N.E. 02/2024 – “Preghiera”, poesia di Marina Minet

Prima che sia giorno devo finire una preghiera
pesare le parole una per una e darle in mano a Dio
come richiesta altissima

Devo finirla senza nessuna boria
con tutta l’umiltà che posso offrire
limandola in bellezza come un salmo
perché sia già un ascolto

Forse devo includere il mio amore, chi è solo, i viaggi dei bambini
chi ha steso i panni al buio e non potrà tornare presto a casa
perché l’amore è un’arte che sa spartire il tempo
curando in ogni cosa il suo valore

Difficile è comporla e farci entrare tutti
senza trascurare chi ha bisogno
difficile ignorare quel perdono
per chi dopo la guerra ha colto un fiore
pensando di curarlo anche domani
difficile è dirla di nascosto

sapere che il silenzio è della croce

*

Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Una preghiera al vento”, poesia di Michela Zanarella

Dura il tempo di un silenzio

una preghiera al vento

a riconoscere lo spirito delle cose

la salvezza è perdonare

il male del mondo

poi c’è la vita condivisa

tra gli agguati del buio

e quello che i bambini ancora sanno fare

stupirsi del volo degli aerei

come un segno sacro

credere che esista un profondo in ogni anima

anche dove la luce diserta.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Preghiera”, poesia di Marina Minet

Prima che sia giorno devo finire una preghiera
pesare le parole una per una e darle in mano a Dio
come richiesta altissima

Devo finirla senza nessuna boria
con tutta l’umiltà che posso offrire
limandola in bellezza come un salmo
perché sia già un ascolto

Forse devo includere il mio amore, chi è solo, i viaggi dei bambini
chi ha steso i panni al buio e non potrà tornare presto a casa
perché l’amore è un’arte che sa spartire il tempo
curando in ogni cosa il suo valore

Difficile è comporla e farci entrare tutti
senza trascurare chi ha bisogno
difficile ignorare quel perdono
per chi dopo la guerra ha colto un fiore
pensando di curarlo anche domani
difficile è dirla di nascosto

sapere che il silenzio è della croce


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Preghiera”, poesia di Antonietta Siviero

Divelta di Abramo la tenda,

di Esaù le lenticchie, ora,

son bombe a grappolo e fosforo bianco,

di piombo le lacrime sul muro del pianto.

SIGNORE, afflato d’amore,

fa che ogni ribelle diventi fratello,

ridonaci il canto e la speranza,

la dolcezza del bacio rubato,

facci riscoprire il calore dell’abbraccio che

le anime rinsalda,

l’incanto di una notte stellata

con occhi nuovi guardata,

la tenerezza di mani intrecciate

nel mare della vita.

E TU, MARIA, dell’ALTISSIMO

FIGLIA, SPOSA e MADRE,

TU VERGINE, peregrina tra ulivi e spade,

TU, in fuga nel deserto in cerca di riparo e salvezza,

ascolta il lamento che più alto

delle bombe al cielo si leva,

la preghiera di figli viandanti in cerca di pace.

MADRE, che della CROCE il dolore hai vissuto,

delle croci di guerre raccogli le schegge che

le ossa han trafitto,

TU, nuova Arca dell’Alleanza,

sull’altare sacrificale a GESÙ CROCIFISSO, offrile,

in frammenti iridati, tramutali,

nel preziosissimo tabernacolo del

TUO cuore, serrale,

in CORPO di CRISTO, trasformale.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Poesia e spiritualità: la ricerca interiore tra fede e laicità”, saggio di Maria Grazia Ferraris

….Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura….

(Giacomo Leopardi)

Cercando  le definizioni di “spiritualità” nei dizionari  ci si trova immersi in affermazioni nebulose, ripetitive, generiche che concordano solo nell’eliminazione degli aggettivi  qualificativi, quali – interiore, religiosa, cattolica, laica, naturale, orientale… – e insistono sul tema della ricerca  interiore, introspettiva, presente e costante  in ogni essere umano, a prescindere dalla sua cultura, dalla sua confessione religiosa, dal suo “status” di persona e di valori, tensioni e aspirazioni, che fanno a meno  dal credere nel “Trascendente”. Si ipotizza una ricerca individuale, attingendo all’esperienza, ma anche al patrimonio di conoscenze e sapienza della società nella quale viviamo.

