Affrontando il discorso sull’affascinante connubio di poesia e spiritualità, il pensiero non può non correre alla tradizione poetica sufi di ambito islamico. Al suo interno spicca in particolare l’opera di Rumi, tra i massimi poeti mistici della letteratura persiana.
Una breve, ma necessaria premessa: il sufismo, la corrente mistica dell’Islam, affonda le sue radici in un’epoca assai lontana, man mano che prese a diffondersi la nuova fede a partire dalle grandi conquiste arabe; sufi è il mistico musulmano, così chiamato per via degli indumenti di lana ruvida indossati dai primi asceti (la parola araba sūf, infatti, significa “lana”). La poesia sufi si contraddistingue per il suo messaggio di pace universale, l’amore verso Dio, cui ci si rivolge in maniera incessante, e la sua contemplazione, lungo un percorso ascetico e spirituale che conduce l’uomo a prendere coscienza della propria dimensione cosmica. In generale, si tratta di un tema alquanto complesso, nonché di nicchia, ma ciò non impedisce di leggere con estremo piacere le importanti opere letterarie nate in seno appunto al sufismo. E tra queste, come anticipato sopra, non può mancare quella di Rumi.
“Dopo la morte, non cercare la tomba mia nella terra: nel petto degli uomini santi è il sepolcro mio!”
Nato in una famiglia di lingua persiana in territorio afghano agli inizi del nostro XIII secolo, Jalal ad-Din Muhammad Balkhi meglio noto con il nome di Rumi, fu teologo e poeta, nonché fondatore della confraternita sufi dei famosi dervisci danzanti. A parte una serie di spostamenti in varie località del mondo islamico in determinati periodi della sua esistenza, egli visse a Konya, nell’attuale Turchia, dove morì nel 1273.

Due sono le sue opere principali, entrambe di notevoli dimensioni: il lungo poema a rime baciate denominato Masnavi e il Dīwān; un breve, ma significativo estratto di quest’ultimo titolo è rappresentato dalla raccolta antologica Poesie mistiche, pubblicata agli inizi degli anni Ottanta dalla casa editrice Rizzoli a cura e traduzione di Alessandro Bausani (1921-1988), nome senza dubbio tra i più importanti dell’orientalistica italiana.
Il Dīwān (Canzoniere) di Rumi è costituito da un numero impressionante di odi per un totale di circa cinquantamila distici distribuiti in numerosi volumi. L’opera, per forma e contenuti, rientra nei canoni classici della lirica persiana, riprendendo metri e simboli a essa tutt’altro che estranei. Un’emozione particolare, tuttavia, permea i versi del poeta che risuonano con pregevole originalità, mentre spezzano rigidità per così dire tecniche e conducono – come sottolinea il curatore dell’antologia – “a licenze poetiche non sempre perfettamente «canoniche»”.
“[…] O viandante! Non legare il cuore a nessuna dimora,/ perché soffrirai quando te ne strapperanno via./ E poi che tante dimore hai percorso/ da quando eri goccia di sperma fino all’adolescenza,/ prendile a scherzo, che a scherzo le possa lasciare:/ rinuncerai a poca cosa e alto compenso ne avrai!/ Prendi invece sul serio Colui che ti ha preso sul serio;/ Primo è Lui ed ultimo: cerca Lui solo! […]”.
L’Islam, cultura alla quale Rumi appartiene per nascita, in queste pagine è presenza certa e costante attraverso riferimenti espliciti (come alla Fātiha, sura aprente del Corano, alla qibla, la direzione verso cui il devoto musulmano prega ogni giorno, o ancora alla Ka’ba meccana stessa) che contribuiscono a dar vita a scenari orientali di notevole fascino in un intreccio di immagini variegate che abbracciano distese di cieli e deserti, colori di aurore e tramonti, ombre di carovane, voli di falco e profumi di giardini fioriti; quello di Rumi, popolato tanto da maestri spirituali quanto da cammellieri, è un mondo semplice dove l’anelito verso il divino si mostra quasi assillante. Le odi in questione, come del resto la poesia sufi in generale, fanno però propria anche la tolleranza in materia religiosa, tant’è che alla morte del poeta, secondo gli studiosi, presero parte ai funerali sia i musulmani che le comunità di ebrei e cristiani di Konya.
“Vieni, deh vieni! ché da quando partisti più non mi resta né ragione né fede,/ e ogni calma e ogni pace partirono da questo povero cuore.”
