N.E. 01/2023 – Recensione di “Ogni respiro un mondo” di Tiziana Colusso. A cura di Annamaria Ferramosca

L’invito che Tiziana Colusso rivolge al lettore nella nota a fine libro Ogni respiro un mondo (La Vita Felice, 2022) è ineludibile: chi attraversa queste pagine di poesia e insieme di denso sapore sapienziale, non può esimersi dall’aggiungere il proprio respiro-mondo a quello ben più largo, cosmico e pure profondamente umano, che qui si svolge e fortemente coinvolge.

Il respiro a cui allude Tiziana si configura, nella sua visione di armonia universale, come un moto quantico sottile, un flusso di energia che abbraccia tempo e spazio, materia di anatomie viventi e materia – presunta inerte – dei quattro elementi aria-acqua-terra-fuoco, che abitano cieli laghi oceani crosta terrestre. Il respiro attraversa felicemente ogni molecola e corpo lungo la loro storia evolutiva, e ne trascina traccia ovunque, fondendo le dimensioni e infondendo la propria impronta in ogni entità. Come non scorgere in questa visione armonica del tutto, di certo di ispirazione orientale, anche il velo imprendibile della poesia, la sua limpida e onnicomprensiva dimensione dell’ascolto e dello sguardo! È questo costante ascolto che porta i poeti a percepire la musica cosmica, la bellezza e l’equilibrio capaci di illuminare ogni buio. Così Tiziana Colusso dice in poesia della voce di Joan Baez percepita come un “paradiso inarrivabile”, del sapore sacro di ogni emozione, chiedendosi perfino della possibilità di presentire future trasmutazioni in consistenze angeliche.

È il respiro, ancora, non è certamente un moto fisiologico, ma una spinta sublime, nel senso etimologico di sub limine, sotto la soglia comunemente percepibile, che accomuna oceani e continenti, umani in preghiera o in terrore, viventi che cantano o sognano. Così lungo i quanti del respiro la dimensione del sacro può riapparire nel ricordo del padre che recita preghiere in latino, o un sogno può far rivivere l’istinto di protezione della figlia verso la madre che, atterrita dalle onde è acquietata dal respiro.  

Questa pratica del respiro-pensiero-vita, che penso sia quotidiano spazio contemplativo buddista di Tiziana, si rivela nella scena della visita al tempio tibetano sull’Amiata, soglia aperta da cui lei guarda l’universo, che le rende visibile in un filo di nebbia il canto di una cinciallegra, come lontana eco di un pianto trasmutato. La mente può, sembra dichiarare l’autrice, superare il tempo di ogni ferita, ogni urto, e ritornare libera nella luce, alla inesauribile promessa della vita.

E all’ascolto segue il suono, che segna incisivamente l’espressione del pensiero, facendosi grido potente di consonanze, come nell‘achtung dato nel testo a pag. 21, avvertimento a non soffermarsi sul ricordo di torti subiti, reali o presunti, ad avere invece il coraggio di sostare sull’essenza del nostro dentro, con i suoi vari nomi di mente/anima/coscienza, unica nostra persistente luce. E Tiziana dimostra la sua bella padronanza del ritmo, maneggiando con grande efficacia comunicativa la sonorità del lessico, come nel testo di pag.25, dove la soluzione essenziale del vivere non potrebbe essere detta se non in questo incisivo memorabile altro modo:               

Ancora un nodo                          un nuovo torto

                  sul filo ritorto del divenire:

           ci vuole senz’altro un altro modo

                                             un nuovo mondo,

un tèlos tessuto

                         di consonanze

                                alleanze mute

Nella visione di un equilibrio universale non potevano certamente mancare le riflessioni accorate sulla violenza perpetrata al pianeta, terracqua violata che pure, materna, accoglierà nel ventre gli umani colpevoli dello scempio e della propria estinzione.  Eppure Colusso crede ancora nella resipiscenza dell’umano, perché spera nella creatura che non s’arrende (pag. 30), come nella sua acuta sensibilità e costante inquietudine si autopercepisce. Cercare la quiete, trovare spazi di chiarezza e flashes di saggezza si può ancora, come nel suo saper sorridere sui bordi di ogni deserto-metafora, nel suo giocare il gioco delle parole (è il suo poiein!), nel mai disperare e sempre resistere.