La spiritualità si caratterizza allora attraverso la valorizzazione del quotidiano perché nulla di quanto si vive è ‘profano’: cambia invece la condizione vitale che differenziandosi determina modalità diverse nel vivere la vita. Questa dimensione interpretativa è strettamente unita alla poesia e alle sue manifestazioni.

La spiritualità della poesia si innesta nella spiritualità del singolo e della sua vita, è ricerca che ha come fine la realizzazione di se stesso, o l’autocompimento esistenziale, la maturazione dell’esistenza, nel dialogo con gli altri e all’incontro con la dimensione religiosa, metafisica.

La filosofia del Novecento, ha rivalutato la funzione della letteratura e quindi della poesia anche ai fini del pensiero, di una riflessione radicata sulla verità e le sue ragioni.

L’affinità tra linguaggio religioso-spirituale e linguaggio poetico si rivela nel loro dimorare nelle profondità dell’esperienza umana, rasentando i confini del dicibile. La poesia restituisce, con assoluta evidenza, la complessità della vicenda umana alla ricerca dell’anima, del divino, in virtù di uno sguardo orientato oltre la successione del tempo e del visibile; uno sguardo che attraversa il silenzio, per attingere alla fonte della vita della parola.

Moltissimi i poeti che si sono espressi e confrontati sul tema. La spiritualità è il contatto con la propria umanità. La parola poetica riesce a toccare il nocciolo della verità ed è proprio questa sua capacità unica, senza eguali, che trasforma l’arte in una forma di umanesimo spirituale e, attraverso le parole, ci mostra il vero volto spoglio, duraturo e nitido delle cose. La poesia è la vera “lampada d’oro” che illumina il cammino di molti lettori che si accostano al canto di sirene delle parole. Per alcuni Autori che hanno fatto la scelta di coincidenza di spiritualità con fede religiosa, la poesia trova la sua strada maestra. È il caso di David Maria Turoldo.

La ricerca inquieta di Dio, Tenebra luminosa, l’invito alla preghiera, la natura, sono riflesso di Lui. Questi temi si intersecano nella sua poesia in un suo costume espressivo costituzionalmente severo, essenziale, garante dei valori di fondo di matrice evangelica e garantiti in qualche modo in un Friuli dalla civiltà contadina in condizioni di necessità più che di libertà. Una preghiera la sua che è un soliloquio, ma anche un dialogo col cielo. I luoghi, le persone (casa, paese, fiume, la terra, la vigna…) acquistano “il di più” di significato e valore da superare, la funzionalità contingente: “che io possa ancora vedere / il sole che sorge / una nuvola d’oro, / Espero che riluce la sera / in un limpido cielo.” È sempre sottinteso il fondo storico-sociale nella sua arpa, ma come larga cornice, di sapore biblico, come possiamo constatare in Preghiera: “…salutare il giorno/ e dare speranza agli umili / e dire insieme la preghiera….”, pur consapevole che la poesia, oltre che preghiera, vuol essere  invito gioioso al canto:

Svegliati, mia arpa,

che voglio destare l’aurora:

cantare i silenzi dell’alba

chiamare le genti sulle porte,

e salutare il giorno:

e dare speranza agli umili

e dire insieme la preghiera

del pane che basti per oggi:

allora anche i poveri ne avranno d’avanzo.

Amen.

(Poesia “Preghiera”)

Oppure il caso di Clemente Rebora, in Frammenti lirici, che Silvio Ramat definiva poesia “metafisica”, come se l’io fosse in attesa di una rivelazione vaga e indefinita, eppure aperta nel mondo religioso, nell’ora “divina” che prima o poi giungerà confortante: -spazio e tempo sospeso-, come se l’universo si fosse fermato improvvisamente e in tale condizione rivelasse il suo profondo essere permettendo di comprendere appieno il suo esistere. Allora, con l’inno alla vita, che si esprime sotto forma di inquieto fremente monologo, si scoprirà la malia del vivere, la profusione del sentimento che annulla il fastidio ripetitivo del giorno qualunque, sconfinando attraverso i palpiti fecondi nella vita profonda dell’universo:

Divina l’ora quando per le membra

Lene va il sangue, e vivere è malìa:

Nel vero effusa la persona sembra

Luce nell’aria; e ignora come sia.

Da fonti aperte nasce il sentimento

Che d’ogni cosa fa ruscello, e intorno

D’amorosa bontà freme anche il lento

Fastidio ch’erra nell’usato giorno.

