine “walk in the Park”. From then until 2009, he did not stop writing texts, but did not consider it necessary to publish them. He worked for two years at the publishing house ‘Astir’. He was a key contributor to the literary magazine “Fortezza”. He participates as a publishing consultant in the publishing group “Strange Days”. Fifteen years ago he decided to live in Rethymno, Crete.  A series of unrelated at first glance events, people and situations led him to earn his living through creating and selling of ceramic objects.

He studied for more than two years next to the pottery makers Giorgos and Natassa Vardaxi in Rethymnon, who taught him a lot but mainly to dare to become a “self-taught”, to experiment with techniques, search for his own ways and not to be afraid to narrate stories he wanted to tell using instead of words his own hand-made ceramics .

He manufactures objects mainly from stoneware clay and combines clay, oxides, paint and glass techniques to create pleasant, face-to-face, use-and-touch objects. The electric furnace and the high temperatures allow for results that he likes to call space therapy objects, always with the challenge of being able to do what inspires you your imagination within the strict discipline required by pottery art.

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the Trees

With Kafka’s “Art needs craft more than craft needs art” as a basic principle, I strive to find the balance between pleasure and the therapeutic quality of making, creating objects and the additional achievement of making a living and acquiring recognition through it.

Everyday objects and familiar forms giving the sense of security and familiarity offer a chance for me to present my perspective, my emotion, even my compulsion accompanying the merchant’s and artist’s worries.

Trees, a symbol of power and tranquillity, of a life intense yet discreet, have always been a reference point in my journeys, real and mental – spiritual and material. Especially the olive tree, the most prominent tree of Crete, a symbol of the struggle for endurance as well as prosperity in Cretan culture, has been a source of inspiration and a bright spot. I therefore consider trees and the olive tree in particular, a symbol equal to an author’s endeavour, inspiration and labour.

Costis Malousaris

Intervista a Franco Pastore. A cura di Lorenzo Spurio

Intervista a Franco Pastore
A cura di Lorenzo Spurio 
 
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LS: Quando cominciò a scrivere i primi versi? La sua prima produzione era influenzata da poeti e scrittori che ha letto durante l’adolescenza? Quali?

FP: Cominciai a scrivere versi alle scuole medie, ma erano più satire che poesie. Ne ricordo, infatti, una sul mio paese, che evidenziava l’assenza di strutture e la scarsa igiene delle salumerie. Dopo una pausa piuttosto lunga, iniziai a scrivere versi al liceo, ispirato dai classici greci e latini. Ricordo che  polarizzarono la mia attenzione le traduzioni delle brevi poesie di Saffo ed Alcmane: «εδουσιδʼρέωνκορυφαίτεκαὶφάραγγες dormono le cime dei mon-ti, le vette e le valli…»; per non parlare di Pindaro: « luomo è lombra di un sogno ». La poesia latina invece faceva riflettere, ma comunque impazzivo, dell’Eneide, per i magnifici versi sulle nozze di Didone ed Enea. E che dire dei canti di Catullo, dove esterna il suo amore per Lesbia: «Dà mi bàsia mìlle, dèinde cèntum,… dammi mille baci, poi ancora cento…».  Fu  molto più tardi che fui attratto dalla poesia di Montale, dopo che avevo dedicato circa un quinquennio  al Leopardi. Verso i ventisei anni, mi dedicai alla letteratura russa, che abbandonai poco dopo il servizio militare, il mio preferito era Puskin. A trent’anni iniziai ad avvertire il fascino della poesia dialettale, soprattutto per i versi in romanesco ed in napoletano: Trilussa, Guglielmo Somma ed Antonio De Curtis. Oggi mi piace molto anche il dialetto siciliano, tanto che molti amici mi inviano le loro composizioni.

 

LS: Oggigiorno sono in molti a definirsi “poeta” per il semplice motivo di scrivere in versi o di spezzare frasi con gli “a capo”. Qual è un suo giudizio qualitativo sulla grande produzione poetica che si è sviluppata negli ultimi anni e quale tendenze/espressioni preferisce di più?