Tutto il libro offre squarci sorprendenti, con versi che ci fanno basculare tra la tensione ferma a vigilare e proteggere il respiro del mondo, e la dimensione contemplativa pura, come nella bellissima scena dell’infante che segue le ombre fluttuanti sulla culla, immagine stupita di un nostro tempo originario, lontanissimo. E pure l’autrice dichiara, come contraddicendosi, di continuare a lasciarsi sommergere dalle voci vorticose del reale, che a volte le appaiono più dense e significative di ogni possibile poesia. Ma la contraddizione svanisce leggendo le ultime tre sezioni, dove la sua poesia assume una piega più disincantata sulla propria vicenda esistenziale. Nella sezione Fons Sapientiae vi è una sosta nel luogo dello studio giovanile, intorno alla Fontana della Minerva – Università degli Studi La Sapienza, dove l’autrice fa un bilancio del suo viaggio e delle sue aspirazioni, soffuso di nostalgia e percezione-accettazione del proprio destino. Nella sezione Alfabeti vegetali si prosegue affabulando un cammino assimilato all’incantevole percorso di un seme-infanzia vivida e incontaminata, che diviene macinato-maturità tormentata dalle sofferenze del mondo; un pane infine che potrebbe lievitare in sacrosanta pace, ma ne è impedito dalle ferite continuamente inferte all’equilibrio umano e planetario.

La poetessa offre quindi una commossa dichiarazione di gratitudine al mondo vegetale, dal seme che riesce a germogliare anche da una stretta fessura, all’albero che resta – nobile sentinella – la sola essenza autentica e generosa rimastaci accanto nel degradato ambiente urbano.

Per poi terminare il proprio canto che meravigliosamente si colora con insert di altre lingue, quasi in una preghiera accorata di comprensione e solidarietà globale, un respiro largo ancora, per scongiurare ogni deriva.

*

Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

E’ uscito il volume “Il tratto dell’estensione” della poetessa toscana Adua Biagioli Spadi

Il tratto dell’estensione di Adua Biagioli Spadi, La Vita Felice Edizioni, Milano, 2018.

 

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Sinossi:

Il passaggio evolutivo e sequenziale di tre maglie di un unico percorso: uno sguardo acceso sulla recezione emozionale e umana delle vicende della vita, tra incanto e disincanto, gènesi-mondo e gènesi-io. Quindi siamo di fronte alla germinazione naturale del crescendo emozionale, un percorso che fluttua intorno alla realtà ricercando una possibile rinascita nel luogo interiore. La parola poetica si fa linea e traccia della verità, segno e constatazione, fino al candore e all’autenticità della visione. La voce poetante fa il suo ingresso nel destino in cui annoda ricordi, cammini e l’abisso segreto dell’amore. 

 

Poesia (dalla quarta di copertina)

Cosa ne faranno le lune

di questo cuore in disuso dimmi,

dei tuoi occhi di foresta che il tempo mi concesse

colpe divise a schiera quasi fossero

biglie per gioco, ferite inferte, veleno per piante.

Ho chiesto alla rosa il senso del fragile,

il precoce spezzarsi della ghianda:

il silenzio trova sempre un posto per inserirsi,

scava sempre il niente e il tutto per estensione.

 

