Francesca Innocenzi con “Formulario della presenza” a Palermo il 17 aprile

Giovedì 17 aprile alle 17.30, presso la libreria Nuova Ipsa di Palermo (via dei Leoni 71) si terrà la presentazione della silloge poetica della poetessa, scrittrice e saggista marchigiana Francesca Innocenzi dal titolo Formulario per la presenza (Progetto Cultura, Roma, 2022). L’opera, pubblicata nella collana “Le Gemme”diretta da Cinzia Marulli, approda per la prima volta in Sicilia, dopo diversi eventi letterari in Italia e anche all’estero: la versione italo-spagnola della raccolta, Formulario para la presencia (Ediciones Letra Dorada, Colombia, 2024), con traduzione di Emilio Coco, è stata presentata a Madrid lo scorso 21 febbraio.

A dialogare con l’autrice in questa occasione, le poetesse palermitane Ornella Mallo e Patrizia Sardisco. Modererà l’incontro Isidoro Farina.

Formulario per la presenza comprende poesie già incluse nelle sillogi scritte e pubblicate dall’autrice fino al 2019: Giocosamente il nulla, Cerimonia del commiato, Non chiedere parola. L’idea di questo volumetto nasce dall’esigenza di riunire quelle liriche che si potessero considerare portatrici di un senso oltre le contingenze che ne avevano determinato la genesi. Il titolo, Formulario per la presenza, potrà forse disorientare, data la mancanza di un nesso evidente con i testi, che recano anzi, a più riprese, tracce di assenze, lacune e sparizioni. Queste cadute nei baratri dell’assenza si sono rivelate tappe obbligate di un percorso, esistenziale e poetico, che ha a poco a poco avvicinato alla sostanza delle cose – anche attraverso l’essenzialità della forma – nell’esercizio al qui e ora, nel cogliere l’unicità di istanti in sé perfetti, nel perseguire un barlume di integrità nella frammentazione interna che sempre ci abita. Questa piccola raccolta è un formulario per la presenza, perché ogni verso è una pietra miliare in più verso l’esserci, nel mondo e per il mondo. Vuole essere un esercizio per travalicare la narrazione di un io intrappolato nel dolore, attraversare la parola per approdare nel luogo dove superarla, annientarla: «qui/ non chiedere parola/ ma rimani/ in qualunque tempo e forma tu sia».

Trattandosi di una scelta antologica operata direttamente dall’autrice, qualcuno potrà considerarla un’iniziativa dai toni autocelebrativi. In realtà l’intento è la messa in atto di una scrematura, di un punto nave da cui emergano scorie e persistenze di un modo di fare poesia che inevitabilmente si intreccia con le fluttuazioni esistenziali, da un lato, e con i nutrimenti che il mondo offre, dall’altro. Alcuni testi sono stati sottoposti a lievi modifiche, quasi sempre nella costruzione del verso, che merita grande attenzione poiché il rapporto tra la parola scritta e il bianco del foglio che la segue o la precede rinvia alla relazione tra il suono e il silenzio. «De la musique avant toute chose» ebbe a dire Verlaine. In definitiva, Formulario per la presenza può essere letta come la vera opera prima dell’autrice.

L’autrice

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Laureata in lettere classiche, è dottoressa di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (Manni 2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (Edizioni Progetto Cultura 2007), Cerimonia del commiato (Edizioni Progetto Cultura 2012), Non chiedere parola (Edizioni Progetto Cultura 2019), Canto del vuoto cavo (Transeuropa 2021); la plaquette Formulario per la presenza (Edizioni Progetto Cultura, Quaderni di poesia Le gemme, 2022); i saggi Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (Eum 2011) e Voci dal tempo indicibile. Ventuno saggi brevi sulla poesia (Rossini 2023); i romanzi brevi Sole di stagione (Prospettiva 2018) e Diario di una stalker mancata (Edizioni Progetto Cultura 2022). Nel 2023 è uscita in Romania la plaquette bilingue Halou de toamnǎ/ Alone d’autunno per Edizioni Cosmopoli di Bacǎu; nel 2024 la silloge Formulario para la presencia (Ediciones Letra Dorada, Colombia), tradotta in spagnolo da Emilio Coco. Per Edizioni Progetto Cultura ha diretto una collana di poeti esordienti, «La scatola delle parole», tra il 2007 e il 2012, e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010); la raccolta di saggi brevi sull’antichità classica L’antro di Proteo (2025). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole», della rivista online «Poesia del nostro tempo» e collabora con vari blog letterari con recensioni e articoli sulla poesia greco-romana e contemporanea. Ha ideato e diretto il Premio di poesia Paesaggio interiore ed è direttrice artistica dell’omonimo Festival.

“Lo stupore e la meraviglia”, la nuova raccolta di aforismi di Emanuele Marcuccio

Il poeta e aforista Emanuele Marcuccio ritorna con una seconda raccolta aforistica (suo quinto libro): Lo stupore e la meraviglia. Aforismi e pensieri, per i tipi di Youcanprint (Lecce) e la cura editoriale della poetessa e promotrice culturale Gioia Lomasti; sua è l’immagine di copertina, realizzata attraverso una rielaborazione grafica di uno scatto originale dello stesso Autore dell’agosto 2015 sulle Madonie.

Aprendo il libro da pagina 11 possiamo leggere una prefazione del critico letterario e poeta marchigiano Lorenzo Spurio, a cui segue una breve nota di edizione della stessa Lomasti, si prosegue nei suoi ottantotto numeri tra aforismi e pensieri, il cui tema principale rimane la poesia, non mancano pensieri e aforismi dedicati al progetto di poesia “Dipthycha”, ideato e curato dallo stesso Marcuccio; chiude l’opera un saggio di postfazione “Con stupore e meraviglia: un approccio alla scrittura aforistica di Emanuele Marcuccio” della compianta poetessa, critico letterario e saggista Lucia Bonanni (1951-2024), alla cui memoria l’Autore dedica lo stesso libro. Degno di nota l’inserimento in esergo al libro di una poesia inedita della stessa Bonanni, in cui è palpabile il panismo, la meraviglia e lo stupore innanzi allo spettacolo della natura.

