N.E. 02/2024 – “Poesia e spiritualità: la ricerca interiore tra fede e laicità”, saggio di Maria Grazia Ferraris

….Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura….

(Giacomo Leopardi)

Cercando  le definizioni di “spiritualità” nei dizionari  ci si trova immersi in affermazioni nebulose, ripetitive, generiche che concordano solo nell’eliminazione degli aggettivi  qualificativi, quali – interiore, religiosa, cattolica, laica, naturale, orientale… – e insistono sul tema della ricerca  interiore, introspettiva, presente e costante  in ogni essere umano, a prescindere dalla sua cultura, dalla sua confessione religiosa, dal suo “status” di persona e di valori, tensioni e aspirazioni, che fanno a meno  dal credere nel “Trascendente”. Si ipotizza una ricerca individuale, attingendo all’esperienza, ma anche al patrimonio di conoscenze e sapienza della società nella quale viviamo.

La spiritualità si caratterizza allora attraverso la valorizzazione del quotidiano perché nulla di quanto si vive è ‘profano’: cambia invece la condizione vitale che differenziandosi determina modalità diverse nel vivere la vita. Questa dimensione interpretativa è strettamente unita alla poesia e alle sue manifestazioni.

La spiritualità della poesia si innesta nella spiritualità del singolo e della sua vita, è ricerca che ha come fine la realizzazione di se stesso, o l’autocompimento esistenziale, la maturazione dell’esistenza, nel dialogo con gli altri e all’incontro con la dimensione religiosa, metafisica.

La filosofia del Novecento, ha rivalutato la funzione della letteratura e quindi della poesia anche ai fini del pensiero, di una riflessione radicata sulla verità e le sue ragioni.

L’affinità tra linguaggio religioso-spirituale e linguaggio poetico si rivela nel loro dimorare nelle profondità dell’esperienza umana, rasentando i confini del dicibile. La poesia restituisce, con assoluta evidenza, la complessità della vicenda umana alla ricerca dell’anima, del divino, in virtù di uno sguardo orientato oltre la successione del tempo e del visibile; uno sguardo che attraversa il silenzio, per attingere alla fonte della vita della parola.

Moltissimi i poeti che si sono espressi e confrontati sul tema. La spiritualità è il contatto con la propria umanità. La parola poetica riesce a toccare il nocciolo della verità ed è proprio questa sua capacità unica, senza eguali, che trasforma l’arte in una forma di umanesimo spirituale e, attraverso le parole, ci mostra il vero volto spoglio, duraturo e nitido delle cose. La poesia è la vera “lampada d’oro” che illumina il cammino di molti lettori che si accostano al canto di sirene delle parole. Per alcuni Autori che hanno fatto la scelta di coincidenza di spiritualità con fede religiosa, la poesia trova la sua strada maestra. È il caso di David Maria Turoldo.

La ricerca inquieta di Dio, Tenebra luminosa, l’invito alla preghiera, la natura, sono riflesso di Lui. Questi temi si intersecano nella sua poesia in un suo costume espressivo costituzionalmente severo, essenziale, garante dei valori di fondo di matrice evangelica e garantiti in qualche modo in un Friuli dalla civiltà contadina in condizioni di necessità più che di libertà. Una preghiera la sua che è un soliloquio, ma anche un dialogo col cielo. I luoghi, le persone (casa, paese, fiume, la terra, la vigna…) acquistano “il di più” di significato e valore da superare, la funzionalità contingente: “che io possa ancora vedere / il sole che sorge / una nuvola d’oro, / Espero che riluce la sera / in un limpido cielo.” È sempre sottinteso il fondo storico-sociale nella sua arpa, ma come larga cornice, di sapore biblico, come possiamo constatare in Preghiera: “…salutare il giorno/ e dare speranza agli umili / e dire insieme la preghiera….”, pur consapevole che la poesia, oltre che preghiera, vuol essere  invito gioioso al canto:

Svegliati, mia arpa,

che voglio destare l’aurora:

cantare i silenzi dell’alba

chiamare le genti sulle porte,

e salutare il giorno:

e dare speranza agli umili

e dire insieme la preghiera

del pane che basti per oggi:

allora anche i poveri ne avranno d’avanzo.

