“Dickinson: tra parole e musica” è questo il titolo dato al secondo progetto teatrale ideato da Giuseppe Giulio, che nuovamente unisce letteratura, teatro e musica. Emily Dickinson è la protagonista indiscussa di questo inedito spettacolo artistico, una poetessa statunitense considerata tra i maggiori lirici del XIX secolo. La poetessa scopre la propria vocazione poetica durante il periodo di revival religioso che, nei decenni tra il 1840 e il 1850 si diffuse rapidamente nella regione occidentale del Massachusettes. Emily visse la maggior parte della propria vita nella casa, dove era nata, lei amava la natura, ma era costantemente ossessionata dalla morte, vestiva solo di bianco in segno di purezza, si innamorò di un pastore protestante, ma il suo amore rimase solo platonico, molte delle sue opere sono dedicate a questo amore, tra queste tre diverse lettere dal titolo “Master”che molti critici e appassionati della poetessa ritengano siano indirizzate a questo amore non corrisposto. Le lettere tradotte da Margherita Guidacci e interpretate dalle Lavinia Lalle e Sarah Mataloni accompagnate dalle musiche composte per l’occasione dal maestro Francesco Paniccia. Quando Emily Dickinson all’età di trentadue anni, decise dopo un breve viaggio nella capitale statunitense Washington DC, di estraniarsi dal mondo e si rinchiuse nella propria camera al piano superiore della casa natale, anche a causa del sopravvenire di disturbi nervosi e di una fastidiosa malattia agli occhi, non uscendo da li neanche il giorno della morte dei suoi genitori. Credeva che con la fantasia si riuscisse a ottenere tutto e interpretava la solitudine e il rapporto con se stessa come veicoli per la felicità. Al momento della sua morte la sorella scopre nella camera di Emily, ben 1775 poesie scritte su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo contenuti tutti in un raccoglitore che faranno da sfondo alla parte contemporanea dello spettacolo, che include le poesie cantate da Marianna Sollecchia accompagnata dalla musica composta dal maestro Francesco Paniccia e dalle immagini fotografiche di Elisa De Santis. Il tutto sarà accompagnato e incorniciato dall’approccio accademico storico-letterario e sociale del narratore svolto da Silvio Raffo, traduttore anche delle poesie scelte per lo spettacolo e dall’ingegno artistico del regista Cristiano Maria. L’ultimo atto terminerà con la poesia dal titolo “Hope is the Thing”resa celebre nel mondo grazie al linguaggio semplice e brillante, che hanno reso la poetessa una delle più studiate e lette dai giovani di tutto il mondo. Un esperienza unica ed inedita per gli appassionati e non di letteratura comparata, per chi ama la poesia di Emily Dickinson e la magia che traspare dai sui versi. Uno spettacolo teatrale che sbalordirà ed emozionerà fino alle ultime gocce di parole e musica.
Ideato da: Giuseppe Giulio
Regia: Cristiano Maria
Narratore: Silvio Raffo
Interpreti: Lavinia Lalle, Sarah Mataloni e Marianna Sollecchia
Frammenti di poesia, “specchi fedeli” di sentimenti vissuti, in cui il lettore può ritrovare se stesso: il canto di Fiorella Carcereri ha tono autobiografico, eppure è universale.
Senza rete di protezione l’autrice procede funambolicamente dibattendosi tra illusioni e disincanti, vittorie e sconfitte, tra emozioni violente, improvvise, e stati d’animo più pacati, sintomo di un’avvenuta riconciliazione col mondo e, ancor prima, con se stessa.
La raccolta, articolata in due parti, appare alla stregua di un percorso, un cammino di crescita personale, che l’autrice compie attraverso l’ars poetica, sublimando il dolore, l’intimo grido della sofferenza provata.
