“Da mozzare” di Antonio Spagnuolo, prefazione di Lorenzo Spurio

Antonio Spagnuolo, Da mozzare, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2016.

Prefazione di Lorenzo Spurio

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Da mozzare, l’ultimo libro di poesie di Antonio Spagnuolo, edito da PoetiKanten Edizioni

Dopo Ultimo tocco nel quale Spagnuolo tesseva le fila attorno a un tema cardine ossia quello del lutto doloroso e della memoria claudicante ed assonnata della sua lunga esistenza con la moglie Elena, l’insigne poeta napoletano ritorna in Da mozzare ad ampliare il suo senso di tormento al mondo dovuto dall’inadeguatezza figlia della lancinante mancanza della sua dolce metà.

Le poesie che compongono il presente volume sono in qualche modo tutte profondamente legate tra loro perché è il destinatario, l’oggetto di interesse e il dedicatario, ad essere sempre il medesimo. Non c’è però in questo, in quella che potrebbe essere percepita come una ridondanza contenutistica, nulla di pleonastico o di eccessivo. Spagnuolo apre le porte del suo cuore rendendoci partecipi della sua vita di istanti fatta di riflessioni amare, incursioni nella memoria, pedisseque ricerche di elementi che permettano di rivitalizzare il vissuto. Come già osservato in una nota critica al suo precedente volume si staglia netta una linea invisibile che demarca l’irraggiungibile distanza tra il mondo concreto, fisico e tangibile ravvisabile nella materia e nella corporeità con l’universo mentale fatto di sogni e desideri, pensieri e divagazioni, assilli mentali, ricorrenze riflessive e quant’altro. L’uomo anela al recupero di un qualsivoglia contatto fisico con l’amata, una carezza, un bacio, un “tocco” anche fugace, mancanza che non solo lo indebolisce ma ne ossessiona le sue giornate. Di contro, da uomo illuminato, cultore della poesia e dell’arte creativa non fa altro che partire dalla sua condizione di isolamento e solitudine nella stesura di liriche dove è la pregnanza sensazionale e l’accecante sentimentalismo a primeggiare.

Alla sua veneranda età e con il carico della sofferenza per l’addio della donna con la quale ha condiviso l’intera esistenza, il Nostro non manca di appigliarsi con foga agli impulsi vivi ed edificanti di un passato di gioia, condivisione e unità proprio per non cadere nella costernazione più cupa che ne annienterebbe ogni speranza. La memorialistica del rapporto di coppia, nelle convenzionalità tipiche e nelle consuetudini di un rapporto pluridecennale fanno capolino con compostezza tra i vari componimenti dove la profonda carenza dell’uomo è sempre amplificata da una condizione di spossatezza, abbandono, spoliazione e addirittura annichilimento.

Se da una parte il lucido punto di vista dell’uomo non si sottrae alla registrazione puntuale della realtà (“Non c’è rimedio alcuno per averti”) dall’altra è proprio nella fugacità delle sfumature, nella percezione frugale ed estemporanea delle immagini vissute (“Ora nel buio ancora resta intatta la tua figura”) che permettono al Nostro di non cadere nel baratro dell’auto-annullamento e della depressione propriamente detta. Il poeta ricerca nei bagliori intensi del passato il sostentamento a un presente difficile e tormentato dove, se la luce non tornerà ad abbagliare come una volta, non sarà neppure così fioca da piombarlo nel buio pesto. Parole-chiave del volume diventano così la solitudine ed il silenzio a cui non di rado si associano anche gli epiteti di un vivere affaticato, nostalgico, che fa difficoltà a risalire la china, sprofondato in un cromatismo di grigi pesanti che si nutrono dell’angoscia e della desolazione.

Proprio il colloquio intimo con sé, la rievocazione del passato, il tentativo di rimestare nella mente per rompere la solidità granitica di un presente senza aspettative e gioie finisce per mostrarsi il salvacondotto per recuperare un senso all’esistenza: “Il silenzio rinnova le memorie”. Serve allora tacere, rifugiarsi nel suo antro di solitudine, specchiarsi e auto-interrogarsi con una dialettica che non è fatta dal verbo ma dalle immagini, nel loro impulsivo apparire e lento fruire. Vivere di ricordi è possibile perché significa aver condotto con se stessi un profondo interrogatorio della coscienza e dunque essersi messi alla prova: chi lo fa ha il coraggio del combattente e Spagnuolo mostra chiaramente di esserlo. Non si tratta di una vita illusoria che ricerca rabdomaticamente il passato per aggrapparsi strenuamente a qualcosa di già conosciuto ed esperito con il timore invece di aprirsi al futuro (il presente liquido dei giorni) che è inconoscibile e pressante. Il poeta mostra con vividezza quanto l’eredità del passato possa confluire nell’ampia risma dei nutrimenti fondamentali a dar sostegno ed energia non al corpo ma all’anima.

La donna allora, dacché non può essere carne ed ossa, si configura come immagine, una icona non idealizzata ma coerentemente sentita come presente e pulsante. Il compito del poeta sembra allora quello di adoperarsi con i suoi pochi e rudimentali mezzi per riuscire a percepire sempre meglio una visualizzazione della donna-icona e con essa colloquia, immagina di trovarsi, ma più spesso anela alla sua mancanza di corporeità vissuta come assillo insostenibile: “Vorrei toccare le curve come mite fughe/ e rintracciare la gioventù perduta”. Gli attributi dell’icona non sono solo visivi e dunque direttamente figurativi ma si legano anche alle altre sfere sensoriali come quando il Nostro non manca di percepire la dolorosa assenza del “fruscio della [s]ua gonna”.

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Antonio Spagnuolo, autore del libro

Della prematura chiamata di sua moglie alla casa del Padre Spagnuolo parla nella lirica “Pianto” probabilmente, come lo stesso titolo non manca di ravvisare, la più dolorosa e toccante. In essa, rimembrando il giorno dell’addio il Nostro sostiene “Dio ha giocato/ uno sgambetto prima del tempo/ e mi ha raggirato nell’attimo dei frantumi”. La morte della moglie è descritta con una tecnica profondamente sintetica per mezzo di una sintassi semplice dove la vita non è altro che un gioco e la morte uno sgambetto, dunque uno scherzo amaro improvviso, un trucco grottesco. Della morte come appuntamento ultimo insondabile Spagnuolo si riferisce in varie liriche quando con un animo pacificato parla dell’attesa del “passo falso del destino”, lucidamente convinto che la morte, quale maggior imprevisto del genere umano, sia la peggiore delle viltà, per la quale non esistono mezzi efficaci di conforto (“preghiere che non hanno il senso”).

La casa si fa “nuda”, spoglia di presenze concrete e piena di emozioni sottaciute, pulsioni azzerate, ricordi antiquati ai quali si desidera essere calamitati con sprizzante carica, il Nostro nella desolazione e nell’appiattimento dei giorni affida alla poesia il suo tormento e l’angoscia di vivere nell’assenza “ingann[ando] il tempo nella melodia dell’aurora”.

Se la memoria diventa l’unico legame saldo a una vita vissuta, bagaglio di gioie e ricchezze che hanno permesso l’evoluzione e il soddisfacimento della persona, d’altra parte il suo recupero diventa spesso difficile, intiepidito dall’avanzata età, confusionario e poco nitido, privo di tutti quegli effluvi speziati che avevano contornato il momento nel suo sviluppo al presente. Il disagio di cercare di vivere puntando su nuove mete e interessi, cioè di sopravvivere a se stessi, potrebbe in tal senso incontrare la minaccia del lento obnubilamento che conduce alla letargia della coscienza. Ad esso il Nostro contrappone la saggezza di un intellettuale di elevata caratura e la comprensione attenta di un presente che cambia, con i suoi densi accumuli di passato.

Jesi, 5 Dicembre 2015

LORENZO SPURIO

Domenica 18 ottobre a Firenze la presentazione di “Risvegli”, un’antologia di poesia civile

RISVEGLI: IL PENSIERO E LA COSCIENZA

L’antologia di poesia civile  il 18 ottobre a Villa Arrivabene (FIRENZE)

cover frontDomenica 18 ottobre a partire dalle ore 16:30 si svolgerà presso la Sala Beghi di Villa Arrivabene (sede del Consiglio di Quartiere 2) a FIRENZE la prima presentazione della antologia poetica “Risvegli: il pensiero e la coscienza. Tracciati lirici di impegno civile”, curata da Marzia Carocci, Iuri Lombardi e Lorenzo Spurio. Il volume, pubblicato da PoetiKanten Edizioni, contiene i testi poetici risultati selezionati dai tre curatori che i partecipanti, poeti di tutta Italia, hanno voluto inviare per questa iniziativa antologico a tema socio-civile. Le tematiche affrontate dai vari poeti nei loro componimenti spaziano dai disagi psichici e relazionali, da drammi di cronaca familiare, omicidi, casi di emarginazione, immigrazione, infanzia negata, prostituzione e tanto altro ancora. A tenere uniti i tanti “tracciati lirici” di settanta poeti italiani, tra più o meno conosciuti, è stato il filo rosso che vede nell’impegno sociale del poeta che è chiamato a denunciare le realtà nelle quali nota storture, idiosincrasie, espressioni di forza ed odio al fine di salvaguardare lo stesso senso civico a garanzia del comune ben vivere.

