Sweeney Todd, un incauto serial killer?

Il serial killer più famoso della Londra vittoriana rimane Jack the Ripper, ossia Jack lo squartatore, figura della quale molto si è parlato e si è ipotizzato al fine di cercare di individuare la possibile identità dell’assassino seriale. Jack the Ripper rimane il serial killer per eccellenza, l’abile assassino che si snoda per le vie di Londra compiendo i suoi omicidi in maniera precisa, ponderata ed impeccabile, tanto da risultare imprendibile alle forze dell’ordine. I grandi dibattiti e le possibili considerazioni sul suo personaggio hanno portato in tempi recenti a pensare che, forse, in realtà non esistette nessun Jack the Ripper. Per lo meno non come siamo soliti pensarlo noi. Le indagini investigative, le notizie della stampa inglese, l’eco in tutta Europa, il suo personaggio oculato e attento hanno infatti permesso la costruzione di un vero e proprio mito di Jack the Ripper. Come è noto all’interno del mito nascono interpretazioni diverse e varianti e tutto questo contribuisce ad accrescere l’eco del personaggio, in questo caso una sorta di antieroe, visti i suoi omicidi in sequenza.

Se Jack the Ripper rappresenta l’assassino per eccellenza non va dimenticato che la Londra vittoriana era piena di criminali, bevitori che trascorrevano le loro serate in bagordi nelle taverne, personaggi pericolosi e facili all’uso delle armi, persone alienate e potenzialmente dannose per la società.

Sweeney Todd (soprannome di Benjamin Barker), il celebre barbiere di Fleet Street, pur avendo una professione cristallina ed essendo una persona ampiamente conosciuta, fu proprio un personaggio di questo tipo, un’insaziabile criminale che amava sgozzare i suoi clienti con l’ampio rasoio che utilizzava durante le operazioni di sbarbatura.  Il personaggio di Sweeney[1] Todd è per lo più diventato noto grazie all’omonimo film del 2007 diretto da Tim Burton e interpretato da Johnny Depp.

Indagare la prima apparizione in letteratura di questo personaggio risulta abbastanza difficile ma, Benjamin Barker, soprannominato Sweeney Todd, comparse in vari scritti inglesi della metà del XIX secolo e poi in un film del 1936 di George King. Lo scrittore che ha introdotto il personaggio di Sweeney Todd in letteratura fu Thomas Peckett Prest (1810-1859), che fu anche giornalista e musicista. Assieme a lui, James Malcolm Rymer (1814-1884) è considerato il co-creatore del personaggio di Sweeney Todd, il diabolico barbiere di Fleet Street, che venne immortalato in un’opera scritta congiuntamente da Peckett Prest e Malcolm Rymer e intitolata The String of Pearls: A Romance (1846).

Sweeney Todd è un bravo barbiere londinese. A Fleet Street ha la sua bottega e, al piano inferiore, vive assieme alla sua compagna. Durante le operazioni di sbarbatura dei suoi clienti e armato di taglienti rasoi d’argento, Sweeney Todd viene preso dalla pazzia e lascia affondare la lama del rasoio nella gola dei suoi clienti. Il motivo della sua pazzia risiederebbe nel dolore che gli deriva dalla morte prematura della moglie e della figlia. Nel film tuttavia viene fatto capire che il motivo degli assassini risiede in motivazioni economiche, ossia uccide per soldi, semplicemente per derubare i suoi clienti.

Nel corso della storia Sweeney Todd viene protetto dai suoi omicidi da Mrs. Lovett, la sua compagna, la quale lavora in un negozio di pasticceria comunicante con la bottega di Sweeney. Ad accrescere il goticismo e il lato più dichiaratamente orrori fico della storica è il fatto che Mrs. Lovett cucini dei pasticci di carne utilizzando la carne delle persone assassinate da Sweeney Todd.

