“Borghi, città e periferie: l’antologia poetica del dinamismo urbano”: come partecipare

strip antologia_agemina

Scopo della antologia è selezionare e raccogliere un congruo numero di poesie di autori appartenenti alle varie realtà geografiche nazionali e internazionali in cui i testi siano incentrati, ispirati o abbiano degli elementi di rimando al mondo della vita cittadina, riferimenti all’universo delle nostre strade, piazze, giardini pubblici e alla ricchezza architettonica o, al contrario, all’indagine dei casi di disagio, rischio, condizioni di marginalità,…

Modalità di partecipazione

 

1. La partecipazione alla antologia è gratuita; coloro che verranno selezionati saranno tenuti ad acquistare un tot di copie a un prezzo fisso secondo le modalità di seguito elencate.

2. Ogni poeta potrà inviare un massimo di 4 poesie in formato Word (ciascuna poesia non dovrà superare i 30 versi di lunghezza) accompagnate da un proprio profilo bio-bibliografico di massimo 20 righe Times New Roman pt. 12 e un file contenente i propri dati personali (nome, cognome, indirizzo di residenza, numero di telefono, mail e l’autorizzazione contenuta al punto 3. del presente bando).

3. L’autorizzazione da includere nella scheda dei dati è la seguente:
“Dichiaro che i seguenti testi sono frutto del mio ingegno e che sono l’unico autore”.

4. I materiali dovranno essere inviati a mezzo posta elettronica a lorenzo.spurio@alice.it entro il 31 dicembre 2014.

5. L’antologia finale verrà pubblicata da Agemina Edizioni (Firenze) e presenterà un numero di autori non inferiore a 30. La curatela del progetto sarà dello scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio, al quale si rimanda per eventuali richieste di informazioni sull’iniziativa.

6. Gli autori che verranno selezionati per questo tipo di progetto verranno contattati a mezzo mail a Gennaio 2015 e agli stessi verrà richiesto di sottoscrivere un modulo di liberatoria per l’impegno all’acquisto della antologia: 3 copie dell’antologia a prezzo definitivo di 35 € (comprese le relative spese di spedizione del plico con sistema di spedizione raccomandato).

7. E’ richiesto di inviare materiale moralmente responsabile, ossia che non offenda la morale, la religione e che non sia portavoce di discriminazione di ciascun tipo.

8. L’antologia, essendo dotata di regolare codice identificativo ISBN, sarà messa sul mercato e diffusa anche attraverso i siti di vendita di libri.

9. A seconda della disponibilità dei vari autori antologizzati è in cantiere una presentazione del volume da farsi nella primavera del 2015.

Scarica il bando di partecipazione in formato pdf: https://drive.google.com/file/d/0BxDDJYZuD_i8Rm9PYnNNclVQdE0/view?usp=sharing

Evento FB

Info: lorenzo.spurio@alice.it

“Il buio, La Luce, L’amore” di Rosaria Minosa, recensione di Lorenzo Spurio

Il buio La Luce L’amore
di Rosaria Minosa
Albatros, Roma, 2012
Pagine: 112
Isbn: 978-88-567-6044-6
Costo: 12 €
 
 
Recensione di Lorenzo Spurio

   

Dio era stato troppo crudele con lei e non meritava tutto questo, davanti a lei si presentava una nuova vita che non voleva e che doveva invece accettare, era costretta a vivere questa nuova realtà. (93).