L’opera si apre con gli interventi critici dei tre curatori nei quali ci si sofferma sulle caratteristiche fondanti di questo componimento di denuncia, di lamentazione consapevole e di critica sociale, seguito da un nutrito apparato introduttivo opera del professore Raffaele Taddeo.

Nel volume sono presenti poesie di Bruno Agosti, Carla Abbondi, Rina Accardo, Velia Aiello, Franco Andreone, Elvio Angeletti, Lucia Bonanni, Mimì Burzo, Vincenzo Calò, Silvia Calzolari, Graziella Cappelli, Marzia Carocci, Sandra Carresi, Francesco Paolo Catanzaro, Laura Cecchetti Manao, Maria Chiarello,  Giovanni Rosario Conte, Floriana Coppola, Mario De Rosa, Gianni Di Giorgio, Maria Rosaria Di Domenico, Rosanna Di Iorio, Antonio Di Lena, Francesco Di Ruggiero, Alberto Diamanti, Franca Donà, Alfredo Faetti, Sara Favotto, Elisabetta Freddi, Giuseppe Gambini, Valentina Giua, Rossana Guerra, Sebastiano Impalà, Iuri Lombardi, Francesca Luzzio, Claudia Magnasco, Michela Manente, Maria Teresa Manta, Donatella Marchese, Emanuele Marcuccio, Michele Miano, Emidio Montini, Giuliana Montorsi, Andreina Moretti, Daniela Nazzaro, Maria Rita Orlando, Gianni Palazzesi, Luigi Paternoster, Antonino Pedone, Stefania Pellegrini, Claudia Piccini, Patrizia Pierandrei, Maria Teresa Pieri, Paolo Pietrini, Lorenzo Poggi, Antonella Proietti, Massimiliano Rendina, Maddalena Rotolo, Irene Sabetta, Rita Salamon, Anna Scarpetta, Tania Scavolini, Carla Spinella, Lorenzo Spurio, Marco Squarcia, Cristina Tonelli, Paolo Tulelli, Vincenzo Turba, Cristina Vascon.

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Per info sull’evento o acquisto del libro: poetikantenedizioni@gmail.com

Il video della presentazione:

Alcuni scatti della serata:

Pecoraro, Zanarella, Lombardi, Marcuccio e Renato Pigliacampo: tracciati poetici nell’analisi di Lucia Bonanni

La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi (2015)

di Lorenzo Spurio

 

Commento di Lucia Bonanni sulle “Nuove voci poetiche” e il prof. Renato Pigliacampo

Perché io possa essere felice è necessario che ogni giorno mi occupi un po’ di letteratura. Chi (come me) ne è dipendente, non desidera la letteratura per salvarsi la vita ma soltanto per superare la difficile giornata che sta trascorrendo” scrive Orhan Pamuk in “La valigia di mio padre”. Quindi poter leggere e avere il gusto della lettura mi fa sentire una privilegiata. Nei libri trovo informazione, motivazione al confronto, fantasia, passaggio verso l’immaginario personale e quello collettivo. Attraverso la  lettura non sono mai sola e posso instaurare un colloquio silente con l’autore e il protagonista, seguendo il faro luminoso che si erge nel tempo. La letteratura, a detta di Italo

Michela Zanarella
Michela Zanarella

Calvino, “Non sarebbe nulla se non ci permettesse di capire meglio la vita” poiché con essa si impara ad essere esperti della condizione umana ed il libro viene a costituire il tesoro che ci tornerà utile in ogni attimo di vita; nella interpretazione di Stephen King i libri “sono una impareggiabile magia portatile”, sono luce, colore, viaggio, accettazione, condivisione, conoscenza, meraviglia e nelle parole di Gesualdo Bufalino “Ogni concepibile luogo di intimità collettiva”. Ho qui accanto a me La parola di seta in cui Lorenzo Spurio, curatore dell’opera, riporta le “interviste ai poeti d’oggi”, testo che risulta essere “viaggio nella conoscenza poetica”. Ma prima di aprire questo “dialogo sulle poetiche (e partecipare a questa) festa corale di tutti coloro che ancora credono a scrivere e a progettare una poesia onesta”(Sandro Gros-Pietro), nella invocazione alla Musa chiedo che il mio scrivere sia autentico così da poter omaggiare tutte le voci che parlano di Poesia e in questa prima parte approfondire le tematiche in relazione al professor Renato Pigliacampo e quelle che Spurio indica come “Nuove voci”. “Coloro che pensano che la poesia è disperazione, non sanno che la poesia è una donna superba e ha la chioma rossa” ed io, seguendo il pensiero di Alda Merini, senza per questo dimenticare le voci maschili, e prendendo spunto anche dal titolo del libro di Michela Zanarella, Meditazioni al femminile, in questo mio viaggio all’interno de La parola di seta voglio iniziare dalle voci poetiche al femminile, ponendo l’avvio dalle “Nuove voci”.

Quella delle poetesse che fanno parte di questo novero è una produzione molto ricca e comprende componimenti lirici e raccolte raffinate e di impegno civile, anche dettati da un profondo senso religioso e verso la Natura. Lucide, concise, essenziali, sempre animate da forte passionalità, fanno della poetica un universo che è cultura di ansie e struggimenti, estasi e gioia di vivere, evocazione di suggestioni e forti emozioni, un compendio di quella “gioia terrena, non concessa agli dei”. Ho avuto l’onore  e il piacere di conoscere Annamaria Pecoraro e Michela Zanarella in veste di Presidente e componenti di Giuria in occasione di Premi  Letterari a cui ho preso parte. Annamaria, conosciuta con lo pseudonimo di Dulcinea,  poetessa e scrittrice, autrice di testi per canzoni, speaker radiofonica e appassionata cultrice di musica,  giornalista, direttrice di Deliri Progressivi  e Direttore Artistico di eventi culturali e dell’Associazione N.O.S.M. Michela, poetessa e scrittrice, presidente dell’Associazione “le Ragunanze”, giornalista free lance, presente in antologie e testate giornalistiche, dirige la collana di poesia ARTeMUSE. 

Annamaria Pecoraro, in arte
Annamaria Pecoraro, in arte “Dulcinea”

 Di Annamaria Pecoraro ho letto la raccolta Le rime del cuore attraverso i passi dell’anima e altre liriche presenti in varie antologie e pagine web “Passi lenti/passi distratti/ passi volanti/rassicuranti cercanti sguardi” (Passi), “Sei roccia, sale, mare/brezza tagliente,/ancora vivente./Sei scoperta che fa tremare,/arte unica per sognare” (Sei roccia), “Tutto è avvolto dal silenzio/Passi in una cella vuota”(La risiera di San Sabba). 

 Di Michela Zanarella ho conosciuto il nome già dalle raccolte antologiche in cui erano presenti miei lavori e la poetessa partecipava anche con il testo Sensualità. “Ha ragione la pelle che trema;/è breve la strada che dal desiderio/porta al mare” (Dolcezza di altre epoche), “Ci sono emozioni/come donne abbracciate al fuoco” (Come prima di un sorriso).

Mi affascina molto la loro poetica, una scrittura che, come afferma Annamaria, è “l’arma bianca che disarmata arma” e di rimando Michela  definisce la poesia come “un dono che (le) è stato affidato, una sorta di concessione”. E dell’una vorrei avere la grande forza d’animo e dell’altra la timida dolcezza, dall’una vorrei imparare a calcare passi sulla sabbia bagnata e dall’altra il percorso di riflessione sull’esistenza. Due poetesse autentiche, veraci, di grande suggestione che nel mondo al femminile seguono, come dice Michela, “tutta la purezza e l’autenticità di un sentimento forte e prorompente” una sorgente mai prosciugata da cui scaturiscono splendidi versi per un messaggio poetico che nel pensiero  di Annamaria,  è “base di tutto (come lo sono) la fede, il rispetto, i valori, (che) possono passare per cosa antica o forse possono avere la vera trasgressione nel mondo moderno”. Ritrovo nella poetica di Annamaria forza espressiva e purezza di pensieri, bisogno di espandersi oltre i limiti della pagina bianca, offerta tacita dello sguardo dall’alto, attenzione dichiarata alle vicissitudini incontrate oltre il proprio io. Vedo nella poetica di Michela lirismo che si fa certezza, un dimostrare discorsivo, teso alla bellezza dell’agire, un dire che srotola nastri per coniugare nodi di passione. Mi piace scoprire nei loro versi l’impronta sacra della Musa che ha ispirato i luoghi poetici di altre donne. Per le due poetesse scrivere poesia è rito, impegno, silenzio, azione di pensiero, è trovare l’autentico, ricercare verità, riflettere su se stesse, attuare modi di anticonformismo e coraggio dello sguardo, è enunciare il genuino nel significato di “generare” per la vicinanza atavica di ogni donna alla terra, segno di Anodos “dal liquido amniotico alle lacrime”.