Dopo vari uccisioni e dopo aver ritrovato sua moglie (che non era morta, ma era diventata pazza), Sweeney sarà ucciso da Toby, il ragazzo aiutante della bottega che ha scoperto le sue uccisioni e che lo ucciderà proprio con un rasoio.

Molti storici e studiosi accademici si sono domandati se Sweeney Todd sia un semplice personaggio fittizio utilizzato all’interno della letteratura o se, al contrario, il suo personaggio sia stato creato basandosi su una persona realmente esistita e che si comportò nella sua maniera. Si tratta di una questione difficile da risolvere e, in via generale, possiamo dire che Sweeney Todd è prevalentemente una leggenda urbana che ha dato adito alla creazione di un personaggio letterario.

Il mistero intorno a questa personalità paurosa e al tempo stesso affascinante, l’imperturbabilità delle sue azioni, l’oggettiva impossibilità di rintracciare un possibile riferimento biografico del personaggio di Sweeney Todd sono tutti elementi che hanno consentito un grande interesse da parte di scrittori e registi che hanno adattato vari musical o rappresentazioni teatrali. Il pubblico, da parte sua, ha risposto positivamente consentendo un grande successo della storia di Sweeney Todd che, al pari di Jack the Ripper e Vlad l’impalatore (Dracula) va annoverato indiscutibilmente tra i più spietati assassini di tutti i tempi.

Lorenzo Spurio

23-01-2011

[1] La parola ‘sweeney’ significa ‘alto e ciondolante’, descrizione che sembra essere in linea al personaggio di Sweeney Todd realmente esistito.

Il mito della nobiltà inglese in letteratura

Conti, duchi, marchesi, baronetti o semplicemente Master e Lord abbondano nelle opere della letteratura inglese ottocentesca e novecentesca. Si tratta di opere che mettono al cento del loro interesse una famiglia nobile o comunque esponente dell’alta borghesia, analizzandone vizi e virtù.

Frequentemente gli autori si avvalgono della nobiltà per descrivere in maniera antitetica le indigenti condizioni delle classi popolari, delle masse, della bassa-media borghesia, raffigurata spesso attraverso i personaggi del custode, del guardiano, della governante e del giardiniere. I narratori sembrano essere particolarmente vicini ai personaggi meno ricchi e meno fortunati, trasmettendo un senso di pietà e di compassione, o più spesso di autentica vicinanza e comprensione. In molti casi l’esponente aristocratico è espressione di una condizione di superiorità e d’impostura verso gli altri personaggi che non appartengono alla famiglia.


Sono molte le opere che possono essere analizzate sotto questo punto di vista. Il nodo centrale dell’argomento è la grande utilizzazione in letteratura di personaggi aristocratici, nobili che vengono calati nel rispettivo ambiente familiare, quello della tenuta o della villa di campagna, residenza estiva della famiglia. Più spesso la casa ordinaria di questi personaggi non è altro che un castello particolarmente sontuoso ma al tempo stesso minaccioso o un immenso palazzo che non ha nulla da invidiare alla reggia di Versailles.
Il palazzo, il castello o la tenuta familiare in genere sono una proiezione sull’inumano del senso di autorità, regalità, ricchezza e superiorità nei confronti dell’ordinario. Molte delle vicende che vengono descritte in queste opere trovano spazio in vari ambienti della dimora familiare: il salone, la camera da letto, la soffitta, gli immensi giardini, la chiesa o la cappella adiacente alla tenuta.


Alcuni spunti di analisi secondo questa interpretazione potrebbero essere le opere Jane Eyre (1847) di Charlotte Brontë (1816-1855), The Secret Garden (1909) di Frances Hodgson Burnett (1949-1924) e Brideshead Revisited (1945) di Evelyn Waugh (1903-1966). È necessario dire che dal punto di vista tematico e stilistico sono opere profondamente diverse tra di loro ma, se prendiamo in considerazione l’elemento famiglia nobile-aristocratica, possiamo trovare alcune comunanze.


