Intervista a Vincenzo Calò, autore di “C’è da giurare che siamo veri”, a cura di Lorenzo Spurio

Intervista a Vincenzo Calò

Autore di C’e’ da giurare che siamo veri

Albatros Editore, 2011

 a cura di Lorenzo Spurio

LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua opera?

VC: Trattasi di un’assicurazione sulla Vita, dall’aspetto appetitoso se fossimo un po’ tutti dediti alle letture corpose dei nostri segni particolari…Mi preoccuperei piuttosto delle mie iniziali che se unite ti possono indurre ad immaginare qualcos’altro…!

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

VC: Scrivo per un misto di presunzioni tra il comico, il drammatico e il malinconico, col gusto di peccare autenticamente perché l’attimo fuggente è insito al riconoscersi per colture idealistiche che il Presente non fa quasi mai più tornare indietro. Mentre un accendi & spegni di rassegnazioni interpretative che (spero) non mi riguardino disegnano le sensazioni del Prossimo, io mi diverto a trovare straordinario come possa essere riduttiva una minaccia di Morte caratterizzabile passando di stagione in stagione a decorare con cenni biografici eventi che non conducano l’umanità all’Imprevisto…!

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

VC: Mi hanno sempre fatto tenerezza quegli artisti che si muovono silenti per centrare il vuoto di ogni incomprensione, fregandosene di passare in giudicato. Ermetismo e Maledizione vanno intesi per più forme di applicazione, di cui si necessita la Passione per ogni genere di curiosità, a costo di calpestare i best-seller e rimanere soli a riflettere luce naturale…

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

VC: Non c’è, perché in fondo tento disperatamente di riprodurlo pensiero dopo pensiero che, una volta sentiti sulla pelle o sul foglio, danno adito a quell’egocentrismo da smussare giocoforza per il bene dei sentimenti, delle sue future opere…!

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

VC: Li devo ancora cercare, ma non v’è tempo in tal caso di agire, indaffarati più loro che io a rivedere se vale o no la pena di puntare sul look perché lo esigono i “superiori”…!

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

VC: Gioco esclusivamente con la mia Indipendenza, solo così mi piace far parte di una relazione sociale, e sfidare così eleganza e classe nel raccontare come ci si debba aprire ad una differenza di vedute…

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

VC: Invito coloro che non provano fatica a esporsi al contatto di una vittoria come di una sconfitta modale a…continuare a leggersi senza troppa cura!

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato/a con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

VC: Siamo, senza accorgerci, in fase di rinnovamento…l’autore sta prendendo ad entusiasmarsi dal punto di vista manageriale, Albatros e non solo dovrebbero suppergiù gratuitamente constatarlo, solo così avranno il loro degno ritorno d’immagine…Personalmente ritengo d’aver pagato una prostituta, sai com’è…la prima volta! Capita…s’impara nient’altro che a voler diventare più forti…! Ecco, solo su quest’ultima mia affermazione accetto eccome il punto interrogativo dell’estraneo di turno…

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

VC: Basta non essere gelosi dei trionfi dei colleghi…generalmente rappresentano un incentivo a non farsi da parte fuggendo per la propria libertà espressiva, come se ci volesse solo una raccomandazione a tacere in un modo sempre più nuovo sul cambio generazionale in tale settore…!

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

VC: Lo deduci da come ti ho risposto fino ad ora, tranquillamente, proporzionale al desiderio di smettere o meno di guardare diritti e doveri in fase di rimorchio, banalmente…

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

VC: Il totale di una meraviglia detiene i suoi perché da subito, il problema scatta quando, certi infinitamente di questo preambolo, scorgi il terrore, nel componimento affettivo e conseguentemente di carriera, dato e riavuto, di scoprirsi realmente e sostenere che la penna va per esaltare la capacità di mortificare senza troppe introduzioni corsi e ricorsi storici su forme di perbenismo che devono arrecare assolutamente fantasia, spettacolo, l’essere esaustivi nel sottolineare tale imperativo, affinché la complessità del lettore sia configurabile anche scioccamente, con la disinvoltura tipica dell’inventore di saggezza che ha di che offrire per soffrire le sue gioie nel rispetto della normalità…

LS: Hai in cantiere nuovi lavori e progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?