L’amore nelle più varie sfaccettature aleggia sull’intera silloge. In maniera ordinata, come accingendosi a compilare un inventario delle sensazioni esperite personalmente, l’autrice passa in rassegna nella prima sezione, Tu ed io, le fasi salienti di una finita storia amorosa: l’abbandono, i ritorni continui, simili a “maree”, le illusioni, i tentativi di riavvicinamento, l’indifferenza.
Il discorso della Carcereri non è però nichilista e nella seconda parte, dal titolo Io e il resto, si pone in relazione con la realtà circostante, facendo entrare nuovi attanti nell’intessuto della scrittura, protagonisti, non secondari, della vita dell’autrice. Un dialogo fitto, a tu per tu, con i destinatari: la madre, un’amica, uno sconosciuto incontrato per caso. Non solo, ma è la società tutta a essere chiamata a testimone di stati d’animo personali e riflessioni di più ampio respiro sui tempi in corso, spesso espresse sotto forma di monito. E’ alta e sentita l’urgenza di richiamare l’attenzione su tematiche globali, come l’inquinamento, le guerre, le ingiustizie sociali, considerate sintomo di regressione e stupidità dell’uomo.
In tal modo, in Senza rete succede che il canto iniziale di dolore di una donna si può sciogliere nella dolcezza di un ricordo o coniugarsi in protesta civile e infine tentare di abbracciare l’universo.
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Bisbigli nella nottedi Giovannangelo SalveminiWIP Edizioni, Bari, 2013ISBN: 978-88-8459-244-6Pagine: 78Costo: 10 €Recensione di Lorenzo Spurio
L’amore è un nomeche non si chiamae vive nel silenzio.(in “I grandi dell’amore”, p. 33)
Bisbigli nella notte è l’opera prima di Giovannangelo Salvemini, giovane pugliese che con questo testo ha voluto raccogliere poesie e aforismi completamente inediti scritti negli ultimi anni. Il lettore si approssima alla lettura di questo libro manifestando grande curiosità e voglia di capire cosa si celi dietro a quei “bisbigli” e se questa sia una espressione volutamente caricata a livello metaforico e che sta, dunque, a delineare dell’altro. Ma nelle primissime pagine è l’autore stesso, in una nota di introduzione a svelarci il mistero: questi “bisbigli” sono conversazioni segrete, strozzate e quasi mute con cui il poeta s’intrattiene nella notte, conversando con i suoi sé, le varie sfaccettature delle molteplici componenti inconsce della sua persona. Sono parole mormorate, strascicate e, pertanto, labili e ventose, dei monologhi sibilati, quasi sospirati, che avvengono solo al calar della notte e che gli permettono di “ascolt[are] il silenzio” (p. 44). Si ricordi quanto il tema della notte sia importante nei poeti considerati “classici” della nostra tradizione letteraria quale momento di pausa, meditazione e allo stesso tempo di analisi dell’esistenza. Ed è di notte che Salvemini riflette, medita e concretizza le sue divagazioni, sogna ad occhi aperti e considera la vita da prospettive che di giorno non gli sarebbero possibili. Di notte la gente dorme e forse sogna di uccidere draghi o di vincere al superenalotto, mentre Salvemini vive, assorbe e respira versi ricchi di creatività e di voglia di esser espressi. I bisbigli che il poeta descrive in questo libro, però, finiscono per aver la forza di testi urlati, il vigore di versi totalizzanti che proprio per la loro energia vanno taciuti e smorzati di notte per conservare il quieto vivere: “Bisbigliando di notte, mi accorgo che le stesse parole non posso urlarle nel silenzio della città. Non mi è permesso per rispetto delle regole imposte dalla società per il vivere civile” (p. 22). La società, dunque, che è comunemente l’incunabolo delle manifestazioni di cultura e progresso, è vista come limitante e quelle “regole imposte” sono dei duri limiti da rispettare, ma ai quali è obbligatorio e necessario assoggettarsi. In questa interpretazione di notte-giorno, libertà-oppressione e creazione-sterilità credo debba esser letta questa silloge di poesie.