L’autrice

10525964_785269558226041_2363481307785967929_n (1).jpgAdua Biagioli Spadi, pittrice, Maestra d’arte e Operatrice Culturale opera a Pistoia. È presente in numerose pubblicazioni antologiche di premi letterari nazionali e internazionali, tra cui Ambrosia, presentata a EXPO’ 2015 – Milano e Novecento e non più. Verso il Realismo Terminale presentata alla Fiera di Roma 2016, in Agende Poetiche. Socia di diverse accademie letterarie, a Giugno 2015 ha pubblicato la sua opera prima: L’Alba dei papaveri” – Poesie d’amore e identità, vincitrice del 2° Premio Letterario Giovane Holden 2016 per la sezione poesia edita. Interessanti recensioni sul libro si trovano su riviste letterarie “La Nuova Tribuna Letteraria” e “Qui Libri”. A Maggio 2017 ha pubblicato il libro Farfalle, un piccolo libro d’Arte a tiratura contenuta di pezzi unici contenenti unica poesia e disegni dell’autrice. Da Luglio 2017 lo stralcio di una poesia tratta da “L’Alba dei papaveri” viene scolpito su stele in pietra serena e ubicato in località San Pellegrino di Sambuca Pistoiese per la valorizzazione della cultura e della montagna (Progetto culturale Parole di Pietra). Il suo sito internet è  www.aduabiagioli.it.

“Inversi panici – (foglie del terzo millennio)” di Maurizio Alberto Molinari, recensione di Lorenzo Spurio

Inversi panici (foglie del terzo millennio)

di Maurizio Alberto Molinari

con prefazione di Cristina Balzaretti

traduzione in inglese di Lucia Gazzino

La Vita Felice Editrice, Milano, 2012

ISBN: 978-88-7799-459-2

Costo: 12 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

Che Maurizio Alberto Molinari sia un vero poeta non ce ne vuole molto ad accorgersene. Non è solo il suo profilo letterario che è andato ispessendosi negli ultimi anni a seguito di varie pubblicazioni che mi porta a questa conclusione, ma una serie di componenti che cercherò di mettere in luce qui, per quanto mi è possibile.

La grandezza delle arti sta nella loro capacità di colloquiare, sapersi rapportare, servirsi l’un l’altra e Maurizio Alberto Molinari ne dà prova in maniera tangibile, non solo inframmezzando –anzi, anticipando- ciascuna lirica con un’immagine, un suo scatto, ma nella sua volontà di sperimentare realtà più vaste da quella che quotidianamente lo circonda. L’utilizzo della lingua straniera, l’inglese in particolare, serve al poeta per aprirsi verso nuove dimensioni, sebbene è chiaro che la vena poetica e l’istinto lirico nascano nella sua lingua originale e che la traduzione –qui curata con meticolosità da Lucia Gazzino, già traduttrice di Pasolini in lingua inglese- è per sua natura sempre un po’ una “macchinazione”, più che un qualcosa d’istintivo. Ma la volontà che sta dietro a questo desiderio dell’autore, di voler travalicare qualsiasi limite e frontiera, è senz’altro encomiabile. Lo è non solo perché l’opera finale ne risulta ampiamente arricchita, ma perché per Maurizio Alberto Molinari l’intersecazione di stili, linguaggi e forme è –probabilmente- l’essenza stessa dell’animo poetico, della parola che dice un qualcosa, ma che evoca anche qualcos’altro.

E’ per questo che la nota di prefazione fa riferimento a un certo “ermetismo” nella poesia di Maurizio Alberto Molinari. E’ una posizione che condivido anche se non pienamente, soprattutto per il fatto che risulta semplicistico se non azzardato cercare nell’attualità di ricondurre certi autori a grandi correnti della storia della letteratura italiana. Perché in fondo la letteratura che si fa oggi è fortemente sperimentale, istintiva, se non priva di un chiaro modello a-priori, sicuramente molto più svincolata da scuole di pensiero, da dettami precostituiti. E’ senz’altro ermetica nella sua chiusura –a volte- di significato, nel non voler permettere al lettore di comprendere a pieno quanto lo scrittore ha impresso sulla carta, quasi che per ogni verso, l’autore abbia deciso di camuffarsi, nascondendosi, permettendoci di svelare solo una parte di quello che lui aveva nella testa al momento della scrittura.

I versi cortissimi, serrati, quasi freddi e strozzati, l’assenza di punteggiatura (“Profumo/ lucida/ memorie/ aprendo/ al tempo”, p. 13) e spesso del sistema di articolazione (“Pasta di natura/ riceve inchiostro”, p. 33), fa della poetica di Maurizio Alberto Molinari una scrittura poliedrica e priva di una chiara identità, dall’andamento talvolta veloce e sfuggente, altre volte lento quasi che la lirica appena letta ad alta voce si concretizzi per restare lì, nell’aria, in forma plastica.