La scrittura di Rumi si rivela intrisa di una spiritualità profondissima; un senso di devozione autentica e sincera che, inoltre, si prodiga dispensando consigli: tra i vari, evitare l’attaccamento alle cose materiali, viaggiare anzitutto dentro se stessi, addirittura non intraprendere lunghi viaggi (all’epoca ancor più lunghi e rischiosi) per andare in pellegrinaggio nella lontana Arabia, malgrado l’hajj alla Mecca – da compiersi almeno una volta nella vita – sia uno dei pilastri fondamentali dell’Islam.
“O gente partita in pellegrinaggio! Dove mai siete, dove mai siete?/ L’Amato è qui, tornate, tornate!/ L’Amato è un tuo vicino, vivete muro a muro:/ che idea v’è venuta di vagare nel deserto d’Arabia?”
Nell’insieme, un’opera poetica antica che, grazie al lavoro di selezione e traduzione di Alessandro Bausani, riesce ancora a offrire un testo molto interessante e coinvolgente anche al lettore di oggi. Un classico della letteratura persiana (e mondiale) intramontabile!
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

Da un altro mondo di Evelina Santangelo (Einaudi) è un romanzo denso di pietà umana e tensione civile, ambientato nel 2020. Questa datazione ha la funzione di conferire ai fatti narrati il carattere di una minaccia incombente, come chiarisce l’autrice in un’intervista su Letteratitudine. La dedica “a chi non è arrabbiato”, individua lettori non accecati dalla passione, dalla rabbia e perciò atti a comprendere l’altro mondo, distante dal loro, ma costituito da un’umanità inconsapevole e dolente. Il romanzo non ha una trama unica, ma un’articolazione di trame che si svolgono a Bruxelles e a Palermo, con una appendice nella Pianura Padana emiliana. A Bruxelles Karolina, disperata per l’assenza del figlio, probabilmente affiliatosi al terrorismo islamico, lo cerca incessantemente ma invano. Per caso in un hard discount incontra Khaled un ragazzo siriano e commossa dal vederlo così sperso gli compra degli oggetti, tra cui un trolley rosso. Khaled approfitta della generosità della donna per fare le provviste necessarie ad affrontare il viaggio da nord a sud fino al mare, l’inverso di quello compiuto qualche tempo prima. A Palermo intanto avvengono in una scuola fatti misteriosi, improvvisi aumenti e diminuzioni di alunni, che inquietano la maestra Giovanna e il maresciallo Vitale, combattuto tra l’osservanza della legge e la voce della coscienza. Intanto le forze dell’ordine indagano su un ragazzo con un trolley rosso, accusato di avere aggredito un camionista in una piazzuola d’autostrada, e sugli episodi allarmanti di Palermo. Le notizie, diverse dai fatti già noti al lettore informato dal narratore onnisciente, rimbalzano, sempre più gonfie di minacce, in televisione e sui giornali prima, poi sui social vicini alla politica, che ha eletto a suo tema peculiare la “sicurezza della gente per bene”, suscitando e orchestrando la paura nei confronti degli immigrati. L’eco dilaga nella Pianura Padana emiliana, “quell’invasione di clandestini stava compromettendo la vita della gente”, giunge fino al solitario e burbero Orso e agli altri anziani avventori di un bar convincendoli del pericolo. Le notizie sempre più inquietanti strombazzate dai media accendono gli animi dei ragazzotti violenti e sfaccendati, capeggiati da Rambo 2, che si lasciano trascinare fino a incendiare il vicino accampamento Rom. Ma la vita sorprende Orso, come gli altri personaggi, e senza che se ne accorga si ritrova in casa un bambino immigrato a cui con sempre minore riluttanza dà cibo e cure, esponendosi alla violenta vendetta di Rambo 2. Quando si riprende dalle botte e non trova più il bambino dice al fido Lupo: Andiamo a cercarlo. Con questa battuta che fa presagire un qualche scenario futuro, e una tenue speranza di umanità ritrovata, si chiude il romanzo. La società contemporanea appare nel racconto fluida e incompiuta; nessun personaggio ne coglie il senso complessivo. Tutti sono inseriti in una trama fitta di relazioni, osservate dalla scrittrice con sguardo preciso ma radente, per scelta privo di scavi psicologici e di profondità di sfondo. Soltanto le date, i luoghi, le circostanze sono dichiarati con zelo. Ne risulta una prospettiva plurale e caotica dove ogni personaggio cerca invano di affermare le sue ragioni. La scrittura scorre con naturalezza in una lingua limpida e vivace. Soltanto Orso usa il dialetto padano nelle imprecazioni. L’effetto complessivo è quello del rispecchiamento dell’oggi non soltanto italiano, ma europeo, realizzato mescolando la concretezza alle cose quotidiane con elementi fantastici a volte surreali. Da un altro mondo interroga la nostra coscienza, ci carica di responsabilità di fronte ai grandi temi attuali , per questo è un libro civile.