La lirica d’apertura, “Piove” non può che echeggiare la celeberrima “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio soprattutto in quel verso che dice “e par ch’io pianga” (un simile verso era stato utilizzato dal poeta abruzzese per riferirsi all’amata Ermione), se non fosse che qui lo scenario è diverso: non ci troviamo in una pineta, ma in vari ambienti: il bosco, il lago, il mare, quasi che il poeta intendesse dare una sguardo aereo su diversi ecosistemi investiti dalla pioggia. Il cameo dannunziano ritorna nella successiva “Taci” dove la reiterata intimazione del tacere alla donna, ricorda ancora una volta il poeta nel suo riferirsi ad Ermione, affinché nella pineta si respirino solo i rumori della natura.
In “Vorrei sognare” la struttura poetica è ripetuta in sette diverse strofe che hanno come contenuto quello del sogno visto come trampolino di lancio verso il futuro, la vita e l’amore; la lirica si manifesta come un giovanile manifesto sull’utopia. Tutto quello che non si può avere, sembra dire il poeta, può essere sognato, e allora non ci intristiamo e pensiamo a quello che ci piace.
L’immagine ricorrente di queste liriche è quella della natura con i suoi vari scenari (spesso incontriamo il mare con i suoi gabbiani) alla quale addirittura il poeta s’inginocchia chiedendo scusa “per aver[la] messa in movimento” (p. 36), quasi fosse il poeta che con la forza dei suoi versi azioni la grande macchina razionale dettata dal principio di causa-effetto.
Salvemini affonda il bisturi nell’intricata natura psicologica dell’uomo e nell’incapacità di separare la normalità dall’anormalità, espressioni di atteggiamenti che solo mediante un sistema di pensiero e delle costrizioni sociali (create esse stesse dall’uomo) è in grado di definirsi. Ma l’uomo sbaglia nei suoi intenti di definizione, nella sua volontà di catalogare o di discriminare: “Mi chiamano falso/ e dopo vero,/ minacciano d’ammazzarmi/ e dopo salvato./ Che follia/ che è l’uomo” (p. 40). C’è del comico misto a uno sdegno pacato in “Folli siam tutti”, dove si respirano gli echi di un Palazzeschi irreverente, in cui il poeta accusa la normalità di essere anormale e solleva quella che comunemente è considerata stravaganza e follia al podio della normalità:
Normale,tu?Eccoloil primo folle.Tu, pazzo scrittore,io un normale lettore.Voi non riflettere, così io scrivo e voi leggete.
Il poeta ci regala anche un omaggio alla città di Firenze con una poesia dal titolo “San Miniato al Monte” che sembra essere un’istantanea: il poeta non è affascinato dalle comuni attrazioni del capoluogo fiorentino, ma medita tra tombe rovinate e il canto dei monaci sul “monte” che sovrasta Firenze.
In “Chiedo scusa alla morte”, dopo una curiosa elencazione di destinatari del suo messaggio, a tratti sofferente a tratti difficile da sviscerare, il poeta chiede scusa “a chi [lo] definisce/poeta” (p. 36).
Accettiamo queste scuse, ma le rigettiamo.
Salvemini non deve discolparsi di nulla, perché lui è davvero un poeta.
Giovannangelo Salvemini (Molfetta, 1990) è laureando magistrale in Giurisprudenza nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. E’ appassionato di fotografia, ma soprattutto di scrittura. Bisbigli nella notte è la sua prima raccolta poetica ed è il frutto delle passioni e dei pensieri raccolti negli ultimi anni e trasformati in versi.