In appendice un saggio di presentazione del progetto di poesia “Dipthycha” redatto dall’Autore, un progetto che ad oggi conta quattro volumi antologici editi (2013-2022) e la partecipazione di quarantadue voci poetiche contemporanee.

Il libro è presente sui maggiori store online e ordinabile in libreria attraverso il web-store “Bookdealer.it”.

«Questa silloge di Aforismi e pensieri – come ricorda il sottotitolo – raccoglie frammenti creativi che l’Autore ha vergato su carta in sei anni di tempo, dal 2012 al 2018, e possiamo concepirla come la naturale prosecuzione di una prima stagione di aforismi ricondotti poi alla precedente pubblicazione Pensieri Minimi e Massime del 2012. La nuova opera è anticipata da una suggestiva quanto misteriosa chiosa lorchiana nella quale viene chiamato in causa il concetto di “meraviglia” che Marcuccio nel corso dell’opera fa suo. La meraviglia proviene da un atto partecipativo dell’uomo che, mediante l’osservazione – non solo visiva ma anche interiore ed emozionale, dell’auscultazione – con passione si lega all’oggetto (e al mistero) della sua attenzione». (Dalla Prefazione di Lorenzo Spurio)

«[O]gni aforisma è come una perla di saggezza in grado di dare una profonda impronta al lettore. Questi testi sono intrisi di conoscenza dell’animo umano e sono in grado di toccare in pochi istanti di lettura pensieri complessi e universali». (Gioia Lomasti)

«La realtà storica dell’intero corpus delle opere marcucciane rivela una gamma di contenuti assai ampia, organica e finemente strutturata, sempre alimentata e curata dal genuino senso d’amore per le Lettere e dove ciascun testo prodotto “rimane sempre una cara creatura” (dall’aforisma N. 62), quasi come un individuo che abbisogna di essere lasciato libero di essere letto e in cui ciascun lettore può riconoscersi e sentirlo come proprio, se pure per onestà intellettuale “[u]n autore non è mai soddisfatto di ciò che ha scritto” (dal pensiero N. 66) perché, se lo fosse, smetterebbe di scrivere». (Dalla Postfazione di Lucia Bonanni)

Emanuele Marcuccio (Palermo, 1974), poeta, aforista, curatore editoriale. Per la poesia ha pubblicato Per una strada (2009), Anima di Poesia (2014), Visione (2016); per l’aforistica le raccolte Pensieri Minimi e Massime (2012), Lo stupore e la meraviglia (2024); per il teatro il dramma epico in versi di ambientazione islandese Ingólf Arnarson (2017). Presente in numerose antologie di autori vari, tra cui «L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990 – 2012)» (2012), è ideatore e curatore del progetto di poesia “Dipthycha” con quattro volumi antologici editi, dove la forma del dittico e trittico poetico è declinata rispettivamente a due e tre voci di autori diversi.

Emanuele Marcuccio pubblica il quarto volume del progetto poetico “Dipthycha”

Segnalazione di LORENZO SPURIO

È stato pubblicato poche settimane fa il quarto volume dell’apprezzato progetto poetico “Dipthycha” del poeta e aforista palermitano Emanuele Marcuccio. Il nuovo tomo, dal titolo Dipthycha 4. Corrispondenze sonore, emozionali, empatiche… si intessono su quel foglio di vetro impazzito…, esce per i tipi di TraccePerLaMeta Edizioni. In una sua dichiarazione spontanea (poi posta come esergo al Dipthycha 4) Marcuccio, con l’intento di dare le linee di confine di questa sua curiosa invenzione alla quale nel tempo hanno aderito decine di poeti di ogni regione d’Italia, ha osservato che «nell’individuare dittici e trittici poetici secondo il “Dipthycha” – operazione mai semplice – è essenziale che ogni autore non imiti l’altro ma che in una sorta di continuum, seguendo il relativo tema rimanga fedele al proprio modo di fare poesia. Se no, dove sarebbe l’innovazione? Solo qualcosa di simile a una poesia a quattro mani e nulla più».

Marcuccio ricorda anche in che modo si è appropriato della tradizione del “dittico” per rivisitarla dando vita a una creazione inedita e personalissima: «[la parola “dittico” proviene dal termine] latino diptycha (–orum), con contaminazione in chiave moderna e riadattamento del dittico – la tavoletta cerata in uso presso gli antichi Romani per scrivervi con lo stilo – in chiave poetica. [I]n ogni volume del progetto, la prima poesia di un dittico (o il suo inizio) va posta sempre nella pagina di sinistra, appunto per realizzare una rivisitazione poetica del dittico antico». Da queste premesse teoriche e stilistiche Marcuccio non si è assolutamente fermato se teniamo in considerazione che, su un ampliamento dell’idea originaria, nel 2016 nasceva il trittico poetico a tre voci (su importante suggerimento di Luigi Pio Carmina e del sottoscritto), quale ulteriore approdo e sfida.

Nel 2021 la proposta del dittico poetico a due voci è stata inserita anche quale sotto-genere per la partecipazione al noto Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” dove, assieme alla poesia dinanimista (sperimentazione di Zairo Ferrante) e alla corto poesia (genere coniato dai siciliani Antonio Barracato e Dorothea Matranga) compone la terza possibilità di scelta per chi è intenzionato a percorrere le vie delle “sperimentazioni poetiche e nuovi linguaggi”.

Qualche dato numerico per descrivere l’opera in oggetto. Marcuccio – che ricordiamo essere anche autore della mastodontica opera Ingólf Arnarson (2017) di ambientazione islandese – è qui presente con 31 poesie di sua produzione – dove figurano le opere di ben 22 autori per un totale di 145 componimenti.