NZORosaria Minosa è una donna che lavora al CERRIS (Centro Riabilitativo di Ricerca e di Intervento Sociale) a Verona e che vede il disagio psichico e sociale ogni giorno e questo suo libro, “Il buio La Luce L’amore”, edito da Albatros nel 2012, ne è una chiara e vivida testimonianza. La narrazione, sostenuta da una scrittura fruibile a tutti e mai banale, accompagnerà il lettore in uno scenario domestico degradato non tanto perché la malattia (il tumore all’utero di una donna) e il vizio (quello dell’alcolismo di suo marito) ne minino quella che dovrebbe essere la comune calma quotidiana, ma perché l’amore è il grande assente. Per lo meno ciò accade nella prima parte della narrazione in cui Stefano, dedito al bere e quindi caratterizzato da una bipolarità (euforia-calma) del comportamento, arriverà a sminuire l’importanza della donna che ha sposato e quindi ad offenderla come quando nelle prime pagine si osserva: “Quella sera, quel corpo che ansimava su di lei le dava fastidio, le sembrava un estraneo, per la prima volta si rese conto che era solo suo marito che faceva l’amore” (25).

Il tormento per la malattia che inizialmente sembra debellata si ripropone con una nuova grave sfida con la vita per Patrizia che la porta a deprimersi e sentirsi molto sola, incompresa dal marito, delusa dal padre che, rimasto vedovo, pensa di rifarsi una nuova vita e drammaticamente macchiata dal tortuoso e onnipresente pensiero della morte: “La morte, così lontana dalla nostra mente ma allo stesso tempo così vicina, perché cammina accanto a noi, dal giorno che emettiamo il primo vagito, morte che ci accompagna aspettando il momento opportuno per succhiarsi la nostra vita in un secondo oppure lentamente, succhiando ogni giorno il nostro alito, la nostra anima” (19).

Ci sono inquietudine e tormento in queste pagine e il lettore vagheggia che il proseguo della storia non potrà che essere immancabilmente marcato dalla morte, dalla tragedia annunciata e dall’impossibilità di ritornare alla spensieratezza. Stefano, il marito, è un uomo poco sensibile, distante, sempre preso dalle sue cose e non è in grado di “accudire” con la dovuta perizia sua moglie che, oltre che “menomata” nel suo essere donna, soffre pesantemente dal punto di vista psicologico non vedendo speranza. Di lui Rosaria Minosa ci dice che “Non aveva amici, la sua unica compagnia era l’alcol, solo dopo aver bevuto si sentiva bene e rientrava a casa contento” (34).

Il libro scandaglia con accurata attenzione cosa può accadere in una dinamica di coppia inizialmente tranquilla e affiatata quando sopraggiungono eventi infausti che sviliscono il comportamento delle parti portandoli a una sorta di straniamento e annichilamento. La malattia sembra vanificare la vita e inscenare una lotta a duello con il poco tempo che rimane nel quale è necessario mantenere lucidità e forza d’animo per far fronte alle terapie e agli eventuali trattamenti per cercare di tenere sotto controllo la patologia. Ma è l’alcolismo, sembra dirci l’autrice, ad essere ancor più pericoloso della vera malattia perché non parte da un morbo fisico, naturale, congenito, ma da una distorta considerazione che l’uomo fa in relazione ai suoi bisogni e al suo desiderio di evasione. Ed è una realtà ancora più difficile da gestire perché spesso non le si attribuisce troppa attenzione pensando che l’alcolizzato, se vuole, riesca a smettere di bere quando vuole. E’ ciò che succede con Stefano i cui buoni propositi ben presto sprofondano nelle bevute al bar con gli amici, o da solo tanto che l’autrice non può non sottolineare anche la mancata comprensione di Patrizia nei confronti del marito: “Patrizia non si rendeva conto del disagio di suo marito, per lei era tutto nella norma” (39).

Ma questo libro non vuole in nessun modo essere un canto alla morte né una manifestazione lucida di come non si riesca a venire fuori da problemi gravi, quando questi si sono radicalizzati e hanno soppiantato anche i buoni sentimenti che una volta animavano un rapporto. Rosaria Minosa prevede un ravvicinamento tra i due personaggi attraverso un coupe de theatre che si realizza mediante l’introduzione di una terza persona nella coppia, quello che potrebbe diventare un amante di Patrizia ma che in realtà rimarrà nell’ombra ma sarà utile per il ravvicinamento di Patrizia e Stefano. Si può uscire dal baratro dell’alcolismo, ci dice l’autrice a chiare lettere nella nota finale al libro, ma bisogna lavorare su se stessi affinché il convincimento si faccia totalizzante: “Quando si entra in questo tunnel, l’individuo ne viene fuori, solo se è lui a volerlo, in lui deve scattare qualcosa che dica basta; a volte non è sufficiente l’amore delle persone, se non scatta quella molla” (110).