Onde sconfina l’attimo irraggiato

Nel vasto palpitar che lo feconda,

E scopre il senso intenso in ciascun lato

dell’universo una vita profonda.

(Dalla poesia “Divina l’ora quando per le membra”)

La spiritualità laica o naturale che dir si voglia, attraversa il quotidiano, i nostri dubbi e limiti, come per Franco Loi in questa poesia carica di disincanto:

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,

forse memoria siamo, un soffio d’aria,

ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,

forse il ricordo d’una qualche vita perduta,

un tuono che da lontano ci richiama,

la forma che sarà di altra progenie…

Ma come facciamo pietà, quanto dolore,

e quanta vita se la porta il vento!

Andiamo senza sapere, cantando gli inni,

e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.

(Da Liber, 1988)

Loi medita sull’essere poeta oggi, sulle sue ambiguità e contraddizioni, sull’estraneità della poesia allo svagato mondo contemporaneo, sull’incertezza ed inquietudine che ne genera, coinvolgendoci nella malinconia del vivere.

Interessante ed originale l’itinerario compiuto dalle poetesse. Prima in assoluto mi sembra la poesia di Emily Dickinson, che ha un’anima grande, immensa, mai definibile una volta per tutte, perché rompe la quotidianità, le cornici, i quadri storici di riferimento che ogni critico si impegna a trovarle, inutilmente.  Sa immaginare la vita e la sua gioia, ma anche rasentare, frequentare l’assoluto, la “finita infinità”: il sovrumano, il divino, sa volare umilmente attenta nel suo giardino quotidiano, ma anche volare alto, più di un metafisico, sa vedere con occhi liberi: l’amore è assoluto, come la morte, come la poesia, “estatica nazione”.  Il quotidiano la sfiora, ma non la cattura, non l’impiglia, non la isola, non l’avvilisce. Lei sa uscire dalle sue strette, sa volare.

Non accostarti troppo alla dimora di una rosa:

se una brezza le preda

o rugiada le inonda

cadono con timore le sue mura.

E non voler legare la farfalla,

o scalare le sbarre dell’estasi:

garanzia della gioia

è il suo rischio perenne.

(c.1878)

E ancora: in se stessi bisogna cercare, camminare, scavare, unendo cuore e mente in un unico continente, inseguendo la bellezza, che “non ha causa”:

La bellezza non ha causa:/esiste.

Inseguila e sparisce.

Non inseguirla e appare.

Sai afferrare le crespe

Del prato quando il vento

Vi avvolge le sue dita?

Iddio provvederà

perché non ti riesca.

(c.186)

E conclude – le parole al minimo, lasciare parlare gli spazi bianchi – una lotta impari e improba ingaggiata con la forza della disperazione nei confronti della ultrapotente “parola”:

‘Ha una sua solitudine lo spazio

 solitudine il mare

e solitudine la morte- eppure

tutte queste son folla

in confronto a quel punto più profondo,

segretezza polare

che è un’anima al cospetto di se stessa –infinità finita 

Finita infinità.’

(c. 1695).

La più vicina al suo sentire mi sembra essere in Italia la poetessa milanese Antonia Pozzi, di cui ora è nota sia la storia umana che spirituale, rimanendo valido quello che di lei scriveva  la grande filologa Maria Corti: “Il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi”. Una vita brevissima, suicida a soli ventisei anni, ricca di interessi culturali, di incontri e di passioni contrastate, insopportabili nelle loro contraddizioni. Nel suo canzoniere, pubblicato postumo, vi è una continua ricerca dell’autenticità dell’esistenza nelle parole, e le parole della Pozzi, come ha scritto Montale, «sono asciutte e dure come i sassi», ridotte al «minimo di peso».

Tristezza di queste mie mani

troppo pesanti

per non aprire piaghe,

troppo leggere

per lasciare un’impronta.-

tristezza di questa mia bocca

che dice le stesse

parole tue

altre cose intendendo-

e questo è il modo

della più disperata

lontananza.