FP: Tutti oggi scrivono poesia, un po’ è una moda, ma forse è un escamotage per non essere annullati come persone umane. Il valore poetico? è rapportato alla superficialità della cultura e ad un “lavoro scolastico” sempre più povero di contenuti. Ma non mancano intuizioni liriche notevoli, magari espresse con mezzi espressivi inadeguati, ma pur sempre notevoli. Là dove è presente la cultura, anche la poesia si tracima in atmosfere ricche di toni e di pispigli. Tuttavia, non ho molta simpatia per i fraseggi e  gli assembramenti di fonemi ritmati e non, che chiamano in modi diversi, ma sono sciocchezze assurde alcuni, altri pura follia.

 

LS:  Uno degli esponenti di spicco della celebre “generazione del ‘27” assieme a Rafael Alberti, Luis Cernuda e Federico García Lorca, fu Pedro Salinas (1891-1951), importante anche per il suo impegno sociale. Salinas viene ricordato come uno dei maggiori “poetas amorosos” grazie a una serie di sillogi di importante levatura quale La voz a te debida (1933), Razón de amor (1936) e Largo lamento (1938). Le propongo la lettura di “Per vivere non voglio” (“Para vivir no quiero”) tratta dalla silloge La voz a te  debida:

Per vivere non voglio

isole, palazzi, torri.
Che grandissima allegria:
vivere nei pronomi!
Ora togliti i vestiti,
i connotati, i ritratti;
io non ti voglio così,
travestita da altra,
figlia sempre di qualcosa.
Ti voglio pura, libera,
irriducibile: tu.
So che quando ti chiamerò
in mezzo a tutte le genti
del mondo,
solo tu sarai tu.
E quando mi chiederai
chi è colui che ti chiama,
colui che ti vuole sua,
seppellirò i nomi,
le etichette, la storia.
Strapperò tutto ciò
che mi gettarono addosso
prima ancora che io nascessi.
Poi, tornando all’eterno
anonimo del nudo,
della pietra, del mondo,
ti dirò:
“Io ti voglio, sono io”.

 

FP: Se fosse possibile liberarsi di ogni preconcetto, di ogni ipocrisia, se fosse possibile liberarsi di mode, aggettivazioni che allontanano e distinguono, che grande cosa sarebbe l’uomo, nel suo relazionarsi con l’altro, con se stesso e con il mondo! E’ un po’ il concetto del nosce te ipsum, quella conoscenza del sé, nudata di ogni struttura fuorviante, di quello che è stato imposto da subculture e dottrine finalizzate, o da ignoranze ataviche, inculcate per tradizione, un γίγνωσκε σαυτὸν, alla maniera degli esoterici. Ecco come i poeti sognano e proiettano sull’anima i propri sogni.

LS: L’idea di questa intervista è quella di poter diffondere le varie interpretazioni sulla Poesia e in questo percorso ho ritenuto interessante proporre a ciascun poeta alcune liriche di poeti contemporanei viventi, per richiedere un proprio commento-interpretazione. La prima poesia che Le propongo è “Rami di mirto”[1] di Antonio Spagnuolo[2] 

 

Nel triste regno dei fantasmi il tuo fantasma

è straniero, quale fantasia che cambia colori,

sorpreso a beffare la vecchiaia,

che intorpidita sospende i miei segreti.

Qualche rimorso mi sollecita ancora:

ripiombare nel tempo abbandonato…

Come il nero che in verticale

a fatica ingombra il precipizio,

che per caso è ferita di una verità,

Basta il bagliore di un rapido tramonto,

il riflesso che abbandona lì orizzonte

per ricostruire il lamento delle manchevolezze.

Ormai poche parole inutilmente

percorrono il vermiglio sgranato,

per il sangue che ricuce i frammenti

io ho soltanto del mirto.

 

FP: E’ la liricità che preferisco: infatti, scaturisce dall’animo, come acqua pura di sorgente e ti entra dentro recando una malinconia soffusa, che lentamente si apre, come un fiore sotto il sole di maggio ed espande il profumo tipico del canto, che, dal tramonto rapido, esonda nel rimpianto e nel vivere di … poesia. Alla fine, solo il rimorso per qualcosa che non hai fatto, o che non dovevi fare, ti costringe al ricordo, ma non più di tanto, tutto scompare con il tramonto e le ombre divengono una lunga notte, ricca di silenzio essenziale.