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In queste notti di attesa mi sdraio accanto a te nei giardini dei sogni, come un aquilone la mia presenza sarà leggera.(da “Come un aquilone”)
E’ un libro ricco di profumi e fragranze questo di Massimo Grilli, giovane poeta che, proprio come me, è marchigiano. Già a partire dal titolo e dalla copertina respiriamo un odore soave e dolciastro che ci accompagnerà per tutto il corso della lettura della silloge. Massimo Grilli è una di quelle persone –rare nella nostra contemporaneità- a cui piace ritirarsi in uno spazio tutto suo per osservare a distanza il mondo, viverlo sulla sua pelle e rendere immortali con i suoi versi quello che invece nella vita, purtroppo, è immancabilmente sottoposto allo scorrere del tempo. E’ una poesia d’istinto, pura, priva di grande elucubrazioni di carattere epistemologico od ontologico che va invece a fotografare la realtà multicolore, eterogenea e camaleontica del vivere metamorfico dell’uomo. I fiori – e quindi le orchidee del titolo del libro- sono la rappresentazione più alta e incontaminata di questo mondo vivido e pulsante, variegato ed esteticamente allettante quasi che la poetica di Massimo Grilli possa essere inserita in una corrente di tipo modernista-floreale, se questa è mai realmente esistita. Non ha senso, infatti, oltre che sarebbe un errore inestimabile, ingabbiare un poeta d’oggi all’interno di una etichetta delimitativa e troppo limitante. La storia della letteratura è già stracolma di “catalogazioni” di siffatta forma che non hanno molto interesse se non l’unica utilità di una più semplice analisi e un più sistematico studio della materia a un pubblico neofita del settore.
“Prima con il cuore, lasciando libera un’emozione, poi con la penna, così nasce una poesia” è il pensiero che apre la silloge di Massimo Grilli e questo enunciato privo di una struttura in versi è da intendere come il manifesto della poetica di Grilli: la poesia è espressione di autenticità e di spontaneità; è solo “lasciando libera un’emozione” che questa può dar luogo a una celebrazione lirica della vita, sulla carta. In “Parola si fa luce” Massimo Grilli sottolinea la necessità che abbiamo di poesia e allo stesso tempo di poeti-vati che portino la propria parola perché “abbiamo bisogno della magia/ della parola che si fa luce/ tra le pieghe del mare sospese nel cielo”.
La semplicità tematica è una caratteristica che non si coniuga con la poetica di Massimo Grilli e così la Notte di San Lorenzo tipicamente assunta dai giovani amanti o dagli studiosi di astrologia come serata speciale, finisce per essere un’inaspettata nottata “senza stelle cadenti”, perché in fondo la vita è così: è l’irrealizzabile che si realizza o l’abituale che cessa di esser tale per diventare straordinario. E la stessa notte di San Lorenzo nella lirica di Grilli, lungi dall’essere sinonimo di meraviglia, è emblema di stanchezza e apatia che porta il poeta a preferire di guardarsi dentro di sé piuttosto che fuori da sé.
Massimo Grilli fa della Natura il punto di partenza di molte delle sue liriche che condividono un’evidente fascinazione per le bellezze naturalistiche (i fiori, l’acqua) e spesso l’elogio alla natura è fatto in maniera simbolica o in riferimento alla donna, come avviene in “Passione” dove il lettore ha quasi l’impressione che il poeta stia vagheggiando un rapporto con la sua donna, ma anche con l’intera Natura del quale è parte. “Nei tuoi occhi la notte” il poeta ci consegna, invece, una lirica profondamente caratterizzata da un punto di vista cromatico e tattile ma è allo stesso tempo un canto d’amore dal sapore agrodolce al quale il poeta si abbandona dopo un evento destabilizzante tra lui e la sua amata tanto che conclude accomiatandosi apparentemente senza nostalgia, rilanciando ancora una volta il suostatus di uomo umile e sensibile: “So solo scrivere poesie,/ ma ci metto il cuore, forse troppo poco per te”. Circondato dalla natura, da quella “campagna marchigiana” tanto amata dall’autore, il poeta si scopre un viandante per percorsi ancora da tracciare, un essere in balia degli eventi che aspetta solo di trovare un vero senso nel suo vivere: “Sfioro fili d’erba,/ siedo sulle pietre,/ disegno arcobaleni/ aspettando un’emozione/ che cambi la vita”.
