Intervista a Emanuele Marcuccio, poeta e aforista palermitano, a cura di Lorenzo Spurio

Intervista ad Emanuele Marcuccio

Autore di Per una strada

Sbc Edizioni, 2009

 

a cura di Lorenzo Spurio

LS: Come dobbiamo interpretare il titolo del tuo primo libro, Per una strada?

EM: Questo titolo ha un’origine davvero curiosa, ogni volta che lo racconto, sembra un aneddoto, e invece è tutto vero. Era il novembre del 1998 quando scrissi l’omonima poesia, “Per una strada”, mi trovavo per strada, era un pomeriggio e il tempo preannunciava un temporale, d’improvviso mi raggiunge l’ispirazione e io, avendo come unico foglio di carta su cui appuntarla solo il retro di uno spiegazzato scontrino della spesa, la appunto proprio lì:

Per una strada

 

Per una strada senza fronde

si aggira furtivo e svelto

il nostro inconscio senso,

passa e non si ferma,

continua ad andar via

e non si sa dove mai sia.

Quanto mi sembrarono quasi insignificanti quei versi, la misi da parte, sfuggiva anche a me il suo significato profondo, in seguito capii che, quell’apparentemente semplice poesia nascondeva in sé l’essenza della mia stessa ispirazione, perché, la mia ispirazione è furtiva e svelta, passa e vola via e, se non l’afferro e la trattengo nel mio cuore con i versi che metto sulla carta, passa e vola via e nessuno sa più dove mai sia. Cito un passo della mia introduzione alla poesia, recentemente edita in appendice al mio secondo libro Pensieri minimi e massime: «[…] affinché la poesia sia vera e sincera deve esserci questa scintilla iniziale, dopodiché possiamo scrivere di getto, in maniera spontanea o, fare un lavoro di lima ricercando la rima più adatta o la parola, o il suono e starci tutto il tempo che ci sarà necessario. In caso contrario, diventerebbe solo qualcosa di artificioso che non è espressione del proprio sentire».

Poi, ho intitolato la mia raccolta Per una strada, proprio perché l’ispirazione, furtiva e svelta, mi ha raggiunto, la maggior parte delle volte, proprio per strada: camminando, sull’autobus, etc.

E perché proprio quell’articolo indeterminativo?

Avrei potuto toglierlo e intitolarla semplicemente “Per strada”. Quell’articolo rappresenta la semplicità, l’indeterminatezza, il poter trovare la poesia in tutto, anche nelle cose più semplici e quotidiane, poiché, a mio avviso, una sola è la strada che ci porterà alla poesia e alla sua voce più profonda, quella della spontaneità e della semplicità. Citando un mio aforisma, sempre dal succitato libro, “Ritroviamo e ricerchiamo sempre l’obliato proprio sé fanciullo, perché, solo con gli occhi dell’anima di un bambino si può davvero essere  se stessi e volare alto, anche se camminiamo per una strada spesso irta di ostacoli, problemi e preoccupazioni”. E questo vuole la poesia, uno sguardo semplice ma attento, molto attento e sempre pieno di stupore e di meraviglia.

Infine, c’è un’ultima motivazione o, forse si tratta della motivazione ultima?

Proprio per la presenza di quel “senza fronde” nella poesia “Per una strada”, che ha un significato proprio e metaforico al contempo; con quel “senza fronde” ho cercato di riassumere il sentimento di straniamento e di smarrimento dell’uomo contemporaneo, che si ritrova privo di valori e di qualcosa in cui credere, simile a un albero in autunno, spogliato delle sue foglie. Sorge quindi il bisogno di aggrapparsi a qualcosa o a Qualcuno in cui credere, prima che anche le radici vengano strappate via dalla tempesta dell’inverno.

 

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

EM: Ma io non lo nego, anzi, in ogni mia poesia si può rintracciare un riferimento autobiografico, anche minimo, anche nella più insospettabile, la scrittura in fondo è trasfigurazione di quel caos del proprio vissuto. E la letteratura può essere un modo semplice ed efficace per narrare storie di se stessi e degli altri, pensiamo ad esempio al famoso racconto “La metamorfosi” di Franz Kafka, il segreto è trasfigurare bene il tutto. Scrive, infatti, Marcel Proust nella Rechérche: «Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso». E, citando anche un mio aforisma, sempre dal secondo libro, “Scriviamo di una realtà come trasfigurata e, nel contempo, cerchiamo di porgere al lettore una speciale lente d’ingrandimento, che trasfiguri e ingrandisca allo stesso tempo”.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

EM: Il mio genere letterario preferito è sicuramente la poesia, soprattutto come scrittura, gli altri generi preferisco leggerli. La poesia è la più profonda forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni; la poesia riesce a emozionare, etimologicamente parlando, riesce a portare allo scoperto (l’anima), parafrasando la mia poesia “Sé e gli altri” da Per una strada, riesce a portare allo scoperto “l’obliato proprio sé fanciullo”. La poesia riesce a far conoscere se stessi, riesce ad interrogarci, riesce a farci riflettere, riesce ad emozionarci, riesce a rendere l’ordinario straordinario e, in qualche maniera, anche a migliorarci, a renderci più sensibili nei confronti degli altri.

Leopardi è il mio poeta preferito, per l’infinita e meravigliosa musicalità dei suoi versi. Da lui ho appreso la musicalità e la fluidità del verso, senza fare uso della rima; su più di centotrenta sono meno di cinque le poesie che ho scritto interamente in rima. Quanto mi ha ispirato la musica dei suoi versi e, “L’infinito” è la poesia che preferisco più di tutte, non solo per i suoi versi infinitamente pieni di musicalità, ma, perché vedo questa poesia come un’oasi di speranza lungo il deserto del suo pessimismo cosmico: «Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare.».

Indubbiamente, è il romanticismo la corrente letteraria che mi ha sempre affascinato di più, per quel suo tendere all’infinito, all’assoluto e, il motivo si può ben capire dalla concezione che io ho della poesia.

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

EM: Per i motivi espressi in precedenza, l’opera poetica di Leopardi, appunto, la raccolta Canti. Come prosa, I promessi sposi di Alessandro Manzoni, proprio perché ho scritto anche una poesia, ispiratami dalla figura di Lucia (scritta successivamente alla stesura di Per una strada), una poesia molto introspettiva e che non ha nulla di celebrativo, come si potrebbe immaginare. E soprattutto perché, durante la sua lettura, precisamente nel corso del capitolo XXIV, mi sono commosso fino alle lacrime, cosa mai capitatami leggendo un libro, di solito è più facile commuoversi con un film.

Un capolavoro, una delle più grandi creazioni della letteratura universale e, senza dubbio, il più grande romanzo della letteratura italiana.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

EM: Sono tanti gli autori, soprattutto i poeti, che hanno contribuito a formare il mio stile. Ho iniziato a scrivere poesie nel 1990 e, all’inizio sono stato molto influenzato principalmente da Foscolo, Leopardi e gli stilnovisti, avevo bisogno di modelli da cui partire, queste influenze sono però riconducibili ai vocaboli utilizzati, non all’imitazione del loro stile. I miei poeti preferiti sono: Leopardi, sopratutti, poi Pascoli, soprattutto per la poetica del fanciullino, il fanciullo che c’è in ognuno di noi, e Montale, perché la sua poesia mi affascina e conquista ad ogni rilettura, quasi in una vertigine per i suoi abissi di profondità. Poi, sono rimasto affascinato dalle poesie di Federico Garcia Lorca, lette soltanto nella sua traduzione italiana, a questo proposito, nel ’96, dopo averne letto un’ampia antologia, tra il ’97 e il 2000 scrissi quattro omaggi a Garcia Lorca, in cui ho cercato di imitarne in maniera personale lo stile, e si possono leggere in Per una strada.

LS: Ho visto nella tua nota bibliografica che hai recentemente pubblicato una silloge di aforismi. Quale pensi sia o dovrebbe essere la funzione di un aforisma nella società d’oggi? Perché hai impiegato questo mezzo espressivo?

EM: Sì, si tratta del mio secondo libro Pensieri minimi e massime, una raccolta di ottantotto aforismi e pensieri vari, edita con Photocity Edizioni, scritti dal 1991 al 2012 (per la precisione c’è stata un’interruzione dal 2000 al 2008 ca.). Quarantotto dei quali hanno per tema la poesia e, con un’appendice, una mia introduzione alla poesia.

Allora, perché, oltre a scrivere poesie, scrivo anche aforismi?

Ti rispondo con un aforisma scritto successivamente alla stesura di questo secondo libro: «L’aforisma è la sintetica risposta della prosa alla poesia». Ecco cos’è per me un aforisma, la prosa non è nelle mie corde di scrittura, preferisco leggerla, e l’anima dell’aforisma è la sintesi, così come lo è per la poesia ma in modi e caratteristiche differenti. L’aforisma induce alla riflessione e all’interrogarsi, ecco quale dovrebbe essere la funzione di un aforisma oggigiorno, infatti, i miei aforismi non prediligono la battuta di spirito o il semplice gusto per il calembour.

 

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

EM: No, non ho mai scritto a quattro mani, ma non escludo a priori una mia esperienza futura di questo tipo di scrittura nel campo poetico.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

EM: Certo, non ai lettori che prediligono un certo tipo di poesia, in cui “amore” fa sempre rima con “cuore” ed altre superficialità simili, ma a chi ama la letteratura, soprattutto i classici e, citando dalla recensione curata dal poeta e critico letterario, Nazario Pardini, “[…] il Nostro affronta gli aspetti più disparati della realtà: quelli emotivo-esistenziali, quelli artistici, quelli civili. E con energia linguistica, con innovazione verbale, con l’uso anche di un lessico arcaico in particolari nessi letterari, esonda tutto se stesso”. La poesia amorosa c’è in Per una strada (in numero minore) ma non certo quella della citata rima.

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

EM: Non molto bene, l’unica cosa positiva che ho notato è che il libro è abbastanza distribuito nella librerie on-line, da quest’anno e, a distanza di quasi tre anni dalla pubblicazione, Per una strada è disponibile anche su “amazon.it”.

Penso che sono ben poche le case editrici che promuovono i nuovi autori (precisamente quelli che non sono raccomandati dal politico di turno), sono perlopiù piccole case editrici e sconosciute al grande pubblico. Io dal 2010 faccio anche il curatore editoriale, non certo di SBC Edizioni, ho curato prefazioni a sillogi poetiche curando la pubblicazione di tre raccolte di poesie, la casa editrice è una di quelle medio-piccole, ma molto attenta nei confronti dei nuovi autori, dotati di talento.

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

EM: Posso parlare secondo la mia esperienza di scrittura di poesie, iniziata nel 1990, penso che poeta non si diventi ma si nasca, quello del poeta non è un mestiere e non si può quindi apprendere in nessun corso di scrittura, la poesia è una passione che si scopre e si coltiva sempre più nel corso degli anni. Un corso di scrittura poetica dovrebbe avere la funzione di mettere in discussione e di confrontarsi direttamente con altri poeti, ma non potrà mai insegnare a scrivere poesie partendo da zero. I corsi di scrittura creativa devono essere considerati dei laboratori per chi già scrive e non per chi vorrebbe farlo.

I premi letterari e concorsi, se organizzati in maniera onesta, come ho avuto modo recentemente di “toccare con mano”, grazie alla mia prima esperienza di membro di giuria, possono contribuire a dare una certa fama presso i critici, ma non sono una bacchetta magica presso i lettori, in alcuni casi, neanche il Nobel per la letteratura lo è.

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

EM: Per me è molto importante il confronto con altri autori, specialmente quando trovo dei punti di contatto con il mio modo di scrivere e di poetare al punto che, citando un mio aforisma, sempre da Pensieri minimi e massime, “Tra poeti, scrittori, drammaturghi, artisti in genere, è bene che si instauri un rapporto di rispetto e di stima reciproca, mai di concorrenza e senza nessuna presunzione di possedere la verità, purtroppo, oggigiorno è quasi un’utopia.”.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

EM: Come ho detto prima, all’inizio del mio percorso poetico sono stato molto influenzato dai grandi poeti del passato, avevo bisogno di modelli da cui partire. Faccio alcuni esempi da Per una strada: nella giovanile poesia “Il viandante”, del 1990, al verso “E come odo stormir le fronde,” possiamo notare una reminiscenza di un passaggio de “L’infinito” di Leopardi, precisamente, “E come il vento/ odo stormir tra queste piante,”, poi, in un’altra poesia giovanile, il titolo è proprio “Poesia”, del 1991, alla chiusa, si può notare un mio tentativo di imitazione della meravigliosa chiusa de “L’infinito”, quella meraviglia immensa di “Così tra questa/ immensità s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare.”, che io maldestramente ho tentato di imitarne il suono con “Così, tra questi versi immensi/ gioisce l’animo mio,/ e l’ondeggiar/ mi molce e m’accarezza”. Andando avanti, nel 1994 scrivo “Amor”, scritta in due giorni, mentre mi preparavo agli esami di maturità classica e vocaboli danteschi frullavano impazziti nella mia testa, bisognava farli uscire, come per un bisogno fisiologico. Scritta interamente in rima libera, e non si tratta certo di rima baciata, ma di un tipo particolare di rima, la rima incatenata o terza rima, in cui il primo verso rima con il terzo della prima terzina e il secondo verso rima con il primo della seconda terzina e così di seguito, come gli anelli di una catena e il linguaggio che ho utilizzato è quello dell’italiano antico, precisamente il volgare trecentesco di ascendenza stilnovista.