Ad arricchire il già di per sé pregevole volume sono la prefazione della poetessa e giornalista romana Michela Zanarella e la postfazione attenta di un “mostro sacro” della poesia contemporanea, il poeta partenopeo Antonio Spagnuolo senza dimenticare la dovizia di dettagli e l’approfondimento critico dell’abruzzese naturalizzata mugellana Lucia Bonanni che sapientemente e con grande slancio ha commentato vari dittici poetici a due voci con autore classico. Tra queste investigazioni ermeneutiche anche un breve saggio del sottoscritto sulla sfortunata poetessa lombarda Antonia Pozzi.

Nella copertina campeggia un’opera pittorica della francese Henriette Browne (1829-1901) dal titolo “Ragazza che scrive” datata 1870-1874 e conservata al Victoria and Albert Museum di Londra. In questa immagine secondo Marcuccio si rileva una certa continuità con quella delle copertine dei tre volumi precedenti; in essa è possibile individuare una scriba romantica inserita in un contesto che fa pensare a qualcosa di povero ma che, al contempo, trasmette un gran senso di meraviglia e pacificazione.

Il volume, che viene pubblicato con un leggero ritardo a causa della pandemia che ha rallentato tutto, si compone di 310 pagine. In questa “non solita opera antologica” (come nel tempo Marcuccio l’ha definita) sono presenti, oltre alle sue, poesie di Silvia Calzolari, Lucia Bonanni, Francesca Luzzio, Daniela Ferraro, Valentina Meloni, Ciro Imperato, Luciano Domenighini, Giorgia Catalano, Grazia Tagliente, Igino Angeletti, Emilia Otello, Lorenzo Spurio, Maria Salvatrice Chiarello, Rosa Maria Chiarello, Anna De Filpo, Giorgia Spurio, Carla Maria Casula, Maria Rita Massetti, Maria Palumbo, Giusi Contrafatto e Anna Scarpetta.

Particolarmente interessanti le dissertazioni critiche sviluppate dall’accostamento sensoriale ed empatico in questi “respiri paralleli” o risonanze, tra autori della nostra contemporaneità e intellettuali consacrati alla grandezza dell’Olimpo e inscritti nelle più luminose pagine della storiografia critica nazionale tra cui il Genio Recanatese (immancabile riferimento in Marcuccio e punto di raccordo inesauribile della sua primissima produzione), Giovanni Pascoli, sino ai più tormentati Dino Campana, autore dei celebri Canti Orfici e la poetessa di Pasturo, autrice di Parole, Antonia Pozzi. L’attenzione non si ferma alla cultura letteraria del Belpaese ma finisce per abbracciare anche una selezionatissima parure di poeti stranieri tra cui Rainer Maria Rilke e la polacca vincitrice del Premio Nobel Wisława Szymborska.

Antonio Spagnuolo nella postfazione descrive il progetto nei termini di una «operazione culturale di alto livello [dotata] di perspicace plurivocità», gli fa eco Lucia Bonanni che ravvisa la genialità e l’unicità del progetto parlando consapevolmente di un’opera che mostra la sua «eccellenza in cui rinvenire una considerevole mappatura di poeti italiani e stranieri».

Last but not least il progetto sposa, come avvenuto per i precedenti tomi, la causa umanitaria dal momento che l’Autore, d’accordo con i ventidue autori inseriti, ha deciso di destinare i frutti derivanti dai proventi della vendita al Comitato pro terremotati centro Italia di Ancescao APS.

Emanuele Marcuccio (Palermo, 1974) per la poesia ha pubblicato Per una strada (2009); Anima di Poesia (2014); Visione (2016), per gli aforismi Pensieri Minimi e Massime (2012) e per il teatro il dramma epico in versi liberi di ambientazione islandese e medievale Ingólf Arnarson (2017). È redattore delle rubriche di Poesia “Il respiro della parola” e di Aforismi “La parola essenziale” della rivista Poesia e Critica Letteraria “Nuova Euterpe”. Ha scritto prefazioni a sillogi poetiche e vari autori esordienti ed emergenti gli hanno rilasciato interviste. È stato ed è membro di giuria in concorsi letterari nazionali e internazionali. È presente in «L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990 – 2012)» (2012). È ideatore e curatore del progetto poetico “Dipthycha”, non solita serie antologica di dittici “a due voci”, del quale sono editi quattro volumi (2013; 2015; 2016; 2022) a scopo benefico. È creatore e curatore del blog “Pro Letteratura e Cultura” e poeta accreditato su “WikiPoesia”.

LORENZO SPURIO

Jesi, 16/02/2023


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Premio Letterario “Ibn Hamdis”, presieduto da Gabriella Maggio e organizzato da Lions Club Palermo dei Vespri

BANDO DI PARTECIPAZIONE

Il Premio, promosso dal Lions Club Palermo dei Vespri, è senza fini di lucro e ha l’obiettivo di incentivare la produzione di opere letterarie e fare conoscere il mondo lionistico.

Il Premio è intitolato a Ibn Hamdis, poeta arabo-siciliano del sec. XI-XII. Questi suoi versi nella versione di A. Porta: “Le parole le ho messe / dentro una sacca preziosa, vincolo di sussistenza / per attraversare il deserto“.

I Giurati, i cui nomi saranno resi noti solo a conclusione della votazione, valuteranno gli scritti pervenuti via e-mail, a loro insindacabile giudizio.

Il concorso si compone di tre sezioni distinte:

Sezione “A1” – Poesia inedita a tema libero 

Il concorrente dovrà inviare  a mezzo mail una o due poesie a tema libero di massimo 30 versi ciascuna, in un unico file pdf e senza alcun riferimento all’autore. Nella stessa mail allegherà  la scheda d’iscrizione, debitamente compilata in ogni sua parte.

Sezione “A2” –  Haiku inediti a tema libero

Il concorrente dovrà inviare  a  mezzo mail  tre componimenti Haiku in un unico file pdf e senza alcun tipo di riferimento all’autore. Nella stessa mail allegherà  la scheda d’iscrizione, debitamente compilata in ogni sua parte.