La malattia, pure insidiosa, verrà vinta da Patrizia, non senza difficoltà e traumi esistenziali –primo tra tutti quello di non poter avere un figlio-, anche se va pure tenuto conto che non sempre ciò accade. Ma non in questo caso come il titolo richiama: dal buio si passa alla luce e con essa si può procedere alla ricostruzione dell’amore, alla confidenza con sé e con il mondo, alla rinata consapevolezza della propria esistenza e alla gioia, seppur velata da un trascorso di vita amaro.

LORENZO SPURIO

10-09-2013

“Cadute”, racconto di Rita Barbieri

CADUTE

racconto di Rita Barbieri

 

-Signorinaaaaa!!! Si è fatta male?-
-No, non è niente, non si preoccupi. Passerà.- (Tanto passa sempre tutto prima o poi e la dignità, almeno quella, vediamo di riportarla a casa tutta intera possibilmente…)
-Ma non ha visto la buca??!!-
-No, mi pare evidente… Lei che dice??-
-Beh, la prossima volta stia più attenta…-
-Si ha ragione, lo farò di certo. Grazie tante per il consiglio, effettivamente da sola non ci avevo proprio pensato! Utilissimo.-
“Stia più attenta”. A cosa? A chi? E da cosa mi devo guardare di preciso? Di cosa devo avere più paura? Di inciampare, del buio, dell’orco cattivo, della peste bubbonica o piuttosto degli effetti della crisi? O meglio ancora di quello che non vedo, di quello che non conosco? Di quello che incrocio sul mio percorso e che non mi aspetto? Come se uno sapesse sempre esattamente a cosa va incontro.
Mi spieghi lei allora, signor Passante, esperto di marciapiedi e di vita, a cosa devo fare attenzione. Mi dica per favore dove sono i cartelli, i segnali di pericolo perché io francamente non li vedo. O se li vedo non li so leggere, il che fa esattamente lo stesso. E quindi mi perdoni se cado e se spetta proprio a lei l’arduo compito di aiutarmi a rimettermi in piedi e assicurarsi che non mi sia fatta niente di grave. Si consoli però: così potrà sentirsi migliore di questa giovane distratta che ha qui davanti a sé e, già che c’è, potrà dispensare pure qualche buon consiglio utile di cui proprio non si può fare a meno.
Ma sono sicura che anche a lei qualche volta è capitato di cadere. E sono altrettanto sicura che qualcuno le ha poi fatto tutte le raccomandazioni di rito, magari aggiungendo: “…Sa alla sua età… Bisogna fare più attenzione: è così facile farsi male sul serio!” con il tatto degno di un cobra. Ma non è vero niente, mi creda. Non c’è un’età in cui le cadute sono più pericolose o dolorose e a volte non c’è attenzione, cartello, prudenza o cautela che tenga. Si cade e basta, come le mele di Newton. Solo che lui ha scoperto la legge di gravitazione universale ed è passato alla storia mentre noi, povere menti tutt’altro che geniali, al massimo ci becchiamo un’escoriazione in più e avanti tutta. Il tempo per soffermarci a indagare le possibili complicazioni di una caduta non ce l’abbiamo: c’è il cartellino da timbrare, la spesa da fare prima che i negozi chiudano e l’amica da incontrare prima che cominci a farti trillare quel meraviglioso apparecchio chiamato cellulare che, proprio come gli uomini, ha la capacità di farsi sentire solo quando meno te l’aspetti.

