“Cadute”, racconto di Rita Barbieri

CADUTE

racconto di Rita Barbieri

 

-Signorinaaaaa!!! Si è fatta male?-
-No, non è niente, non si preoccupi. Passerà.- (Tanto passa sempre tutto prima o poi e la dignità, almeno quella, vediamo di riportarla a casa tutta intera possibilmente…)
-Ma non ha visto la buca??!!-
-No, mi pare evidente… Lei che dice??-
-Beh, la prossima volta stia più attenta…-
-Si ha ragione, lo farò di certo. Grazie tante per il consiglio, effettivamente da sola non ci avevo proprio pensato! Utilissimo.-
“Stia più attenta”. A cosa? A chi? E da cosa mi devo guardare di preciso? Di cosa devo avere più paura? Di inciampare, del buio, dell’orco cattivo, della peste bubbonica o piuttosto degli effetti della crisi? O meglio ancora di quello che non vedo, di quello che non conosco? Di quello che incrocio sul mio percorso e che non mi aspetto? Come se uno sapesse sempre esattamente a cosa va incontro.
Mi spieghi lei allora, signor Passante, esperto di marciapiedi e di vita, a cosa devo fare attenzione. Mi dica per favore dove sono i cartelli, i segnali di pericolo perché io francamente non li vedo. O se li vedo non li so leggere, il che fa esattamente lo stesso. E quindi mi perdoni se cado e se spetta proprio a lei l’arduo compito di aiutarmi a rimettermi in piedi e assicurarsi che non mi sia fatta niente di grave. Si consoli però: così potrà sentirsi migliore di questa giovane distratta che ha qui davanti a sé e, già che c’è, potrà dispensare pure qualche buon consiglio utile di cui proprio non si può fare a meno.
Ma sono sicura che anche a lei qualche volta è capitato di cadere. E sono altrettanto sicura che qualcuno le ha poi fatto tutte le raccomandazioni di rito, magari aggiungendo: “…Sa alla sua età… Bisogna fare più attenzione: è così facile farsi male sul serio!” con il tatto degno di un cobra. Ma non è vero niente, mi creda. Non c’è un’età in cui le cadute sono più pericolose o dolorose e a volte non c’è attenzione, cartello, prudenza o cautela che tenga. Si cade e basta, come le mele di Newton. Solo che lui ha scoperto la legge di gravitazione universale ed è passato alla storia mentre noi, povere menti tutt’altro che geniali, al massimo ci becchiamo un’escoriazione in più e avanti tutta. Il tempo per soffermarci a indagare le possibili complicazioni di una caduta non ce l’abbiamo: c’è il cartellino da timbrare, la spesa da fare prima che i negozi chiudano e l’amica da incontrare prima che cominci a farti trillare quel meraviglioso apparecchio chiamato cellulare che, proprio come gli uomini, ha la capacità di farsi sentire solo quando meno te l’aspetti.

Ma una caduta è anche un’occasione. Di capire qualcosa in più su una strada che non è mai dritta né appianata e, per quanto strano possa sembrare, sono proprio quei punti pericolosi a insegnarti di più e a rendere più ferma la tua andatura. Per cui, mi scusi tanto se me ne sto qui per un po’ a cercare il perché e i per come: non è detto che li trovi e non è detto neanche che non inciampi di nuovo, ma intanto il mio l’ho fatto. E questa resta pur sempre una consolazione, per quanto magra.
E allora eccomi di nuovo affondare nelle mie mille buche non segnalate, sbattere contro tralicci e cartelli e girare a destra quando era evidente agli occhi del mondo che bisognava andare a sinistra. Eccomi perdere la bussola, il tom tom, il navigatore satellitare e anche tutto il resto perché tanto è il senso dell’orientamento la cosa che manca di più. Perderlo e poi riacquistarlo, come il senno di poi. Trovare nuove mete, nuovi percorsi, nuovi traguardi e arrancare a piccoli passi come un cucciolo ancora malfermo sulle zampine.
Ma anche stavolta mi sono alzata, raddrizzata e rattoppata. Ripartita non da zero, per fortuna. E proseguo: testarda forse, sicura mai, convinta sempre. Aspettando il prossimo impedimento, ostacolo, dissesto e consapevole che una legge ci deve pur essere da qualche parte, non scritta forse e nemmeno scoperta ancora. Ma se le mele cadono non sempre è solo colpa del vento d’autunno.
Chissà se quando sarò inclinata dal peso degli anni come i rami di un salice, con la faccia avvizzita da mille e una ruga e con le mani da pianista deformate dall’artrite e dai nodi del tempo, chissà se allora, guardandomi indietro, sarò ancora in grado di riconoscere i punti in cui ho traballato, esitato e inciampato. Chissà se per quel momento mi sarò finalmente formulata la ‘mia’ legge di gravitazione, personale stavolta e non universale. Chissà se avrò trovato un’equazione, un’espressione che tutto risolve e tutto giustifica e che dà sempre il risultato sperato. Chissà che alla fine non abbia imparato anch’io a leggere i cartelli, interpretare i segnali e a scansare i dossi e che, raggiunta una veneranda età da signora rispettabile, non mi sia finalmente convinta a portare scarpe più comode, fatte solo per camminare.
Però per adesso, sprovvista di insegnanti, insegnamenti e regole auree, lasciatemi libera di mettere i piedi in fallo, di sbagliare e di smarrirmi nel mezzo del cammin della mia vita, perché la retta via per me è piena di curve e deviazioni. E se, nel frattempo, mi prendo qualche storta o faccio qualche figuraccia, sorridete pure ma fatelo con la stessa tenerezza che si riserva a un bambino maldestro che, goffamente, cerca il suo baricentro per restare dritto in piedi. In fondo ci siamo passati tutti, perfino lei signor Passante… ma forse non se ne ricorda.
Così recupero un equilibrio che molti prima di me hanno definito precario e instabile, ma che io chiamo mutevole, perché quando tutto intorno cambia, a noi non resta che cambiare insieme al resto. O cambiare noi per primi. Allora, davvero, non si preoccupi per le mie cadute: s’impara a cadere e s’impara a rialzarsi. Con stile, anche.
L’orientamento si sviluppa per tentativi, fallimenti, discese, salite e vicoli ciechi che guidano ovunque e in nessun luogo. Un intricato labirinto in fase di costruzione e revisione continua, dove neanche avere il filo rosso funziona più come guida. La ringrazio quindi per i preziosi consigli, ma per trovare le proprie leggi, si sa, niente è meglio dell’esperienza diretta: la prova del nove di ogni teorema. La mia la sperimento anche così: a passi a volte piccoli, incerti, perfino incespicati o sbagliati, ma altre ancora invece sicuri e testardi, ostentati su scarpe potenzialmente pericolose e terreni sempre più sconnessi.

 

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