Sezione “B” – Narrativa   a tema libero  inedita

Il concorrente dovrà inviare a mezzo mail un racconto di massimo 6.000 battute, compresi spazi e punteggiature, in formato pdf e senza alcun tipo di riferimento all’autore. Nella stessa mail allegherà  la scheda d’iscrizione, debitamente compilata in ogni sua parte.

REGOLAMENTO

Per ogni sezione è d’obbligo la compilazione della SCHEDA DI PARTECIPAZIONE allegata al bando.

1)Possono partecipare al Concorso Autori italiani o stranieri con elaborati in lingua italiana o in lingue vernacolari d’Italia corredate da traduzione in lingua italiana. Sono esclusi dalla partecipazione i soci del Lions Club promotore, Palermo dei Vespri. Per i  minorenni la scheda d’iscrizione  deve essere controfirmata da un genitore di cui si allega fotocopia, debitamente firmata,  del documento d’identità

            2)  Le opere partecipanti e la scheda d’iscrizione dovranno essere inviate in formato pdf esclusivamente all’indirizzo mail del concorso:

premiolett.vespri@libero.it

entro e non oltre  il 15 /04 /2023  (farà fede l’orario di invio della mail)

             3)  E’ ammessa la partecipazione a tutte  le sezioni

 4)  Non sono ammessi elaborati pubblicati con una Casa Editrice o auto-prodotti dotati di codice identificativo ISBN o DOI o precedentemente premiati o classificati nei primi tre posti in altri concorsi nazionali e internazionali

5)   Le opere inviate non devono presentare contenuti a carattere diffamatorio pena l’esclusione dal concorso

6)  Gli autori premiati, che saranno avvisati via mail , sono tenuti a presenziare alla   cerimonia di premiazione.  Sono ammesse deleghe per il ritiro dei premi : targhe e attestati  di merito

7)   La partecipazione al concorso implica l’accettazione del regolamento

8)   Gli elaborati partecipanti al premio non saranno restituiti

9)Il giudizio della  Giuria è  insindacabile ed inappellabile

10)  La quota di partecipazione richiesta, a titolo di contributo spese, è di:

euro 10 per una sezione di concorso

euro 15 per due sezioni

euro 20 per le tre sezioni di concorso

 da versare sul conto corrente IBAN:

IT94H0306904612100000002279

Intestato a Lions Club Palermo Dei Vespri

12) La cerimonia di premiazione avrà luogo  nel mese di giugno 2023

13) Si garantisce che  i dati personali saranno utilizzati per i soli fini del Concorso e nell’ambito delle iniziative culturali connesse alla diffusione del Bando, secondo quanto previsto dalla legislazione in vigore e in particolare a quanto normato dal Regolamento UE/2016/679 General Data Protection Regulation (G.D.P.R.)

PREMI

Primo e secondo classificato  : targa personalizzata

Terzo classificato: diploma personalizzato


I PREMIO LETTERARIO “IBN HAMDIS”SCHEDA D’ISCRIZIONE

Sezioni di partecipazione (barrare):

  A1     A2     B

Autore:  Nome, Cognome

Nato a:

Residente:

Titolo/i dell/e opera/e

Mail:

Cell:

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del Reg.UE/2016/679 General Data Protection Regulation (G.D.P.R.),per le sole finalità legate al concorso in oggetto.

Dichiaro

che  l’opera è inedita (non pubblicata con una Casa Editrice o auto-prodotta dotata di codice identificativo ISBN o DOI) 

 che non è mai stata precedentemente premiata o classificata nei primi tre posti in altri concorsi nazionali e internazionali

che è frutto del mio ingegno e creatività.

 Sollevo  il Lions Club Palermo dei Vespri  da qualunque tipo di responsabilità, da violazione di Copyright, plagi, dichiarazioni mendaci, rivendicazioni, pretese.

In Fede

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“Sul far della poesia” di Guglielmo Peralta. Recensione di Gabriella Maggio

Recensione di GABRIELLA MAGGIO

Dal finito all’infinito, dall’opacità alla verità, dal deserto al canto che vince la rovina è la tensione che anima Sul far della poesia, raccolta poetica di Guglielmo Peralta, edita da Spazio Cultura nel febbraio del 2022. Il poeta, come enuncia il titolo, vuole esprimere il momento aurorale della poesia, l’attimo in cui l’etimo privato diventa segno universale della condizione umana.

Attorno a questo nucleo concettuale Peralta si rivela sottile, inquieto, indagatore, attento all’accento profondo della cultura e alle riflessioni dell’intelligenza, sentiti come manifestazioni di una superiore realtà. Dai segni sensibili, percepiti dallo sguardo, grafia che sottolinea una lacuna, un’assenza tra l’io e il vedere, dal lampo che il velo squarcia ha origine la poesia: dove hanno radici / il canto il sogno la parola. Enell’istanza della parola che “finge”, plasma, il mondo Peralta trova il frutto del mio senodove nasce e dimora / l’universo.

La Poesia è “vetta e abisso”, regina dei sogni, fata benevola…  vita autentica: e io vivo sì io vivo  / per la grazia di un verso / per questa sacra ostia dove / Poesia / si transustanzia… Ma il fare poesia non è immediato o scontato, mantiene sempre  un qualcosa d’enigmatico e misterioso: Solo qualche miraggio offre /la Bellezza specchio dell’invisibile. E il miraggio deve trovare un’eco, una corrispondenza con lo stato in cui si trova il soggetto che le darà espressione.

L’avventura della Bellezza, nascosta nella complessità della realtà, dà al poeta uno stato di grazia che lo conduce all’Anima del mondo a scaldarsi al fuoco sacro della Poesia. Il paradiso del canto si dipana spesso nell’atmosfera  solitaria della notte: Nel respiro dell’aria assopita è la mia felicità e la mia pace… e sono terra vergine nel giardino soale /  dove il sogno  scava la mia notte. O anche Non è forse feconda la notte d’ideali favelle? Nell’eco di Novalis: Sacra, ineffabile, arcana notte, come si legge nel I Inno alla notte.