(PoesiaSfiducia”)

Eppure rimane il senso e il valore della ricerca, dell’approdo, la speranza di una risposta leggera e alla fine liberante:

[…] Ma giungerà una sera

a queste rive

l’anima liberata:

senza piegare i giunchi

senza muovere l’acqua o l’aria

salperà – con le case

dell’isola lontana,

per un’alta scogliera

di stelle – 

In Italia Alda Merini scrive poesie, specie religiose, che nascono dall’insistenza dolorosa e sincera sul tema dell’impossibilità per tutti di salvarsi dalle angosce…: “Quando l’angoscia spande il suo colore / dentro l’anima buia / come una pennellata di vendetta…”. L’angoscia è il senso refrattario di ciò che a noi è dovuto per diritto di vita. L’angoscia non nasce solo dalle frustrazioni che stimolano l’Es a procedere sul versante opposto a quello della follia. Il dualismo follia-ratio è un salto di qualità che viene molto spesso annullato dall’ambiente in cui si vive.… nel mio caso la poesia mi ha salvato la vita. Fatta a tentoni, fra mille burrasche e dimenticata da tutti… L’anima ha mille sentieri e soprattutto mille tentazioni nascoste. Se l’anima è franca, se ha conosciuto il valore e il peso della morte, conosce le radici della vita e sa che sono amare ma salutari. Non esiste una medicina né per l’anima né per il dolore, perché se il dolore è una vetta che sorge improvvisamente nel cuore, la morte cerca di renderlo eterno e di farne un languore umano. Ma la morte non è una nemica, è soltanto un grande filantropo che ama gli uomini e un grande filologo che conosce la natura delle parole. Ciò che vale nell’anima è la nudità…. L’anima ha la semplicità dell’acqua ed è la prima natura dell’uomo…”.

La raccolta Tu sei Pietro è del 1961. Nella chiusa della lirica Rinnovate ho per te, di questa raccolta, appare una straordinaria affermazione autobiografica: “Ché cristiana son io ma non ricordo/ dove e quando finì dentro il mio cuore/ tutto quel paganesimo ch’io vivo”. Nel 2002 ha pubblicato Magnificat da Frassinelli. Toccante e sincero il suo miserere:

Miserere di me,/ che sono caduta a terra/come una pietra di sogno.

Miserere di me, Signore,/ che sono un grumo di lacrime.

Miserere di me,/ che sono la tua pietà.

Mio figlio/ Grande quanto il cielo.

Mio figlio,/ che non è più vivo.

Miserere di me,/ o universo,

egli era la punta di uno spillo/l’ago supremo della mia paura.

Miserere di me/ Che sono morta con lui.

Miserere della mia grandezza,/miserere della mia stanchezza,

miserere della misericordia di Dio.

Ma il tema religioso non è mai frutto si sublimazione definitiva. Si sente infatti come “una piccola ape furibonda”, “una donna non addomesticabile”, costretta a dire la verità, pur essendo “piena di bugie”.

L’angoscia è di una puntualità incredibile: ha fatto un corso accelerato di storia e ti ripete sempre le stesse cose, non ha la minima fantasia. E se tu chiedi all’angoscia: Dov’è tuo fratello? L’angoscia ti risponde puntualmente: sono io il custode di mio fratello. E finalmente, dopo queste parole auliche, tu entri profondamente nella Bibbia e scrivi il Magnificat.”

Tra le poetesse contemporanee riserverei un posto privilegiato a Louise Glück, premio Nobel per la letteratura 2020. È straordinaria per la sua originalità poetica la raccolta che l’ha resa famosa anche in Italia: L’Iris selvatico, un libro complesso e denso che è un dialogo tra i fiori del giardino, il giardiniere e Dio. La Glück non è particolarmente credente, ma sa trasformare il  vissuto soggettivo in una ‘metafisica del quotidiano’, come in questa straordinaria dolorante severa e spoglia preghiera-confessione:

Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo

esiliati dal cielo, creasti

una replica, un luogo in un certo senso

diverso dal cielo, essendo

pensato per dare una lezione: altrimenti

uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza

senza alternativa… Solo che

non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,

ci esaurimmo a vicenda. Seguirono

anni di oscurità; facemmo a turno

a lavorare il giardino, le prime lacrime

ci riempivano gli occhi quando la terra

si appannò di petali, qui

rosso scuro, là color carne…

Non pensavamo mai a te

che stavamo imparando a venerare.

Sapevamo solo che non era natura umana amare

solo ciò che restituisce amore.