Come si può immaginare, la rivisitazione classica è una componente abbastanza presente nella mia produzione poetica, specialmente fino al 1996 ca., poi, è andata sempre più scemando, fino a ripresentarsi inaspettatamente nel 2006 in “Dolcemente i suoi capelli…”, un mio modesto omaggio alla grande stagione della poesia italiana dei tempi passati, scritta interamente in rima, ispirandomi allo sfuggente viso di una ragazza che, dolcemente giocava con i suoi capelli, facendone anelli con le dita, alla fermata dell’autobus ed io ero sul bus.

LS: Ho recentemente avuto il piacere di curare la prefazione al tuo poema epico-drammatico ambientato in Islanda, un lavoro lungo e faticoso che, tuttora, non hai concluso. Puoi raccontarci come è nata l’idea di adoperarti con un genere letterario così complicato? A che tipo di lettori si rivolge questo testo?

EM: Sì, una magnifica prefazione, grazie infinite!

L’idea è nata dalla visione di una brochure ricca di meravigliosi paesaggi dell’Islanda, una brochure turistica inglese regalatami nel 1989 e che conservo gelosamente. Mi sono documentato su questo paese e ho letto l’interessante racconto ottocentesco Viaggio nell’interno dell’Islanda di Natale Nogaret. Ovviamente, c’è anche il desiderio di visitare l’Islanda, è un sogno che ancora non ho potuto realizzare ma, chi m’impedisce di farlo con un mio scritto?

Narrando una storia, servendomi dell’amata poesia, infatti, il dramma è in versi, davvero arduo e impegnativo e lungo quasi un ventennio, proprio perché c’è stata un’interruzione dal 2001 al 2005. Sono quasi al termine della scrittura del quinto e ultimo atto e un amico compositore dal 2010 sta scrivendo le musiche di scena per questo poema, musiche di scena in senso proprio, non un’opera lirica.

Ma perché proprio un dramma in versi?

La poesia fa parte del mio essere, la prosa, come ho già detto, non è nelle mie corde (preferisco leggerla), non riuscirei mai a scrivere un racconto, né un romanzo, ecco perché ho scelto il teatro e un dramma in versi per cercare di esprimere la mia vena narrativa e, al contempo, continuare a cercare di esprimere la poesia che il cuore mi detta.

Con tutto il rispetto, la narrativa e la prosa in genere preferisco leggerla e non scriverla, però, anche in questa possiamo trovare della poesia. La poesia, nella sua accezione più ampia, non è solo quella legata ai versi ma, alla prosa, alla musica e all’arte in genere. Quanta poesia possiamo scorgere ad esempio ne I promessi sposi di Manzoni o, quanta in una canzone di Battisti, come “I giardini di marzo” o, quanta in un’Opera di Puccini, o in un notturno di Chopin! O quanta poesia possiamo trovare ad esempio nella “Gioconda” di Leonardo o nella “Pietà” di Michelangelo!

Con la scrittura di questo dramma ho cercato di fondere le due cose in un tutt’uno, ho cercato di scrivere una storia servendomi dell’amata poesia e del teatro e, il teatro, si presta molto a questo genere di connubi, solo così potevo esprimere la mia vena narrativa. Non a caso ho inserito una voce narrante (fuori scena) che, ogni tanto si fa sentire nel corso del poema, questa voce fuori scena rappresenta l’io narrante del poeta, sulla scorta dei grandi poemi epici non ho potuto proprio farne a meno, infatti, il dramma è di argomento storico-fantastico, con alcuni riferimenti all’epica germanica.

Come scrivo in un mio aforisma di Pensieri minimi e massime, “Un poeta non deve mai lasciarsi condizionare dal marketing, dal consumismo o dalle mode del tempo, la sua ispirazione non sarebbe più spontanea e sincera, deve bensì lasciar parlare la propria anima, senza alcun condizionamento.”. Quindi, nessuno può dirmi di scrivere un romanzo, perché, così ci sarebbero più lettori ma, mancherebbe la cosa più importante: l’ispirazione.

In fondo, la mia risposta al genere del romanzo è questo dramma epico, certamente di gran lunga più impegnativo ma, per me l’unica possibile. E certamente i lettori di quest’opera dovranno essere dei grandi amanti della letteratura, di miti e di leggende.

 

LS: Recentemente hai pubblicato una raccolta di aforismi dove, con molto piacere, hai inserito una mia nota critica a mo’ di postfazione. Uno dei temi principali di questi aforismi è proprio la poesia, come mai? Dall’altra parte ho trovato degli aforismi a tematica sociale, “impegnati”, se vogliamo. Come possono convivere in una unica raccolta due ambiti tra loro tanto distanti: la letteratura e lo spirito lirico e la società con i suoi problemi e i suoi drammi?

EM: Come mai?

Non poteva essere altrimenti che la maggior parte di questi aforismi (quarantotto degli ottantotto) abbiano per tema la poesia, dal momento che scrivo poesie, mi sono molto interrogato sul senso della poesia e dell’essere poeta scrivendo questi aforismi. Sono stato ben felice di far inserire la tua ottima postfazione e, quanto al politematismo, non c’è da stupirsi, anche Per una strada è una raccolta politematica, non amo il monotematismo, del resto, anche la vita è politematica o, quantomeno, facciamo di tutto affinché lo sia.

Del resto, sforzandoci di fare letteratura cerchiamo di dare voce ai sogni dell’umanità, ai suoi dolori e alle sue speranze e, citando Cesare Pavese “La letteratura è una difesa contro le offese della vita”. La mia aspirazione più grande, infatti, è fare letteratura con i miei scritti, e la letteratura non è mai monotematica.

Grazie Lorenzo per aver letto e attentamente recensito il mio Per una strada e per la proposta di questa intervista!

Intervista a cura di Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Blog Letteratura e Cultura

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE E/O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

E’ uscito “Pensieri minimi e massime” di Emanuele Marcuccio, una raccolta di aforismi

Il poeta palermitano Emanuele Marcuccio, dopo la silloge “Per una strada” (Ravenna, SBC Edizioni, 2009) torna con un nuovo pregevole lavoro. “Pensieri minimi e massime”, edito da Photocity Edizioni è una corposa raccolta di aforismi, la maggioranza dei quali vertono sulla poesia.

L’opera è arricchita da una Prefazione a cura di Luciano Domenighini e una postfazione a cura di Lorenzo Spurio.

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“Per una strada” di Emanuele Marcuccio, recensione a cura di Nazario Pardini

Per una strada

di Emanuele Marcuccio

Ravenna, SBC Edizioni, 2009 

ISBN: 9788863470314

Recensione a cura di Nazario Pardini 

Come un treno,

che passa e vola via,

i binari scintillano,

vano è il paesaggio,

fuggente l’attimo,

istante per istante

corre via,

etereo vapor brilla.

Questa è la vita. Qui il suo scorrere veloce. Qui la sua fugacità. Eppure un “etereo vapore” resterà a brillare. E qui, dunque, anche la speranza. Linguaggio personale e altamente metaforico quello di Marcuccio che ci arriva con immediatezza per il suo dire vicino alle nostre corde sentimentali. Sì, la vita fugge, ma sarà la voglia dell’Eterno a sopperire a questa fragilità. Il fatto di essere umani ci spinge ad azzardare lo sguardo oltre i confini, ad ambire ad un novello viaggio odissaico. E in questo azzardo, partendo da quelle che sono le problematiche reali del nostro esistere, sembra trovare, il poeta, il nesso principale della sua poetica.

Opera elegante, Per una strada, raffinata per veste grafica, e immagine di copertina, in cui, la strada illuminata da un sapido tramonto che si perde nell’incognito, ci dà l’idea di quella che sarà la forza evocatrice della poesia di Marcuccio. La sua filosofia di vita: essere ed esistere per amare, non solo eroticamente, ma per amare, dal profondo del cuore, l’arte, la letteratura, la pittura, la natura!, la natura sì!, in tutte le sue paniche sfaccettature. E sarà la natura stessa ad accompagnare il poeta in questo suo plurale e contaminante percorso. E’ lei che si assume il compito di rivelare in gran parte i segreti più intimi dell’autore. Perché il Nostro affronta gli aspetti più disparati della realtà: quelli  emotivo-esistenziali, quelli artistici, quelli civili. E con energia linguistica, con innovazione verbale, con l’uso anche di un lessico arcaico in particolari nessi letterari, esonda tutto se stesso. Il verso scorre leggero, fluido, chiaro, come l’acqua di un torrente alla sorgente, dove lucide traspaiono le pietruzze dal suo fondale. E così si snoda la poesia di Marcuccio. Varia e articolata, ma sempre arrivante e suasiva per l’efficacia delle immagini nitide e vissute con grande intensità emotiva. E gli argomenti toccano gli ambiti più scottanti della vita nazionale: la memoria della strage di Capaci “Affrontiamo con forza, / ricordiamo i passati lutti, / giammai dimenticati…”; il tema della pace “E con questo amore / lacrimante e piangente, / o Speranza, da’ a noi / un’alba di pace!”; l’inquinamento “e il sole non sparmierà / i suoi dardi infuocati, / sulle umane genti / la sua collera piomberà”; il diboscamento “Indisturbata avanza / la macchia grigia, / fuoco e fiamme / sull’inerme foresta”. Fino a tematiche esistenziali quali la vita, l’amore, la felicità; o letterarie: “A Vittorio Alfieri”, “A Giacomo Leopardi”. Ma a dare compattezza e unicità al dipanarsi del tessuto poetico c’è un senso di malinconia, e una profonda coscienza di essere, che renderebbero umano, troppo umano il messaggio dell’autore se non intervenisse quell’aspirazione a un “Eterno” che convalida e rende prezioso il fatto di esistere pur nello spazio ristretto di un soggiorno. Direbbe il poeta: “La vita sarebbe virtuale se non intervenissero la speranza, la memoria, e l’amore ad aprirne un’uscita.”

a cura di Nazario Pardini

Arena Metato (Pi), 25 maggio 2012

 

Nazario Pardini è ordinario di Letteratura Italiana, poeta, critico letterario e blogger, collabora con riviste specializzate. Ha pubblicato oltre venti libri di poesia e racconti. Saggista, ha curato più di cento prefazioni ad autori contemporanei. È componente di giuria in diversi Premi Letterari. (È laureato in Letterature Comparate e in Storia e Filosofia). Sulla sua opera letteraria hanno scritto tra i tanti, anche Mario Luzi e Giorgio Barberi Squarotti.

È SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE QUESTA RECENSIONE INTEGRALMENTE O IN FORMATO DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Per una strada”, silloge poetica di Emanuele Marcuccio, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Per una strada

di Emanuele Marcuccio

SBC Edizioni, Ravenna, 2009

ISBN: 978-88-6347-031-4

Prezzo: 12,00 Euro

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio


Anche se in una recensione solitamente non si fa, e ci si limita a criticare un testo, chiedo scusa a Emanuele Marcuccio per la lentezza con la quale ho letto il suo lavoro e per questa tardiva recensione, frutto della lettura attenta della sua silloge di poesie. Marcuccio è un poeta palermitano particolarmente attivo nel panorama letterario e che attualmente sta pubblicando presso Photocity Edizioni una raccolta di aforismi dal titolo Pensieri minimi e massime. Questa ultima raccolta, alla quale ho avuto la grande occasione di scrivere una postfazione, dedica molti aforismi alla letteratura e soprattutto alla poesia. Marcuccio è un poeta attento e delicato la cui sensibilità si evince dai suoi componimenti che rifuggono dai rigorismi della metrica per offrirsi, invece, al lettore nella sua purezza espressiva scevra da vincoli di restrizioni di ciascuna natura.
L’animo poetico di Marcuccio è ben delineato già dalla nota di prefazione che ha voluto inserire all’apertura del testo dove dice al lettore che il legame con la poesia è qualcosa di intimo e profondo che deve necessariamente essere affidato al contatto umano con carta e penna. In questa nostra era super tecnologica è sicuramente un elemento anacronistico che, però, evidenzia con forza quale sia il vero valore della poesia: l’espressione diretta, istantanea, di un qualcosa che deve essere colto al momento e che, per dirla in soldoni, non può aspettare l’accensione di un computer, per quanto veloce esso sia. Carpire l’attimo poetico è l’essenza stessa della poetica del Marcuccio.
Contrariamente al titolo della raccolta, Per una strada, la poesia di Marcuccio non sfugge, non si vanifica nel momento in cui terminiamo un componimento e ci imbattiamo a leggerne un altro, ma è quanto mai concreta e la sua fisicità è donata per lo più dall’attenzione che il poeta affida nei confronti delle sfere uditive e visive. Una poetica d’altri tempi, diremmo. In una attualità dove i poeti e gli pseudo-poeti si riempiono la bocca di paroloni, di termini stranieri, di nonsense e costruiscono spesso le loro poesie partendo dal cupo drammatismo o immergendosi a pieno nel mondo dell’erotico, non mancando a volte di insultare l’arte letteraria.
La poesia di Marcuccio parte da un chiaro pessimismo che nella prefazione lui stesso definisce “moderato” e di stampo leopardiano. Sono, infatti, molti i componimenti che condividono una visione amara, come in “L’inquinamento” o che, comunque, danno una visione a tinte fosche della realtà in cui viviamo: una colomba che ormai morta è diventata una sorta di tappeto stradale poiché in molti la calpestano, la trapassano, la annullano: “Vedi come tutti,/ su quei motorini maledetti,/ tutte le straziano,/ orrendamente sfigurate, percosse”. Dell’uccello in “Al mio caro pappagallino” si tratteggia la morte dell’animale e si vagheggia il suo probabile e cristiano volteggiare in cielo, beato. E’ evidente il sentimento cristiano che sorregge e che anima l’intera raccolta poetica, quel baluardo di difesa che lo stesso Marcuccio cita nella prefazione come motivo di un’esistenza addolcita.
Il famoso poeta recanatese ritorna in maniera lampante nelle liriche di Marcuccio che, magistralmente, rende omaggio al poeta del pessimismo cosmico. Come non intravedere un riferimento alla “donzelletta in sul calar del sol” del “Sabato del villaggio” in “Le mietitrici” di Marcuccio ma anche il verso “e come odo stormir” della poesia di Marcuccio “Il viandante” che riecheggia “L’infinito” di Leopardi. L’omaggio più grande al poeta de “La ginestra” è contenuto nella lirica “A Giacomo Leopardi” dove il poeta è ricordato come “flebil spirito [che] ancor risuona”, con l’esortazione a donare ai poeti contemporanei la sua ricchezza lirica fatta della trasposizione su carta di illusioni, speranze e gioie.
L’immaginario dei personaggi che Marcuccio tratteggia, in effetti, (mietitrici, viandanti, cacciatori..) è espressione di un mondo provinciale, di campagna, d’altri tempi, oggi un po’ perduto e che si conserva solo in pochi luoghi. E’ una lode alla vita di campagna, alla spensieratezza e all’esistenza a contatto diretto con la natura. Curioso il bestiario che Marcuccio sfoggia in “Gli animali” dove va paragonando vari comportamenti di alcune specie animali ad alcune caratteristiche dell’uomo, quasi a voler sottolineare come l’ascendenza umana sia in effetti di derivazione animale secondo un’interpretazione etologica che rifugge, invece, le teorie evoluzionistiche.
L’acume poetico di Marcuccio prende percorsi diversi: ci sono poesie a tematica sociale, come quelle che si riferiscono alla guerra o al ricordo per la tremenda strage di Capaci o alla guerra di Bosnia, altre nostalgiche che rievocano un mondo campagnolo ormai in declino, altre che rendono esplicito il legame poesia-arte-musica e altre ancora che danno prova della conoscenza letteraria del Marcuccio, sia quella classica che quella europea (Leopardi, Pirandello, Dante, Alfieri, Parsifal, Shakespeare, Seneca, Federico Garcia Lorca, la saga dei Nibelunghi) con un favoloso omaggio al padre de Il giorno della civetta, la cui scrittura è ricordata da Marcuccio con questi versi: “sfoghi la tua ansia/ nell’inventar storie vere,/ coperte d’una patina d’irreale,/ in cui traspare un dolore sommerso.” Da sottolineare che, il termine “inventar”, ci avverte Marcuccio in una nota, è usato proprio nel senso inteso da Sciascia, di ricercare, investigare.
Le numerose poesie che compongono questa raccolta scorrono via, velocemente, lasciando però una traccia viva e un senso di freschezza, come pensieri raccolti assieme che vanno e ritornano inesorabili come l’onda del mare si abbatte sulla battigia per poi ritirarsi e compiere questo movimento all’infinito.

Chi è l’autore?
Emanuele Marcuccio è nato a Palermo nel 1974 e lì vive. Ha pubblicato nel 2009 la prima silloge di poesia dal titolo Per una strada e sta attualmente pubblicando la sua prima raccolta di aforismi dal titolo Pensieri minimi e massime. Da vari anni lavora alla stesura di un poema drammatico ambientato in Islanda, un lavoro lungo e faticoso. Collabora a varie riviste di letteratura, tra cui Euterpe ed è direttore onorario della Vetrina delle Emozioni. E’ poeta, scrittore e commentatore e curatore editoriale presso la casa editrice Rupe Mutevole.

 a cura di Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE QUESTA RECENSIONE INTEGRALMENTE O IN FORMATO DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

La poesia… nella sua real bellezza / Primavera (Dittico poetico di Monica Fantaci ed Emanuele Marcuccio)

La poesia… nella sua real bellezza

DI Monica Fantaci

Si schiude la verità

nel suo principio,

rinascita,

desìo,

incanti visti,

brillanti sfiorati,

vocalizzi di coristi,

di natura imbrattati,

canzoni dei musicanti

offerti dal creato,

allegri e andanti

nel sorriso soffiato,

si accresce,

si aggiorna,

fuoriesce,

ritorna

l’euforia,

la gaiezza,

la poesia

nella sua real bellezza.

© Monica Fantaci

 

 

Primavera

 DI Emanuele Marcuccio 

Olezzo di primavera,

fresca, aurata:

ascolto lo stormir di foglie

e il gentil chiacchiericcio

di uccelli festanti.

Canta la primavera,

nel pianto d’un bimbo

c’è la vita

e la silenziosa calma.

Canta la primavera

su per le fronde

e per gli arbusti accesi;

per i ponti e per le valli

s’innesta un ardore infinito,

ricco di luminosa calma.

 (5/10/1999)

© Emanuele Marcuccio

(Emanuele Marcuccio, Per una strada, p. 86, SBC Edizioni, 2009, pp. 100)

(Entrambe le poesie sono protette dai diritti d’autore. Pubblicate ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l’autorizzazione dei rispettivi Autori.

La riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione dei rispettivi Autori è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge).

GLI AUTORI HANNO ESPRESSAMENTE CONCESSO LA PUBBLICAZIONE DELLE LORO DUE POESIE SU QUESTO SPAZIO INTERNET. 

“Ultimi pensieri di un robot” di Emanuele Marcuccio

a cura di Emanuele Marcuccio

Blade Runner è uno di quei film che ho iniziato ad apprezzare con il tempo, tanto da arrivare a metterlo nella mia top five personale.
È il capolavoro di Ridley Scott ed uno dei migliori sci-fi che siano mai stati girati; l’epica scena della morte di Roy mi ha sempre affascinato, chi non ricorda le sue ultime parole!

«Io ne ho… viste cose che voi umani non potreste immaginarvi…

Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione…

 e ho visto i raggi “b” balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser…

 e tutti quei… momenti andranno perduti nel tempo…
Come… lacrime… nella pioggia…

 è tempo… di morire…».

Roy Betty, la vittima, salva la vita al proprio carnefice, vincendo in se stesso l’invidia e l’odio che ha sempre nutrito verso il genere umano; dimostra così la sua superiorità ed il livello massimo di conoscenza acquisiti, al punto da accettare la morte senza alcuna resistenza e la colomba che viene liberata e si libra in volo, a mio parere, sta proprio a significare la sua liberazione definitiva.

C’è un libro da cui è tratta l’ambientazione del film, ma non la trama; in questo caso Ridley Scott è andato oltre il libro, è uno di quei rari casi in cui è meglio il film del libro, infatti, è una delle opere minori di Philip K. Dick, il titolo letterale dall’originale inglese è Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, tradotto più liberamente con Il cacciatore di androidi.

Cito da wikipedia: “Lo scrittore morì poco prima dell’uscita del film, e poté vedere soltanto una proiezione privata composta da alcuni spezzoni di lavorazione. Inizialmente molto scettico sull’intera operazione, dato che la sua opera veniva di fatto stravolta, fu in seguito uno dei maggiori sostenitori del film, che non a caso è dedicato alla sua memoria. In particolare Dick rimase molto colpito dal set cinematografico, che a suo dire era stato costruito esattamente come lui aveva immaginato l’ambientazione del romanzo”.

Ispirata alla morte di Roy, nel 1995 ho scritto questa poesia, pubblicata nel marzo 2009, nella mia raccolta Per una strada.

Ultimi pensieri di un robot

O umano mondo avverso,

ch’io mi ribellai,

a ché continuare a lottare?

Il mio sogno elettrico

è morto per sempre.

(27/6/1995)

© Emanuele Marcuccio, Per una strada, SBC Edizioni, 2009, p. 71.

Poesia e commento pubblicato per gentile concessione dell’Autore.

È vietata la riproduzione e la diffusione di stralci o dell’intero articolo senza il permesso dell’Autore.

Marco Nuzzo intervista Emanuele Marcuccio

Intervista a Emanuele Marcuccio

a cura di Marco Nuzzo

 

MN: Su invito di Gioia Lomasti, ho deciso di intervistare Emanuele Marcuccio, poeta, scrittore, aforista e collaboratore editoriale per Rupe Mutevole Edizioni, consigliere onorario per il sito “poesiaevita.com” e caporedattore per il blog “Vetrina delle Emozioni”.

Quando e come nasce il tuo desiderio di scrivere in versi?

EM: Il mio amore per la poesia nasce nel 1985, in prima media, grazie alle lezioni di italiano, tenute dalla prof.ssa di italiano, storia e geografia. Però, solo nel 1988, in quarta ginnasiale ho sentito il desiderio irrefrenabile di scrivere in versi, ma erano solo pasticci, solo esercizi, non erano poesie, scrivevo anche senza essere ispirato – grave errore – solo nell’aprile 1990 (in quinta ginnasiale) scrissi la prima poesia “La scuola è in alto mare”, in un gruppo artistico, durante il periodo delle occupazioni scolastiche, fu subito pubblicata nella bacheca della scuola e, per la prima volta mi chiamarono “poeta”; proprio questa poesia dà l’incipit alla mia raccolta Per una strada, pubblicata da SBC Edizioni nel 2009. Sono stato ben felice di inviarne una copia con dedica autografa alla cara prof.ssa delle medie, ormai in pensione, e non si riteneva degna della dedica.

MN: Cosa vuol dire, per te, fare Poesia e cosa non deve mai mancare in un tuo scritto?

EM: “Poesia” è una parola che deriva dal verbo greco “ποιέω” (poiéo), che significa “faccio”, “costruisco”, quindi, il poeta è colui che fa, costruisce (con le parole). La poesia è la più profonda forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni, anche se non si esprimono mai chiaramente ma, come trasfigurati; come ci insegna Ungaretti in una meravigliosa intervista del 1961, non si riuscirà mai ad esprimere appieno la propria anima. Poi, la poesia è anche musica, anzi, la precorre e la contiene in sé ed è la mia maniera di fare musica, infatti, amo molto la musica classica e molte mie poesie sono ispirate dall’ascolto di essa; anche se non scrivo in rima, eccettuate solo tre poesie, solo la rima spontanea contempla la mia poesia, dipoi, la musicalità e la fluidità del verso e, proprio queste ultime caratteristiche non devono mai mancare in un mio verso, oltre alla spontaneità di quello che io chiamo “il primo fuoco dell’ispirazione”.

MN: Come sono strutturate le tue opere? Utilizzi la metrica, la rima e/o delle figure retoriche particolari e perché?