Ma uno dei chiari motivi per cui la sua poetica è e al contempo non è ermetica –accezione che spesso è stata associata a un certo pessimismo cosmico o, comunque, a una visione profondamente critica, se non allucinata sul mondo- è la sua piacevolezza nel colore. Nelle liriche si susseguono riferimenti a tinte e sfumature che addolciscono e stemperano questo versificare asciutto: “Colori/ confusi/ su soffi di trasparenza./ Verde/marrone/giallo/rosso” (p. 25). Il colore è l’aggettivazione fisica e visiva che più utilizziamo nella nostra vita quotidiana e allo stesso tempo è il mezzo espressivo degli artisti, come pure dei poeti, di coloro, cioè, che sono in grado di assorbire la realtà e di trasporla secondo il proprio sentire. E’ per questo che nella poetica di Maurizio Alberto Molinari da semplice tinte essi arrivano ad “animarsi”: “Ascolto il rosso/ sento il suo stanco giallo/ accarezzo il bianco/ abbraccio il nero”, scrive in “Ascoltando il rosso” (p. 29). L’autore utilizza l’isotopia del colore per alludere ad immagini altre che al lettore non è dato riconoscere, ma che può vagheggiare o interpretare come desidera. In questo la sua poesia è ermetica, nel fatto che non dona al lettore una completezza, un’unicità di significato, ma che si appella al lettore in un certo modo per completare l’essenza del testo. Avevo già individuato questa doppia caratterizzazione della poetica di Maurizio Alberto Molinari un anno fa recensendo il suo New Yorker’s Breaths (LietoColle, 2011) dove ho avuto modo di sostenere: «Credo che la scrittura di Molinari, pur non essendo dichiaratamente criptica e oscura, è sempre alla ricerca, come l’autore ha riconosciuto nella prefazione, di un dialogo con il lettore, una sorta di negoziazione sui significati». Questa nuova raccolta mi convince ulteriormente su quanto giù un anno fa avevo dichiarato.

La poesia di M.A. Molinari è una poesia profonda al punto da rasentare l’onirico (“Il sogno/ svuota/ un’alba/ senza segnali né madrigali”, p. 21), sebbene non ci sia niente di puramente surreale. L’indagine che il poeta ci invita a fare seguendo la lettura di questo prezioso libricino è tortuosa, a tratti pericolosa perché senza via di ritorno. Sono moli i cul de sac che il lettore incontrerà, i bivi che sarà chiamato a prendere dei quali forse solo al termine si capaciterà di aver imboccato la strada sbagliata. La vera essenza di questa ricca raccolta di poesie è nel suo “non dire”, nella sua evidente scarnificazione, nella sua volontà di lasciare al lettore la comprensione, l’interpretazione, quasi come se l’autore fornisse una traccia, un pensiero sul quale riflettere. Non c’è niente di strano in tutto ciò, perché la poesia è un universo sospeso, che non ha regole e dove tutto può accadere, come in una favola con la sola differenza che quest’ultima sappiamo essere fantastica. E allora non c’è un modo migliore per concludere con questi versi dell’autore: “Forse/ le gocce cadranno./ Forse/il grigio sarà”.

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

Pamplona, 31 Ottobre 2012

 

Chi è l’autore?

Maurizio Alberto Molinari (n. 1961) vive a Milano e lavora nel settore pubblicità. Suoi testi sono pubblicati in rete, su riviste specializzate e in numerose antologie. Ha ricevuto importanti riconoscimenti a premi e concorsi. Prima di questa opera ha pubblicato New Yorker’s Breath (LietoColle, 2011), Poemantikha nova – La poesia si racconta… (Aletti, 2010), Bottoms & Joystick (Ibiskos-Ulivieri, 2009), Il Passeggero (Il Filo, 2008), Poemanthika – sulle tracce delle emozioni (Maremmi Editori, 2005).

 

La recensione è stata pubblicata anche sul sito della casa editrice, e disponibile qui: http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-l-spurio-per-molinari-789.html

 

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