Tornando alle voci maschili, presenti in antologia nelle “Nuove voci”, c’è da dire che sono voci roboanti, forti, robuste, possenti e cavernose; hanno l’erranza dei chierici vaganti e la gentilezza dei trovatori cortesi, l’ardore dei romantici e la smania dei poeti maledetti. Sempre in cammino e sempre prese perse in vortici di vita, sono come i “nomadi del vento”. Nel loro universo referenziale non includono teoremi di incompletezza e riescono in ogni modo a porsi nei punti di una circonferenza immaginaria. Come per la poetica al femminile, anche in questo caso vorrei iniziare  dalle “Nuove voci”, quelle di Iuri Lombardi  che “da Firenze prende tutto in continuo

Iuri Lombardi
Iuri Lombardi

dinamismo nelle arti e nelle lettere” e per gioco di squadra è fondatore e presidente dell’Associazione PoetiKanten” e poi Emanuele Marcuccio, “Un infaticabile palermitano d’oggi” come l’ha definito Lorenzo Spurio in un saggio monografico, poeta e aforista, ideatore e curatore del progetto poetico Dipthycha del quale sono edite due antologie. Poeti incontrati nelle pagine di libri e riviste on-line. Così,  si esprime Iuri Lombardi: “I ragazzi si fingono tristi per non farsi/scoprire felici” (La veglia dei ragazzi), “Il padreterno è un folle/ e la mia coscienza non dispone/di un grillo parlante che mi giudica/(che) mi osserva di spalle” (A Giacomo), “Chiamai qualcuno per nome/finsi di chiamarlo Paolo./non ero pronto per la folgorazione,/a Damasco/non risono stato neppure/a prendere un caffè”(Apologia di un cattivo) ed ancora: “Penso che è impossibile dare un significato alla poesia (che è) espressione vitale (e) vertigine (e)  penso  che sgusci via appena le diamo (una ) definizione”. I versi di Iuri Lombardi si rivelano sempre vitali e vertiginosi, istintivi e variabili, liberi nell’espressione verbale, interventisti in senso pacifico e reali, calati nel realtà del tempo e ribelli ad un conformismo che incatena la scrittura al ceppo della consuetudine. Occorre andare in profondità per scoprire quante e quali emozioni si celano dietro quella patina ombrosa, portando alla luce “amore incondizionato per il  mondo, per il prossimo, per lo stato delle cose” in un “Blackout”[1] di sensi che non lascia al buio, ma è tentativo esistenziale e personale di “dono per gli amici”. Andando a leggere La parola di seta mi sono imbattuta in pensieri in cui mi sono persa e mi sono ritrovata, proprio come è successo anche nel ragionare di Emanuele Marcuccio  dove son rimasta sorpresa nel constare  che nella sua creazione di versi (anche) “la mia inspirazione è furtiva e svelta e se non  l’afferro e la trattengo nel mio cuore con i versi che metto su carta, passa e vola via”. Io stessa mi sono ritrovata a scrivere su tovagliolini di

Emanuele Marcuccio
Emanuele Marcuccio

carta e buste delle posate liberamente “Per una strada”[2], titolo che rimanda alla poesia che l’autore scrisse “avendo come unico foglio di carta su cui appuntarla sul retro di uno spiegazzato scontrino della spesa”. “Per una strada senza fronde/si aggira furtivo e svelto/il nostro inconscio senso,/passa e non si ferma,/continua ad andar via/e non si sa dove mai sia”. Ecco, questa è una di quelle poesie che ti ammalia come una Circe e alle quali giri intorno fino a farti male  al cuore perché, come dichiara l’autore, “la poesia vuole sempre uno sguardo pieno di stupore e di meraviglia”. Mi ha colpito l’uso puntuale dell’articolo indeterminativo che non è affatto generico, bensì determinante per tutto il componimento. Se Marcuccio avesse scritto “per la strada”, l’espressione sarebbe risultata usuale e non avrebbe sortito il medesimo effetto, catturando l’attenzione del lettore verso una riflessione maggiormente profonda. Un po’ come negli ultimi versi della poesia in cui Corrado Govoni usa il verbo essere al singolare per due soggetti. “Ma il sorriso e la tua calda pelle/è il fuoco della terra e delle stelle”. Fellini ha girato il film “La strada” in cui una folla di personaggi variegati stupisce lo spettatore e in questo caso l’articolo determinativo è metonimia per  indicare vissuti che si collocano tra lo stato surreale e la realtà da cui non si può esulare. Nella poesia di Marcuccio quell’articolo indeterminativo evoca domande e viene spontaneo chiedersi di quale strada si tratta, dove si trova e si pensa che potrebbe trovarsi tanto in una grande città come in un piccolo paese o addirittura essere una trazzera di campagna. A me piace immaginare che sia via Maqueda in quel di Palermo, una via lunghissima che, attraversando i Quattro Canti di città, giunge fino alla piazza denominata della Vergogna a per le nudità delle statue intorno alla fontana. “Per una strada” e mi pare che nel titolo siano racchiusi anche i versi di Dino Campana, “Poeta –come ha scritto Vassalli- in cui  scrittura e vita coincidono”; “La stradina è solitaria:/non c’è un cane:qualche stella/nella notte sopra i tetti/ e la notte mi par bella” (“La petite promenade du poète” per Firenze) e in questo come in altri frangenti la strada di Campana, parimenti a quella dell’uomo contemporaneo, era un percorso davvero “senza fronde”. “Senza fronde”, immagine plurima, mosaico di sensazioni esplose per via, tavolozza cosparsa di colori, iter temporale in veste ciclica, paesaggio mostrato e non descritto, stagione pensata in accezione di metafora, specchio concavo che riflette il paesaggio interiore, “scrittura di ricapitolazione” ove poter ritrovare i versi di altri autori. Immagine plurima  a significare da un lato l’apparato dei fenomeni naturali e dall’altro quello connesso ai fenomeni emozionali di straniamento e smarrimento che investono l’essere umano. Nelle parole di Marcuccio “La scrittura è trasfigurazione di quel caos del proprio vissuto (e) deve esserci (la) scintilla iniziale” per questo è indispensabile e di fondamentale importanza appuntare subito i pensieri che salgono alla mente, quando l’ispirazione è lampo di luce e il bisogno di scrittura diviene azione compulsiva.

La copertina del libro
La copertina del libro “La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi” di Lorenzo Spurio (2015)

Esiste dentro ciascun autore, quello che viene indicato come “censore interno”, una presenza ambigua, fuorviante, di impedimento che nella pratica della scrittura ostacola la creatività e l’espressione. Dedicare tempo alla scrittura significa dedicare tempo alla propria esistenza nella sua interezza. Sono i primi pensieri ad avere un’energia incredibile ed è il censore interno che li reprime. Quando si manifestano e si entra in contatto con la loro energia e si inizia a scrivere, occorre lasciarsi andare, diventare guerrieri. Bisogna addestrare la mente a superare le resistenze, a ignorarle e scrivere in ogni modo per se stessi, anche in luoghi diversi, Bertolucci scriveva, passeggiando per i boschi di Casarola, e sarà la scrittura a creare se stessa. Dobbiamo prima di tutto imparare a “sbucciare gli strati che ricoprono il nostro cuore” e i risultati saranno accettabili. Sappiamo che  di per sé, i sensi sono muti e che assorbono l’esperienza, ma questa per potersi manifestare deve prima passare al vaglio della mente. Rastrellare la mente per raccogliere i primi pensieri rivoltarli in una composta di emozioni. Così, meglio si impara a riconoscere il revisore interno, più agevole sarà non tenerne conto. “La vita vera sta nello scrivere” e a rendere grande un poeta è sempre la capacità di essere in sintonia con i ritmi del linguaggio ed è ottimo sistema scrivere e leggere, leggere e scrivere. In tutto questo è utile sapersi apprezzare, avere fiducia in se stessi e amare ciò che si fa. “E m’abbandono all’adorabile corso/ leggere, vivere dove conducono le parole” (P. Valery). E questa è arte! Pensare che in età giovanile Leopardi mi diceva poco e niente e Manzoni mi era di peso. La mia tensione emotiva era tutta volta a certe forme di spleen e alla protesta; mi era congenita e identificarmi  con l’Ortis, il Werther, Malte (di Rilke) e quella di Padre Cristoforo era la figura dei Promessi Sposi che più mi piaceva. Forse questa mia ritrosia era dovuta alla ridondante continuità degli esercizi di grammatica e sintassi, i riassunti fiume, le versioni in prosa che non trovavano chiusa. Pratiche di studio  che non offrivano certo la possibilità di poter assaporare in ogni sfaccettatura la bellezza di quelle pagine sublimi. Talvolta l’istituzione scolastica costringe a seguire un percorso obbligato e nega approcci culturali di ampio respiro anche  a causa di stereotipi che non favoriscono, come dichiara Renato Pigliacampo, “una rivoluzionerei processi d’apprendimento (e di certe realtà) lo Stato non è in grado di rispondere ai bisogni”. “Odo imposizione di parole/nasconde dittatura di pensiero” (Canto per Liopigama), “Sono andato nell’ultimo volo/per imitare il gabbiano sfiorare le onde” (Cuore di Porto Recanati), “Questo ragazzo è poeta:la sua voce/ha foga di profeti” (Aggrappato al silenzio). Mi sembra di vederlo quel “gobbuto Conero”, la “rude campagna” quella di Bagnolo che per Pigliacampo diventa la Macondo di Cent’anni di solitudine, e vedo  anche le “vorticose mani segnanti negli atoni ghirigori” come dice Lorenzo Spurio (nella foto sottostante) nella sua lirica inedita “Idioma visuomanuale”, dedicata all’uomo e al Poeta. Mi traspongo e mi immedesimo nel sentire dell’uomo Pigliacampo, lo sento vicino  e gli rendo omaggio come Poeta, sapendolo eroe che “combatte da solo (acquistando) fama d’eroe”.