Prezioso l’aggettivo soale che coniuga sogno come immaginazione creatrice e realtà. In un mondo di conflitti nascosti e palesi il poeta, nuova Shérazade, allontana l’orrore e dà voce all’invisibile attraverso il suo canto, che è sempre un canto d’amore per uomini e cose.

Chi ha paura dei poeti? La barbarie che opprime i popoli / teme la loro parola / che nel silenzio e nel buio / urla e scintilla / e si fa voce del mondo / dono prezioso e fionda / contro i filistei di ogni tempo / Davide è la poesia che vince Golia.

La raccolta è divisa in tre sezioni Delle brame e delle meraviglie, Abitare l’essere, Nove. Se la prima sezione, come enunciano chiaramente le brame e le meraviglie della Bellezza è un inno alla poesia e alla letteratura che culmina nei cinque componimenti dedicati a Proust, la seconda affronta il silenzio di Dio.A lui Peralta chiede di schiodare l’uomo dalla sua croce, dal libero arbitrio che diventa licenza di morte.

Si amplia in Abitare l’Essere l’uso del linguaggio liturgico, il senso sacro della poesia. Nove sposta l’attenzione sul mondo che dorme nella la vedovanza di lingua e d’amore, nello spreco della sua autonomia. L’ultimo testo Epifanie compendia il significato dell’opera: Fare poesia / Praticar la bellezza / Bene del mondo.

La poesia di Guglielmo Peralta è pura, intensa creazione intellettuale, che non ignora, ma trascende la realtà sensibile, l’inferno quotidiano, per raggiungere la grazia della creazione, il canto, la gaia poesia che annuncia il rinnovamento dell’uomo. Il vero poeta è sommamente disposto ad esser gran filosofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta, anzi né l’uno né l’altro non può esser nel gener suo né perfetto né grande, s’ei non partecipa più che mediocremente dell’altro genere, quanto all’indole primitiva dell’ingegno, alla disposizione naturale, alla forza dell’immaginazione. Queste parole, tratte da I Pensieri di Giacomo Leopardi, illustrano a pieno il magistero poetico di Guglielmo Peralta.

GABRIELLA MAGGIO

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“Sincronia tra cuore e mente” del palermitano Antonino Causi. Recensione di Gabriella Maggio

Recensione di GABRIELLA MAGGIO

La poesia è ancora oggi interprete necessaria della vita e dell’attualità perché stimola le coscienze. È come una riparazione, una lotta contro l’evanescenza del tempo, lo sfiatamento della giornata, come dice il poeta Franco Arminio. È il tentativo di cogliere il senso delle cose e delle vicende con parole ritenute giuste e precise per evitare la perdita d’identità. Oggi nel regno del prosaico, nel senso proprio che rimanda al carattere della prosa, la poesia per fortuna è ancora possibile, fa da argine al profluvio di parole che dilaga intorno a noi e ci chiede una concentrazione ed uno sforzo che ci riporti a noi stessi, come dimostra Antonino Causi con la pubblicazione delle poesie Sincronia tra cuore e mente (Il Convivio Editore).

Quaranta poesie equamente distribuite tra le sezioni Cuore e Mente, distinzione che, come dice Lorenzo Spurio nella brillante prefazione “non nasce da una reale idea di cesura, da una volontà di istituire due zone apparentemente distanti e slegate perché è evidente quanto la componente razionale-intellettiva e quella pulsionale-emotiva vengano a unirsi determinando quel climax di sensazioni e di pienezza emotiva…spesso difficile da verbalizzare”.

L’Io lirico di Antonino Causi non si risolve in immagini, ma si dà in frammenti, in frantumi di un intero a cui il poeta, figlio del nostro tempo parcellizzato, anela, sensibile all’amore, al male di vivere, alla violenza.

Ricordi, assenze, attese, ricerca di un’armonia in sé e nel mondo connotano i testi poetici: “Aspetto un giorno / che novella letizia / possa sciogliere questo doloroso / nodo dell’anima (in “Assenza”); “E il mio infinito / sarà una nuova alba / che aspetta ancora / la sua ritrovata melodia (in “Carillon”). Eppure non manca la speranza di una vita più piena: “Gusteremo i nostri giorni / e canteremo inni alla vita / quando le albe e i tramonti / stringeranno nostri cuori (in “Tornerà l’estate”).

Risentita è sempre l’attenzione del poeta a quanto oggi accade nella società, alla violenza come leggiamo in “Verità per Giulio Regeni” e in “A Patrick Zaki, prigioniero di coscienza”, alle tematiche ecologiche in “La montagna deturpata” e in “Se questo è vivere” e alla crisi dei valori nel ricordo di Attilio Manca e Domenico Asaro.

Come Antonino Causi dice nel secondo esergo del volume: “Il poeta è l’artigiano della parola, / costruisce emozioni e sentimenti / da donare agli altri”, la poesia è certamente un dono, ma soprattutto è un fatto sociale, che ha bisogno di lettori e li avvicina fra loro.

GABRIELLA MAGGIO

L’autrice della recensione ha autorizzato la sua pubblicazione su questo spazio senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in seguito.

La riproduzione del presente testo, in forma integrale o di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito in assenza dell’autorizzazione dell’Autrice.

“Acqua” di Pietro Manzella. Recensione di Gabriella Maggio

Recensione di Gabriella Maggio

Dopo avere trattato del fuoco, della terra e dell’aria (le tre sezioni della raccolta Semi. G. Laterza, 2015), Pietro Manzella rivolge la sua attenzione all’acqua, simbolo di vita e di rinnovamento, nella raccolta Acqua, pubblicata nel 2020 da Spazio Cultura edizioni. Con Acqua Manzella compie la sua riflessione sui quattro elementi primordiali e affina la consapevolezza di ciò che è essenziale e nobile nella vita. Riunendo le poesie scritte dagli esordi nel 1964 al 2019 il poeta mette in risalto il valore del suo orizzonte emozionale ed espressivo che si svela sull’asse del tempo, come nota Nicola Romano nella quarta di copertina: “E, come a voler ripercorrere una personale storia emozionale, Pietro Manzella sembra qui creare un’occasione di ulteriore confronto con un arco temporale pieno di alterne vicende che, come acqua, sono ormai fluite via”.  L’epigrafe eraclitea “nulla perdura se non il mutamento”, rimanda alla vita, all’esperienza del suo mutare, al mescolarsi degli opposti, valori e non valori individuati nelle poesie, che esprimono il senso più proprio del pensiero del filosofo di Efeso e che Manzella vuol fare suo.