EM: Nelle mie poesie non utilizzo la metrica, sarebbe troppo vincolata la mia ispirazione, sarebbe come ingabbiata, non mi sentirei libero di esprimermi, anche se il critico letterario e poeta Luciano Domenighini, in un breve saggio critico al mio Per una strada, rileva in alcune poesie delle forme di metrica spontanea, ovviamente nel senso di lasse e non di strofe che, non potranno mai essere spontanee. Recentemente sono stato ben felice di intervistarlo per il blog “Vetrina delle Emozioni”. Seguo una struttura su due fasi fin dal 1990: la prima fase è quella che io chiamo “il primo fuoco dell’ispirazione”, che può giungere in qualsiasi momento con l’affiorare alla mente dei primi versi, quindi, mi metto subito a scrivere in brutta copia su di un qualsiasi foglio o pezzo di carta e, mentre scrivo, penso i successivi versi da mettere sulla carta. Basti pensare che, il grande poeta Giuseppe Ungaretti usava appuntare le sue poesia anche in trincea utilizzando la carta che avvolgeva le cartucce. La seconda ed ultima fase si riferisce alla ricopiatura in bella copia con i vari aggiustamenti grammaticali e retorici, aggiungendo, a volte, anche dei nuovi versi o parole. In seguito, durante la correzione di bozze e in previsione della pubblicazione, potrei operare dei piccoli cambiamenti variando la posizione delle parole, sostituendo qualche parola, la disposizione dei versi, a volte anche gli “a capo”, perché, quello che cerco, oltre alla freschezza della spontaneità, che è la prima cosa, è la fluidità e la musicalità del verso, senza quasi mai usare la rima, servendomi di giochi fonetici delle consonanti e coloristici delle vocali giungendo in alcune poesie alla metrica spontanea, senza mai stravolgere il senso e l’ispirazione primigenia della poesia. E, volendo essere più preciso, da ca. due anni, dopo aver appuntato la poesia su un foglio di carta, non la ricopio subito sul quaderno, ma faccio passare anche una settimana mettendo il foglio in mezzo al quaderno, come se volessi farla “decantare”, anche se sono astemio. Uso le figure retoriche, anche se le uso in maniera spontanea, penso che nessun poeta possa mai prescindere dall’uso di almeno una figura retorica. La figura retorica che uso di più è l’enjambement, poi, mi piace molto l’anafora e indulgo spesso all’elisione, sempre per esigenze di fluidità del verso e musicalità. Penso che un verso in enjambement doni un grande respiro e maggiore fluidità al verso, piuttosto ché un semplice “a capo”. Non scrivo in rima per scelta, per me questa blocca o vincola l’ispirazione poetica, finora, su 131 poesie, ho scritto solo tre poesie interamente in rima e in rima libera. In altre poesie, se la rima raramente è presente, è solo spontanea.

MN: Quando scrivi, ti ispiri ad altri poeti o ricerchi una tua personalità, un tuo modo di poetare?

EM: In passato mi ispiravo ad altri poeti, dal 1990 al 1996 ca. Avevo bisogno di modelli da cui partire, ero molto influenzato dagli studi liceali, mi ispiravo a Foscolo, a Leopardi, a Petrarca, agli stilnovisti e ai lirici greci. Per quanto riguarda, Foscolo, Leopardi, Petrarca e gli stilnovisti, i riferimenti si possono ricondurre ai vocaboli utilizzati e non all’imitazione del loro stile e, nella poesia “Rammarico” ho cercato di rivisitare lo stile dei lirici greci, mentre, nella poesia “Amor” ho cercato di rivisitare lo stile degli stilnovisti, facendo ricorso alla rima e senza usare la metrica, con la riproposizione del tema della donna-angelo, tanto caro agli stilnovisti. Questa poesia rappresenta un unicum nella mia produzione poetica. Dal 1997 il mio stile abbandona sempre più questi modelli ricercando uno stile sempre più personale fino ad arrivare nell’agosto 2010 a scrivere una poesia priva di alcun segno di interpunzione, con la quale, credo si sia inaugurata la terza fase del mio percorso poetico. Pubblicata in un’antologia poetica di autori vari Frammenti ossei, edita da Limina Mentis Editore lo scorso maggio, ad appena nove mesi dalla sua scrittura.

Trascinarsi (21/8/2010)

Acciaio rovente

mi tempesta il cuore

e non mi fa vivere

Tremendo m’arroventa

smarrito il mio andare

e m’inabissa

vuoto

Tedio mi sovrasta

avanzo e mi fermo

e mi sommergo di ricordi

e mi sommerge in un abisso

MN: Ci parleresti del tuo Per una strada?

EM: Per una strada è la mia raccolta di poesie, edita dalla ravennate SBC Edizioni nel marzo 2009, è attualmente l’unica raccolta di poesie, conta ben 109 titoli e i temi sono molto variegati; sono le poesie che ho scritto tra il 1990 e il 2006. Sono sedici anni, con le mie sensazioni, con le mie emozioni, con le mie letture, con i miei studi, con le mie gioie, con i miei dolori, con le mie delusioni, con le mie nostalgie, con i miei rimpianti, con le mie ribellioni, con le mie rinunce, con i miei sbagli, con la mia indifferenza per il proprio dolore, un dolore ben più profondo di quello fisico, e mai per l’altrui e, con un silenzio tra il 2002 e il 2005. Per comodità possiamo dividere Per una strada in due parti: una grande prima parte che va dal ’90 al ’99 ed una seconda parte, più piccola, che va dal ’99 al 2006. Nella prima parte ci sono anche tre omaggi al grande poeta spagnolo Federico García Lorca, di cui ho cercato di imitare, in maniera personale, lo stile. Le tematiche di questa prima parte sono varie e particolareggiate, si va da poesie dedicate a grandi scrittori e poeti come, Vittorio Alfieri, Giacomo Leopardi, Leonardo Sciascia, Seneca; a episodi di libri, come ne “Lo squarcio nel cielo di carta”, ispirata ad un episodio de Il Fu Mattia Pascal di Pirandello, o a personaggi mitici della letteratura come in “Nausicaa”, “Oreste ad Elettra”, “Ad Astianatte”, “Amleto”, “Cirano di Bergerac”; a compositori come Chopin, Bartók, Prokof’ev, Saint-Saëns.

Si passa da tematiche introspettive come in “Malinconia”, “Indifferenza”, “Ricordo”, “Sogno”, “Desiderio improvviso”, “Stelle sul mare”, “Palermo”; a tematiche civili come ne “L’inquinamento”, “Pace”, “Albania”, “Massacro”, “Urlo”, quest’ultima scritta nel giorno del primo anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie e agli uomini della scorta. Si va da poesie dedicate alla visione di quadri come “Le mietitrici” di J. F. Millet, “Alla Gioconda” di Leonardo da Vinci; a poesie dedicate a personaggi storici come “Annibale”. C’è anche il tema religioso, come in “Perdono” e “Perdona!”. Per passare ufficialmente dalla prima alla seconda parte utilizzo la poesia “Veritiero ardir”, con la quale annuncio il mio cambiamento di stile, scritta nel 1999, all’indomani della notizia della prossima pubblicazione, in un’antologia, di 22 mie poesie; ma già in alcune della prima parte sono ravvisabili dei piccoli cambiamenti di stile come in “Istante di tempo”, “Urlo”, “Cime”, “Indifferenza”, “Palermo”, “Barbagianni”, “Sé e gli altri”, “L’orologio”, “Piccola ambulanza”, “Ultimi pensieri di un robot”, quest’ultima ispirata alla morte di Roy, dal film Blade Runner di Ridley Scott. Si ravvisano cambiamenti ancora più sostanziali anche in “Memoria del passato”, “Per una strada”, “Picchi di silenzio”, “Stelle sul mare”, “Desiderio improvviso”, “Fuoco”. Con mia grande sorpresa, come ho detto poc’anzi, grazie al critico Domenighini ho scoperto che, in alcune mie poesie c’è della metrica spontanea, come in “Canto d’amore”, “Il grillo col violino”, “Dolcemente i suoi capelli…”, tutte e tre appartenenti alla seconda parte. A partire dalla seconda parte, che copre indicativamente gli anni dal 1999 al 2006, il mio stile si fa più profondo e maturo, non più necessariamente legato a poeti specifici, tranne ne “Il grillo col violino”, in cui vi è ravvisabile il Pascoli nell’uso delle onomatopee e, in “Dolcemente i suoi capelli…”, un mio piccolo omaggio alla grande stagione della poesia italiana dei tempi passati. Una poesia ispiratami guardando di sfuggita il viso di una ragazza che, dolcemente giocava con i suoi capelli, facendone anelli con le dita, alla fermata dell’autobus ed io ero sull’autobus, è stato lo sguardo di un attimo fuggente. In questa seconda parte inizio a raggiungere il mio ideale poetico: la semplicità di espressione unita alla profondità di significato. Per quanto riguarda le tematiche di questa seconda parte, abbiamo la tematica civile, come in “Per i rifugiati”, “Verde, bianca, rossa terra”, quest’ultima ispirata ai vari episodi di violenza che, purtroppo avvengono in Italia e spesso compiuti da chi è chiamato a far rispettare la legge, ecco il perché di questo titolo così significativo.  Abbiamo la tematica introspettiva che, penso non debba mai mancare tra i temi delle poesie di qualsiasi poeta, come in “Canto d’amore”, “In volo”, “Là, dove il mare…”, quest’ultima, scaturita, a due mesi di distanza da una delusione amorosa, in cui c’è il desiderio di dimenticare, anche se permane il dolce ricordo di questo breve amore. Proprio per questa poesia nel luglio 2010 mi è stata assegnata una menzione d’onore al I premio internazionale d’arte “Europclub” Messina – Taormina 2010. Abbiamo il tema della dedica, come in “Fremere”, poesia dedicata a mio padre, mancato lo scorso gennaio, non vedente da quando avevo un anno; in cui ho cercato di immaginare quello che potrebbe provare un uomo che diventa non vedente. Abbiamo il tema degli episodi o personaggi di argomento letterario, come in “Veglia notturna di Hagen”, “Natasha”, quest’ultima dedicata alla figura di Natasha Rostova, ispiratami dalla lettura del romanzo classico di Tolstoj Guerra e pace, una lunga e impegnativa lettura di quasi 2000 pagine. Abbiamo il tema paesaggistico, come in “Primavera” e in “Paesaggio”, in quest’ultima vi è la descrizione di un paesaggio dell’anima e non di un paesaggio necessariamente reale. Abbiamo il tema religioso nella poesia “Accoglili nella Tua pace, Signore!”, che ho anche tradotto in inglese ed è stata pubblicata da un editore americano un anno prima della sua versione originale. Poesia ispiratami da un tragico avvenimento di cronaca locale, l’annegamento di due pescatori, avvenuto nel mare che costeggia la mia amata e martoriata Palermo, che tanta fonte d’ispirazione è per me. E, c’è una curiosità: la poesia “Affollamento e inutili affanni”, che conclude la raccolta, pensa che l’ho scritta in piedi su un autobus affollato.

MN: Come e quando cresce, in te, la voglia di pubblicare e perché? Perché questo titolo: Per una strada?

EM: Mi sono deciso a pubblicare per la prima volta nel 1999, infatti, ventidue poesie sono state editate nell’agosto 2000, nell’antologia di poesie e brevi racconti di autori vari Spiragli 47, dalla milanese Editrice Nuovi Autori. Mi sono deciso dopo i numerosi apprezzamenti da parte dei miei amici, parenti, conoscenti e, soprattutto da parte dei professori del liceo; tutti mi raccontavano che si emozionavano leggendo le mie poesie e questo voglio, che le mie poesie emozionino un sempre più vasto pubblico di lettori. Come scrivo in un mio aforisma “Il poeta cerca sempre di emozionare i suoi lettori, è questo il suo fine e, quando quelli capaci e nella sua stessa linea d’onda si accostano ai suoi versi, scatta la comunicazione e, di conseguenza, l’emozione e l’ascolto. La semplice lettura rimarrebbe lettera morta.”.  Per una strada, come ho già detto prima, è la mia raccolta di poesie, finora l’unica e, questo titolo ha un’origine davvero curiosa, ogni volta che lo racconto sembra un aneddoto, e invece è la pura verità. Un pomeriggio autunnale e novembrino del 1998, per strada c’erano gli alberi senza le fronde, un pomeriggio ombroso, ventoso e senza sole, che annunciava un temporale. D’improvviso mi raggiunse l’ispirazione e, non avendo null’altro su cui scrivere se non il retro di uno spiegazzato scontrino della spesa, presi la mia penna e vi appuntai subito questa poesia, da cui in seguito prenderò il titolo per la mia raccolta.

Per una strada (10/11/1998)

Per una strada senza fronde

si aggira furtivo e svelto

il nostro inconscio senso,

passa e non si ferma,

continua ad andar via

e non si sa dove mai sia.

Quando la scrissi, la misi pure da parte, mi sembravano quasi insignificanti quei versi, sfuggiva anche a me il suo significato profondo, in seguito capii che, quell’apparentemente semplice poesia nascondeva in sé l’essenza della mia stessa ispirazione, furtiva e svelta, che passa e vola via e, se non l’afferro e la trattengo nel mio cuore con i versi che metto sulla carta, passa e vola via e nessuno sa più dove mai sia. Poi, ho intitolato la mia raccolta Per una strada, proprio perché l’ispirazione, furtiva e svelta, mi ha raggiunto, la maggior parte delle volte, proprio per strada: camminando, sull’autobus, ecc… E c’è un’ultima motivazione, ben più profonda o, forse si tratta della motivazione ultima? Proprio per la presenza di quel “senza fronde”, che ha un significato proprio e metaforico al contempo; con quel “senza fronde” ho cercato di riassumere il sentimento di straniamento e di smarrimento dell’uomo contemporaneo, che si ritrova privo di valori e di qualcosa in cui credere, simile ad un albero in autunno, spogliato delle sue foglie. Sorge quindi il bisogno di aggrapparsi a qualcosa o a Qualcuno in cui credere, prima che anche le radici vengano strappate via dalla tempesta dell’inverno.