Per quanto concerne Jane Eyre, un’ampia porzione del romanzo è coperta dall’esperienza lavorativa dell’eroina come istitutrice della piccola Adele a Thornefield Hall, la residenza del signor Rochester. Il signor Rochester non ha dei titoli nobiliari ma è, ad ogni modo, espressione della classe aristocratica inglese durante il periodo vittoriano. Egli ha il titolo di Master . Il temperamento del signor Rochester è quello di un uomo severo, adirato e autoritario, impeccabile all’etichetta ed è particolarmente austero da sembrare addirittura quasi cattivo. Thornefield Hall, residenza del signor Rochester è una dimora fastosa, addobbata riccamente, con tende e mobilia ma è al tempo stesso un castello misterioso ed ambiguo, dalle stanze troppo grandi, che trasmette paura e che sembra celare un mistero.

Thornefield Hall è la tipica residenza familiare di una famiglia notevole con dei possedimenti nell’ampia campagna inglese. Nella realizzazione filmica dell’opera del 1996 per la regia di Franco Zeffirelli, Thornefield Hall è presentato come un castello maestoso ed imponente circondato da vasti campi. Le scene al castello sono state girate a Haddon Hall, tenuta del duca di Rutland nei pressi di Bakewell, Derbyshire. (foto a sinistra)
Della dimora vengono presentati i vari spazi: il salone, la camera del signor Rochester, la camera di Jane Eyre, le grandi scalinate, la lunga galleria, la soffitta, il frutteto adiacente al castello. Gli ambienti esplicano la ricchezza della famiglia che vi abita che, in virtù della sua posizione privilegiata, è portata a comportarsi in maniera superiore e prepotente (in realtà Mr. Rochester è l’unico esponente legittimo del suo casato a viverci in quanto la sua figlioccia, Adele, avuta con una ballerina francese, probabilmente non è neanche figlia sua).

 

In Brideshead Revisited di Evelyn Waugh ci viene presentata una famiglia aristocratica, i Flyte.

Della famiglia ci viene descritto ciascun personaggio in maniera molto completa. La residenza familiare, sede della dinastia Flyte da tempi immemori, è il castello di Brideshead. Si tratta di una edificio molto grande e curato, dagli ampi saloni e dalle sontuose stanze da letto che si innalza dinanzi a un immenso parco verde. Nella realizzazione filmica dell’opera il castello di Howard (Castle Howard), un palazzo imponente e maestoso dello Yorkshire è stato impiegato per rappresentare il castello di Brideshead (foto a destra). In realtà nel film più che un castello (dello stile di Thornefield Hall in Jane Eyre) ci troviamo di fronte ad un palazzo reale dal gusto settecentesco. La ricchezza, lo splendore e l’imponenza di un edificio di questo tipo è funzionale per sottolineare la grandezza, la potenza e lo spessore di una famiglia nobile come quella dei Flyte, descritta nel romanzo.

La storia dei Flyte riguarda l’impatto della nobiltà inglese con la seconda guerra mondiale, la diaspora religiosa dei diversi membri e il declino dell’aristocrazia. Con la morte dei vari personaggi, esponenti della famiglia Flyte, e il sopraggiungere della guerra, il castello perde il vigore e lo splendore descritti nella prima parte del romanzo. I busti, le statue di marmo e le opere d’arte verranno progressivamente ricoperte di lenzuola per evitare la corruzione degli stessi per la mancanza di pulizie e di manodopera e, durante la guerra, il palazzo verrà utilizzato dall’artiglieria come quartiere generale ed assolverà quindi al ruolo di caserma.

 
Nell’ultimo romanzo citato, The Secret Garden, la situazione familiare descritta è molto simile a quella di Jane Eyre. Esistono una serie di analogie o di veri e propri parallelismi tra i personaggi di Jane Eyre e di Mary Lennox che andrebbero affrontati e analizzati in maniera più attenta. Mary Lennox, bambina di dieci anni orfana di entrambi i genitori viene mandata a vivere a casa dello zio, a Misselthwaite Manor nello Yorkshire.