La sua poesia si assume il compito di “svegliare gli uomini”, invitandoli a cogliere il senso profondo delle cose. Risalta chiaro il suo paradigma di valori. Il mutamento continuo e disordinato che il poeta avverte intorno a sé potrebbe trovare un argine soltanto nell’amore nelle sue varie forme, se diventasse forza trainante della vita: “Perché tutte le Nazioni / non distribuiscono / canne da pesca/ ai loro uomini/ anziché fucili?”. Soltanto la capacità di provare emozioni e  sentimenti  può salvare  l’uomo, dissetarne l’arsura  di valori e di senso  e nel contesto  l’acqua appare elemento salvifico: “campi di girasoli / inondati/ da grandine di polvere… / si dissolveranno in rivoli risorti / tornati a scorrere / limpidi e gioiosi (Acqua)”. Su questo tema di fondo si costruisce la trama della raccolta fatta di risentita coscienza, ferma volontà d’indagine e di denuncia, ricerca di Dio. L’ispirazione viene al poeta sempre dalla quotidianità rappresentata nei suoi frammenti, che si rivelano correlativi oggettivi, nodi d’emozioni. Leggendo le poesie di Acqua si percepisce il riflesso di un’attenzione fervida alla realtà, mediata dallo specchio del linguaggio. L’ispirazione di Pietro Manzella non ha nulla del “coup de foudre” e la sua originalità  sta nella convinzione che la dignità della poesia consiste  nell’essere in rapporto diretto con la vita.  Referenziale, coerente alla quotidianità è la lingua poetica di Pietro Manzella che non cede all’invenzione linguistica o alla trovata rara, ma resta ancorata alla lingua di tutti e alla diretta comprensibilità. Manzella è tra i poeti contemporanei uno dei pochi che riesce nei suoi versi a esprimere qualche barlume di felicità: “gioire di tanta bellezza / insieme a colei / da cui tutto nasce (Bellezza)”; “Apro le palpebre / e vedo / il tuo rossetto / sorridente / e mi avvio al mondo (Acqua)”; “Ho percepito / l’ebbrezza / della tua mano / che carezzava la mia (Soffioni)”.

Acqua, dedicata alla nipote Elisa, è una ideale prosecuzione di Semi, immediatamente precedente, dedicata ai figli, Laura e Giuseppe. In Acqua quei “semi per la rinascita della vita” della poesia conclusiva, sbocciano per la nipote, per il suo sorriso gioioso che sazia diserenità, mentre comincia a gustare la vita e i suoi sapori per mezzo dei frutti della terra che lui, il nonno poeta religiosamente coltiva.

La dialettica intima dei temi affrontati, personali, sociali, religiosi costituisce una mappa tematica su cui sono segnate tre direzioni fondamentali: io lirico, società /natura, donna /musa. Su queste si esercita l’umana richiesta di senso di Pietro Manzella e si manifesta la sua originalità, la sua cifra stilistica. I versi liberi misurati sulla ripetizione di sintagmi e la comparazione col “come” s’accordano con l’emozione del poeta e si fondono in un ritmo armonioso e in un timbro pacato.

GABRIELLA MAGGIO


L’Autrice del testo ha autorizzato, senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro, alla pubblicazione su questo spazio. E’ severamente vietato pubblicare il presente testo in forma integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autrice.

“La leggenda del santo ergastolano” di Giuseppe Bommarito, recensione di Marcello Maria Pesarini

La leggenda del santo ergastolano (Affinità Elettive, Ancona, 2022), un titolo beffardo, quasi irriverente, proprio come vogliono essere le parole del figlio del protagonista, Ninì, il quale durante l’adolescenza scopre con estremo dolore l’appartenenza del padre a Cosa Nostra e si impegna con tutte le energie nei comitati antimafia che sorgevano a Palermo negli anni ‘90. Eppure la beffa dura l’attimo in cui viene pronunciata, svelando, appena scompaiono le parole, una narrazione sul dovere, anzi sui doveri umani.

Le 254 pagine dell’ultimo parto di Giuseppe Bommarito, edite dalle Affinità Elettive di Valentina Conti, casa editrice anconetana, si compongono di una prima storia sotto forma di romanzo di Rocco Russo e famiglia, e della seconda storia, narrata dal carcere in forma epistolare. Il dovere, per l’autore, è in primis quello del rispetto per se stessi, tradotto invece dal protagonista nell’inganno della rispettabilità, concessa agli “uomini d’onore” in Sicilia.

Rocco, cavallo di razza, non esita ad unirsi ai mafiosi coi quali il padre era colluso, appena dopo l’uccisione dello stesso da parte di una cosca rivale.

Inizia così una saga dei dannati, dei predestinati ad un futuro senza scelta, che tanto li identifica con i parigini descritti ne “L’ammazzatoio” da Emile Zolà.

Gli “ultimi”, che si erano inurbati e vivevano alle periferie della, forse, più prestigiosa città europea del tempo, partivano alla mattina verso il centro città alla ricerca di un impiego spesso giornaliero; solo alcuni arrivavano alla loro meta.

Zolà li descrive perdersi in osterie, in liti fra di loro, in diversivi perdenti. Il loro destino è segnato e la fine di molti protagonisti, miserrima, sarò lenta e inesorabile come quella di Rocco Russo.

Nel romanzo di G.B., Rocco Russo si illude che il suo dovere sia di arricchirsi e, innamoratosi di Sara, giovane donna la quale si ostinerà per quieto vivere a non vedere le vere occupazioni del marito, farà di tutto per non farle mancare nulla, con un sincero affetto che metterà su un gradino ben più alto degli agi ottenuti col suo tremendo lavoro di killer.