 

LS: Di seguito, invece, Le propongo una poesia della poetessa Elisabetta Bagli[3] intitolata “Tortura”[4], di stile e contenuto molto diverso dalla precedente e sulla quale sono a chiederLe un suo commento:

Nuda, umiliata,

martoriata,
supina sull’asfalto
del mio tunnel,
aspetto.
La sua oscurità mi avvolge,
voglio liberare
la mia esistenza
con pneumatici pietosi
oscillanti sul mio corpo,
macellare la mia carne,
polverizzare le mie ossa.
Speranza incompiuta.
Sei arrivato tu.
Suadente voce
non mi hai permesso
di andare.
Mi hai preso per mano,
portandomi dentro te
nel tunnel buio
della tua anima
costellata di stelle velate
che vuoi scoprire con me.
Pizzichi la mia fantasia
come le corde di quel violino
che non vibrano senza te.
I tuoi ritmi sono dolci e irruenti
come le tue parole,
leggeri aliti di vento sul mio collo,
come il tuo vegliare su di me
mentre annusi la mia essenza.
Mia lenta,
inesorabile tortura.

 

FP: E’ sempre l’amore che vince sul buio della più nera malinconia. Chi ti ama ha il potere di tracimarti oltre ogni incomprensione di te ed oltre quell’abbandono che si fa muro tra noi ed il mondo. Ma non un amore semplice, fatto di profumi e di musica, come quello di una margherita sui fili verdi del prato, bensì un sentimento più forte, generoso ed intimo, dolce ed irruente, che parla con la musica delle parole e l’armonia del respiro, un amore che diviene eco, nel silenzio notte. Un amore fisico ed intellettuale, che ti entra dentro e, concretizzando i sogni, si impone “ come tortura inesorabile” alla mente, togliendo pace all’anima.

 

LS: Quali sono secondo lei le condizioni migliori per dedicarsi alla scrittura di una poesia? C’è un momento della giornata che predilige per “confessarsi” e trasmettere agli altri le sue considerazioni, pensieri o paure?

FP: Non vi è un momento particolare, né penso che la poesia sia una confessione. Ogni momento è fertile per esternare quell’idea che nasce improvvisa e che nemmeno tu sai dove vuole andare a parare. Spesso, può accaderti anche nel dormiveglia della notte, ma sei troppo pigro per alzarti e ti riprometti di realizzarla più tardi, quando si accenderanno le luci del mattino, ma non ricordi più nulla e stai male tutto il giorno. Che strana condizione quella che ti porta a scrivere versi, anche nei momenti di malat-tia, o dopo gravi accadimenti, a volte anche funesti! Basta un lampo nel diverticolo della memoria ed ecco che  una vecchia sensazione, un ricordo si fa presente.

Un presente misterioso, che emerge dalle ombre del mistero, dopo che tutti i frastagli del contorno reale si sono mitigati; un ricordo nudo che ti parla dentro e, con l’animo, muove la mano, mentre la poesia si concretizza. Successivamente interviene il cervel-lo, che va a verificare la musica delle parole e l’efficacia della trasmissione.

  

LS: C’è una sua silloge poetica alla quale si sente più legato? Se sì, quale è e perché ne è particolarmente legato?

FP: Non posso rispondere a questa domanda, perché una sorta di maledizione mi fa amare in modo irrazionale, sempre l’ultima silloge che vado a realizzare, togliendomi persino il ricordo delle precedenti e l’ultima è quella che s’intitola OLTRE LE STELLE e verrà pubblicata nel 2014. E’ dedicata al paese dell’amore S. Valentino Torio, in provincia di Salerno, dove sono nato 69 anni fa. Questa è la dedica: Ricordi Incessanti, / come  pispiglianti aneliti,/ l’animo catturano /ed il cuore. / Rarefatte dal tempo, / emozioni riemerse / rinnovano la mia storia. / Come ombre di memoria / sovviene l’infanzia / con l’umido delle strade / di basalto e, più in alto, / i balconi di rose, / dove m’attendeva / mamma mia … / Era l’amor di casa / e della terra mia, / che contornava / tutto di poesia. / Torna il passato / nel canto del silenzio, / ma i morti / non hanno più voce!