La tenuta dello zio è in realtà un vero e proprio castello, una costruzione fortificata e misteriosa, sfarzosa ma che, come Thornefield Hall in Jane Eyre, cela un mistero.

Nel film del 2003 sceneggiato da Agnieszka Holland, le scene che si svolgono a Misselthwaite Manor vennero girate a Allerton Castle, un castello gotico del North Yorkshire (foto a destra).

La zio, Lord Craven , proprietario della tenuta e capo famiglia ha un temperamento molto diverso da Rochester. Lord Craven è un personaggio assente, debole, che non si impone sulla storia e sugli avvenimenti, poco autoritario (la governante Mrs. Medlock sembra essere molto più autoritaria e severa di lui. In realtà è lei a rappresentare la figura del nobile virtuoso, autoritario, forte e imperturbabile all’interno della storia, sebbene non disponga del cognome Craven). Lord Craven è un personaggio buono ma privo di rilevo, la cui debolezza deriva dalla morte prematura della moglie e dal dolore per la salute cagionevole di suo figlio.

Mr. Rochester e Lord Craven rappresentano due anime diverse di una stessa natura, quella del nobile possessore di svariati acri di terreno e di un castello, residenza storica della loro dinastia, nella campagna inglese. È il capofamiglia e Master (denominato Lord nel caso di Lord Craven), colui che prende le decisioni e al quale tutta la servitù deve sottostare. Il personaggio di Rochester, più forte e delineato, sembra essere quello più credibile all’interno del suo ambiente mentre quello di Lord Craven viene a rappresentare un Master debole perché affetto da solitudine e da malinconia, forse un personaggio più in linea con i nostri tempi.

Va inoltre ricordato che in entrambi i settings, Thornefield Hall e Misselthwaite Manor sono il luogo della reclusione e del non detto. Entrambe le tenute celano due realtà che vengono tenute nascoste dalle rispettive governanti delle tenute poiché i rispettivi signori hanno deciso in questa maniera. Nella soffitta di Thornefield Hall è rinchiusa Bertha Mason, una donna creola pazza e violenta che era stata la prima moglie del signor Rochester che, una volta diventata pazza e pericolosa era stata rinchiusa in una stanza del maniero secondo una tradizione molto diffusa in periodo vittoriano.
A Misselthwaite Manor invece Mary Lennox troverà per caso una camera da letto nella quale si trova suo cugino, il figlio di Lord Craven da tutti ritenuto malato e prossimo alla morte. Lo stesso ragazzo è cresciuto con la convinzione della sua malattia e della sua disabilità motoria ed inizialmente si mostra riluttante nei confronti delle idee della cugina ma poi, lasciandosi lentamente trasportare dalla ragazza, riuscirà a rinsavire dalle sue false credenze e a lasciare quella stanza chiusa, buia ed asettica dove per troppi anni è stato recluso con l’idea di essere gravemente malato. Ovviamente questi due personaggi, Bertha Mason e Colin Craven avranno degli esiti molto diversi. Nel primo caso la reclusione di Bertha sfocerà nel suo tentativo di fuga e nell’incendio del castello durante il quale muore mentre nel caso di Colin Craven quest’ultimo abbandonerà spontaneamente la sua reclusione per conoscere direttamente il mondo esterno e abbandonare la sua credenza di essere malato. La prima reclusione si conclude con la morte del personaggio, la seconda reclusione si conclude con l’ottenimento della libertà, la scoperta del giardino segreto e l’amore corrisposto di suo padre.