Amen.

(Poesia “Preghiera”)

Oppure il caso di Clemente Rebora, in Frammenti lirici, che Silvio Ramat definiva poesia “metafisica”, come se l’io fosse in attesa di una rivelazione vaga e indefinita, eppure aperta nel mondo religioso, nell’ora “divina” che prima o poi giungerà confortante: -spazio e tempo sospeso-, come se l’universo si fosse fermato improvvisamente e in tale condizione rivelasse il suo profondo essere permettendo di comprendere appieno il suo esistere. Allora, con l’inno alla vita, che si esprime sotto forma di inquieto fremente monologo, si scoprirà la malia del vivere, la profusione del sentimento che annulla il fastidio ripetitivo del giorno qualunque, sconfinando attraverso i palpiti fecondi nella vita profonda dell’universo:

Divina l’ora quando per le membra

Lene va il sangue, e vivere è malìa:

Nel vero effusa la persona sembra

Luce nell’aria; e ignora come sia.

Da fonti aperte nasce il sentimento

Che d’ogni cosa fa ruscello, e intorno

D’amorosa bontà freme anche il lento

Fastidio ch’erra nell’usato giorno.

Onde sconfina l’attimo irraggiato

Nel vasto palpitar che lo feconda,

E scopre il senso intenso in ciascun lato

dell’universo una vita profonda.

(Dalla poesia “Divina l’ora quando per le membra”)

La spiritualità laica o naturale che dir si voglia, attraversa il quotidiano, i nostri dubbi e limiti, come per Franco Loi in questa poesia carica di disincanto:

Siamo poca roba, Dio, siamo quasi niente,

forse memoria siamo, un soffio d’aria,

ombra degli uomini che passano, i nostri parenti,

forse il ricordo d’una qualche vita perduta,

un tuono che da lontano ci richiama,

la forma che sarà di altra progenie…

Ma come facciamo pietà, quanto dolore,

e quanta vita se la porta il vento!

Andiamo senza sapere, cantando gli inni,

e a noi di ciò che eravamo non è rimasto niente.

(Da Liber, 1988)

Loi medita sull’essere poeta oggi, sulle sue ambiguità e contraddizioni, sull’estraneità della poesia allo svagato mondo contemporaneo, sull’incertezza ed inquietudine che ne genera, coinvolgendoci nella malinconia del vivere.

Interessante ed originale l’itinerario compiuto dalle poetesse. Prima in assoluto mi sembra la poesia di Emily Dickinson, che ha un’anima grande, immensa, mai definibile una volta per tutte, perché rompe la quotidianità, le cornici, i quadri storici di riferimento che ogni critico si impegna a trovarle, inutilmente.  Sa immaginare la vita e la sua gioia, ma anche rasentare, frequentare l’assoluto, la “finita infinità”: il sovrumano, il divino, sa volare umilmente attenta nel suo giardino quotidiano, ma anche volare alto, più di un metafisico, sa vedere con occhi liberi: l’amore è assoluto, come la morte, come la poesia, “estatica nazione”.  Il quotidiano la sfiora, ma non la cattura, non l’impiglia, non la isola, non l’avvilisce. Lei sa uscire dalle sue strette, sa volare.

Non accostarti troppo alla dimora di una rosa:

se una brezza le preda

o rugiada le inonda

cadono con timore le sue mura.

E non voler legare la farfalla,

o scalare le sbarre dell’estasi:

garanzia della gioia

è il suo rischio perenne.

(c.1878)

E ancora: in se stessi bisogna cercare, camminare, scavare, unendo cuore e mente in un unico continente, inseguendo la bellezza, che “non ha causa”:

La bellezza non ha causa:/esiste.

Inseguila e sparisce.

Non inseguirla e appare.