  

LS: Secondo lei per poter carpire al meglio il messaggio e la musicalità della poesia straniera è bene leggerla in lingua originale laddove si comprenda la lingua oppure è sempre opportuno ricorrere alla traduzione in italiano. Perché?

FP: Certamente, se si conosce la lingua, è opportuno leggere la poesia nella lingua in cui è stata composta. In caso contrario, ci si dovrà accontentare della traduzione, che non potrà mai offrire tutte quelle emozioni e sfumature, a volte così evanescenti, che sicuramente coglieremmo nella lingua di scrittura, ma spesso, la nostra limitatezza non ci permette un connubio più proficuo con l’opera.

  

LS: Il poeta galiziano Mario Villar (1965) in una sua poesia riflette sulla condizione del poeta e osserva:

Il poeta è un fingitore

ma lo fa di nascosto

quando si tratta d’Amore

per rimanere come una tortora

nell’attimo del distacco.[5]

 

Che cosa ne pensa di questa interpretazione del poeta e in che modo, invece, intende lei la figura del poeta nella nostra contemporaneità?

FP: Il poeta, oggi come ieri, è colui che vede al di là di ogni impostura, guidato si, quale esteta, a cogliere il bello, ma nel suo contorno di giustizia e di vero universale. Per questo, “fare poesia” non si può racchiudere in un assioma, né in un schema razionale; fare poesia è della persona umana, che si interessa dell’uomo, perché vive tra gli uomini in modo fertile (homo sum et nihil humani a me alienum puto), guidato da una sensibilità che lo porta a guardare gli eventi, super partes, facendo sentire la propria voce, chiara come l’acqua di una fonte, penetrante come il pianto di un bambino, forte, più di quella del demonio che è in ogni uomo della terra.

 

LS: Cosa si sente di dire ai giovani poeti che seriamente si impegnano nella letteratura cercando di trovare attenzione da parte di un pubblico sempre maggiore, rischiando il più delle volte di non trovare voce e rimanere un’ esperienza di nicchia?

FP: Bisognerebbe dire ai giovani che la poesia è una cosa seria. Non è una moda, né una sorta di scrittura a rigo stretto. Bisognerebbe pure dire che la scuola, oggi, è solo una occasione di impegno, ma che spetta ad essi formarsi, attraverso una volontà personale ed un duro lavoro di tavolino. Oggi, scrivono milioni di giovani e meno giovani, per un pubblico già refrattario alla lettura; quando poi si offrono stoltezze e masturbazioni di pensiero, allora viene a scadere ancora di più l’interesse per la poesia, tanto che oggi se ne è smarrito il senso. Allora, come si fa ad offrire agli altri i nostri “versi”, quando noi medesimi ignoriamo i grandi della poesia: i lirici greci, le tragedie di Euripide, Dante, Foscolo, Leopardi, Carducci ed ancora Jaques Prévert, Montale, Gatto e così via? Alla fine, penso che quando il messaggio della nostra anima è valido, prima o poi verrà comunque recepito da chi ama leggere poesia.

 

 Salerno, 3 gennaio 2014                                                                               

 

[1] Antonio Spagnuolo, Misure del timore – Antologia poetica 1985-2010, Napoli, Kairós, 2011, p. 170.

[2] Per maggiori informazioni sul poeta si legga la sua biografia nel capitolo-intervista a lui dedicato.

[3] Elisabetta Bagliè nata a Roma nel 1970. Vive a Madrid dal 2002. Ha pubblicato le raccolte poetiche Voce (ilmiolibro, 2011) e Dietro lo sguardo (ArteMuse Editrice, 2013). Si è occupata, inoltre, di narrativa per l’infanzia e ha pubblicato Mina, la fatina del Lago di Cristallo (Edizioni Il Villaggio Ribelle, 2013). Molte sue poesie sono, inoltre, presenti in varie opere antologiche.

[4] Elisabetta Bagli, Dietro lo sguardo, Gruppo Editoriale D & M, 2013, p. 106.