Il tempo fa capolino in numerose liriche qui contenute come in “Comincio senza tempo” dove il martellante cadere della pioggia (che mi ricorda lo scenario di “A Cesena” di Marino Moretti) segna il ritmo della poesia e con esso il veloce incedere del tempo. Le foglie che il poeta calpesta, però, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, sono in grado di evocare “emozioni piene di colori”, di riportare dunque il poeta a momenti migliori, a primavere vissute e mai dimenticate. E’ forse questo il motivo dell’andatura affannosa e affrettata del poeta che sembra non avere una meta in particolare tanto che alla fine –illuminato da un qualcosa che non ci è dato sapere- se ne rende conto e si appoggia a un lampione, alla ricerca di un rapporto stretto con il mondo materiale dal quale fino a quel momento aveva cercato di fuggire.
In “Il mare non aspetta” Massimo Grilli ci consegna una poesia dedicata e ispirata alla stagione primaverile con curiose gemme di ciliegio che frementi stanno nascendo e faranno i ciliegi degli alberi vanitosi, per la bellezza dei fiori rosa, così vanitosi “come le donne al teatro”. Ma la primavera è anche l’invito a inaugurare una nuova stagione delle propria vita alla quale il poeta è tecnicamente pronto e preparato, se non fosse che attende l’arrivo della sua amata. La poesia di Grilli trasuda di un grande lirismo e di un amore incontaminato per la donna, è una poesia romantica –mai erotica- suadente, ricca di sentimenti nella quale si ravvisa quasi sempre il ricordo di qualcosa che poi non è accaduto, una attesa, una speranza per il futuro, una esortazione: “Sarà dolce la vita,/ anche quando il sole si spegne e si fa dura,/ ma due anime unite sanno combattere”.
Il ricordo fa capolino in varie liriche, a volte è doloroso, e poco positivo o intermittente e con squarci più cupi come avviene nella lirica dedicata al Natale, momento comunemente vissuto come felice, in riunione tra familiari che il poeta, invece, vive internamente in maniera desolante: “Torna nei giorni di Natale/ quel senso di nostalgia/ per tanti momenti sognati/ mai vissuti, ma ascoltati/ nei racconti degli amici e fatti miei,/ forse è per questo/ che a Natale non sorrido/ ma lascio che il cuore/ cerchi un’emozione/ riempia pagine bianche”. In “19 marzo” il poeta lascia andare sulla carta emozioni e il ricordo infelice della sua infanzia dovuto a un abbandono e contestualmente alla mancanza d’affetto e cure. Il poeta non sembra essersi riconciliato con quell’uomo che gli ha fatto tanto male e che non ha conosciuto e non può che concludere: “E’ troppo chiamarti padre/ forse io/ sono troppo figlio per esserlo”.
Questo libro è piacevole e profumatissimo. Per il lettore sarà come passeggiare per un giardino botanico tra varietà di fiori più o meno comuni: girasoli, viole, rose, orchidee e tante altre specie. L’insieme delle fragranze –dolci, aromatizzate, penetranti, soavi- è l’essenza stessa di questa silloge.
Lorenzo Spurio
(scrittore e critico)
Pamplona, 10 Settembre 2012
BOOK TRAILER DEL LIBRO
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La mia arpa è l’espressione della mia anima, dove mi metto a nudo con le mie problematiche, i miei amori intramontabili come quello per la natura e le emozioni che mi danno le sue stagioni così diverse eppur così complementari…
L’amore per la vita in genere emerge nelle note dolci delle mie poesie, velate sempre dal mio romanticismo.
Le corde mute della mia anima se le ascolti in un giorno di settembre dall’aria frizzantina come questo sapranno suonarti una melodia bellissima: ma solo se vuoi, solo se le rispetti e le ami profondamente, altrimenti come dico nei miei versi “giaceranno nel loro dolore”.