Questi tre esempi mostrano chiaramente come all’interno della letteratura inglese ottocentesca e novecentesca esista un vero e proprio topos, quello della famiglia nobiliare o alto borghese descritta all’interno dei suoi ambienti: tenute di campagna, palazzi, castelli. Attorno a questi elementi (l’aristocrazia e la sua superiorità, il castello e i suo segreti) molti narratori hanno creato delle storie, intessendo a volte elementi gotici e misteriosi in grado da provocare suspance, altre volte vere e proprie storie di amore (Jane Eyre) o di riscoperta di buoni sentimenti (The Secret Garden). Altre volte (Brideshead Revisited) la famiglia nobiliare è stata descritta nel corso degli anni, con il passare del tempo, e in questo modo l’autore ha sottolineato una vera e propria metamorfosi della famiglia (e della tenuta familiare) che si è conclusa con la dissoluzione della famiglia, la decadenza della nobiltà, il deterioro e il riconvertimento della dimora aristocratica.

 

23 Gennaio 2011
Lorenzo Spurio

L’ottava regina. La regina Mab.

Non sosterrò niente di nuovo e sensazionale nel dire che al mondo, oggigiorno, vivono e regnano ben sette regine. Questo non significa che ci siano altrettanti re. Infatti, solo in alcuni paesi (secondo una determinata costituzione) la moglie del re diventa automaticamente regina e il marito della regina diventa automaticamente re. In Inghilterra infatti questo non avviene. C’è la regina ma, almeno per il momento, non c’è nessun re. Con questo si capisce che le famiglie reali a noi contemporanee sono ben diverse dalle favolose famiglie reali descritte nelle fiabe dove ad un re corrisponde direttamente una regina e così via. Le diverse costituzioni nazionali stabiliscono leggi, norme e cavilli in base ai quali viene definito il particolar tipo di monarchia, le regole d’etichetta, la legge di successione al trono e gli emblemi del sovrano.La vecchia Europa detiene il primato delle monarchie e dunque anche la maggioranza delle teste coronate. In Europa vivono sei delle sette regine: la regina Elisabetta d’Inghilterra (n. 1926), la regina Margherita II di Danimarca (n. 1940), la regina Beatrice d’Olanda (n. 1938), la regina Sonja di Norvegia (n. 1937), la regina Sofia di Spagna (n. 1938) e la regina Silvia di Svezia (n. 1943). La settima è la regina Rania di Giordania (n. 1970), la più giovane tra le varie teste coronate a cui sin qui si è fatto riferimento.Con questo è facile concludere che nel mondo regnano sette regine, la gran parte delle quali è anche imparentata con le altre. In realtà non è esatto poiché esiste una ottava regina che è sempre stata onnipresente nel corso della storia ma al tempo stesso invisibile. Si tratta della regina Mab nota come la regina delle fate.