Tanto sarà l’impegno del protagonista nell’assolvere tale lavoro, che inizierà a disegnare la sua fine quando denuncerà al Capo Cosca il comportamento “poco professionale” e disumano di due suoi scagnozzi, uno dei quali si accanirà verso lui come collaboratore di giustizia.

Si apre ora una delle pagine più profonde e sofferte del romanzo, la denuncia degli effetti terribili delle droghe e dell’alcool su chi le assume.

La trasformazione di menti, spesso già predisposte, in un misto di superomismo e di risentimento verso l’umanità, che si illudono allo stesso tempo di potersi fermare e di poter punire chiunque, azzerando qualsiasi briciola di umiltà e di relazione col mondo esterno.

Pagine queste che ritorneranno in maniera diametralmente opposta nella seconda parte del romanzo: a fronte delle figure della moglie Sara che, proprio in nome dell’amore, analizza la sua precedente connivenza, e della figlia Consuelo che si addentra nella mostruosità della istituzione dell’ergastolo ostativo, dall’altra parte Rocco si ergerà a uomo che non ha voluto tradire altri colleghi, dannati consapevoli come lui, appuntandosi una immaginaria medaglia sul petto di uomo d’onore.

Molti i doveri a cui richiama Giuseppe Bommarito: leggere il libro fin in fondo, per comprendere quanto ingiusta sia l’istituzione della morte a lento rilascio (per questa rimando alle note di seconda pagina), essere umili e non giustificare mai le proprie scelte con le circostanze, accettare di essere composti di tante spinte contrastanti e non considerarle una debolezza.

Un romanzo di formazione degli anni 2000, nel quale lo stile non si piega alle circostanze, ma descrive facendo partecipe il lettore ai momenti di crudeltà come a quelli dell’amore più profondo.

MARCELLO MARIA PESARINI


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“Pensieri in movimento” di Rosa Maria Chiarello, recensione di Gabriella Maggio

Recensione di Gabriella Maggio

Leggendo Pensieri in movimento, raccolta di poesie di Rosa Maria Chiarello recentemente pubblicata per il Convivio, ho prestato attenzione al titolo ed in particolare alla parola movimento, che mi ha suggerito due versi di Dante (Purgatorio, C. III, vv. 13-14): la mente mia, che prima era ristretta, / lo ‘ntento rallargò, sì come vaga. Vago, nel lessico dantesco,esprime un desiderio intenso e nello stesso tempo indeterminato, ma anche l’idea di un movimento dettato da un impulso interiore. È questo movimento interiore che si fa parola poetica, espressione di emozioni e sentimenti nel costante dialogo di Rosa Maria Chiarello con se stessa e con la natura.

Tra gli elementi naturali un posto centrale occupa il mare, sin dall’immagine di copertina costituita dal dipinto di Antonino Scarlata Di terra e di mare. È mare di sogno e di sirene, ma anche di vita, di dolore e di morte, quello immaginato dalla poetessa nei testi posti in maniera emblematica all’inizio della silloge, Di terra e di mare, e alla fine, Mediterraneo.

La poesia di Pensieri in movimento è fatta d’immagini che uniscono l’aleatorio con il tutto:  scendere le scale del firmamento;  l’amore che colora di rosso le mie notti; orme di sofferenza; corpi uniti nell’abbraccio / offrono anime.  Immagine è immaginazione, parola che si collega  al potere creatore del cuore secondo l’etimologia della parola  che  ha le sue origini nel temine sufi “himma”. Immaginazione rimanda, quindi, all’autenticità e alla ricchezza del sentimento che genera la poesia.

I temi dellamemoria, soprattutto della madre amatissima, del sentimento del tempo che scorre inesorabile, degli affetti familiari, dell’amore, dei sofferenti segnano la continuità con le raccolte poetiche precedenti. Cambia il modo di dirli poeticamente.

Lo scavo interiore appare più profondo e maturo e Pensieri in movimento sembra costituire un capitolo, il più recente, di un’opera unitaria in fieri. Più urgente rispetto alle altre raccolte poetiche si fa il desiderio di pace e innocenza di fronte alla violenza e alla falsità del mondo.

In Spogliati la metafora della pelle nuda si protende verso l’innocenza del primo vagito che illumina il buio delle menti. In rilevo anche la riflessione sulla poesia: Non chiedetemi da dove/ vengono le parole/ non ne ho la coscienza/…e il definirsi poeta errante che va verso l’infinito e non s’arrende/ ancora canterà d’amore e carità, l’affermazione della necessità della poesia: l’unico amico/è una penna e un foglio perché la poesia è canto di liberazione: confessione e analisi dell’io.

“Chi non comprende la voce della poesia, è un barbaro”, aveva detto Johann Wolfgang von Goethe. A queste parole fa eco la poesia Essere: Fino a quando l’ultimo uomo/ …si commuoverà al suono  di una poesia…si avrà ancora la certezza/ che l’umanità  non si è dissolta / al suono del potere e del vile denaro….

Per quanto Rosa Maria Chiarello appaia consapevole del male e del dolore della vita, non manca mai di trovare una speranza, nel dialogo con luna e stelle, rose e cielo, tradizionali contraltari della poesia lirica, nella cui tradizione s’inserisce con voce autonoma e una luce che illumina le tenebre attraverso la fede.

La versificazione è libera, il linguaggio piano e colloquiale.  Non si presta però a una lettura superficiale, ma richiede attenzione per coglierne le risonanze emotive.

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Francesca Luzzio su “Emozioni senza compiacimento” di Gabriella Maggio

Emozioni senza compiacimento

Apre la silloge Emozioni senza compiacimento (Il Convivio Editore, 2019) di Gabriella Maggio, una pagina di haiku che, in un certo senso, possiamo considerare sinossi dei sentimenti, dei pensieri e delle emozioni che riceveranno più ampia esplicazione nelle poesie che compongono la silloge, il cui titolo è a sua volta indicatore dell’atteggiamento psicologico e razionale con cui la poetessa affida alla poesia il suo sentire perché essa “è una grande madre / accogliente e generosa / alma poësis” (in “La poesia”, p. 40).