Liliana Manetti è nata a Roma il 17/06/1980, è neolaureata in filosofia. Ha pubblicato una raccolta di poesie intitolata “L’ultima romantica”,poesie scritte nell’arco di 16 anni, e ha partecipato con le sue liriche a numerose antologie poetiche edite da Aletti editore e da casa editrice Pagine. Attualmente ha terminato di scrivere, insieme alla mia inseparabile amica Selina Giomarelli, un libro fantasy, un’avventura tutta da scoprire, un libro tra sogno,realtà, e fantasia. Ha sempre amato la letteratura e la filosofia classica, ma è rimasta affascinata comunque dalla filosofia medievale, illuminista e romantica: i periodi di rottura e le rivoluzioni, i cambiamenti nei diversi ambiti.
E’ rimasta sorpresa di quanto la mia anima sia ancorata al romanticismo..
“Sunshine non cerca parole, sputa su carta quelle che ha dentro, quelle che le sono state infilate magari contro il suo volere, penetrando nelle sue ferite aperte”. (Andrea Mucciolo )
Non ho ben capito quale sia il percorso che Orazio Labbate ci inviti a intraprendere attraverso la lettura di Racconti poetici del lume della lampada. Ho notato, infatti, che non siamo in presenza di una poetica chiara e definita, ma che il poeta cambia vesti poesia dopo poesia. Il titolo può trarre in inganno: non si tratta di narrativa, non ci sono racconti. Ambigua e difficilmente comprensibile anche l’accezione di “racconti poetici”: un testo o è una poesia o è un racconto. E’ vero che la letteratura ha dato chiara voce anche a esperimenti letterari “di mezzo” tra l’uno e l’altro genere – il frammentismo di Clemente Rebora o la prosa poetica di Dino Campana- ma è difficile poter inserire uno scrittore contemporaneo in correnti come queste.
Condivido pienamente il messaggio contenuto dall’autore nella sua introduzione nella quale si fa riferimento al fatto che questa raccolta poetica è “malata” (p. 5). La malattia a detta di Orazio Labbate si manifesterebbe nell’ampia sequela di componimenti visionari che danno voce a mondi irreali, macabri e colmi di incubi. Aggiungerei che la degenerazione (la malattia) è altresì riscontrabile nella forma o, piuttosto, nella mancanza di forma delle liriche. Le parole –siano essi aggettivi, nomi o verbi- si susseguono velocemente nei vari versi in maniera inconsueta, anomala. Difficile individuare un senso di queste poesie ma credo che dietro l’intero progetto ci sia proprio l’espressa volontà del poeta di “narrare poesie” sconclusionate, disorganizzate, atematiche, ridondanti forse per dar espressione alla componente onirica ed esistenzialista dell’essere. Il motivo per quale lo fa però, non mi è chiaro.
Mi dispiace che scrivendo questa breve recensione non abbia colto l’invito del poeta che nella prefazione dice testualmente: “Invito solo coloro che si cimenteranno in/ un’interpretazione a non interpretare” (p. 7). E’ impossibile leggere un libro –qualsiasi tipo di libro- senza interpretarlo. La nostra interpretazione può avvenire mentalmente, può esser messa per iscritto o no, ma ad ogni modo la lettura di ciascun testo ci permette di ragionare su qualcosa, di capire meglio una realtà, di affrontarla da un’altra prospettiva o ci dà appunto la possibilità di interpretarla. Trovo che le poesie qui contenute possono essere interpretare in infinite maniere dato che non ne ravviso dei fili conduttori, delle tematiche centrali, dei punti di partenza chiari.