Sai afferrare le crespe

Del prato quando il vento

Vi avvolge le sue dita?

Iddio provvederà

perché non ti riesca.

(c.186)

E conclude – le parole al minimo, lasciare parlare gli spazi bianchi – una lotta impari e improba ingaggiata con la forza della disperazione nei confronti della ultrapotente “parola”:

‘Ha una sua solitudine lo spazio

 solitudine il mare

e solitudine la morte- eppure

tutte queste son folla

in confronto a quel punto più profondo,

segretezza polare

che è un’anima al cospetto di se stessa –infinità finita 

Finita infinità.’

(c. 1695).

La più vicina al suo sentire mi sembra essere in Italia la poetessa milanese Antonia Pozzi, di cui ora è nota sia la storia umana che spirituale, rimanendo valido quello che di lei scriveva  la grande filologa Maria Corti: “Il suo spirito faceva pensare a quelle piante di montagna che possono espandersi solo ai margini dei crepacci, sull’orlo degli abissi”. Una vita brevissima, suicida a soli ventisei anni, ricca di interessi culturali, di incontri e di passioni contrastate, insopportabili nelle loro contraddizioni. Nel suo canzoniere, pubblicato postumo, vi è una continua ricerca dell’autenticità dell’esistenza nelle parole, e le parole della Pozzi, come ha scritto Montale, «sono asciutte e dure come i sassi», ridotte al «minimo di peso».

Tristezza di queste mie mani

troppo pesanti

per non aprire piaghe,

troppo leggere

per lasciare un’impronta.-

tristezza di questa mia bocca

che dice le stesse

parole tue

altre cose intendendo-

e questo è il modo

della più disperata

lontananza.

(PoesiaSfiducia”)

Eppure rimane il senso e il valore della ricerca, dell’approdo, la speranza di una risposta leggera e alla fine liberante:

[…] Ma giungerà una sera

a queste rive

l’anima liberata:

senza piegare i giunchi

senza muovere l’acqua o l’aria

salperà – con le case

dell’isola lontana,

per un’alta scogliera

di stelle – 

In Italia Alda Merini scrive poesie, specie religiose, che nascono dall’insistenza dolorosa e sincera sul tema dell’impossibilità per tutti di salvarsi dalle angosce…: “Quando l’angoscia spande il suo colore / dentro l’anima buia / come una pennellata di vendetta…”. L’angoscia è il senso refrattario di ciò che a noi è dovuto per diritto di vita. L’angoscia non nasce solo dalle frustrazioni che stimolano l’Es a procedere sul versante opposto a quello della follia. Il dualismo follia-ratio è un salto di qualità che viene molto spesso annullato dall’ambiente in cui si vive.… nel mio caso la poesia mi ha salvato la vita. Fatta a tentoni, fra mille burrasche e dimenticata da tutti… L’anima ha mille sentieri e soprattutto mille tentazioni nascoste. Se l’anima è franca, se ha conosciuto il valore e il peso della morte, conosce le radici della vita e sa che sono amare ma salutari. Non esiste una medicina né per l’anima né per il dolore, perché se il dolore è una vetta che sorge improvvisamente nel cuore, la morte cerca di renderlo eterno e di farne un languore umano. Ma la morte non è una nemica, è soltanto un grande filantropo che ama gli uomini e un grande filologo che conosce la natura delle parole. Ciò che vale nell’anima è la nudità…. L’anima ha la semplicità dell’acqua ed è la prima natura dell’uomo…”.

La raccolta Tu sei Pietro è del 1961. Nella chiusa della lirica Rinnovate ho per te, di questa raccolta, appare una straordinaria affermazione autobiografica: “Ché cristiana son io ma non ricordo/ dove e quando finì dentro il mio cuore/ tutto quel paganesimo ch’io vivo”. Nel 2002 ha pubblicato Magnificat da Frassinelli. Toccante e sincero il suo miserere:

Miserere di me,/ che sono caduta a terra/come una pietra di sogno.