(Poesia “Mattutino”)


Bibliografia

Dickinson Emily, Poesie di E. Dickinson, traduzione e note di M.  Guidacci, BUR, 1996

Dickinson Emily, Tutte le poesie, “I Meridiani”, Mondadori, Milano, 1997

Glück Louise, L’iris selvatico, traduzione di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, 2020

Glück Louise, Ricette per l’inverno dal collettivo, traduzione di M. Bacigalupo, Il Saggiatore, 2022

Loi Franco, Liber, Garzanti, 1988

Loi Franco, Poesie scelte e breve nota bibliografica, a cura di Nelvia Di Monte, 2021

Merini Alda, Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, a cura di Ambrogio Borsani, Mondadori, 2009

Merini Alda, Magnificat. Un incontro con Maria, Ed. Sperling & Kupfer

Merini Alda, Tu sei Pietro, All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano, 1962

Pozzi Antonia, Parole. Tutte le poesie, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Milano 2015

Pozzi Antonia, Poesia che mi guardi. La più ampia raccolta di poesie finora pubblicata e altri scritti, a cura di G. Bernabò e O. Dino, con approfondimenti critici, Luca Sossella Editore, Bologna 2010

Rebora Clemente, Frammenti lirici, 1913

Rebora Clemente, Frammenti lirici, a cura di G. Mussini, Interlinea, 2008

Turoldo David Maria, Dialogo tra cielo e terra, a cura di E. Gandolfi Negrini, Piemme, 2000

Turoldo David Maria, Diario dell’anima, San Paolo, 2003.

Turoldo David Maria, Il dramma è Dio: il divino la fede la poesia, Milano, BUR, 2002

Turoldo David Maria, Nel lucido buio. Ultimi versi e prose liriche, Milano, 2002



Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Io resto in ascolto di te”, poesia di Tina Ferreri Tiberio

Mi perdo nell’incanto del ruscello,

nel frinire baldanzoso delle cicale,

nel ronzio sordo e vibrante delle vespe.


Sei stato fronda di quercia

traboccante amore e desiderio.

Sei stato linfa turbinosa e balenante.


Ti ho amato nel bagliore dell’aurora

nel brivido serpeggiante dell’istante,

ti ho amato nel bisbiglio

peregrino e disarticolato.


Io resto in ascolto di te,

 dei complici abbracci inebrianti,

   e dei sogni

 nelle notti sfrontate e solitarie.


Infine mi perdo nell’amenità

del mattino, nell’umbratile mistero

del mondo e nella luce sbiadita

 del tramonto.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Poesia e pace?”, articolo di Enrica Santoni

In questo momento di morte e guerre, nasce spontaneo chiedersi se possa bastare una poesia per salvare il mondo. Poesia come preghiera profonda, pianto intenso, ma anche inno alla vita. Siamo ormai consapevoli del fatto che le armi non potranno mai risolvere i problemi dell’umanità e che tutto si ripeterà recidivamente, come un rituale. Ma se le bombe, gli spari, i cannoni, il sangue, non possono salvarci, potrà forse farlo la preghiera?

Già sembra di intravedere un sorriso di scetticismo in coloro che leggeranno questa domanda. Tuttavia, tentare un nuovo percorso verso la pace, è necessario e urgente. Una sola piccola poesia, come preghiera umana, al di là di ogni credo religioso e filosofico, in nome dell’Uomo, della Vita, della Speranza, potrebbe trasformarsi in un seme fertile che potrebbe sbocciare dopo essere stato coltivato e curato con amore e attenzione. Come un canto antico che affiora dai pori della nostra pelle, dal nostro DNA sopravvissuto per milioni di anni ad ogni ostilità nei confronti della nostra evoluzione. È un enigma cercare di comprendere perché l’Uomo voglia trovare la pace attraverso la guerra, la vita attraverso la morte, l’amore attraverso l’odio. È un mistero nascosto nel profondo dell’ego umano, nella parte “bestiale” che caratterizza l’uomo, quella più oscura e terribile, che si sarebbe dovuta smussare attraverso lo sviluppo dell’anima unita all’intelligenza, soprattutto sociale, che contraddistingue la razza umana da quella animale e dai suoi istinti spesso crudeli.

È quindi il momento di rivalutare la preghiera. Non quella da filastrocche infantili ma quella che nasce da un sentito profondo, che punta a catturare l’essenza più spirituale e pura che ancora si annida dentro gli esseri umani e che non trova più il passaggio per fuoriuscire, alla luce, verso il prossimo.