VC: Ah Lorenzo, mal che vada scriverò per me stesso, su “capolavori” che non ci avranno reso unici. Sorriderò facendo la fame dell’editore che sa di essere bravo ma non belloper la distribuzione della materia prima: la voce nel suo incanto…Grazie.

Lorenzo Spurio

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“Introduzione al mondo – Notizie minime sopra gli spacciatori di felicità” di Idolo Hoxhvogli, recensione di Lorenzo Spurio

Introduzione al mondo – notizie minime sopra gli spacciatori di felicità

Di Idolo Hoxhvogli

Scepsi & Mattana Editori, Cagliari, 2012

ISBN: 978-88-902371-8-8

Costo: 15,00 Euro

Pagg. 107

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Il testo di Idolo Hoxhvogli si apre con una dedica criptica e quasi paradossale: le radici stanno nel passato? Non è vero, o forse lo è in parte. Possono stare nel futuro, ci dice l’autore. Il tempo futuro, da sempre connotato come sinonimo d’incertezza, possibilità, dubbio e collegato alle premonizioni, ai sogni, ai desideri, non è, dunque, per Hoxhvogli un tempo meno impreciso e indefinito degli altri, il passato e il presente.  Tutto il libro in questione deve essere letto e analizzato con la stessa apertura mentale e una buona dose di interpretazione perché l’autore ha deciso di metterci molto di esistenzialistico e, se vogliamo, di problematico. Hoxhvogli non è uno di quegli autori a cui piace descrivere, narrare nei dettagli. Le cose le dice in maniera asciutta e diretta perché possano avere un significato diretto nel lettore.

Difficilissima è anche la catalogazione del libro in un particolare genere: non è un romanzo, né una raccolta di poesie, è, piuttosto, una serie di poemetti filosofici, appunti buttati giù come se si trattasse di un diario che partono da idee e considerazioni diverse. L’autore utilizza, inoltre, più volte nel corso del suo libro degli schemi con segni matematici per esprimere, forse, il suo messaggio già di per se stesso condensato ed enigmatico.

L’opera si divide in tre parti, una prima ampia porzione che va sotto la definizione di “La città dell’allegria” che comprende una serie di testi più o meno lunghi, una seconda parte intitolata “Civiltà della conversazione” e un’ultima parte dal titolo “Fiaba per adulti” (è evidente in questo stesso titolo un intento ossimorico-parodico).

Qual è il significato del titolo? Può esistere una sorta di introduzione al mondo? Una sorta di preambolo, a mo’ di avvertenza che serva all’uomo per introdursi al mondo nella maniera più semplice, educata e regolare? Un film o un libro possono avere un’introduzione che si riferisce ai rispettivi contenuti ma il mondo, può avere un’introduzione? Secondo Hoxhvogli sì. E’ un introduzione di carattere epistemologico-esistenzialista che ha anche evidenti messaggi dalla pungente critica sociale (il sindaco assediato nel palazzo comunale e difeso da uno stuolo di porci quasi ad intendere che lui è il capo di quel branco e dunque il più porco di tutti).

Il libro si apre con un pessimistico quadretto nautico in cui il tema di fondo è, forse, l’imbarbarimento della condizione di uomo: “Non vi è cultura contro barbarie, si vivono accanto e l’una nell’altra” (pag. 11). Solo a pagina 32 il lettore è in grado di sviscerare il significato del titolo che Hoxhvogli, con un procedimento comico, spiega come il toccasana per sanare le preoccupazioni e la malattia di un certo Leo.