Miserere di me, Signore,/ che sono un grumo di lacrime.

Miserere di me,/ che sono la tua pietà.

Mio figlio/ Grande quanto il cielo.

Mio figlio,/ che non è più vivo.

Miserere di me,/ o universo,

egli era la punta di uno spillo/l’ago supremo della mia paura.

Miserere di me/ Che sono morta con lui.

Miserere della mia grandezza,/miserere della mia stanchezza,

miserere della misericordia di Dio.

Ma il tema religioso non è mai frutto si sublimazione definitiva. Si sente infatti come “una piccola ape furibonda”, “una donna non addomesticabile”, costretta a dire la verità, pur essendo “piena di bugie”.

L’angoscia è di una puntualità incredibile: ha fatto un corso accelerato di storia e ti ripete sempre le stesse cose, non ha la minima fantasia. E se tu chiedi all’angoscia: Dov’è tuo fratello? L’angoscia ti risponde puntualmente: sono io il custode di mio fratello. E finalmente, dopo queste parole auliche, tu entri profondamente nella Bibbia e scrivi il Magnificat.”

Tra le poetesse contemporanee riserverei un posto privilegiato a Louise Glück, premio Nobel per la letteratura 2020. È straordinaria per la sua originalità poetica la raccolta che l’ha resa famosa anche in Italia: L’Iris selvatico, un libro complesso e denso che è un dialogo tra i fiori del giardino, il giardiniere e Dio. La Glück non è particolarmente credente, ma sa trasformare il  vissuto soggettivo in una ‘metafisica del quotidiano’, come in questa straordinaria dolorante severa e spoglia preghiera-confessione:

Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo

esiliati dal cielo, creasti

una replica, un luogo in un certo senso

diverso dal cielo, essendo

pensato per dare una lezione: altrimenti

uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza

senza alternativa… Solo che

non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,

ci esaurimmo a vicenda. Seguirono

anni di oscurità; facemmo a turno

a lavorare il giardino, le prime lacrime

ci riempivano gli occhi quando la terra

si appannò di petali, qui

rosso scuro, là color carne…

Non pensavamo mai a te

che stavamo imparando a venerare.

Sapevamo solo che non era natura umana amare

solo ciò che restituisce amore.

(Poesia “Mattutino”)


Bibliografia

Dickinson Emily, Poesie di E. Dickinson, traduzione e note di M.  Guidacci, BUR, 1996

Dickinson Emily, Tutte le poesie, “I Meridiani”, Mondadori, Milano, 1997

Glück Louise, L’iris selvatico, traduzione di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, 2020

Glück Louise, Ricette per l’inverno dal collettivo, traduzione di M. Bacigalupo, Il Saggiatore, 2022

Loi Franco, Liber, Garzanti, 1988

Loi Franco, Poesie scelte e breve nota bibliografica, a cura di Nelvia Di Monte, 2021

Merini Alda, Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, a cura di Ambrogio Borsani, Mondadori, 2009

Merini Alda, Magnificat. Un incontro con Maria, Ed. Sperling & Kupfer

Merini Alda, Tu sei Pietro, All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano, 1962

Pozzi Antonia, Parole. Tutte le poesie, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Milano 2015

Pozzi Antonia, Poesia che mi guardi. La più ampia raccolta di poesie finora pubblicata e altri scritti, a cura di G. Bernabò e O. Dino, con approfondimenti critici, Luca Sossella Editore, Bologna 2010

Rebora Clemente, Frammenti lirici, 1913

Rebora Clemente, Frammenti lirici, a cura di G. Mussini, Interlinea, 2008

Turoldo David Maria, Dialogo tra cielo e terra, a cura di E. Gandolfi Negrini, Piemme, 2000

Turoldo David Maria, Diario dell’anima, San Paolo, 2003.

Turoldo David Maria, Il dramma è Dio: il divino la fede la poesia, Milano, BUR, 2002

Turoldo David Maria, Nel lucido buio. Ultimi versi e prose liriche, Milano, 2002



Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

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