Credo che i lettori quotidiani si siano ormai abbastanza stancati di testi pieni di controsensi, voli pindarici senza meta, nonsense, costruzioni articolate prive di senso o impiegate solo per crear stridore nel lettore. Il lettore, che legge tutto con attenzione e formula una sua interpretazione, positiva o negativa che sia, è tutt’altro che “malato” e, nella maggior parte dei casi, è sempre più lucido e “sano” dello scrittore stesso. Invito coloro che hanno intenzione di leggere questo libro, a cavarne una propria lettura. Questo, in fondo, è il senso della letteratura –high o low che sia- e della condivisione d’idee attraverso lo scritto.
Orazio Labbate è nato a Mazzarino (CL) nel 1985 ma ha vissuto a Butera (CL) sin dall’infanzia. Ha conseguito la maturità con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e la laurea in Scienze Giuridiche presso l’università Bocconi di Milano. I suoi “profondi maestri notturni e letterati” sono W.S. Burroughs, Umberto Eco, Jack London, José Saramago, Gogol, Bukowski, Baudelaire, Lovecraft e molti altri. La sua poetica non è ascrivibile ad una corrente precisa o a un genere catalogabile, lui suole definirla “malata e affetta da cancro notturno”. E’ pervasa da una sorta di costante apprensione simile all’indefinibile sensazione di chi non distingue la veglia dall’incubo.
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con imperdonabile ritardo, siamo ad informarla che l’Antologia del I° Concorso “Esordi Amo” indetta l’anno scorso, è finalmente uscito. La pubblicazione del volume antologico è stata curata da Lettere Animate Editore, una nuova casa editrice ma con ampie qualità.
direttamente dal sito della casa editrice. Seguendo le indicazioni e fornendo i dati richiesti, sarà semplice acquistarne quante copie si desidera.
Nelle settimane che seguiranno il libro verrà inoltre inserito negli usuali cataloghi delle librerie online attraverso le quali potrà essere acquistato.
Ricordiamo che il I° Concorso “Esordi Amo” è stato organizzato e curato da Lorenzo Spurio, Massimo Acciai e Monica Fantaci nell’anno 2011. Ci scusiamo per la lentezza con la quale questa antologia è stata pubblicata ma –assicuriamo – tali ritardi non sono dipesi da noi.
Il libro d’esordio di Francesco Montalto “Stabili Equilibri Precari” è da qualche giorno online. E’ un libro di poesie, che racchiude, come lui stesso dice, i tre ultimi anni della propria vita e le sensazioni che questi hanno portato dietro. Si respira un’atmosfera cupa, di perenne instabilità, inquietudine e turbamento, tra i versi di Stabili Equilibri Precari, ma anche di estrema consapevolezza. Versi che lasciano trasparire tutto l’ignoto che le varie esperienze di vita portano con se. C’è l’ombra di un CharlesBukowski moderno, ma anche la visionaria passione di Jim Morrison e la speranza e disillusione di Emily Dickinson. Soprattutto però, c’è la sensibilità di un animo estremamente umano e la sincerità nel raccontare pulsioni e sentimenti quotidiani, di una persona normale, che per fortuna (o sfortuna) vive spesso un mondo parallelo a quello reale, guardando dall’esterno ma senza presunzione e sicuramente senza nessuna invidia, tutto quello che ruota intorno a se, non sentendosene parte e nello stesso tempo rendendosi conto che in fondo molti sentimenti sono comuni a tanti, e magari vissuti in maniera diversa e senza spesso rendersene conto, sono pur sempre universali.
Le poesie della poetessa Anna Maria, cantano il quotidiano. Il pensiero felice o che rattristi il giorno, la natura, ma soprattuttola Vitae tutta la ricchezza che ha saputo darle: la famiglia.
Il nascondiglio dell’anima – apre l’insieme delle sue poesie (… rifugio del cuore, oasi nel deserto della quotidianità, bolla dove respiro l’ ultima boccata d’aria), ecco, a mio avviso, in questa frase è racchiuso il pensiero cristallino di Anna. E’ l’analisi semplice e accorata che la poetessa fa dei suoi malesseri e delle sue speranze dialogando con se stessa, tramutando il dolore, ospite inatteso, in pura poesia.