[5] cit. in traduzione italiana in Hebenon, Rivista internazionale di letteratura, anno XIX, quarta serie nn. 3-4, speciale Aprile-Novembre 2009, p. 45. In lingua originale in Miro Villar, 42 décimas de febre, A Coruña, Toxosoutos, 1994, p. 27.

“Crisi greca, dall’euforia dei mercati alla realtà europea: inganno o svolta?”, incontro a Milano il prossimo 23 maggio

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Crisi greca, dall’euforia dei mercati alla realtà europea: inganno o svolta?

Milano, venerdì 23 maggio 2014 ore 18

Biblioteca Comunale Sormani, via Sforza 7

Intervengono:

Nikos Frangos, Presidente Centro Ellenico di Cultura, Comunità Ellenica di Milano – Giuseppe Ciulla, Giornalista, autore televisivo e scrittore –Aldo Pirola, Delegato per le relazioni interbibliotecarie italiane ed estere, Comune di Milano – Francesco De Palo, autore.

Il “caso Grecia” va letto alla luce di ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo come esempio emblematico dell’effetto devastante della crisi finanziaria planetaria.  La Biblioteca Comunale Sormani di Milano ospita un incontro per capire a fondo tali effetti e ragionare sulle politiche anticrisi europee e internazionali. Al centro il libro di Francsco de Paolo “Greco Eroe d’Europa, Albeggi Edizioni.

L’iniziativa ha il patrocinio della Federazione delle Comunità e Confraternite Elleniche in Italia.

Sulla copertina, i riflessi di un’acqua cristallina e poi uno strappo, dal quale fuoriescono mani con il palmo aperto: è il gesto della mounza, una protesta-insulto divenuto simbolo della reazione alla troika e al Governo di Atene durante i giorni dei raduni in piazza, quando i greci si facevano fotografare con le mani alzate contro il Parlamento.

Il libro di De Palo è una fotografia della Grecia di oggi, alle prese con disperazione e fame, con scandali e sprechi e con il fenomeno inquietante di Alba dorata. Accanto a questa fotografia, storie di coraggio, passate e presenti, pulite, alte ed edificanti che questa terra – che ha dato i natali alla filosofia, alla democrazia, alle arti e alla medicina – è riuscita ad esprimere. Da queste storie, sostiene l’autore, occorre ripartire per risorgere e cambiare di nuovo le sorti della Storia.

Francesco De Palo è giornalista, scrittore e blogger. Scrive di Mediterraneo e di politica per Il Fatto Quotidiano, Il Giornale, Formiche, Rivista Il Mulino e dirige il magazine Mondo Greco.

Ufficio stampa tel. 340 7461295   www.albeggiedizioni.com

Santina Russo su “Dipthycha” di Emanuele Marcuccio

Dipthycha. Anche questo foglio di vetro impazzito, c’ispira…
di Emanuele Marcuccio e AA.VV. [1]
Curatore: Emanuele Marcuccio
PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (NA), 2013, pp. 90
ISBN: 978-88-6682-474-9
Prefazione: Cinzia Tianetti
Postfazione: Alessio Patti
Prezzo: 10 €
 
Recensione a cura di Santina Russo

 

 

download“Dipthycha” è un libro molto particolare. Il titolo scritto a caratteri greci e l’immagine di copertina che riporta uno scorcio dell’antica Delfi possono lasciar pensare che si tratti di una raccolta di dittici greci o di studi e ricerche sulla letteratura greca classica. In realtà, basta poco per accorgersi che il libro va ben oltre, trovando un insolito quanto ben saldo anello di congiunzione tra il lontano passato, quello dell’antica Grecia, e il presente più attuale, quello delle comunicazioni attraverso un monitor ( o meglio “foglio di vetro”).

Attorno ad Emanuele Marcuccio, autore di innumerevoli poesie pubblicate sia in raccolte personali che in antologie di autori vari, si riuniscono altri illustri poeti, provenienti da ogni parte d’Italia, per un confronto poetico e umano che esula le distanze, sfruttando la tecnologia che ci permette di accorciarle al punto da ritrovarsi tutti insieme sulla stessa pagina, seppur a centinaia o migliaia di chilometri di distanza.