Ci siamo riempiti di beni materiali e anche di nozioni intellettuali, di conoscenza fine a se stessa, ma abbiamo tralasciato il cuore, la sacralità anche delle nostre debolezze e delle nostre paure, della nostra capacità di commuoverci, di stupirci di fronte all’alba e al tramonto, che non sono mai gli stessi. Si è arrivati a scambiare la spiritualità per debolezza, per inutilità, per nullità, poiché non sembra portare profitti. Di conseguenza, la preghiera, l’inno alla bellezza umana e divina, hanno perso forza e sembrano spesso essere fonti di imbarazzo e incapacità. Si è giunti ad una sorta di capolinea per l’umanità. È assolutamente necessario trovare nuove direzioni e nuove motivazioni per la felicità, la pace e la convivenza sulla terra. Perché (tornare ad) essere idealisti e romantici e tentare di salvare noi stessi con la poesia, l’implorare la vita, l’amore, il nostro credo, la natura, il nostro essere più profondo?

Le prime forme di comunicazione linguistica dei nostri antenati erano simili a suoni cantati, liriche primordiali. Erano armonia e bellezza, andate perse con il materializzarsi della vita umana sulla terra, quando si ha iniziato a lottare per sopravvivere, per poi volere accumulare potere e ricchezze. Perché non tornare all’età dell’innocenza, come fossimo ancora bambini, incontaminati dalle negatività che ci circondano? Ci siamo riempiti del nulla svuotandoci. Perché non riprovare ripartendo dal poco per raggiungere una completezza e realizzazione con la semplicità e la sincerità? Basterebbe una poesia? Un canto? Un inno?

Il ritorno all’umiltà, in primis, ci potrebbe veramente salvare; questa enorme parola “umiltà”. Bisogna avere tanto coraggio ad essere umili. E la poesia è umiltà perché ci denuda di fronte al mondo e ci dona il coraggio di essere nuovamente ed autenticamente “uomini”.


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N.E. 02/2024 – “Misericordia”, poesia di Emanuela Mannino

Misericordia di te, Dio nostro

che hai fondato l’Eterno dubbio

del vivere la vita la morte

l’amara sorte

d’amore e morte.


Misericordia dell’acqua deserta

nelle valli solcate dai passi volti

sotto ai cieli rotti di cielo

sopra ai fiumi incatenati

ai requiem del sacro perdono.


Misericordia del vento silenzio

tra i cartigli della tempesta.


Misericordia,

di mare promesso

alle carovane delle onde

senza finestre di terre

lontane.


Misericordia, di mia misericordia,

dove la carne fa l’uomo tutto

ed il sogno lo Spirito

frutto.


Misericordia, di te, Poeta

dimora sdrucita di versi

nel buio sempreverde di luce.


Dieci preghiere senza catena

un’ave Vita infinita

Vita comunque, Vita.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

Ricordando Raul Lunardi (1905-2004), autore di “Preghiera del centenario”. Articolo di Stefano Bardi

Articolo di Stefano Bardi (*)

Questo breve articolo è volto a ricordare il poeta, scrittore, giornalista e insegnanteRaul Lunardi(1905-2004), cittadino illustre del comune di Sassoferrato, vicino a Fabriano. Un intellettuale di cui oggi si rammenta per lo più l’attività di scrittore con opere quali “Diario di un soldato semplice” (1952) e “Un eroe qualunque” (2000). Intensa fu, però, anche la sua attività poetica, oggi raccolta in un volume che la compendia in forma generale. La critica poco si è espressa su tale intellettuale, se si eccettuano interventi di Carlo Bo e di Teresa Ferri.

Per praticità e per una più organica presentazione della sua opera poetica, dividerò la sua produzione in due diverse fasi. Nella prima troviamo poesie che vanno dal 1920 al 1983, raccolte in “Poesie 1923-1983” (1998) e quelle dalla seconda metà degli anni ’80 al Duemila in “Preghiera del centenario: poesie” (2003).  Numerosi sono i temi da lui affrontati nelle due raccolte . Un primo tema riguarda la Politica, intesa da Lunardi come creatura dalle mani sporche di sangue e di letame, con le quali i suoi funzionari non fanno altro che denigrare la società degli Uomini, sottomettere la razza umana e trasformare lo Stato nella loro casa: un Inferno. Un secondo tema riguarda i versi poetici che sono intesi dal poeta come i flussi sanguigni, poiché come quest’ultimi, anche i versi lirici sono strutture linguistico-grammaticali frenetiche, palpitanti e meditative. C’è anche il tema della terra, della sua regione, delle Marche autentiche, da lui considerate come una Regione elisiaca, dall’eterna giovinezza, dalla viva campagna e dalle reminiscenziali primavere. All’interno di tale realtà c’è un vivido omaggio alle grotte di Frasassi, concepite dal  poeta come un Eden mistico dal quale Adamo ed Eva diedero inizio alla vita.