Ma una caduta è anche un’occasione. Di capire qualcosa in più su una strada che non è mai dritta né appianata e, per quanto strano possa sembrare, sono proprio quei punti pericolosi a insegnarti di più e a rendere più ferma la tua andatura. Per cui, mi scusi tanto se me ne sto qui per un po’ a cercare il perché e i per come: non è detto che li trovi e non è detto neanche che non inciampi di nuovo, ma intanto il mio l’ho fatto. E questa resta pur sempre una consolazione, per quanto magra.
E allora eccomi di nuovo affondare nelle mie mille buche non segnalate, sbattere contro tralicci e cartelli e girare a destra quando era evidente agli occhi del mondo che bisognava andare a sinistra. Eccomi perdere la bussola, il tom tom, il navigatore satellitare e anche tutto il resto perché tanto è il senso dell’orientamento la cosa che manca di più. Perderlo e poi riacquistarlo, come il senno di poi. Trovare nuove mete, nuovi percorsi, nuovi traguardi e arrancare a piccoli passi come un cucciolo ancora malfermo sulle zampine.
Ma anche stavolta mi sono alzata, raddrizzata e rattoppata. Ripartita non da zero, per fortuna. E proseguo: testarda forse, sicura mai, convinta sempre. Aspettando il prossimo impedimento, ostacolo, dissesto e consapevole che una legge ci deve pur essere da qualche parte, non scritta forse e nemmeno scoperta ancora. Ma se le mele cadono non sempre è solo colpa del vento d’autunno.
Chissà se quando sarò inclinata dal peso degli anni come i rami di un salice, con la faccia avvizzita da mille e una ruga e con le mani da pianista deformate dall’artrite e dai nodi del tempo, chissà se allora, guardandomi indietro, sarò ancora in grado di riconoscere i punti in cui ho traballato, esitato e inciampato. Chissà se per quel momento mi sarò finalmente formulata la ‘mia’ legge di gravitazione, personale stavolta e non universale. Chissà se avrò trovato un’equazione, un’espressione che tutto risolve e tutto giustifica e che dà sempre il risultato sperato. Chissà che alla fine non abbia imparato anch’io a leggere i cartelli, interpretare i segnali e a scansare i dossi e che, raggiunta una veneranda età da signora rispettabile, non mi sia finalmente convinta a portare scarpe più comode, fatte solo per camminare.
Però per adesso, sprovvista di insegnanti, insegnamenti e regole auree, lasciatemi libera di mettere i piedi in fallo, di sbagliare e di smarrirmi nel mezzo del cammin della mia vita, perché la retta via per me è piena di curve e deviazioni. E se, nel frattempo, mi prendo qualche storta o faccio qualche figuraccia, sorridete pure ma fatelo con la stessa tenerezza che si riserva a un bambino maldestro che, goffamente, cerca il suo baricentro per restare dritto in piedi. In fondo ci siamo passati tutti, perfino lei signor Passante… ma forse non se ne ricorda.
Così recupero un equilibrio che molti prima di me hanno definito precario e instabile, ma che io chiamo mutevole, perché quando tutto intorno cambia, a noi non resta che cambiare insieme al resto. O cambiare noi per primi. Allora, davvero, non si preoccupi per le mie cadute: s’impara a cadere e s’impara a rialzarsi. Con stile, anche.
L’orientamento si sviluppa per tentativi, fallimenti, discese, salite e vicoli ciechi che guidano ovunque e in nessun luogo. Un intricato labirinto in fase di costruzione e revisione continua, dove neanche avere il filo rosso funziona più come guida. La ringrazio quindi per i preziosi consigli, ma per trovare le proprie leggi, si sa, niente è meglio dell’esperienza diretta: la prova del nove di ogni teorema. La mia la sperimento anche così: a passi a volte piccoli, incerti, perfino incespicati o sbagliati, ma altre ancora invece sicuri e testardi, ostentati su scarpe potenzialmente pericolose e terreni sempre più sconnessi.

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE QUESTO RACCONTO IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

Un sito WordPress.com.

Su ↑