Renato Pigliacampo
Renato Pigliacampo

Forse a chi non conosce le tinte della sofferenza il componimento di Spurio può risultare anche non adatto, ma è al contesto che si adatta il linguaggio e non viceversa. Ad una espressione aulica che si dipana  nei versi, si alterna un dire più austero e maggiormente terreno. “Di rivincite e pregiudizi da sgozzare”, scrive Spurio, e quel verbo “sgozzare” mi sembra pregnante , è la chiave di volta dell’intero enunciato e ne dà una chiave di lettura netta e precisa. Ai pregiudizi non è dato fare carezze e non si possono che sgozzare, soprattutto come rivalsa, rinascita e rivincita dell’uomo sulla “pietra della vita”. In questo caso mi viene in mente il quadro della Gentileschi “Giuditta e Oloferne”, conservato agli Uffizi; pensiero e azione in vorticoso sentire! In un parallelismo empatico rinvengo nelle parole del professor Pigliacampo quella “vita  dei campi” che appartiene anche al mio immaginario. Vi ritrovo l’infanzia e la fanciullezza a contatto con la Natura inviolata, “rispettata come una dea”. Il piccolo Renato poteva ammirare il Colle dell’Infinito, io le cime del Gran Sasso e del Velino. Come lui ascoltavo suoni e voci dell’ambiente, pizzicavo “l’astuzia dei contadini nel fregare il latifondista”, imparavo che le famiglie erano conosciute per lo più per soprannome che per registro anagrafico e che “nella cognomizzazione (era) prevalente il soprannome di provenienza o dell’attività svolta”; tanto mi piaceva nelle fredde sere d’inverno stare a veglia davanti alle braci del  camino. Mi inserisco nella sua corrente di pensiero, prendendo a braccetto il suo agire perché anch’io a dirla tutta, (come lui)  “sono una ribelle, una rivoluzionaria in senso positivo, ossia di cambiamento” e riferirmi “come ricorda in varie poesie (che) combatté in prima linea le battaglie del ’68 italiano” (L. Spurio), “Contestando signori capitalisti./Compagni col fazzoletto rosso al collo” (Canto per Liopigama); in questi versi sento echeggiare il Pasolini de Le ceneri di Gramsci come sento echeggiare l’attenzione del poeta verso lo studio del folklore e tradizioni popolari.

E quanto avrei potuto imparare da questo “Guerriero del Silenzio” teso a relazionarsi “con le persone e le cose, gli esseri animati, con specifico linguaggio viso-manuale di codici” di cui si giova nella sua poetica. E quante cose come insegnante avrei potuto dirgli in merito a certi contrasti che ero costretta a sostenere con “specialisti”, scempi come  stoffe di poco conto. Quanto mi rattrista sapere che in alcune occasioni è stato “usato (soltanto)  per raccogliere voti” senza che fosse tenuta presente la sua disabilità “non migliorando la partecipazione dei sordi” alla vita socio-politica del Paese. “Cattivi pensieri/per i giganti/che colpiscono alle spalle,/per la follia del Mondo e gli sguardi  indifferenti/per quello specchio/interno/ che ci parla di noi/ e degli altri”(Sandra Carresi, Cattivi pensieri). Sono del parere, come sostiene  Pigliacampo, che “L’inclusione deve passare nel superamento dei pregiudizi”, i medesimi pregiudizi che Spurio definisce “da sgozzare”.

Lorenzo Spurio, autore del libro
Lorenzo Spurio, autore del libro “La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi”

Mi riconosco nell’uomo Pigliacampo, gli rendo omaggio come Poeta e lo vedo irraggiungibile come studioso e insegnante, divulgatore di esperienze e comunicazione di LIS (lingua italiana dei segni), della genesi del linguaggio poetico viso-manuale dei “disagi sul mondo audioleso” nonché fondatore del Premio di Poesia “Città di Porto Recanati”, giunto alla sua XXVI edizione. “Considero la condizione del poeta simile a quella dello straniero che partecipa ai simulacri della realtà” (Amedeo Di Sora) ed io non starò qui a distinguere tra gineceo e androceo, starò qui a costruire una cantoria per queste voci che si intavolano come registri d’organo; starò qui, ispirandomi a Tiziano Terzani, a istituire una congiura di poeti in modo che “si senta la poesia, che si ascolti la sua voce, che permanga il suo spirito”(E. Marcuccio) perché mi piace e voglio pensare che le sorti del mondo trovano migliore collocazione  nelle mani di chi è capace di far volare la fantasia e pensare diversamente, anche tenendo presente che La parola di seta non è un testo ordinario, ma un vademecum da tenere sempre con sé, uno Zibaldone di pensieri dove la poesia è vestita davvero di seta come nella splendida poesia che Emanuele Marcuccio ha voluto dedicare a questo lavoro.

DI SETA

di seta

la parola

 

di poesia

l’anima mia

 

investe il verso

e para

i colpi

 

verga

veloce il rigo

leggero

 

pieno

 

Lucia Bonanni

San Piero a Sieve, 14 agosto 2015

[1] È il titolo della sua nuova raccolta che compendia tutta la sua produzione poetica, pubblicata con PoetiKanten Edizioni nel 2015 di cui è riportata l’immagine di copertina.

[2] È il titolo della prima raccolta dell’autore edita da SBC Edizioni di Ravenna nel corso del 2009 di cui è riportata l’immagine di copertina.

Antonio Spagnuolo su “La parola di seta” di Lorenzo Spurio

Lorenzo Spurio: “La parola di seta”

PoetiKanten Edizioni, 2015 – pagg. 316 – €  15,00

cover la parola di seta-page-001Una attenta ed approfondita ricerca (o disamina) che diviene un tracciato sapiente e puntuale di una indagine sociologica, culturale, ideologica, il cui sondaggio investe le aspettative di un lettore attento, dell’uomo fuori dalla massa, l’importanza della comunicazione poetica in questo mondo contemporaneo, e la diffusione della cultura attraverso un rielaborato critico puntuale e verificabile, attraverso la poesia che sia degna di lettura.

“L’esigenza di pubblicare un  volume di interviste, forma testuale per altro abbastanza difficile da collocare all’interno di un genere letterario venendo a rappresentare uno strumento che più propriamente è paraletterario, è nata recentemente – scrive Lorenzo Spurio nella introduzione – quando ho compreso che le risposte dei poeti, i loro discorsi, le loro definizioni di poesia e, con una sola parola, le loro esperienze letterarie potessero essere utili non solo a me ma a tutti coloro che amano la scrittura.”

In ordine alfabetico i poeti si alternano con vivissimi interventi: Corrado Calabrò, Marzia Carocci, Ninnj Di Stefano Busà, Fausta Genziana Le Piane, Dante Maffia, Francesco Manna, Fulvia Marconi, Julio Monteiro Martins, Nazario Pardini, Franco Pastore, Renato Pigliacampo, Ugo Piscopo, Anna Scarpetta, Luciano Somma, Antonio Spagnuolo, Rodolfo Vettorello, Lucio Zinna. In appendice quattro nuove voci: Iuri Lombardi, Emanuele Marcuccio, Annamaria Pecoraro, Michela Zanarella. La prefazione, a firma di Sandro Gros Pietro, riesce a puntualizzare questo riferimento ad un laboratorio artigianale di notevole qualità, e di utilissima impostazione, meritorio di realizzare proposte ed illusioni , esperienze e memorie, introspezioni ed illuminazioni.