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Il poeta marchigiano Raul Lunardi (1905-2004)

“Preghiera del centenario” (2003) è un’opera che l’autore ha volutamente costruito come una moderna “Divina Commedia” dantesca; anche la sua opera è divisa in tre gironi: “Poesie al Neutrone” (configurabili col dantesco Inferno), “Dolce Colore D’Oriental Zaffiro” (configurabili col Purgatorio) e “Dalle Stalle alle Stelle” (configurabili col Paradiso).

Un girone infernale, quello del poeta sassoferratese, in cui possiamo vedere spiriti privi di anima che sono qui collocati, poiché da vivi hanno sostituito l’amore, la gioia e la compassione con la falsa e tecnologia figlia a sua volta della aberrante globalizzazione. Anime, queste, che sono eternamente condannate a non amare più; anime senza amore carnale e spirituale, ma anche profondamente emarginate nell’animo, poiché da vive hanno percorso la strada delle estremità.

Un Inferno che è animato da più anime dannate che saranno da me analizzate nelle loro principali figure. Una prima schiera è costituita dalle oscure ombre di Uomini violenti, che nella loro vita terrena hanno avuto comportamenti maneschi, usato parole brutali e creato leggi per passare negli sguardi degli altri, come dei santi ma pronti a morire durante la loro esistenza per ogni giudizio etico colmo di verità. Una seconda schiera è costituita dalle anime che durante la loro vita sono state avide verso i loro fratelli pensando solo alla cura della propria immagine. Una terza schiera è costituita dagli Uomini cyborg, paragonati agli orologi perché, al pari di essi, compiono le stesse cose impegnati unicamente a consumare i giorni della loro vita. Uomini, ma anche Donne, che sono meretrici, in questo inferno lunardiano. Puttane che nella loro vita hanno illuso i loro amanti donandogli solo un finto amore. Dannate a dolori fisici sono le anime lunardiane; esse sono anche costrette a lasciare nella vita il loro viso nel cuore di coloro che le hanno amate, senza riuscire a dare risposte a questi spettrali visi.

Ci sono anche le impersonificazioni dell’Europa e della Poesia. Il nostro continente è delineato quale creatura ambigua e dalle carni incomplete, che ha regnato solo per mezzo della schiavitù, mentre la Poesia è vista colma di silenzi spirituali e di brumosi pensieri.

Il Purgatorio del poeta marchigiano è contraddistinto da anime che espiano colpe per la conquista del Paradiso Celeste attraverso il ricordo di arcani sapori e ubriacanti odori. Espiazione che si deve basare sulla riscoperta della fola e sul cammino nel dolore. Un girone in cui c’è spazio anche per l’Uomo moderno e la sua vita pregna di super tecnologia, con la quale è fortemente convinto di potersi sostituire alla vita creaturale creata da Dio e crede di poter prendere il posto di Dio. Quest’ultimo, la divinità, è concepita da Lunardi come un geniale direttore d’orchestra  che dona all’Uomo i suoi occhi per farlo camminare su una strada luminosa, le orecchie per ubriacarlo con dolci melodie, i piedi per farlo camminare nella compassione e il cuore per fargli diffondere amore.

Sia Inferno che Purgatorio in Lunardi hanno delle affinità con i celebri gironi danteschi. Centrale rimane, comunque, il cruciale tema della globalizzazione quale oscura sovrana, che ha costretto l’Uomo ad abusare della tecnologia per il soddisfacimento delle sue ingordigie più sfrenate. Globalizzazione dalla quale, però, secondo il poeta sassoferratese, l’Uomo se ne libererà rituffandosi nel brodo mistico dell’Alba Tempi, dal quale ricomincerà una nuova vita nel segno della purezza e della beatitudine spirituale.

Per concludere va rivelato che il Paradiso lunardiano è abitato da angeliche creature dal brumoso anelito luminoso, dalle rosee e marmoree membra simili a quelle della dea Afrodite. Accanto a queste creature c’è spazio anche per la Donna, qui rappresentata attraverso un intimo ricordo che ce la mostra come una creatura dalla dorata capigliatura, dallo spirito garbato. Una donna, quella liricizzata dal poeta sassoferratese, intesa come un angelo che riscalda l’uomo, quale creatura sessualmente libera e vera regina che tira i fili dell’Universo.