E’ proprio in questa età, senza tempo e senza vuoto, che la poetessa apprezza ancor piùla Vita,
consapevole dei giorni che assediano la mente con mute domande ma, anche di sentieri di parole e pensieri che la fanno sentire donna e viva. – Vivere –
Patrimonio di immenso valore, la famiglia. Il compagno della vita, da una vita, con il quale ama duellare spesso come – Il Drago Infuocato – ma dal quale trova sempre rifugio e colloquio continuo.
I figli, li ritroviamo spesso nella sua poesia, – Amore Materno – Come Eri – , una continua gara d’Amore, spesso nella poesia dei ricordi, ma, anche nel presente.
E poi, i suoi continui sguardi alla Natura, contemplandone la bellezza, soffermandosi nei minimi particolari, come la coltre di bianco cristallo che copre la vita, ( ….Galaverna), o – L’Albero di Ciliegio – La rappresentazione di una Donna tranquilla, che sa amare, sa vibrare, sa mantenere e alimentare i suoi affetti senza scalfirli, consapevole della sua ricchezza formata dalla propria semplicità.
Questa naturalezza di sentimenti veri, la si ritrova nella sua necessità di scrivere, magari in momenti di stanchezza, quando forse l’apatia si sta impossessando di Lei, è in quei momenti da Lei ritenuti flaccidi, inutili e senza sostanza, che il rientro della persona amata, come per incanto, le porta il cuore, e la vita, ed avviene la magia: tutto ricomincia a correre – Il mio Cuore –
Non è una Donna fragile, Anna Maria, ma sa commuoversi, sa vederela Vita, attraverso i suoi occhi, il suo cuore, e soprattutto, sa fermarlo nel tempo e sulla carta. –Il cuore del Poeta –
La sua ironia è quasi inattesa, ma, sempre presente nella sua piacevole persona. Questa è Anna Maria per me.
Se dovessi assimilare un fiore alla poesia di Fabiola Colombo, non avrei dubbi: le calle.
Per la sua anima romantica, la personalità raffinata e la sua innata eleganza.
Una Donna dall’aspetto fragile, ma pura parvenza, in realtà, un guerriero la cui lancia è la penna che nutre il foglio bianco.
Le sue sono poesie che parlano d’Amore. Ho percepito malinconia e tristezza, come in “ Addio con Amore” – (… quando la geografia del mio cuore eri tu), tuttavia, regna sovrana, per carattere, la compostezza e la dignità di una persona che ha imparato a parlare col dolore – “ Ho parlato” (…Ho parlato al dolore e mi ha parlato di me) e riesce ad abbracciare ricordi pensando ad un ultimo pensiero verso la felicità della vita insieme – (Gli ultimi ricordi) , lontana sempre, da sentimenti di rancore e astio. Trovo bellissime le parole: (…. Ma tu non morirai senza il mio amore) da : Insieme a Me.
La sua anima è ferita, il cuore in frammenti, parla sorridendo muto quando l’ispiratore di tanta poesia, le porge un fiore trovato tra i ricordi essiccati del tempo), da –La Vendemmiadel cuore-
La malinconia è, a mio avviso, una componente essenziale della poetessa, del suo vissuto e della sua realtà, (…non sono pioggia non sono sole sono in angolo del tuo balcone) da – Malinconia-, che io trovo, bellissima.
L’autunno con i suoi colori, con le sue foglie secche è la stagione che più si avvicina all’anima delle poesie, alla loro sofferenza e grazia di espressione, (…ma devi conoscere il deserto e la luce eterna delle stelle prima di amare) da – Prima di Amare –
In ogni poesia ho potuto palpare un’anima sensibile e nobile per un qualcosa di grande che si è perduto lontano, e l’amarezza dei ricordi smuovono un vento che doveva essere di primavera e che ha portato invece, l’inverno.
Fra fumo, cenere e vento, vorrei, personalmente, che la speranza baciasse quella calla.