Il folklore anglosassone dedica una particolare attenzione al mondo fantastico e fiabesco del popolo delle fate, esseri di piccola dimensione e di ambo i sessi che vivono a contatto con la natura, dormendo all’interno dei fiori e che si manifestano per lo più di notte. Le fate incarnano dei comportamenti a nostro giudizio illogici ed irrazionali in cui l’uomo può evadere e viaggiare lasciandosi trasportare dagli eventi assurdi e divertenti che nel popolo delle fate avvengono. Si tratta di una dimensione fantastica, onirica, surreale, allucinata.Il nome della regina Mab viene fatto da Shakespeare in Romeo and Juliet nel passo di un monologo di Mercuzio, amico di Romeo (I atto, scena IV). La regina Mab, regina delle fate, viene descritta come essere molto ridotto a bordo del suo cocchio (che è un guscio di nocciola), tirato da una serie di piccole fate. Il cocchiere è una zanzara e il suo frustino è un ossicino di grillo. Questi elementi sottolineano la grande simbiosi tra il mondo delle fate e l’elemento naturale. Mercuzio richiama il nome della regina Mab per parlare del sogno: l’arrivo del sonno e l’addormentamento corrispondono all’arrivo delle fate.Le fate sono ampiamente richiamate all’interno di testi della letteratura seicentesca inglese, basti pensare al grande poema epico The Faerie Queene (La regina delle fate) scritto da Edmund Spenser nel 1590. Si tratta di un poema epico allegorico con il quale Spenser intendeva celebrare la dinastia Tudor e, in modo particolare la regina Elisabetta I descritta appunto come la regina delle fate.La regina Mab appare anche in The Entertainment at Althorp(1604) di Ben Jonson, Nymphidia (1627) di Michael Drayton e inQueen Mab: A Philosophical Poem (1813) di Percy Byshee Shelley.In A Midsummer Night’s Dream Shakespeare ci trasporta nei sottofondi di un bosco magico e incantato governato da Oberon e Titania, rispettivamente re e regina delle fate. Secondo alcuni critici Titania non sarebbe altro che la regina Mab, sebbene Shakespeare evita di chiamarla con il suo nome.Una breve ma significativa descrizione della regina Mab ci viene fornita da James Matthew Barrie, padre di Peter Pan nel testo Peter Pan in Kensington Gardens (1906) dove si parla molto dell’universo delle fate che popolano i giardini di Kensington di notte, dal momento di chiusura dei cancelli. La regina Mab vive in un fantastico e invisibile palazzo reale dei giardini di Kensington e possiede addirittura un palazzo d’inverno. A proposito delle case delle fate nel testo viene detto:

Quanto alle loro case, è inutile cercar di vederle, perché esse sono proprio il contrario delle nostre. Voi potete vedere le vostre case di giorno, ma non le potete più vedere nel buio. Ebbene, voi potete invece vedere le loro case nel buio, ma non le potete vedere di giorno, perché esse hanno il colore della notte ed io non so di nessuno che sia capace di veder la notte di giorno. Ciò tuttavia non significa che siano esse nere, perché anche la notte ha i suoi colori precisamente come il giorno, e più brillanti che questo. L’azzurro, il rosso, il verde delle case delle fate sono simili ai nostri con un lume di dietro. Il palazzo reale è costruito interamente di vetri multicolori, ed è la più graziosa residenza che si possa immaginare, se non che la regina qualche volta si lamenta perché la gente del popolo viene ogni poco a gettar delle occhiatine nell’interno per vedere che cosa essa sta facendo. Perché le fate, dovete sapere, sono persone assai curiose, e premono forte il naso contro il vetro per distinguere meglio, nel che sta la ragione del fatto che i loro nasi sono quasi sempre schiacciati.[1]

Barrie sottolinea che il comportamento delle fate, abbastanza stravagante, non è finalizzato a niente, a differenza delle occupazioni degli uomini:Una delle grandi differenze fra noi e le fate è che esse non fanno mai nulla di utile. Hanno sempre l’aria di gente affaccendata, che non ha un minuto di tempo da buttar via, ma se voi domandaste loro che cosa stanno facendo, non vi saprebbero dare risposta.

Due delle caratteristiche più note del popolo delle fate e che fuoriescono anche dal testo di Barrie è la loro completa simbiosi con l’elemento naturale (animali e alberi parlanti, boccioli di fiori, rami ondeggianti, animali che disquisiscono) e il fatto che sono instancabili ballerine. Proprio per questo nel folklore anglosassone si fa spesso riferimento a canti, ritornelli, ninnananne, musica e balli e girotondi di fate. Con un girotondo di fate si conclude l’opera A Midsummer Night’s Dream di Shakespeare.Dunque le regine al mondo non sono sette, ma otto. Mab è la regina onnipresente e invisibile che regna su di un popolo numeroso e potente, quello delle fate, che non è meno importante del popolo spagnolo o di quello svedese.

10 Gennaio 2010

Lorenzo Spurio

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[1] James Matthew Barrie, Peter Pan nei giardini di Kensington, versione italiana di F.C. Ageno, Firenze, R. Bemporad & Figlio Editori.

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