L’attributo alma è una parola colta di matrice latina, che deriva dal verbo alere che in italiano significa nutrire, alimentare e perciò dare vita, pertanto la poesia è per lei, proprio come una madre fisica, però dà vita allo spirito e genera perciò catarsi per continuare a essere e ad esserci nel senso heideggeriano del termine, ossia nel costante impegno civile ed etico che dovrebbe caratterizzare ogni essere vivente  per continuare ad andare “con curiosità immutata… ancora  verso il mondo” (poesia “Col tempo”, p. 30) perché la conoscenza  aumenta ulteriormente il desiderio di sapere e agire nella famiglia, nella società, nel mondo.

La poesia è quindi per Gabriella Maggio così come per Amelia Rosselli, “luogo di integrale dicibilità, un equivalente del nesso inconscio/coscienza, un luogo nel quale vengono meno i confini tra interno ed esterno, tra privato e sociale in una completa ricollocazione dell’io nel mondo” (Luperini; Cataldi, La scrittura l’interpretazione, ed. Palumbo).

E così Gabriella Maggio, proprio perché anche per lei la poesia è luogo integrale di dicibilità, ora esprime il suo amaro stupore di fronte alle nuove generazioni che inseguono le news sugli schermi del telefono e scambiano il caos che essi generano con la conoscenza, ora l’ascolto del suono dell’arpa diviene per lei “fiotto dell’acqua sui sassi” (poesia “Ascoltando l’arpa”, p. 20), oppure esprime la sua pietà nei confronti dell’accattone che guarda “avida la moneta” (poesia “Nel cerchio d’oro”, p. 38) e tanto altro ancora in un eterogeneo flusso che guarda fuori da sé e in sé e nello sguardo rivolto alla sua interiorità non può non accorgersi, fra l’altro, del fluire del tempo che nel suo scorrere le lascia tanti ricordi di ciò che è accaduto e di ciò che sarebbe potuto accadere e tutto ormai sta chiuso a chiave nel suo cuore. Né l’accumulo ormai cospicuo è sempre positivo sia a livello esistenziale che sociale, ma l’eterogeneità di eventi e conseguenti comportamenti che la vita nel suo fluire costante genera, non muta nella poetessa la curiosità con cui continua ad andare “ancora verso il mondo” (poesia “Col tempo”, p. 30).  

La libera versificazione trova nella pregnanza linguistica e nell’uso appropriato della metafora e di altre figure retoriche, la sua valorizzazione estetico-emotiva sia che proponga realtà oggettive o penetri nell’essenza umana dell’io.

FRANCESCA LUZZIO

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“I versi e le parole” di Giuseppe Pappalardo, recensione di Gabriella Maggio

Recensione di GABRIELLA MAGGIO

La vita umana è breve e fuggitiva dice Giuseppe Pappalardo in questa sua recentissima opera I versi e le parole, edita da Edizioni Thule di Palermo. Versi raffinati, ricchi di echi della tradizione latina e italiana, Orazio (Eheu  fugaces , Postume, Postume,/labuntur anni- Odi II,14) e Petrarca (La vita fugge e non s’arresta un’ora, Canzoniere, CCLXXII) fra tutti. Ma anche denso di altre risonanze come quella della lunga tradizione poetica intorno alla rosa, rielaborata da Pappalardo in simbolo della caducità di ogni cosa umana (Schiusa si è / da qualche settimana, presto sarà dei petali spogliata…è l’inclemente legge primordiale / che spegne le illusioni degli umani, / è la crudele vita e dolorosa).

L’usuale registro dialettale che sino ad oggi ha connotato la produzione poetica di Giuseppe  Pappalardo cede in questa raccolta  all’uso  della lingua italiana, quella della tradizione poetica fatta di endecasillabi e settenari. Il poeta esprime nel mutato linguaggio la volontà d’innalzare il canto dall’intimo colloquio dei sentimenti privati a quello più universale e impegnativo che aspira a fare il bilancio di una vita e di tutte le vite umane nello stesso tempo.

Accanto ai temi propriamente lirici si affiancano quello della natura, come sfondo e paesaggio che suscita la poesia e della religione che acquieta e dà speranza, anche se il poeta teme l’orrendo vuoto del silenzio di Dio. I versi e le parole contengono tanta nostalgia della giovinezza trascorsa, della pienezza della vita che nel tempo si perde: Scrivimi, amore dolce, quando canti/ ed accompagni la tua voce al piano, / lega la busta all’ala di un gabbiano / che voli tra le nuvole e i rimpianti….Libererò il cuore prigioniero / dai miei silenzi vuoti di poesia; / risponderò, struggente nostalgia, / e il vento sarà  il nostro messaggero. Ma accanto alla nostalgia c’è una punta di speranza: Apparirà l’azzurro / dopo l’arcobaleno. / Tornerà la ghiandaia / e nel cuore il sereno. E nel cuore sereno rinasce la poesia consolatrice anche nel momento del commiato dalla vita che il poeta sente avvicinarsi: Mi hai fatto compagnia / nell’angusta prigione della vita, / hai messo l’ali della fantasia / all’anima che si era ammutolita… Indugia Giuseppe Pappalardo sulla poesia in apertura e in chiusura della raccolta. Sia I versi e le parole, da cui il titolo, sia Alla poesia, testo conclusivo della prima sezione, rivelano la centralità della riflessione sul poetare, ragione di vita, canto, melodia che precede e cerca la parola che vi si armonizzi. Sincero è il sentimento di Giuseppe Pappalardo e sicuri i suoi mezzi espressivi e stilistici anche nella seconda parte della raccolta Versi brevi che ha un marcato accento gnomico, nato dall’esperienza. Non manca anche in questa sezione un accenno alla poesia: È d’oro il Paradiso / e leggiadria di fiori e di candore, / la poesia.  Davvero alma poësis.

 GABRIELLA MAGGIO

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