STEFANO BARDI

 

(*) Una prima versione di questo articolo, col titolo “Cultura. Sassoferrato, città d’arte e di poesia. Omaggio a Raul Lunardi, 1905-2004”, è apparsa sulla rivista “Lo Specchio Magazine” in data 27/11/2018 (disponibile a questo link). L’articolo viene riproposto con sensibili modifiche rispetto alla precedente pubblicazione, con l’assenso dichiarato da parte del relativo autore.

 

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“L’orecchio delle dèe”: la nuova silloge poetica dell’ascolana Giorgia Spurio


spurioÈ uscito il libro di poesie della poetessa marchigiana Giorgia Spurio,L’orecchio delle dèe (Macabor Editore, 2017), con prefazione di Emilia Sirangelo. 

“L’orecchio delle dèe” – ha dichiarato l’autrice a proposito del suo libro – è nato dall’esigenza di dare voce alle problematiche del nostro tempo attraverso simboli e figure mitologiche che l’antichità ci presta. La silloge si trasforma in un diario che raccoglie confidenze e silenzi. Se esistesse un Olimpo chiederemmo alle dèe di ascoltarci, mentre tali divinità nella poesia non sono che personificazioni di paure, disgrazie, preghiere.  Si vuol parlare della difficile situazione che vivono ogni giorno le donne, soprattutto le madri in particolare in alcune zone del mondo. Altrettanto difficile è la sorte dei bambini. Con i versi ho voluto esprimere il dolore e la speranza di chi trova il coraggio di fuggire da guerra e fame intraprendendo il duro viaggio della traversata del Mediterraneo, ma anche il coraggio di chi ogni giorno intraprende l’ardua traversata che è la Vita.”

C’è, quindi, nella poesia della Spurio non solo il rifiuto palese di voltare la testa dall’altra parte ma anche una innata capacità di sentire il dolore di una parte di mondo devastata dalla crudeltà delle guerre e dalla povertà:

“E le madri ridono./ E le madri piangono./ E ci sono madri che né ridono/né piangono/ per quel bambino senza nome, /senza giorno, senza età,/ per quel bambino che è/

senza profumo,/ quell’odore di latte che manca/ – l’assenza di una nuvola in un temporale d’estate – /quell’odore che si stringe e si contorce,/ ha solo un aspetto, il potere/ che ha l’odore di una lacrima.”

“Inghiottite” e “Accoglili nella tua pace, Signore”, dittico poetico di M. Fantaci e E. Marcuccio

Inghiottite

Dalla lavagna del presente

si legge un inconveniente,

errori umani,

errori tecnici,

che provocano dolore alla gente,

che provocano dolore all’ambiente,

ma anche morti e feriti…

e quanti i dispersi!

Errori ripetuti,

non si fa attenzione,

navi inghiottite dall’acqua…

…per dissetarle?

No, per affogarle!

… disastro ambientale,

disastro cercato,

tutti in allerta,

tutti preoccupati,

fino a quando non giace l’indifferenza

come sempre, come in ogni evento,

i fatti si ripetono e cadono

nell’oblio della mente,

ma non lo sa la gente

che così queste cose continueranno

a ripetersi negli abissi del mare

come negli abissi della psiche…

che ci vuole…

basta poco…

siamo in molti

e si cambia con poco.

Monica Fantaci, 15/1/2012

Accoglili nella tua pace, Signore!

Accoglili nella tua pace, Signore!

Dona loro un porto

e un sicuro rifugio:

povere anime di due poveri pescatori,

affogati in una notte di tempesta:

nel gorgo profondo,

nelle tremende onde,

nei rivolgenti rivoli burrascosi,

che si richiusero su di loro.

Accoglili nella tua pace, Signore!

Il padre, prevenendo la tempesta,

volle avvisare gl’ignari figli:

una telefonata arrivata troppo tardi,

i loro corpi inanimati

ormai giacevano

sul fondo del mare:

quel mare che fu la mia terra natia,

che sempre rallegra

i miei ricordi infantili,

da cui nascevano stelle,

che esplodevano in cielo:

adesso, sono certo, due stelle

sono nate dal mare

e s’innalzano verso il cielo.

Accoglile nella tua pace, Signore!

© Emanuele Marcuccio, 5/5/2000

(Emanuele Marcuccio, Per una strada, pag. 94, SBC Edizioni, 2009, pp. 100)

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