Particolarmente riuscita l’elaborazione di un  percorso che realizzi un panorama multicolore e variegato, nella proposta di personali immaginazioni  e originalissime rivisitazioni.

ANTONIO SPAGNUOLO

L’opossum nell’armadio

La particolareggiata nota critica di lettura di Valentina Meloni al mio libro di racconti “L’opossum nell’armadio” edito da PoetiKanten Edizioni nel 2015.
Grazie Vale!

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cover-front-opossum

“Nelle situazioni di pericolo, l’opossum adotta come mezzo di difesa la tanatosi, ossia finge di essere morto”[i]

L’opossum nell’armadio è l’ultimissima raccolta di racconti di Lorenzo Spurio edita per Poetikanten Edizioni: ventuno racconti brevi che hanno come denominatore comune l’opossum. L’opossum è un animale che patisce la luce[ii]: questa è una delle primissime citazioni scientifiche che aprono ogni racconto della raccolta. L’opossum è un alter-ego e quindi non il vero personaggio narrativo dei racconti anche se presenzia alla scrittura e alla lettura degli stessi. In realtà l’opossum è un espediente letterario che vorrebbe mimare il comportamento della nostra psiche mettendola in relazione attraverso l’armadio-Io con la coscienza morale che si trova all’esterno e che freudianamente possiamo considerare il Super-Io. Almeno… io l’ho inteso così.

Gregory Colbert opossum fotografia di Gregory Colbert (opossum)

Viene spontaneo il paragone con il famoso scheletro nell’armadio, che ci fa immaginare la psiche come qualcosa…

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Francesca Luzzio su “L’opossum nell’armadio” di Lorenzo Spurio

L’opossum nell’armadio di Lorenzo Spurio

PoetiKanten Edizioni (2015)

 

Recensione di Francesca Luzzio

 

cover front opossumLa raccolta di racconti di Lorenzo Spurio presenta un titolo originale: L’Opossum nell’armadio  pertanto, a lettura ultimata, viene spontaneo chiedersi che relazione esista tra questo marsupiale e i racconti stessi, a maggior ragione poiché ogni racconto è preceduto da una sorta di frontespizio che mette in rilievo una qualità o un comportamento tipico di questo animale. Si è indotti a pensare che l’opossum sia metafora dell’inconscio umano che ognuno di noi tiene “nell’armadio-coscienza” e che i frontespizi, proponenti caratteristiche dell’opossum, rispecchino  aspetti dell’indole dei personaggi protagonisti dei racconti.

Orbene, talvolta il freudiano  Es sconfigge l’Io e il Super-io e s’impone dominante nell’agire, caratterizzandolo e trasfigurandolo, dandogli un iter o un esito che il pensiero dominante impone. Ma il pensiero che domina e dirige l’agire umano non è come in Leopardi l’amore, né la morte di cui parla insieme all’amore nel canto successivo del Ciclo di Aspasia  (Il pensiero dominante, Amore e morte).                             I pensieri dominanti  che invece caratterizzano i personaggi dei racconti di Lorenzo Spurio, determinandone sottotraccia l’agire, sono pensieri che esulano dall’astrattezza razionale che caratterizza i versi di Leopardi e si nutrono  dell’irrazionale e caotico Es, delle variegate risposte che esso dà  alla concreta e disfatta  realtà economica sociale e morale  che caratterizza i nostri tempi, quale estrema reazione e sfida alla negatività del mondo. Così il suicidio è espressione della disperazione che determina il licenziamento e la disoccupazione nel racconto, “Livello -1”; l’abbandono della propria famiglia borghese e benpensante in “L’ultimo compleanno” è desiderio di libertà, di fuga, dai formalismi sociali di oggi;  la rivalsa e l’affermazione dell’io contro l’umiliazione derivante da un lavoro e da ruoli accettati per disperazione perché “con una freschissima laurea di filosofia in mano” non si sa “dove sbattere la testa” è il tema che caratterizza il racconto, “Due parole sulla biodiversità” e  così via, in un prosieguo di situazioni e di casi apparentemente anomali, surreali, irregolari nella prassi di una coerente formalità  e corrente eticità del vivere quotidiano, di fatto reali, frequenti, giustificati dai protagonisti attraverso la correlazione, secondo la loro logica, tra causa scatenante ed effetto. Per questo Lorenzo Spurio descrive in modo approfondito e dettagliato la psicologia dei personaggi, facendone emergere l’essenza profonda  a cui è ascrivibile il comportamento che alla fine viene assunto.

L’uomo, “monade” secondo Leibniz, “senza finestre sul mondo”, chiuso nella solitudine del suo essere, in realtà  risente nelle sue rappresentazioni di ogni fatto, di ogni evento e nel suo interno si scinde in una miriade di emozioni e stati d’animo che acquistano forma e consistenza, d’istinti che nell’irrazionalità del loro emergere finiscono con il  determinare svolte decisive sia nella prosecuzione del percorso vitale, sia nello stabilirne la conclusione. Con uno stile piano, scorrevole, pregnante il narratore conduce il lettore nei meandri della coscienza umana e della variegata e critica realtà dei nostri tempi. Narratore esterno, non giudica, né esprime pareri, lascia al lettore l’ermeneusi dei testi, la cui significazione comunque emerge immediatamente, grazie alle qualità stilistico-formali di cui si è già detto.

 

FRANCESCA LUZZIO

 

Palermo, 2 aprile 2015

E. Marcuccio sull’antologia “Leonardo Sciascia, cronista di scomode realtà” edita da PoetiKanten Edizioni

Stile Euterpe vol. 1

Leonardo Sciascia, cronista di scomode realtà

Curato da Martino Ciano

PoetiKanten Edizioni, 2015

Recensione di Emanuele Marcuccio

stile euterpe_cover frontOpera singolare nel panorama editoriale questa antologia poetico-narrativo-saggistica, ispirata e in omaggio all’opera letteraria e alla figura di Leonardo Sciascia (1923-1989); scrittore, drammaturgo, saggista e poeta, “sommo inquieto prosator/ dei nostri mali” (come lo definisco a p. 11); il “Cronista di scomode realtà”, come felicemente è definito nel sottotitolo dal curatore Martino Ciano.

Dopo una prefazione a firma del noto critico e poeta Nazario Pardini, l’opera si apre con una scelta di dodici liriche di altrettanti poeti che, dalla Sicilia al nord della nostra penisola si ispirano ai temi sciasciani, soprattutto a quello dell’omertà, tratteggiato nel suo racconto-inchiesta più celebre, Il giorno della civetta (1961); dove la civetta diviene metafora delle azioni criminose della mafia, compiute in pieno giorno perché complice l’omertoso silenzio degli “ominicchi” e dei “quaquaraquà”, riprendendo la curiosa disamina sull’umanità, tracciata da don Mariano Arena.

Tra le dodici poesie, segnalo quella della veneta Michela Zanarella, che in ventiquattro versi offre al lettore una sintesi dell’opera sciasciana, “dal giorno della civetta/ alla scomparsa di Majorana”, per terminare con le Favole della dittatura, “dove il cane abbaia alla luna/ e l’usignolo è muto per paura”
(p. 21).

Stupisce la rivisitazione sciasciana della toscana Luisa Bolleri, nel suo breve racconto “Terminal Recanati” (p. 62), ambientato in Sicilia e dove l’autista di un pullman è in combutta con uno scippatore, il quale uccide le due turiste che gli oppongono resistenza. Così, quando salgono i due carabinieri sul mezzo per le indagini di rito, sembra di rivivere quasi la stessa atmosfera omertosa che si respira nelle pagine incipitarie de Il giorno della civetta.

Da segnalare anche il breve racconto, “La memoria dei morti per il pane” (p. 57) del palermitano Francesco Paolo Catanzaro, dove in quel “rompendosi la testa” esplicitario, il lettore attento certamente ricorderà il “mi ci romperò la testa” del capitano Bellodi alla fine de Il giorno della civetta.

Il libro poi si chiude con tre saggi di approfondimento all’opera letteraria di Leonardo Sciascia, tra i quali, degno di nota è l’ultimo, del marchigiano Lorenzo Spurio che ci presenta la sua lettura critica delle cosiddette opere minori di Sciascia: La Sicilia, il suo cuore e Favole della dittatura, le due uniche sillogi poetiche e presentate da Spurio non come opere minori ma come prodromico banco di prova alle opere narrative successive.