Un percorso suggestivo tra mari, città e sogni inespressi della mente dove centrale è la figura dello straniero visto come ‘diverso’, quello che in “Popoli e altri animali” Hoxhvogli esemplifica in “noi e l’altro”. “Chi è il noi, nessuno lo sa. Forse l’altro lo sa, perché inventa il noi e inventa se stesso come il noi inventa l’altro e sé […] [L’altro] lotta e getta la propria vita e quella del noi per avere ciò che ha il noi” (pagg. 20-21). Un discorso affascinante, concentrico, a spirale, che lascia il lettore un po’ perplesso, quasi senza fiato. La conclusione di questo sdoppiamento noi-l’altro è qualcosa di difficile da spiegare e che crea, per forza di cose, rottura, divisione e incomprensione. L’autore conclude infatti: “Ognuno crede di avere ragione. E’ colpa di Dio, ha cambiato a tutti la lingua dando una lingua a testa, e ogni testa fraintende l’altra” (pag. 21). Hoxhvogli mette in scena la differenza di religione, etnia, lingua, paese e il “sentirsi diverso” o “far sentire diverso qualcuno”, l’indifferenza, l’intolleranza, il fanatismo, la divisione, la prepotenza, la disgregazione, la pericolosità che porta il revisionismo storico o il giustificazionismo per motivazioni storico-politiche, la xenofobia, la discriminazione.

Nel complesso ne fuoriesce un’analisi amara, in certi punti allarmistica di quelli che possono essere i rapporti interculturali, tra diversi paesi, tra autoctoni e forestieri che, pur non invocando un messaggio oltranzista e violento, prende una posizione alquanto definita e marcata. Si concretizza, sfogliando le pagine, l’idea che l’autore sia stato direttamente influenzato dalle sue vicende personali trasposte, forse, in maniera diversa o riadattate. Il messaggio che ne fuoriesce è chiaro e socialmente deludente; riducendo i rapporti umani a una serie ristretta e negativa di comportamenti ho avuto l’impressione che l’autore abbia tagliato di netto, invece, le componenti felici o, comunque, meno negative. Nel complesso, Hoxhvogli ci fornisce spunti interessanti e considerazioni in parte suscettibili di discussione (in parte, ovviamente, come quando scrive “La prostituzione è il fondamento del matrimonio […] la prostituzione è messianica […] la prostituzione salva la vita, e in essa i matrimoni”, pag. 72) o interpretabili facendo riferimento ad esempio anche utilizzando la cronaca quotidiana. E’ un buon punto di partenza per discutere su questioni diverse e tanto importanti. Ci consegna anche divagazioni paradossali, piccoli aneddoti divertenti e altri amari e grotteschi, conversazioni singolari, annunci inconsistenti e quesiti esistenziali calati nell’oggi ultramoderno, vanitoso e egoistico. E addirittura alcuni componimenti viscerali che rasentano il macabro e l’orrido come l’anomala descrizione di una condanna a morte nella quale lo scrittore sembra beffardamente provar gusto nelle descrizioni sadiche che trasmette al lettore. L’impressione è quella che Hoxhvogli a suo modo abbia voluto utilizzare un linguaggio tagliente e crudo per smitizzare la realtà quotidiana pur non celando un certo pessimismo che pervade l’intera raccolta: “L’abituale adesione al mondo è questa sosta lontano dal bene, per accertare minuscoli tumori” (pag. 91).

“Leggere è perfezionare lo sguardo sul mondo e del mondo” sostiene Hoxhvogli in “Rileggere” concludendo “Prima di leggere un libro, rileggetelo. Rilettolo, se non dice granchè, non perdete tempo nel leggerlo” (pag. 50).

Idolo Hoxhvogli è nato a Tirana nel 1984. Si è formato negli studi filosofici all’Università Cattolica di Milano. Suoi scritti sono presenti in numerose riviste italiane e straniere, tra cui “Gradiva International Journal of Italian Poetry” (State University of New York at Stony Brook) e “Cuadernos de Filología Italiana” (Universidad Complutense de Madrid). Ricordiamo, in particolare, Il porto somma la terra al mare, “Viola” (Svizzera), n° 8 (2010) e Post Mortem Bettino Craxi “Silarus” n° 271 (2010). Da quando è nato percorre strade a senso unico.

Lorenzo Spurio

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