MN: Da alcuni anni, stai lavorando alla stesura di un poema drammatico. Un sentiero lungo e irto, basti pensare al Faust di Goethe, che impiegò una vita intera per esser scritto; un viaggio, il tuo, lungo il quale ben pochi si sono addentrati, una scelta stilistica notevole e affatto semplice, soprattutto se trasposta in un contesto lontano dal proprio, come può essere l’ambientazione stessa. Ci anticiperesti qualcosa del tuo poema drammatico? Perché questa scelta? Come mai l’ambientazione in una terra a noi lontana sia cronologicamente, che per usi e costumi quale è l’Islanda del IX secolo d.C.?

EM: Effettivamente, con mia grande sorpresa, il genere letterario del poema drammatico è stato affrontato ben poche volte in tutta la storia della letteratura. Si tratta di un testo teatrale, disposto in versi, di carattere drammatico e con un lieto fine, a differenza di una tragedia che, quasi sempre disposta in versi ma, priva di un lieto fine. Appunto, il Faust di Goethe è un poema drammatico, il più vasto e grande che sia mai stato scritto, Goethe vi si dedicò per sessant’anni, ne aveva solo ventitré quando iniziò a scriverlo e, pose la parola “Fine” un anno prima di morire. Io – devo correggerti – sono quasi vent’anni che mi dedico al mio e, sono quasi alle battute finali, mi manca di terminare di scrivere il quinto e ultimo atto e dare una revisione finale a quasi tutto il terzo e al quarto atto. Ho trovato solo due esempi contemporanei di poema drammatico: uno in tre atti Nausicaa del 2002, del poeta, mio conterraneo, Giuseppe Conte e, uno in un atto Il libro di Ipazia del 1978, di Mario Luzi, il grande poeta scomparso nel 2005. Anche nella storia della letteratura, come ho detto prima, il genere è stato frequentato poche volte: ricordiamo il Peer Gynt, del grande drammaturgo norvegese del XIX sec. Heryk Ibsen e, il Manfred, del grande poeta del romanticismo inglese George Gordon Byron, poi, che io sappia e, da quanto ho potuto sapere, non ci sono altri casi. Proprio durante la lettura del Peer Gynt di Ibsen ho deciso di definire il mio scritto “Poema drammatico”, all’inizio lo definivo “Tragedia storico-fantasiosa” ma, le tragedie non hanno un lieto fine e io non vorrei farlo terminare in tragedia, così, ho deciso di cambiare e stavo terminando di scrivere il terzo atto. Il mio poema drammatico l’ho intitolato Ingólfur Arnarson, è in un proemio e cinque atti. Lo sto scrivendo fin dal 1990, ovviamente non è in rima, ambientato al tempo della colonizzazione dell’Islanda, di argomento storico-fantastico. L’ambientazione è storica ma, la trama è fantastica, l’unico personaggio storico-leggendario è Ingólfur che, non è neanche sicuro se sia mai esistito, le notizie sulla sua vita sono solo leggendarie e, ancor più il suo approdo in Islanda; ecco perché ho scelto questo tempo, avvolto da leggende e lontano, il IX sec. d.C. avendo così modo di sbizzarrire la mia fantasia. Gli altri personaggi sono interamente frutto della mia fantasia, ricavandone i nomi dall’islandese, anche i cognomi sono immaginari e ricalcano stilemi che ricordano il norvegese; preciso che, non conosco né l’islandese, né il norvegese, semplicemente, mi sono documentato sui nomi e la pronuncia, ovviamente, gli indigeni, che si incontreranno dal secondo atto in poi, non hanno cognome e, anche la loro presenza è del tutto fantasiosa. Ho anche creato una distinzione tra, i vichinghi, che chiamo “barbari”, in quanto non civilizzati ed i normanni civilizzati (i norreni), gli antichi colonizzatori dell’Islanda; non ho voluto impelagarmi con il paganesimo e tutte le sue conseguenze, infatti, ho immaginato i personaggi, contro ogni criterio storico, come dei pagani non credenti e per questo li chiamo “normanni” e non “vichinghi”, che, invece, sono pagani credenti e pirati e sanguinari violenti. Mi sono innamorato dei meravigliosi paesaggi islandesi, pur non essendoci mai stato e vedendoli solo in fotografia, su un opuscolo turistico inglese, regalatomi in quinta ginnasiale, che conservo gelosamente, tanto da avermi ispirato la scrittura di un poema drammatico, ambientato appunto in Islanda. Dici bene, scrivere un poema drammatico richiede uno sforzo immenso e, qualcuno mi ha detto che mi sono imbarcato in un’impresa titanica e, anche adesso, pur essendo quasi alla fine, mi sento di darvi ragione: ho quasi un senso di vertigine e paura di essermi spinto forse al di là delle mie forze creative. Pensa, un caro amico compositore, dopo aver letto il proemio e un paio di scene del primo atto (una tempesta, una battaglia e un monologo), ha deciso di scrivere le musiche di scena per questo mio poema drammatico. Attualmente sta scrivendo una prima bozza di pot-pourri dei brani che saranno poi inseriti, come musiche per i vari atti e, pensa, anche il suo maestro di composizione gli ha dato il suo parere favorevole. Preciso, si tratta di musiche di scena in senso proprio, non di un’opera lirica, magari, in futuro potrebbe pensarci un altro compositore. La poesia fa parte del mio essere, la prosa non è nelle mie corde (preferisco leggerla), non riuscirei mai a scrivere un racconto, né un romanzo, ecco perché ho scelto il teatro e un poema drammatico per cercare di esprimere la mia vena narrativa e, al contempo, continuare a cercare di esprimere la poesia che il cuore mi detta. Con la scrittura di questo poema non ho voluto conformarmi alla spontaneità, alla facilità dell’immediatezza espressiva, come ho fatto di solito con le mie poesie; la spontaneità rimane però la prima idea, il primo fuoco dell’ispirazione che, negli anni ha subito vari ripensamenti e successive modifiche formali. La spontaneità rimane perché ho sempre atteso l’ispirazione per scriverlo, non mi sono mai seduto a tavolino e – adesso scrivo – e sono passati più di vent’anni da quel primo abbozzo in prosa del 1989, del solo primo atto, abbozzo in prosa ormai perduto. Poi,dal 1990 trasposto in versi aggiungendo il proemio e proseguendo di seguito direttamente in versi, senza prima abbozzare in prosa gli altri quattro atti.

MN: Emanuele Marcuccio è anche aforista; quanti aforismi hai scritto ad oggi?

EM: Sì, dal 1991 ho scritto ottantuno aforismi e quattro sono stati pubblicati lo scorso dicembre nell’antologia del premio internazionale per l’aforisma Torino in Sintesi, II edizione – 2010, edita da Joker Edizioni. Le tematiche principali di questi aforismi riguardano la vita, l’amore e la poesia. Di questi miei aforismi, ne voglio citare uno dei quattro editi: «Solo al momento della morte, questo nostro orologio sconnesso della vita darà l’ora esatta.».

MN: Un lavoro a tutto tondo, dunque, che si completa con la collaborazione editoriale per una casa editrice e, per diversi siti e blog letterari, con la partecipazione a concorsi di poesia con non pochi risultati. Ce ne parleresti più approfonditamente?

EM: Sì, io che ho penato quasi dieci anni per poter pubblicare il mio libro (il titolo di “Per una strada” lo avevo pensato fin dal 1999), sono stato ben felice e molto meravigliato di ricevere il 9 giugno dell’anno scorso una proposta di collaborazione editoriale da parte di una casa editrice diversa da SBC Edizioni. Con Rupe Mutevole nel giugno 2009 avevo pubblicato due mie poesie inedite nell’antologia Poesia e Vita, scritte successivamente alla stesura della mia raccolta Per una strada, con queste due poesie, nel mio piccolo, ho contribuito, insieme ad altri 49 autori, nell’aiutare il piccolo Emanuele Lo Bue che, da anni versa in uno stato di coma neurovegetativo. Ci tengo a ringraziare qui la cara amica poetessa Gioia Lomasti, promotrice e organizzatrice di questa lodevolissima iniziativa di solidarietà e, proprio lei ha proposto il mio nome all’editore, dapprima come autore e poi come collaboratore editoriale. Così, a novembre 2010 è uscita la prima raccolta di poesie a mia cura e, sono stato ben felice di curarne anche la prefazione; l’autrice è la stessa Maristella Angeli che, a fine agosto ho intervistato per il blog “Vetrina delle Emozioni”, la raccolta in questione è Il mondo sottosopra, la sua quinta raccolta. Lo scorso febbraio, invece, è uscita proprio la tua, sempre a mia cura e, con una mia nota di commento a pag. 7, era la tua Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso. E un’anticipazione: massimo entro dicembre prossimo uscirà la terza raccolta a mia cura, di cui ho curato anche la prefazione e, per espresso desiderio dell’autrice, posso anticipare soltanto il titolo: Petali d’acciaio. E il 15 settembre scorso ho scritto questo poetico augurio, così, di getto… in omaggio a tutti gli autori, specialmente quelli pubblicati a mia cura, specialmente quelli di cui ho curato l’intervista.

Che il viaggio fantastico verso lidi

inesplorati cominci,

che tanti lettori faccia sognare…

Viaggiate autori, sognate,

veleggiate, verso lidi inesplorati, credete

credete nei vostri sogni,

non desistete,

non arrendetevi… !

Poi, mi chiedevi dei premi che ho ricevuto… sì, due menzioni d’onore in due concorsi internazionali. La prima nell’aprile 2003 per la lirica “Dolce sogno” al Concorso internazionale di poesia “Città di Salerno”, organizzato dall’associazione culturale “La Tavolozza”. E della seconda ne ho già parlato, nel luglio 2010 per la lirica “Là, dove il mare…” al I premio internazionale d’arte “Europclub” Messina – Taormina 2010.

MN: Preferisci la poesia o la prosa?

EM: Decisamente preferisco la poesia, la prosa preferisco solo leggerla. Come ho detto prima, la poesia è la più profonda forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni; la poesia riesce ad emozionare, etimologicamente parlando, riesce a portare allo scoperto (l’anima), come scrivo in una mia poesia, riesce a portare allo scoperto “l’obliato proprio sé fanciullo”. La poesia riesce a far conoscere se stessi, riesce ad interrogarci, riesce a farci riflettere, riesce ad emozionarci, riesce a rendere l’ordinario straordinario e, in qualche maniera, anche a migliorarci, a renderci più sensibili nei confronti degli altri. La poesia, infatti, è piacere per gli occhi e per il cuore, qualcosa che ci meraviglia e ci colma d’interesse, che ci spinge a ricercar nuovi lidi, dove far approdare questo nostro inquieto nocchiero che è il nostro cuore. La poesia si nutre di sogni e il poeta non è solo un cultore di sogni ma, sogna, si emoziona e si meraviglia lui stesso; spesso vorrebbe perdersi in quei sogni ma, deve ritornare alla realtà, alla dura realtà, che usa come filtro e come ancora per non annegare nei suoi stessi sogni. La poesia si nutre anche di musicalità, di armonia tra le parole, senza necessariamente fare uso della metrica o della rima. Con tutto il rispetto, la narrativa e la prosa in genere preferisco leggerla e non scriverla ma, anche in questa possiamo trovare della poesia. Però, con la scrittura del mio poema drammatico ho cercato di fondere le due cose in un tutt’uno, ho cercato di scrivere una storia servendomi dell’amata poesia e del teatro e, il teatro, si presta molto a questo genere di connubi, solo così potevo esprimere la mia vena narrativa. Infatti, sulla scorta dei grandi poemi del passato, ho inserito una voce narrante (fuori scena) che, ogni tanto si fa sentire nel corso del poema, questa voce fuori scena rappresenta l’io narrante del poeta, non ho potuto proprio farne a meno. Come scrivo in un mio aforisma “Un poeta non deve mai lasciarsi condizionare dal marketing, dal consumismo o dalle mode del tempo, la sua ispirazione non sarebbe più spontanea e sincera, deve bensì lasciar parlare la propria anima, senza alcun condizionamento.”. Quindi, nessuno può dirmi di scrivere un romanzo, perché così ci sarebbero più lettori ma, mancherebbe la cosa più importante: l’ispirazione. In fondo, la mia risposta al genere del romanzo è il poema drammatico, certamente di gran lunga più impegnativo ma, per me l’unica possibile. E, non è proprio per il poema drammatico che mi hai definito anche scrittore?