 

Emanuele Marcuccio

 

Palermo, 21 marzo 2015

Luisa Bolleri e Sandra Carresi su “L’opossum nell’armadio” dello jesino Lorenzo Spurio

“L’opossum nell’armadio”

di LORENZO SPURIO

PoetiKanten Edizioni (2015) – raccolta di racconti

RECENSIONE DI LUISA BOLLERI
Un’interessante raccolta di racconti brevi che rivelano, di pari passo con le peculiari caratteristiche morfologiche e comportamentali dell’opossum, le relazioni familiari e sociali, i malesseri, le manie e le ossessioni dei protagonisti di ciascuna storia.
Personaggi dagli atteggiamenti curiosi, conflittuali e persino patologici, che potremmo incontrare almeno una volta nel corso della nostra vita, che l’autore analizza acutamente col metro dell’introspezione psicologica. Quindi un’ansia che pervade ogni storia, un’inquietudine che dilaga.
Un grande lavoro di ricerca nel profondo, per estrarre la verità dall’armadio, metafora di tutto quanto è celato alla visuale, nascosto nell’ombra, sia che rappresenti la motivazione recondita delle azioni compiute, dei desideri inconfessabili o dei sogni, sia esso lo scrigno di sofferenze, sentimenti o ricordi rimossi. 
Come il lettore sa bene, la forma narrativa del racconto ha bisogno di una capacità espressiva particolare, per brevità e incisività. Riuscire a suscitare emozioni in poche pagine è cosa più ardua di quanto si creda.
Lorenzo Spurio ottiene egregiamente non solo di catturare l’attenzione del lettore con una narrazione di indagine e scoperta in divenire, suscitando uno stato di tensione e interesse, ma soprattutto è capace di legare tutti questi racconti con un unico filo conduttore, che studia e scandaglia gli atteggiamenti strani, nevrotici o psicotici umani.
Questa lista di comportamenti soltanto apparentemente insoliti viene paragonata, in parallelo e capitolo per capitolo, alla vita dell’opossum, piccolo e simpatico marsupiale americano, premendo gradevolmente anche sul pedale dell’ironia. Perché l’uomo rimane pur sempre un animale e come tale ha bisogni, istinti, strategie di combattimento e difensive che lo ancorano alla sua natura più primitiva.

LUISA BOLLERI

cover front opossum
Lorenzo Spurio – “L’opossum nell’armadio”

RECENSIONE DI SANDRA CARRESI

Dallo scrigno bianco di Lorenzo Spurio 21 racconti custoditi gelosamente graffiano il foglio bianco mettendo a nudo le pieghe nascoste nei cassetti della mente raccontando fragilità, disagi, desideri silenziosi, godimenti nascosti, tutte componenti che fanno parte dell’essere umano. Entrando in punta di piedi in – un mondo – più o meno nascosto, qualche volta addirittura celato alla persona stessa, ma che esiste e spesso ha voglia di uscire e di agire.

Una penna ben appuntita quella di Lorenzo Spurio che sa muoversi con delicatezza fra le componenti meno nobile dell’animo umano, portandole alla luce con il coraggio di esternare turbamenti e comportamenti volutamente velati dal dubbio della anormalità. Pensieri e azioni uniti dallo stesso filo di fragile seta.

Lorenzo Spurio, col suo – L’opossum nell’armadio – non ci invita ad una lettura leggera, non si fanno voli di gabbiani in cieli azzurri sfiorando mari spumeggianti, piuttosto una riflessione alla buona conoscenza di tutte le sfaccettature della nostra mente proprio per averne un atteggiamento pronto a saper riconoscere i propri desideri, bisogni, fantasie inconfessabili, saper  gestire il tutto con ironia,  senza entrare nel vortice dell’angoscia, della disperazione, fronteggiando con la conoscenza, soluzioni, senza chiudersi in spaventosi silenzi per azioni a cui vanno mille interrogativi tardivi.  

La particolarità di una giornata, un odore, un mobile, la pioggia o il caldo afoso, potrebbero scatenare sensazioni imprevedibili e sconosciute, o dare una svolta positiva alla nostra vita, chissà…

SANDRA CARRESI

Lucia Bonanni su “L’opossum nell’armadio”, nuova silloge di racconti di L. Spurio

L’OPOSSUM NELL’ARMADIO 

PoetiKanten Edizioni (2015)

di Lorenzo Spurio

cover front opossum
“L’opossum nell’armadio” (2015) di Lorenzo Spurio

“Tutti abbiamo una vita interiore. Tutti sentiamo di far parte del mondo e nello stesso tempo di esserne esiliati. Bruciamo tutti nel fuoco delle nostre esistenze. Abbiamo bisogno di parole per esprimere ció che abbiamo dentro.” (P. Auster) e Spurio riesce a fissare ogni parola dei suoi racconti sulla pagina, in un miraggio, in un dubbio, in un grano di luce, nei cuori appassiti, nei silenzi del tempo, tra le spume del mare e negli sbuffi di vento per comunicare ciò che hanno dentro i personaggi delle sue scritture che altro non sono che lo specchio letterario di quelle persone in cui incontriamo noi stessi. Se ne “La cucina arancione” la dominante cromatica erano i due colori primari, il giallo e il rosso, mescolati insieme a formare l’arancione, in questa nuova fatica letteraria, “L’opossum nell’armadio”, la dominante cromatica è il bianco. Il bianco è dato dalla somma convenzionale di tutti i colori dell’iride, ma in esso tutti i colori scompaiono perché tale colore è un muro di silenzio, un non-suono, è la pausa tra una battuta e l’altra di un’esecuzione musicale che preclude ad altri suoni. Il bianco è uniforme e immobile, ma sa addolcire i dissidi di una vita difficile; resta pur sempre un topos pauroso, incognito, vuoto, indefinito, ambiguo, rifugio anche del proprio doppio mostruoso. Colore che spaventa gli artisti perché crea l’angoscia della pagina e della tela vuota, una superficie in attesa di un segno, di una parola, di un colore. I poeti futuristi usarono gli spazi bianchi in maniera forte e visiva per dare maggior rilievo alle analogie mentre per i poeti ermetici gli spazi bianchi rappresentavano pause lunghe, attesa, silenzio. Nelle arti visive il rapporto tra vuoti e pieni crea tensione e immaginazione, infatti l’uso del chiaroscuro é finalizzato ad inserire le figure nello spazio; in letteratura il vuoto coinvolge chi legge nella narrazione. L’ambiguità del colore bianco è annullamento, quiete, riposo dall’infelicitá e precorre le maggiori opere della letteratura fantastica per cui il contrasto che si nota in una certa letteratura “perturbante” non è il bianco opposto al nero, che è un non-colore, ma che fa risaltare qualsiasi colore, ma è il bianco opposto al rosso che è il colore del sangue, figure al contempo di contenuto e di significato, rintracciabili nelle opere di M. Shelley, B. Stoker, J. Verne, E. Melville. Nell’antichità classica la bellezza era Leukos e Omero ci dice che bianche erano le braccia di Nausicaa; ma candido è anche l’abito delle spose e quello dei comunicandi; di un bianco mortale sono gli spettri, il viso e la camicia dei condannati, le solitudini glaciali e il freddo, i denti del vampiro, la pelle della balena bianca, ed anche la dentatura dell’opossum che ha denti acuminati e taglienti. Chi ama il bianco tende al fatalismo, ma non per questo è privo di idee creative e sa andare oltre il visibile. Come ho già detto, a dominare il testo di Spurio è proprio il colore bianco, dalla copertina a quelle pagine interne che fanno da spartiacque tra un racconto e l’altro , fogli bianchi a creare suspance, pausa, attesa e dove la definizione scientifica del piccolo marsupiale, l’opossum, fa da contraltare e da nota introduttiva al titolo di ogni singolo racconto. Nella narrazione il bianco è per lo più alluso, evocato e soltanto poche volte nominato come nel caso della rosa bianca, delle particole dell’ostia, della velina dei confetti, delle foto in bianco e nero… La stessa copertina è uno spazio bianco, una distesa di ghiacciai millenari, le cime innevate, una maschera veneziana, il vestito di Pulcinella e il viso di Pierrot. È anche una pagina bianca, una tela bianca su cui sono caduti i segni grafici del titolo a significare una specie di archetipo dell’assoluto, lo spazio labile ed evanescente della mente su cui si è posato il tratto grafico di un armadio in stile antico, stilizzato nelle linee, ma angosciante per i rimandi di senso; un disegno preparatorio di un quadro più ampio, allusivo, ad indicare un ingresso verso l’ignoto, il vuoto, il niente, l’illusione e l’oblio che è la mente umana. Ma è anche un richiamo ineludibile alla lettura che essa offre e riesce a mediare. Il significato intrinseco delle diverse definizioni scientifiche dell’opossum si palesa solo a posteriori con epifanie intuitive, manifeste ad una seconda lettura veramente analitica, successiva ad un primo approccio che si appoggia alla globalità della narrazione. Ogni citazione trova posto in cima alla pagina un maniera da lasciare vuoto lo spazio bianco per creare attesa e dare modo al lettore di annotare le proprie impressioni e creare un sunto introduttivo delle caratteristiche di ciascun personaggio coinvolto nella storia e completamento del titolo stesso. Quelle che Spurio enuncia sono come proporzioni matematiche del tipo 36:9 = 24:x e in cui esiste sempre un’incognita da risolvere e ciascuna caratteristica del marsupiale si rivela non solo in linea col titolo del racconto, ma ambedue si annullano e si completano a vicenda in una circolarità temporale. Ed ecco allora che la coda prensile rimanda alla corda con cui il povero Saverio pone fine alla propria vita, è un animale che patisce la luce sta a comportamenti e fatti che non avvengono alla luce del sole e sono attuati da animi scuri, è un animale opportunista rimanda al cinismo del protagonista che da bravo giovane qual era, divine un approfittatore senza scrupoli. Ancor prima dei racconti Spurio colloca citazioni letterarie a lasciar presagire le tematiche del testo: “… non avrei potuto chiederlo a qualcun altro perché dopo tutto era sangue mio” e “Il manicomio è pieno di fiori, ma nessuno riesce a vederli” sono i periodi estrapolati dalle opere di J Laughlin e M. Tobino. Quindi sangue e mente, le due essenzialità dell’essere umano , quali argomenti introduttivi e “nervatura psicologica dei personaggi”; quindi il colore del sangue, il rosso, e quello della mente, il bianco, a delineare i contenuti di un testo che si configura come una sorta di diario, scritto non dall’autore, ma dagli stessi protagonisti-persone “apparentemente slegati fra loro, ma uniti da un senso esistenziale” all’interno di quel manicomio chiamato vita. “A volte cade un nome in questo spaventoso deserto, e ogni granello di sabbia fiorisce” (E, Canetti). “Recuperare le strutture di significato, il segno cifrato dell’angoscia e dell’invisibile e dell’oltre realtà che ci circonda”(E. Borgna) richiede di attenzionare gli orizzonti tematici di ombre, contraddizioni, antinomie, speranza, disperazione, possibilià, impossibilità, angosce. deliri, naufragi, trionfi.