La raccolta comprende ventuno poesie di Emanuele Marcuccio, ma la novità e la particolarità, cui si accennava all’inizio, si manifesta nell’idea di creare ventuno dittici poetici attraverso i quali Marcuccio si confronta con ciascuno degli altri poeti in un tema comune e vario di volta in volta.

Le poesie costituenti ciascun dittico nascono autonomamente, in tempi e in luoghi diversi, da autori diversi e inizialmente forse anche estranei, senza la minima idea del loro destino che nel futuro le avrebbe viste accostate in uno stesso libro, in virtù della medesima tematica affrontata e dell’idea di Marcuccio di realizzare una così originale raccolta poetica. Una raccolta poetica che, non solo presenta autori diversi, quindi stili diversi, concezioni diverse, origini e storie diverse ma li pone ciascuno di fronte all’autore, instaurando un dialogo circolare, un dialogo che supera le distanze, come solo la Poesia da sempre è riuscita a fare.

La Poesia, a detta di molti, è arte per pochi eletti. La Poesia non è accessibile a tutti, come può esserlo la prosa o il teatro. Eppure, il fine ultimo della Poesia è quello di essere popolare pur rimanendo aulica, di raggiungere un pubblico il più vasto possibile, pur restando produzione elitaria. Solo la Poesia può sollevare la sensibilità umana dalla cruda materialità alla più alta spiritualità, come dimostra la colta e raffinata civiltà greca, culla della moderna cultura, sia orientale che occidentale.

Ancora oggi, la Poesia è immutata. Cambiano le condizioni umane, cambia la società ma essa è sempre la stessa e spetta all’uomo il compito di assegnarle il giusto ruolo e il meritato spazio nella costruzione della società umana. Ecco, dunque, l’anello di congiunzione tra il passato e il presente, tra la Poesia classica greca e la Poesia contemporanea dei poeti raccolti in questa silloge: l’umanità che si abbandona alla Poesia.

Oggi, come nel passato, il mondo esterno c’ispira, ci chiama alla Poesia. I greci, che scrivevano su delicati fogli di papiro, non riconoscerebbero il nostro gesto mentre battiamo le dita su una tavoletta quadrettata collegata ad un “foglio di vetro impazzito”, ma è molto credibile che possano riconoscere il linguaggio universale dei versi riuniti in questa raccolta, ne coglierebbero il senso profondo e non avrebbero dubbi nel riconoscere in queste parole la loro stessa Poesia.

“Diptycha” racchiude un messaggio molto profondo, rivolto simultaneamente sia agli antichi Greci che a tutti i lettori e poeti contemporanei, ed è il sottotitolo che il curatore ha scelto: “Anche questo foglio di vetro impazzito, c’ispira…”. È un messaggio rivolto ai Greci per dire “ Cambiano le condizioni, ma non la Poesia” ed è un messaggio per i contemporanei e per i posteri “Nulla potrà mai fermare la Poesia”.

Ad avvalorare l’idea dell’universalità e dell’utilità della poesia ai fini di un solidale sviluppo dell’umanità, si ricorda che il ricavato delle vendite di questa raccolta sarà interamente devoluto in beneficenza: un motivo in più per dire che la Poesia è di tutti ed è per tutti.

 

 

Santina Russo

(Poetessa, docente di Lettere)

 

 

Barrafranca (EN), 6 gennaio 2014


[1] D’accordo con tutti gli autori, l’intero ricavato delle vendite del Volume (€ 3,81 su ogni copia) sarà devoluto a AISM – Associazione Italiana Sclerosi Multipla.

Si procederà però per via privata alla devoluzione dell’intero ricavato delle vendite, non essendo stato possibile inserire la notizia della devoluzione all’interno del libro. AISM riceve tantissime richieste simili, ringraziando hanno quindi risposto che non hanno il tempo materiale per esaminarle tutte.

Nell’antologia figurano le poesie dei seguenti autori: Emanuele Marcuccio, Silvia Calzolari, Donatella Calzari, Giorgia Catalano, Maria Rita Massetti, Raffaella Amoruso, Monica Fantaci, Rosa Cassese, Rosalba Di Vona, Lorenzo Spurio, Giovanna Nives Sinigaglia, Michela Tarquini e Francesco Arena.