MN: Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano? Cosa miglioreresti al suo interno e in che modo?

EM: Cito un altro mio aforisma: “Non lasciamo che il mercato sia deciso dai vari lettori di illetteratura che, purtroppo, sono la maggioranza, bisogna che ci siano dei lettori colti e critici, capaci di fare delle scelte di cultura nelle proprie letture. La figura dell’autore, che, prima di tutto deve essere un lettore critico e colto, è l’ideale.”. Sì, se io fossi un editore, vorrei che il comitato editoriale sia formato da altrettanti autori; solo un autorevole comitato editoriale, presente in ogni casa editrice, può dare una svolta all’attuale andazzo editoriale, in cui si dà maggior risalto all’illetteratura e, si mettono in una nicchia opere davvero meritevoli e di valenza letteraria. Proprio per questo motivo la critica letteraria agli autori contemporanei è sempre più in declino, come recentemente ha lamentato Cesare Segre. Ogni tanto si sente di qualche critico letterario che ha scritto sull’opera di un autore sconosciuto al grande pubblico, alla grande editoria ma che, non a caso ha attirato la sua attenzione. Sono i libri di valenza letteraria che fanno la letteratura e alcuni diventano dei classici, il futuro non è dei best-seller e dei libri, preconfezionati ad hoc per un certo tipo di lettori, di qua a cinquant’anni cadranno nel dimenticatoio.

MN: E cosa pensi della cultura nel nostro Paese? Ritieni che i media possano in qualche modo influenzare la cultura e, se sì, come?

EM: Credo che oggigiorno si faccia tanta confusione, la cultura non è semplice intrattenimento, ma è capace di lanciare un messaggio che porti alla riflessione, che porti a conoscere, senza mai smettere di riflettere, perché, proprio la riflessione genera cultura. I mass-media, se la cosa interessasse davvero, potrebbero avvicinare alla cultura, soprattutto la televisione, quella che potrebbe maggiormente influenzare la cultura, quella a cui paghiamo un canone annuale, che ci propina programmi da semplice intrattenimento, mettendo in una nicchia, in orari tardi e proibitivi programmi di indubbio valore culturale. Recentemente c’è stato un minimo cambiamento con il proporre il teatro in prima serata, ma, una rondine non fa primavera.

MN: La poesia che, in qualche modo, ti ha più influenzato? Mi spiego meglio: qual è la poesia che, per un motivo o per l’altro, avresti voluto scrivere e per quale motivo?

EM: Leopardi è il mio poeta preferito, non certo per il sistema del suo pessimismo cosmico ma per l’infinita e meravigliosa musicalità dei suoi versi. Quanto mi ha ispirato la musica dei suoi versi e, “L’infinito” è la poesia che preferisco più di tutte, non solo per i suoi versi infinitamente pieni di musicalità, ma perché la vedo come un’oasi di speranza lungo il deserto del suo pessimismo cosmico: “Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare.”. Pensa, che in una mia poesia giovanile del 1991 ho cercato di imitare la musica di questi versi immensi cambiando le parole, cito dalla mia raccolta Per una strada: “Così, tra questi versi immensi / gioisce l’animo mio, / e l’ondeggiar / mi molce e m’accarezza.”.

MN: Alcune tue poesie sono state tradotte anche in lingua inglese e dialetto siciliano. Ce ne parleresti?

EM: Veramente sono stato io stesso a tradurre quattro mie poesie in inglese e una di queste mie traduzioni, quella dell’allora inedita “Accoglili nella tua pace, Signore!”, nel maggio 2008 è stata pubblicata nell’antologia poetica di autori vari Collected whispers, da Howard Ely Editor, Owings Mills, USA, dunque, quasi un anno prima della versione originale, edita nella mia raccolta Per una strada. In queste traduzioni ho cercato di ricreare in qualche modo la musicalità della versione originale, ho scelto attentamente i suoni di quelle parole, senza badare a particolari questioni linguistiche. In un certo senso avviene una ricreazione della stessa poesia ma, quello che più importa, è che si senta la poesia, che si ascolti la sua voce, che permanga il suo spirito, anche se l’abito è cambiato. E proprio questo ho cercato nel tradurre una mia poesia in inglese. Mentre, per quanto riguarda quella tradotta in vernacolo siciliano, si tratta della mia edita e premiata “Là, dove il mare…”, tradotta con grande maestria dall’amico poeta e commediografo Alessio Patti, della quale ha creato anche un video molto suggestivo ed emozionante. Proprio dalla visione di questo video e, durante la lettura ad alta voce della traduzione in siciliano della mia poesia, mi ha raggiunto l’ispirazione e ho scritto, dopo 125 poesie in italiano, la mia prima e, attualmente unica poesia in vernacolo siciliano “Munnu crudili”, pubblicata lo scorso aprile nell’antologia poetica di autori vari La biblioteca d’oro – Poesie in siciliano, da Unibook, a quasi cinque mesi dalla sua scrittura. A proposito di vernacolo siciliano, in realtà bisogna parlare di lingua siciliana, leggo un brano dalla prefazione, scritta dalla poetessa Santina Russo, curatrice di questa antologia: «La lingua siciliana, troppo spesso declassata da molti a “dialetto” è, in realtà, una lingua a tutti gli effetti. Molti filologi ed anche l’organizzazione Ethnologue, descrivono il siciliano come “abbastanza distinto dall’italiano tipico tanto da poter essere considerato un idioma separato”, come risulta anche confrontando il lessico, la fonologia, la morfologia delle due varietà linguistiche. Peraltro, il siciliano non è una lingua derivata dall’italiano, ma, al pari di questo, direttamente dal latino. La lingua siciliana esiste da centinaia d’anni, la tradizione poetica siciliana nasce con la corte federiciana nel XIII secolo e fioriscono da allora illustri poeti e cantori in siciliano aulico che costituiscono tuttora modelli per un’eventuale canonizzazione della lingua poetica siciliana scritta. […] È doveroso, a tal proposito, specificare che non esiste attualmente una canonizzazione condivisa della lingua siciliana, soprattutto a livello orale, dove sono evidenti le differenze fonologiche, morfologiche e lessicali da una zona all’altra della Sicilia. Diverso, il discorso per la lingua scritta, per la quale esiste una tradizione secolare alla quale poter far riferimento per una produzione poetica siciliana a regola d’arte.». E già Dante gli aveva dato dignità di lingua nel suo De vulgari eloquentia, leggo: «E per prima cosa facciamo un esame mentale a proposito del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell’isola hanno cantato con solennità. […] Il volgare siciliano, a volerlo prendere come suona in bocca ai nativi dell’isola di estrazione media (ed è evidentemente da loro che bisogna ricavare il giudizio), non merita assolutamente l’onore di essere preferito agli altri, perché non si può pronunciarlo senza una certa lentezza… Se invece lo vogliamo assumere nella forma in cui sgorga dalle labbra dei siciliani più insigni… non differisce in nulla dal volgare più degno di lode.».

MN: Quali sono le tue letture? Hai un genere che preferisci su tutti? Perché?

EM: Sì, il mio genere preferito sono i classici della letteratura, proprio perché la letteratura dà voce ai sogni dell’umanità, ai suoi dolori, alle sue speranze e, leggere un classico significa immergersi in un mondo lontano ma allo stesso tempo vicino ai nostri sogni, alle nostre speranze, ai nostri dolori. E, citando un mio aforisma “Se si legge un classico, si va sul sicuro e si evitano delusioni. Perché un classico nasconde in sé tutto un mondo da scoprire, e quel mondo ci assomiglia.”.

MN: E le letture che non leggeresti mai? Per quale motivo?

EM: I romanzi horror e i romanzi rosa: non amo spaventarmi inutilmente e non amo le storie troppo sentimentali.

MN: Cosa spinge, secondo il tuo parere, uno scrittore o un poeta a scrivere e susseguentemente a pubblicare le proprie opere?

EM: Se è un vero scrittore e non un cercatore di facili guadagni, penso che lo spinga a scrivere la voglia di conoscere se stesso, di tirar fuori quello che ha celato in sé. Come scrive Proust ne Il tempo ritrovato “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.”.

Sì, scriviamo di una realtà come trasfigurata e, nel contempo cerchiamo di porgere al lettore una speciale lente di ingrandimento, che trasfiguri e ingrandisca allo stesso tempo.

MN: Pensi sia importante il confronto con altri autori?

EM: Per me è molto importante il confronto con altri autori, specialmente quando trovo dei punti di contatto con il mio modo di scrivere e di poetare. Su internet sto conoscendo tanti poeti in maniera virtuale e, uno l’ho conosciuto dal vivo ad una presentazione del suo libro di poesie, invitato da lui stesso. Penso che tra colleghi poeti, scrittori, drammaturghi e artisti in genere si debba instaurare un rapporto di rispetto e di stima reciproca e mai di concorrenza, mai avere la presunzione di possedere la verità, purtroppo, questo raramente accade; a questa presentazione, a cui sono stato invitato dallo stesso autore, c’ero solo io tra il pubblico, come autore, gli altri erano tutti lettori e, molto lodevole e nobile, da parte sua, l’avermi ringraziato pubblicamente della mia presenza ed alla fine ci siamo scambiati i nostri rispettivi libri con autografo.

MN: Vuoi anticiparci qualcosa riguardo ai tuoi prossimi lavori e/o progetti?

EM: Oltre al poema drammatico, di cui abbiamo parlato ampiamente e, anticipo che sarà pubblicato in due volumi: il primo volume conterrà i primi due atti ed uscirà molto probabilmente entro il 2012. Poi, ho in preparazione una seconda raccolta di poesie, che ho intitolato Anima di poesia, dal titolo una mia inedita poesia, pensa, questa poesia l’avevo messa pure da parte, come avevo fatto con “Per una strada”, la poesia che ha dato il titolo alla mia prima raccolta. Con la differenza che, “Anima di poesia” non l’ho appuntata dapprima sul retro di uno scontrino della spesa ma, su un semplice foglio di carta. Ho deciso di dedicare tutta la raccolta alla memoria del mio caro papà, mancato il 25 gennaio scorso… E, spero di intervistare tanti altri autori per il blog “Vetrina delle Emozioni” e di curare la pubblicazione di altrettanti libri di poesie.

MN: Grazie per la tua disponibilità, Emanuele e, ad maiora!

EM: A te Marco, semper, è stata una piacevole conversazione!

A cura di Marco Nuzzo                                                                

21 settembre 2011

INTERVISTA PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE. E’ SEVERAMENTE VIETATO PUBBLICARE PARTI O L’INTERA INTERVISTA SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

Emanuele Marcuccio intervista Luciano Domenighini

Intervista a Luciano Domenighini

a cura di Emanuele Marcuccio 


Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere poesie e di dedicarti alla critica letteraria?
La prima poesia l’ho scritta a dodici anni. L’amore per la critica letteraria è venuto molti anni dopo.

Cos’è per te la poesia, cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?
La poesia è la forma più intensa e diretta di comunicazione verbale. Non deve mai mancare l’ispirazione assieme alla ricerca di una forma esatta.

E cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?
Oltre all’ispirazione, il rispetto della parola, la consapevolezza che la parola è una risorsa, non va sprecata, banalizzata.

Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna delle due e perché?
Sono affascinato dai vari modi di poetare, in metrica, in rima, in prosa lirica.

Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?
Dipende. In genere le poesie in metrica e in rima richiedono più tempo, prevedendo degli obbiettivi obbligati. Sono, alle volte, come un gioco enigmistico che però non deve essere fine a se stesso. Il rischio è quello di perdere efficacia poetica per ottenere il metro e la rima giusti. Ma è una sfida in più.

Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?
Perché tramite la poesia si comunica in una dimensione intima, privata, esclusiva, e molte persone hanno paura di entrare in questo ambito manifestandolo pubblicamente.

Preferisci scrivere a penna o al PC?
A penna.

Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di poeta e critico letterario?
Come poeta è stato il conseguimento di alcuni premi letterari. Ricordo in particolare
con piacere quella volta, alla premiazione del “Graffito d’oro” del 2008, dove l’attrice
che leggeva le poesie premiate, si commosse leggendo la mia, che qui vado a riportare:

AL FIGLIO

Figlio,
tutto al mondo ha un prezzo
ma tu non saperlo.

Pensa che ogni cosa sia offerta
In dono
e in dono ricevuta.

Nulla è scontato
e non c’è ricchezza
senza meraviglia.

Nessun dono da me, povero padre,
se non che una carezza.

Lieve ti sia,
come un ricordo senza nome e
dimenticata
sempre ti accompagni.

(2007)

Come critico letterario l’esperienza più significativa riguarda la recensione e i commenti alla raccolta di un giovane e promettente poeta siciliano, sì, lo stesso che mi sta adesso intervistando.