Lorenzo Spurio

L’uomo inserito nei rapporti con la comunità diviene consapevole della sua persona, della propria coscienza e della propria intimità per cui la solitudine come scelta personale e come libertà di scelta nei confronti di certe situazioni, smorza il sopraggiungere del disagio e favorisce la riflessione. L’angoscia è corrosiva e spesso è la solitudine che innesca comportamenti devianti ed è sempre la solitudine come lontananza e separazione dagli altri a portare solitudine interiore in cui tutto si riflette in modi ambigui e abbaglianti da cui si liberano sofferenze acute e dolorose. Ma anche”solitudine di nascondimento e come difesa dalle angosce e dalle aggressività spietate e opache”(E.Borgna). “… fuggi nella tua solitudine! Io ti vedo assordato dalla fracasso dei grandi uomini e punzecchiato dal fracasso degli uomini piccoli” sono le parole di F. Nietzsche a dire la propria condizione. Nell’isolamento l’individuo fa esperienza di vuoto che tende a riempire con forme esistenziali effimere e prive di senso. “La solitudine e l’isolamento come metafore dell’ansia. Nella solitudine il tempo interiore scorre nella sua tensione di passato, presente e futuro, nell’isolamento si frantuma e passato, presente e futuro si rincorrono inutilmente”.(E.Borgna). “Sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: il presente del passato che è memoria, il presente del presente che è visione e il presente del futuro che è attesa” dice S. Agostino. Ma nel nelle vicende dell’esistenza e nel linguaggio delle cose, l’ansia, che fa parte della vita, può far emergere possibilità nascoste e nuove negli individui che presentano sintomi di tal genere anche perchè “la sensibilità e l’intelligenza sono molto più alte e questo accresce la sofferenza”(E.Borgna) e conducono ad uno Stimmung (stato d’animo) in cui “Quando tu fissi Medusa, è lei che fa di te quello specchio dove,trasformandoti in pietra, ella guarda la sua orribile faccia e riconosce se stessa nel doppio, nel fantasma che tu sei diventato dopo aver affrontato il tuo occhio”. (J.P. Vernaut). Nel testo di Spurio ci sono le tante persone “lontane dal rumore della terra e dal silenzio del cielo”(F. Pessoa), ci sono i vagabondi dell’anima, i reitti, i derelitti, ci sono quelle fasce sociali emarginate a cui non si dà spazio in un programma di aiuto e reinserimento nel tessuto etico-sociale. Si potrebbe anche eccepire, dicendo cosa ha che vedere il discorso sull’ansia, se quella che si nota nei racconti è una gamma di comportamenti per lo più dettata da veri e propri istinti. Però c’è da dire che l’istinto, che deriva dal verbo “eccitare”, è la spinta ad agire in un determinato modo, è un impulso, un’esigenza naturale senza l’intervento del ragionamento e che determina le conseguenti reazioni. “La contemplazione del tempo è la chiave della vita umana. È il mistero irriducibile sul quale nessuna scienza fa presa”(S.Weil) e sono “Le esperienze letterarie come quelle artistiche (che) ci fanno cogliere immagini diverse e radicali dell’ansia e dei modi di viverla… e le esperienze poetiche e narrative ci consentono di viverle come condivise e come vissute da altri in una circolarità che oltrepassa la distanza del tempo e dello spazio”(E.Borgna). “Nella casa tutto rimaneva fermo ai tempi andati (e) l’olio si guastò dentro quei silos di acciaio” (da racconto Livello –1). L’immobilità del tempo che si protrae nel piano sotterraneo, ovvero nel livello –1, in cui la famiglia aveva riposto sempre cianfrusaglie; la fissità del tempo del vecchio pentolame di rame che contrasta con oggetti della modernità; lo stereotipo del tempo che rende indifferenti al dramma interiore, vissuto da Saverio allorché è costretto a licenziare del personale; l’inesorabilità del tempo che esplode nella violenza delle immagini che Manolo è costretto a vedere; la crudeltà del tempo che innesca una certa insensibilità nell’animo di Mariuccia che “pianse qualche giorno, ma poi tutto tornò come prima; le fauci spalancate del tempo “in (quella) cantina (dove) i vetri infranti non vennero rimossi e nessuno vi si recò più”. “Quando la cattiveria trova validi alleati, allora si è spacciati” e Valentina si ritrova a dove subire tormenti e offese con momenti di esclusione e profonda solitudine perché “era bastato un attimo per catapultarla nel mondo infelice delle donne, manipolate dai vigliacchi inganni degli uomini”. Lei che mai aveva incespicato a causa di quella incoerenza emotiva che contraddistingue gli adolescenti; lei che si era persa a fare una cosa senza pensare e non aveva fatto molta resistenza a Renato, suo coetaneo, che altri non era,se non un “ingannatore seriale; lei che “era stata una conquista maledettamente facile” e adesso vedeva le sue foto sui cellulari degli altri compagni; lei che aveva provato grande vergogna, ma che poi era tornata a rinascere proprio come l’Araba Fenice. (dal racconto Un paio di scatti). ”… e col ricavato me ne andai con i miei amici a Forte dei Marmi. Non riuscii a bagnarmi in quell’acqua, sapendo che la diffusione della nonna ormai era completa e che abitava ogni parte dle pianeta”. In questo racconto, Dal fiume al mare, Spurio più che trattare il tema della morte, tratta quello della sepoltura; ne “La cucina arancione” lo fa con ironia e una punta di scetticismo, parlando dell’ibernazione, ma qui affronta quello della cremazione ed il protagonista pur non avendo verso di lei un affetto profondo per “una questione di intenti taciuti, di messaggi empatici, (per) un sapersi guardare negli occhi e accettarsi per come siamo” si costruisce come persona che dimostra pietà e compassione per la nonna defunta e si distingue per “un qualcosa di indignato” verso le cugine che per mancata accortezza fanno scivolare l’urna e spargere la cenere sui tappetini dell’auto. (dal racconto Dal fiume al mare).