Grazie infinite, per il mio Per una strada è stato un vero onore, un pregevolissimo dono. Come nasce in te l’ispirazione, come organizzi il tuo scrivere, ci sono delle fasi?

Io sono un poeta della domenica, a tempo perso, o meglio sarebbe dire, a tempo rubato al lavoro e agli impegni familiari.
L’ispirazione nasce casualmente, improvvisamente, realizzando nella memoria una frase, un sintagma, un ritmo, un’assonanza. A volte se non si hanno subito carta e penna per annotare quello che è balenato nella mente, il lampo dell’ispirazione va perso.
Poi il lavoro di costruzione del testo può essere lungo, laborioso, a più fasi (anche con rifacimenti a distanza di anni).
Ma è importante non perdere l’input iniziale…

Concordo e, citando un passo della mia introduzione alla poesia “Perché la poesia sia vera e sincera deve esserci questa scintilla iniziale, dopodiché possiamo scrivere di getto, in maniera spontanea o, fare un lavoro di lima ricercando la rima più adatta o la parola, o il suono e starci tutto il tempo che ci è necessario. In caso contrario, diventerebbe solo qualcosa di artificioso che non è espressione dei nostri sentimenti.”Nel 2004 hai fatto stampare a tue spese, in 150 copie, presso una tipolitografia una raccolta che hai intitolato “Liriche esemplari”. Ce ne puoi parlare?
“Liriche esemplari” è un’antologia, una raccolta retrospettiva che copre un arco molto ampio di tempo. Come accade a molte opere prime di uno scrittore dilettante già avanti con gli anni e totalmente inedito, anche “Liriche esemplari” ha un carattere che definirei retrospettivo-riepilogativo e in qualche modo anche testamentale.
Anche la sua veste editoriale essenziale, spoglia, totalmente priva di commenti e illustrazioni, se si esclude una fugace autoprefazione, è in linea con questa prospettiva di “messaggio nella bottiglia”.

Perché proprio questo titolo “Liriche esemplari”?
Lo spiego nelle quattro righe dell’autoprefazione: “esemplari” non sta per “da prendere ad esempio” ma sta per “esempi di composizione poetica”, in vari metri e stili, dalla prosa lirica al sonetto, alla rima dantesca, ecc… Ho voluto sottolineare l’aspetto tecnico, esercititativo, eclettico, della raccolta.

“Liriche esemplari” sta per “esempi di composizione poetica”, quindi, preferisci scrivere in metrica o in verso libero, qual è per te la vera poesia?

La formula, il modulo letterario è solo un tramite per ottenere la “forma letteraria” che è il vero obbiettivo dell’artista. Io non ho preferenze sul tipo di tecnica da usare: scelgo quella che più si adatta ai vari momenti ispirativi.

Ci sono altri scritti, stampati a tue spese?
No.

Cosa ti ha spinto a stampare a tue spese?
Vanità, solo vanità.

Quali sono i tuoi poeti preferiti, ce n’è uno in particolare?
I miei preferiti sono Dante, Tasso, Leopardi, Pascoli, Shakespeare, Puskin, Gozzano. In particolare però il poeta prediletto è Dino Campana.

E qual è la tua poesia preferita?
Questa, dai “Canti Orfici”:

Nel silenzio azzurrino

. . . . . . . . . . . .

L’aria ride: la tromba a valle i monti
Squilla: la massa degli scorridori
Si scioglie: ha vivi lanci: i nostri cuori
Balzano: e grida ed oltrevarca i ponti.
E dalle altezze agli infiniti albori
Vigili, calan trepidi pei monti,
Tremuli e vaghi nelle vive fonti,
Gli echi dei nostri due sommessi cuori…
Hanno varcato in lunga teoria:
Nell’aria non so qual bacchico canto.
Salgono: e dietro a loro il monte introna:
. . . . . .
E si distingue il loro verde canto.

. . . . . . . . . . . .

Andar, de l’acque ai gorghi, per la china
Valle, nel sordo mormorar sfiorato:
Seguire un’ala stanca per la china
Valle che batte e volge: desolato
Andar per valli, in fin che in azzurrina
Serenità, dall’aspre rocce dato
Un Borgo in grigio e vario torreggiare
All’alterno pensier pare e dispare,
Sovra l’arido sogno, serenato!
O se come il torrente che rovina
E si riposa nell’azzurro eguale,
Se tale a le tue mura la proclina
Anima al nulla nel suo andar fatale,
Se alle tue mura in pace cristallina
Tender potessi, in una pace uguale,
E il ricordo specchiar di una divina
Serenità perduta o tu immortale
Anima! o Tu!

. . . . . . . . . . . .

La messe, intesa al misterioso coro
Del vento, in vie di lunghe onde tranquille
Muta e gloriosa per le mie pupille
Discioglie il grembo delle luci d’oro.
O Speranza! O Speranza! a mille a mille
Splendono nell’estate i frutti! un coro
Ch’è incantato, è al suo murmure, canoro
Che vive per miriadi di faville!…
Ecco la notte: ed ecco vigilarmi
E luci e luci: ed io lontano e solo:
Quieta è la messe, verso l’infinito
(Quieto è lo spirto) vanno muti carmi
A la notte: a la notte: intendo: Solo
Ombra che torna, ch’era dipartito…

 Trovo che Campana possegga delle capacità tecnico-metriche, una immaginazione poetica e una nobiltà linguistica assolutamente superiori.

Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?
La Divina Commedia, Ulisse di Joyce. I Canti di Leopardi, Myricae di Pascoli, i Canti Orfici di Campana.
Il mio libro del cuore sono i Promessi Sposi. La sua prosa ha un tono singolare e inconfondibile, edificante, consolatorio, rasserenante.

E c’è un genere di libri che non leggeresti mai?
Non ho particolari preclusioni nei confronti di qualche genere letterario. L’importante è che un libro sia scritto bene.

Nella tua vita ti è mai capitato qualcosa che ha rischiato di allontanarti dalla poesia, o che ti ha allontanato per un periodo dalla poesia o dalla scrittura in genere?
Se mai ci sarebbe da chiedermi cosa di tanto in tanto mi ha avvicinato alla poesia.
Nella mia vita la poesia è stata un’eccezione ricorrente.

Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?
Amo la mia terra, anche se la mia è stata una vita da esule. Tutte le terre sono belle se vi si trova qualcuno da amare e che ci ami. Ma la terra natìa è una madre, viene prima di noi, sono le nostre radici, e ce la portiamo dietro nella vita, qualunque cosa noi facciamo o diventiamo.

Tra poesia e prosa, cosa scegli e perché?
Scelgo la poesia perché mi è più congeniale. A scrivere in prosa ci ho provato ma non ne viene fuori nulla.

Hai un sogno nel cassetto?
Scrivere belle poesie e aver più tempo per farlo. E poi diventare uno scrittore famoso, ricco e ascoltato.
È proprio vero che i sogni non hanno età.

Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano?
Ci sono molte opportunità per chi abbia un po’ di tempo per dedicarsi alla scrittura. Ma le grandi case editrici sono poche.

Cosa pensi dell’attuale panorama culturale italiano?
E’ in corso, tramite i “media”, un processo di acculturazione delle masse, di alfabetizzazione del gusto ed è chiaro che, in questo ambito, non si può andare tanto per il sottile. E’ una cultura essenzialmente didascalica, catalogativa, compilativa, estemporanea, d’accatto. La cultura del passa-parola, del tam-tam mediatico, del “sentito dire”, delle frasi fatte e dei luoghi comuni, dietro a cui quasi sempre c’è un sottofondo di qualunquismo e di propaganda più o meno celata. Fortunatamente sopravvivono i buoni testi letterari.

Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?
Quando sono istituiti con serietà, rappresentano un’occasione per gli scrittori.

Recentemente ho letto un articolo di Cesare Segre sul “Corriere della Sera”, riguardo all’irresistibile declino della critica letteraria agli autori contemporanei, con la conseguente perdita di prestigio della letteratura. Da critico letterario, cosa pensi a riguardo, è davvero in declino la critica letteraria?
Credo che nel Novecento si sia verificata una sovraesposizione della letteratura alla critica letteraria. In certi casi la critica letteraria è diventata quasi un genere letterario a sé stante e, in non pochi casi, ha contribuito a determinare la fortuna o la disgrazia di qualche autore. Inoltre spesso ha avuto una funzione scopertamente commerciale, sovrastimando opere di scarso valore. Il richiamo di Cherchi a un’impostazione schematica della critica letteraria, secondo il modo della filosofia scolastica, è interessante perché definisce l’opposto di quella critica vaga, enfatica, fumosa, indefinita e indefinibile e non di rado, come detto, pretestuosa, che ha imperversato e tuttora imperversa. Io credo che entrambi questi estremi vadano evitati. La valutazione di un’opera letteraria deve poggiare su parametri di riferimento chiari e in qualche modo oggettivabili, ma al contempo dovrebbe consentire al critico di manifestare il proprio gusto, la propria sensibilità e la propria fantasia interpretativa.

Quanto è importante per te il confronto con altri autori?
È molto importante. Per imparare soprattutto nuove tecniche e nuove soluzioni espressive. E poi, dal punto di vista umano, per condividere questa colleganza, questa esperienza comune. Va da sé che, comunque, per entrare nel mondo di un poeta e nel suo immaginario, per capire il senso e l’atmosfera della sua poesia occorre che si realizzi una simpatia, che si stabilisca una sintonia con il suo testo poetico. Questa corrispondenza, quasi sempre è automatica, spontanea e dipende dalle affinità fra lettore e autore o dalla concomitanza di particolari stati d’animo che favoriscono questa comprensione.

Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?
Nessun consiglio, se non quello di avere il proposito di migliorarsi costantemente. E poi l’umiltà, il rispetto verso altri autori, lo spirito di autocritica soprattutto con l’obbiettivo di evitare le secche dell’autoreferenzialità.

Vuoi anticiparci qualcosa su quello che stai scrivendo?
Una nuova raccolta di poesie. Sono circa sessanta titoli anch’essi di metro e stile differente, anche se orientati prevalentemente verso la prosa lirica.

 Grazie tante per la tua disponibilità e tanti auguri per la tua attività di poeta e critico letterario!

 A cura di Emanuele Marcuccio

 

 

 

LUCIANO DOMENIGHINI è nato nel 1952 a Malegno in provincia di Brescia. Ottenuta la maturità classica si laurea in Medicina e inizia la professione medica quale medico di Medicina Generale, attività che svolge tutt’ora. Nel 2000, a Bologna, ottiene il primo riconoscimento letterario , una segnalazione a un premio di poesia. Nel 2003 vince il premio internazionale “Provincia di Trento” per la poesia “Canzone” E  nel 2004  al Vittoriale di Gardone Riviera gli viene assegnato il premio internazionale “Gabriele d’Annunzio” per la poesia “Esercizio di rima”. Sempre nel 2004 pubblica la sua prima raccolta di versi “Liriche esemplari”. Collabora nel frattempo saltuariamente con giornali locali come critico letterario.  Nel 2004 ottiene il 4° posto al premio Nazionale  di Poesia  “Il graffito d’Oro”, riservato a Medici e Farmacisti letterati, con la poesia “Dalla spiaggia” e due anni dopo nel 2008 sempre al “Graffito d’oro”, vince il premio speciale della giuria con la poesia “Al figlio”. Ancora nel 2008 ottiene una segnalazione alla XXI edizione del premio Nazionale Città di Corciano con la poesia “Mottetto”. Nel 2010 redige un breve commento critico ad alcune poesie di giovani poeti siciliani fra cui 15 titoli della raccolta “Per una strada” di Emanuele Marcuccio.


L’INTERVISTA VIENE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE. E’ VIETATA LA PUBBLICAZIONE DI STRALCI O DELL’INTERA INTERVISTA SENZA CONSENSO DELL’AUTORE.

Per una strada di Emanuele Marcuccio, Recensione di Luciano Domenighini

Per una strada di EMANUELE MARCUCCIO

Sbc Edizioni, 2009, pp. 100

ISBN: 9788863470314

Recensione a cura di LUCIANO DOMENIGHINI 

La raccolta di poesie “Per una strada” di Emanuele Marcuccio, raccoglie il meglio della sua produzione poetica dal 1990 al 2006. In un arco di tempo così lungo è ravvisabile una evoluzione, soprattutto formale, nel senso della acquisizione di un linguaggio poetico più originale.

Lo stile:
Le poesie di Marcuccio, specie quelle dei primi anni, hanno uno stile composito, con vaghi richiami stilnovistici, epico-rinascimentali, neoclassici, leopardiani. Questo eclettismo, però, è privo di ostentazione; le citazioni e i modi sono sfiorati con leggerezza. Vale la pena, ad esempio, di osservare come il poeta ricorra, e frequentemente, all’elisione. Solitamente, l’elisione è motivata da urgenze metriche, mentre in Marcuccio il suo uso è assolutamente gratuito è un vezzo, una scelta fonetica puramente ornativa.