La definizione dello yapok acquatico richiama l’acqua, sia essa di fiume che di mare; l’uno come metafora della vita che scorre e l’altro come simbolo della vita nel suo ritmo immutabile, ma anche di nutrimento, di maternità, di misteriosità dell’animo e desiderio di entrare in contatto con le proprie emozioni. “ Di là del finestrino sfilava un mare scuro e fisso, difficile da comprendere del tutto. Alla mente non affioravano ricordi e quell’acqua oleosa sembrava pretendere alla mia coscienza una condanna spaventosa: l’annegamento”. Studente in medicina, il protagonista del racconto Due o nessuna, si impegna in ogni modo a trovare un rimedio efficace per il “riavvio del sistema cognitivo” della propria madre che ha perso la memoria, “nostra coscienza e nostra ragione”, e poi, preso dallo sconforto, la asfissia col gas, tenta egli stesso il suicidio e alla fine, pur non ricordando più nulla, cerca di “far capire al mondo che (mia) sua madre era già morta da tempo e che (io) lui non (sono) è un assassino” “ Mi ero ribellato. Qualcosa dentro di me aveva deciso di mettere fine alle caricature del mio compleanno.” E il ragazzo di buona famiglia, dalla reputazione immacolata, si defila, cerca degli escamotage per negarsi ai parenti, diviene insofferente, se ne va a vivere per conto suo e proprio mentre girovaga alla ricerca della “calma interiore” si scopre “quale animale opportunista” verso le “seducenti professioniste del lavoro più antico del mondo” mentre egli stesso le ricompensava adeguatamente. Così, per propria convenienza, convince la ragazza a “continuare il suo lavoro” cosa che a lei “sembrò una buona idea” senza minimamente pensare che “aveva solo cambiato città e padrone” mentre lui, l’uomo dabbene, lascia gli studi universitari, si trova un lavoretto e passa le ore a casa a sorseggiare birra, “visto che il buon stipendio di Klara consente (loro) di vivere agiatamente”. (da L’ultimo compleanno). “A sedici anni aveva già letto più di quaranta romanzi e non sapeva chi fosse sua madre”. La sua era una vita monotona, triste, solitaria, talmente immutabile e vuota che un giorno che arrivò persino ad immaginare che dietro al bancone del bar a servire la Coca Cola non ci fosse una vecchia arcigna, ma Luana, la bella ragazza, con la quale poteva parlare e confidarsi. Certo quella era soltanto una visione “smelancolata” come le circonferenze che cercava di tracciare a mano libera e “Le due valigie”, lasciate in eredità dalla nonna in cui si aspettava di trovare una cospicuo vitalizio che permettesse a lui e al padre di condurre una vita più rilassata. Continuò comunque gli studi e all’università non scoprì “una legge sulle circonferenze smelangolate”, ma dalla letteratura imparò molto di più. La vita è ciò che immaginiamo in essa”, dice F. Pessoa, e Spurio non dimentica di trattare l’inquietudine e il disagio in modo partecipe e accessibile per veicolare temi e contenuti quantomai attuali e lo fa con grande maestria senza mai perdere di vista il piglio felice della propria scrittura. All’interno dei dialoghi narrativi di questa silloge, “dal taglio leggermente più intimista”, non ci sono i vari Franknstein, i Dracula, le Moby Dick, le ballate dei vecchi marinai, gli spettri luminosi e neppure il gusto per l’orrido, ma tali stralci di contenuto appaiono sotto forma di ansia, solitudine, abbandono, pazzia, indifferenza, distanza, cattiveria, cinismo, violenza di genere, erotismo, sfruttamento, atti di carattere che sfociano in equilibri fugaci, tradimenti, pedofilia, suicidio, disagio giovanile, vulnerabilità, isolamento e conflitto interiore. Attraverso la connaturata sensibilità e l’attenzione alle problematiche sociali, l’autore delinea un quadro autentico del dinamismo sociale, vero nella stesura dei contenuti che talvolta possono fornire motivo di sconcerto, ma che alla fine si rivelano sempre discreti nella forma didascalica per profonda riflessione in un progetto che non è soltanto narrativo, ma anche scientifico. E non manca nelle parole di Spurio l’attenzione all’ambiente, alle città, ai luoghi, all’ecologia, ai danni ambientali, ai disastri, alle marginalità ed egli ne scrive in maniera sobria, discreta, velata, quasi accennata. Nel racconto “L’ultimo compleanno”, fa muovere i suoi personaggi in una città, associata all’immaginario collettivo per il sisma avvenuto nel corso dell’anno 2009: L’Aquila. L’autore vi richiama l’attenzione per dire che, sì, gli eventi che l’anno investita, sono stati assai disastrosi, ma che ancor più disastroso è stato il terremoto burocratico che non ne ha permesso una vera e propria ricostruzione in un “paese di pozzi, dove sempre si beve l’acqua con la paura che sia avvelenata”(da F.G. Lorca a pag. 93 del testo), “Eppure (ognuno come) l’erica resiste, rimane attaccato alla (propria) terra, sempre e comunque) (dal film Cime tempestose a pag. 45 del testo).

Onorata di questa ulteriore lettura, per richiamare ancora una volta il bianco nella simbologia della neve e in quella del mare e rendere omaggio all’autore per questo nuovo lavoro, “L’oppossum nell’armadio”, testo di grande valore scientifico, letterario e umano, termino con i versi di due poeti del ‘900, suoi conterranei: Paolo Volponi e Franco Scataglini:

Sono scesi i passeri a branchi/dai calanchi di neve;/si sono posati tutti insieme/sulle peste davanti a casa/come se la tua veste/tenessero per gli orli,/sfrenati nel volo/quasi per una pena nel cuore”.

Le case sopra un lembo/de scoio, i pini a vento;/ansava il mare,/ el grembo de l’aria in movimento”.

Ad maiora

LUCIA BONANNI

 

San Piero a Sieve 3 febbraio 2015

“L’opossum nell’armadio”, la nuova raccolta di racconti di Lorenzo Spurio

Titolo: L’opossum nell’armadio

Autore: Lorenzo Spurio

Prefazione: Marzia Carocci

Postfazione: Susanna Polimanti

Casa Editrice: PoetiKanten Edizione

Collana: Narrativa – Orsa Maggiore

ISBN: 9788894038835

Anno: 2015

Pagine: 200

Costo: 10 €

  

cover front opossumSinossi del volume:  Nella società odierna sono insite una serie di contraddizioni che in alcuni casi portano a episodi di sopraffazione e all’instaurazione di logiche personalistiche o sociali che vanno contro quello che può essere definito il buonsenso, che non è altro che la base del vivere civile. In uno scenario che non vuole avere la pretesa di essere solo immagine riflessa di quanto accade intorno a noi e di quanto sentiamo dalla cronaca, Spurio indaga una serie di atteggiamenti in cui l’uomo sembra esser messo di fronte a delle decisioni da prendere. Non sempre opterà per quella apparentemente più intuibili, più spesso leggendo L’opossum nell’armadio, il lettore potrebbe trovarsi spiazzato (un po’ come era accaduto, ma in un modo meno grottesco della precedente raccolta di racconti La cucina arancione), tanto da condurlo a chiedersi il perché di certe scelte, di alcuni atteggiamenti che sembrano essere frutto di un raptus, di una mancata comprensione della realtà e delle dinamiche che coinvolgono l’uomo.

La normalità è bandita dalle storie di Spurio, ma non rasentano mai il paradosso o l’inverosimile; l’autore indaga come il comportamento più ovvio in una data circostanza in realtà finisce per essere quello meno convenzionale e facilmente concepibile, facendo luce sui misteri e le increspature della psiche.

C’è spazio per storie che si realizzano a partire da un universo familiare disgregatosi a causa dell’incompatibilità caratteriale (l’adulterio, la solitudine) sia per ragioni più chiaramente legate a un difficile stato di salute; attitudini anomale che si configurano quali forme asintomatiche di follia in personaggi apparentemente sani e dei quali ci fidavamo in maniera incontrastata che, colti dalle loro turbe nervose o psicotiche, finiscono per rendersi complici di reati, scatenare la loro carica di violenza a seguito di casi di cyber bullismo o dileguarsi in ambigui tentativi di fuga dallo stagnante e infantilistico clima familiare.

Ogni racconto è un piccolo mondo a sé o, meglio, una sfaccettatura singola del complesso multiforme della realtà, vagliato da un occhio curioso, attento, che sa osservare e intuire di più del semplice che vede.

 

Per info/acquisto del volume:

poetikantenedizioni@gmail.com

lorenzo.spurio@alice.it

LEONARDO SCIASCIA – Cronista di Scomode Realtà

L’antologia Stile Euterpe vol. 1 “Leonardo Sciascia, cronista di scomode realtà” è stata pubblicata!

Avatar di S. A. M. MazzottiS. A. M. MAZZOTTI

STILE EUTERPE VOL. 1 – LEONARDO SCIASCIA 

Finalmente mi sono giunte a casa le copie del volume dove ho avuto l’onore di essere inserito con un mio racconto, ispirato ai racconti “Gli Zii di Sicilia” del Giornalista Leonardo Sciascia.  Il Libro è provvisto anche di un Qcode, che vi riporto qui sotto. Il Volume costa 10€ Comprende 12 Poesie, 9 Racconti, 3 Saggi per 122 Pagine, ISBN 9788894038859
P1390537  P1390541  P1390538“Seguendo lo stile della rivista Euterpe, è nata l’idea di un volume che riunisse tutte le forme di letteratura: la poesia, il racconto e il saggio, ispirate dall’attività, dalle opere e dalla vita dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia. Il 1989, anno della morte dello scrittore, sancisce il declino di una letteratura narrativa urlante contro il malaffare, che aveva contribuito a far implodere in questo modo un vado di Pandora pieno di omertà.
La redazione della rivista ha voluto ridare voce a…

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