Le figure retoriche:
La poesia di Marcuccio, avendo, come detto, carattere eclettico ha una certa ricchezza di figure retoriche, anche se prevalgono nettamente figure di soppressione-sottrazione ( ellissizeugma), o di soppressione-accumulazione (asindeto) oppure di accumulazione, specie quelle reiterative (anaforaepistrofeparonomasia). Lo schema più frequente è il vocativo, seguito da asindeti o polisindeti multipli, pure associazioni di parole ad effetto “impressionista” in senso descrittivo o elegiaco. Le sequenze in asindeto, hanno effetto subentrante-perfettivo e sono composte da sostantivi, sostantivo-aggettivo, aggettivi o sequenze di verbi transitivi e intransitivi come nel bellissimo “vedi, vive, canta, sussurra.” L’impiego di queste figure di accumulazione può avere, come detto, effetto variante-specificante o descrittivo oppure più squisitamente oratorio-enfatizzante, realizzando una “gradatio” emotiva, un vero e proprio climax.

La metrica:
È un poetare libero, polimorfo, ma senza urgenze o scrupoli di ordine metrico. In qualche modo è un poetare istintivo, d’ispirazione, di prima mano. Anche quando l’eloquio poetico si coagula in disticiterzine o persino tetrastici riconoscibili e strutturati in rime o assonanze o paromeosi, sovente il computo delle sillabe, cresce o difetta e la disposizione degli accenti è disritmica. Il tentativo di rima dantesca (“Amor”) è sostanzialmente fallito. Altre volte invece il verso è di eccellente struttura metrica (cfr. gli endecasillabi ”dolce mi viene all’anima, /cantando” oppure “dell’universo immenso meraviglia”). Ma ciò, quando avviene, avviene per caso, o meglio non avviene intenzionalmente quasi che il poeta seguisse unicamente una sua musicalità del momento.

I contenuti:
Accanto alle numerose composizioni, di impronta prevalentemente moralistica, dedicate a personaggi storici o letterari (notevoli i quattro “omaggi” a Garcia Lorca) i temi prediletti da Marcuccio sono quello paesaggistico-descrittivo, quello amoroso e la poesia civile. Riguardo a quest’ultima merita di essere menzionata “Urlo”, dedicata alla tragica fine del giudice Falcone. Con toni rutilanti, epici e tribunizi, il poeta si abbandona sdegnato a una denuncia-condanna senza appello, ricorrendo a un’enfasi tragica quasi omerica, eppure mantenendo, nel messaggio, una chiarezza lampante e inequivocabile.

Conclusioni: 

Nella pressoché assoluta libertà di impiego di moduli stilistici e soluzioni lessicali, nel lasciarsi guidare dall’ispirazione e dallo spontaneo sgorgare della parola poetica; nel tendere l’orecchio insomma alla musicalità del verso come spontaneamente gli proviene dal cuore e dalla mente, e nel saperla tradurre in versi limpidi e carichi di emozione, sta la caratteristica principale di questo poeta, per conoscere il quale la raccolta “Per una strada”, opera prima, pur nella sua varietà stilistica e nella inevitabile impronta esperitiva, rappresenta una fonte preziosa ed esauriente.

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LUCIANO DOMENIGHINI

RECENSIONE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE DELLA SILLOGE DI POESIE E DEL RECENSIONISTA. E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERO ARTICOLO SENZA IL PERMESSO DEGLI AUTORI

Dolcemente i suoi capelli, poesia di Emanuele Marcuccio

Dolcemente i suoi capelli… (24/4/2006)

Poesia di EMANUELE MARCUCCIO

Contenuta nella silloge Per una strada (2009)

Dolcemente i suoi capelli inanellava,

e mi beava nel rimirar

il suo bel viso,

il suo sorriso,

che languente mi sfuggiva;

e cercavo d’immaginar

i suoi begl’occhi,

che all’anima profondi balenava

in un sussulto,

in un singulto,

che veloce dileguava.

Commento critico di LUCIANO DOMENIGHINI

Undici versi sostenuti da sei verbi all’imperfetto, con due coppie di quinari iterati in rima baciata ( 3 e 4, 9 e 10).

Anche qui il poeta, dopo il languido dodecasillabo iniziale, intesse, reiterandoli, una trama di quattro “incipit” (“e”, “il suo”, “in un”, “che”) , accoppiando però due di essi in eleganti distici di quinari in rima. Così crea un clima sospeso, seduttivo, ammaliante.

La lirica ha andamento subentrante, avvolgente e sfuggente a un tempo, e al secondo e al sesto verso si concede un’aura retrò con un arcaismo (“beava”) e due apocopi (“rimirar” e “immaginar”) che conferiscono alla composizione una stilizzata leggerezza. La breve composizione ha struttura metrica particolarmente raffinata. Sono undici versi a disposizione parasimmetrica (12, 9, 5, 5, 4, 4, 9, 5, 12, 5, 5, 8) in metro barbaro ad andamento anapestico. E’ proprio la metrica barbara a dare musica alla composizione che comunque prevede una figura cara al poeta, il verso anaforico, qui presente in due coppie di quinari in rima baciata ( vv.3/4 e 9/10). A dare cadenza, respiro e compiutezza concorre la triplice rima ai vv. 1, 8 e 11. Tutta la lirica è sostenuta da un ritmo assorto e palpitante e fa sue con naturalezza le tre incursioni “retrò” (altro vezzo, questo, tipico di Marcuccio), due infiniti elisi (rimirar, immaginar) e un arcaismo (beava). In conclusione: la rifinitura formale e la sicura musicalità rendono questa lirica assai pregevole. Un piccolo capolavoro.

Nota dell’autore: “Ispiratami guardando di sfuggita il viso di una ragazza che, dolcemente giocava con i suoi capelli, facendone anelli con le dita, alla fermata dell’autobus ed io ero sul bus.”

EMANUELE MARCUCCIO è nato a Palermo nel 1974. Ha iniziato la sua attività letteraria durante gli studi classici liceali. È del 2000 la sua prima pubblicazione, 22 liriche nel volume antologico Spiragli 47 (Editrice Nuovi Autori, Milano).  È del 2009 la sua prima pubblicazione esclusiva, Per una strada, composta da 109 titoli e pubblicata da SBC Edizioni. I 109 titoli di Per una strada spaziano in un ambito vasto, toccano varie corde e percorrono diversi generi, dall’intimistico, al celebrativo, alla poesia civile, indugiando con risultati particolarmente felici sulla poesia amorosa. Ne deriva comunque un’eterogeneità sia formale che contenutistica, tipica delle opere prime “retrospettive”, una varietà di toni e di stili che rende alquanto disuguale il livello poetico della raccolta. La poesia qui analizzata è tratta da questa silloge poetica.

POESIA E RECENSIONE PUBBLICATE PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE. E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE  SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

Per una strada di Emanuele Marcuccio

Per una strada di Emanuele Marcuccio

SBC Edizioni, Ravenna, 2009.

Recensione a cura di Alessandro d’Angelo

La vera Poesia nasce da un’alchimia interiore, da trasmutazioni che, se estrinsecate in maniera veramente sentita, “… divengono sublimi creazioni o invenzioni nell’Essere della Creazione”, come scriveva il filosofo Immanuel Kant, uno fra i più importanti esponenti dell’illuminismo tedesco, e anticipatore degli elementi fondanti della filosofia idealistica.

Kant scriveva: «Il poeta osa rendere sensibili idee razionali di esseri invisibili, il regno dei beati, il regno infernale, l’eternità, la creazione, e simili; o anche trasporta ciò di cui trova i modelli nell’esperienza, come per esempio la morte, l’invidia e tutti i vizi, l’amore, la gloria, al di là dei limiti dell’esperienza, con un’immaginazione che gareggia con la ragione nel conseguimento di un massimo, rappresentando tutto ciò ai sensi con una perfezione di cui la natura non dà nessun esempio; ed è propriamente nella poesia che la facoltà delle idee estetiche può mostrarsi in tutto il suo potere».

Ho voluto riportare queste riflessioni kantiane poiché sin dai primi versi della poesia di Emanuele Marcuccio emerge, come un sole all’alba, la sua profondità di pensiero, nascosta dietro un brillante poetare. L’essenza del suo messaggio si nasconde fra i meandri delle veloci comparizioni di pensieri espressi e taciuti, ora rimasti nascosti, ora rivelati attraverso l’espressione di sentimenti esplosivi come la luce creata dalle stelle in una limpida notte d’estate.

Nella presentazione del testo, Emanuele Marcuccio riporta fra l’altro: «La poesia è la forma verbale più profonda che possa esistere, per esprimere i più reconditi sentimenti umani». Il suo dire è sentito in modo particolarmente profondo poiché il poeta è un grande appassionato dell’arte musicale dove si diletta con soddisfazione esprimendo il meglio di sé. Infatti, così riporta sempre nella sua introduzione al libro: «Se, invece, vogliamo parlare di espressione umana in senso generale, la musica per me supera tutte le arti […]». Una lirica dedicata all’arte musicale ha il titolo: “Alla musica classica (13/1/1991)”: “ Dolce, carezzevole armonia//dell’alte sfere, //eletta ad ammansir l’ira, //a ricrear l’animo;//com’io ti rinovello, //dolce armoniosa, //ritrovo in me la pace, //e quel tremulo suono, //dolce mi viene all’anima, //cantando. //Così, tra il vivere e il morire, //flebile vien dal cielo//un’armonia antica, //pacata e rallegrata//da quella dolce pace e armonia//cadenzatamente velata//”.

Da alcune poesie emerge come il compito del poeta, non è soltanto quello di scuotere o risvegliare gli animi altrui per portare alla luce una certa “Realtà”, per lo più nuova, ma è anche quello di trasmettere messaggi utili per far conoscere in modo chiaro alcune verità che rimarrebbero ottenebrate e piene di ombre e di ambiguità.

Anche il tema del tempo ricorre spesso nelle piacevoli rime; ricordo la poesia: “Soave armonia (23/7/1999)” che così recita: “Soave armonia//che spazi e che t’innalzi, //senza spazio, //senza tempo: //tu che il mondo abbracci, //oltre le colline dell’ineffabile, //oltre gli eccelsi allori, //ai cori angelici, //a eteree armonie. //”. Dalla lettura di questa poesia si percepisce come il tempo, pur passando, rimanga fermo lì, a voler dimostrare che l’eterna vibrazione micro-macrocosmica del Basso rapportata all’Alto, rimane inalterata in modo aspaziale ed atemporale.

Poiché ogni modo di esporre poesia ha un suo ritmo e una sua musicalità ed ogni espressione, anche nel discorso non versificato, può essere pregno di una concreta forma di vita spirituale, si può affermare con certezza che anche le liriche del giovane Emanuele Macuccio sono pregne di serenità ed armonia, ma andrebbe ricordato che in molte trasuda l’amore: quell’amore che ci ricorda Giacomo Leopardi nella poesia “Il Primo Amore”: “Tornami a mente il dì che la battaglia// D’amor sentii la prima volta, e dissi: //Oimè, se quest’è amor, com’ei travaglia!//”.

Il tema dell’amore è più volte ripreso dallo scrittore il quale permea i suoi scritti con questa importante vibrazione. Infatti inizia a scrivere sull’amore nella dedica al libro “Per una strada”: “Ai miei genitori, che sempre mi hanno sostenuto con il loro aiuto e il loro amore”. Inoltre, nella poesia “Amor (8-9/7/1994)” Emanuele Marcuccio usa un modo di scrivere insolito usando una metodologia analoga a quella usata dal Sommo Dante: “Imitar Dante non si puote, //ineffabil arte ‘l nostro pensier sarìa//sì come telo a incerto segno, vote.//Grande ‘l rimirar lo core e ‘l potrìa//com’al mio disiar serbato attendo, //al subitano error, al soave, disparìa. //. È per questo motivo che terminerei la disamina della poesia di Emanuele Marcuccio riportando l’ultima quartina del canto XXXIII del Paradiso, dalla Divina Commedia: “A l’alta fantasia qui mancò possa; //ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, // sì come rota ch’igualmente è mossa, //l’amor che move il sole e l’altre stelle. //”.

Alessandro D’Angelo


EMANUELE MARCUCCIO
è nato nel 1974 a Palermo. Ha conseguito la maturità classica nel 1994 e scrive poesie dal 1990. Alcune di esse sono state pubblicate nell’antologia di poesie e racconti brevi Spiragli ’47 (Editrice Nuovi Autori, Milano, 2000). Alcune delle poesie sono state tradotte in lingua inglese su consiglio di una poetessa esordiente britannica. Del 2009 è l’ampia silloge che raccoglie tutte le liriche scritte dal 1990 al 2006 dal titolo Per una strada. Sta inoltre lavorando da anni ad un poema drammatico che ha come tema la colonizzazione dell’Islanda.

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