Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
ci restituirà quel tempo che le occasioni infiora.
Tempo madreculla che dà sé a sé stessi
e gli altri al cuore
cuore di fuoco che l’Immenso
rapirebbe in alto.
In alto…
Non tutto – sappi – è dis-grazia.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Mi è capitato in passato di affermare che la poesia possiede i suoni della musica jazz la quale produce onde sonore elastiche che danno vita a emozioni-come-colori. La poesia accade nell’animo di chi la sa accogliere e si rannicchia in un angolo del corpo fino a che esplode nello spazio circostante. La poesia può fare molto rumore e può anche placare un animo in fermento. Immaginiamo il poeta, la poeta, come se fosse un equilibrista che, asta alla mano, cammina sul filo e, in bilico, ascolta la voce del vento che conduce a due passi dal sole dove è più facile asciugare le lacrime. In questo miracolo poetico vi è nascosto un segreto: il funambolo sa dove e come poggiare i piedi, egli attraversa a piccoli tentativi le emozioni su di un filo sospeso che è sì fragile, ma resistente; nel suo procedere si affida alla propria forza, al proprio coraggio e colma il vuoto – qui rappresentato dall’altezza e dalla sospensione -, prendendo energia dal sé-baricentro.
La poesia è capace di alleggerire le menti e di sollevare il corpo. Guardiamo, altresì, alla poesia come a una cordicella che lega noi agli altri: come se le parole fossero i minuscoli fili resistenti, compatti che compongono la corda. Scrivere fortifica: è un processo comune a chi, come noi, incide su carta le emozioni più profonde. E, scrivendo, affiorano sentimenti che appartengono a ognuno.
Mi reputo una lettrice esuberante: non riesco a stare lontana dalle parole di poeti e narratori. Tra l’altro ho fatto parte di giurie di concorsi letterari, ho recensito e presentato vari libri e ho ideato alcune rubriche letterarie nelle quali parlo e scrivo di autori sia classici che contemporanei. Questa premessa da parte mia è doverosa in quanto ho rilevato, già da tempo, che, in letteratura in generale e nella poesia in particolare, spesso chi scrive espone più o meno consapevolmente ciò che gli manca. Anche i grandi poeti hanno scritto per mancanza, per difetto, per sottrazione e alienazione. Il poeta desidera, anela con tutto se stesso a ciò che non ha, si tende verso l’oggetto del suo desiderio. Da lettrice a un certo punto mi sono chiesta: ma qual è il contrario di mancanza? Ed ecco che qui mi si è aperto tutto un mondo, perché mi è giunta, come un sussurro, la parola pienezza. Ma si può scrivere per pienezza? E cosa vuol dire? Quando lo si fa? E poi: si può scrivere contemporaneamente di mancanza e di pienezza?
Proverò ad analizzare tali mie domande e mi proverò a formulare alcune risposte. Parto dal presupposto che scrivere è riempire un foglio di parole, concetti e sentimenti per cui l’atto della scrittura è di per sé riempitivo; il concetto di scrivere per mancanza, quindi, appare come un controsenso, eppure pone le basi per una scrittura che seppure nell’esprimere un sentimento di dolore, di sofferenza, in ogni caso riempie l’animo, lo ripara addirittura, e il poeta si sente sollevato, ne ottiene beneficio poiché ha riempito quel vuoto interiore e ha trasferito il suo disagio in un foglio, ma soprattutto lo ha trasposto fuori da sé. Fin qui è tutto chiaro, è questo il percorso principe della poesia: un moto maieutico che si avvale degli strumenti emozionali ed espressivi per colmare le crepe interiori. La maggior parte dei poeti hanno scritto – e ancora scrivono, scriviamo – di ciò che tormenta, logora, addolora: la poesia si fa cura dell’animo nel narrare la drammaticità. Un moto nel quale essa stessa: prima abbisogna del vuoto per sondare il sentire più profondo, e quindi si dispiega, si apre, per divenire forma tridimensionale che unisce il detto e il non detto.
Possiamo affermare, dunque, che la poesia oscilla tra la mancanza e la pienezza anche dal punto di vista grafico: mi piace pensare alla poesia come una ragnatela di parole con gli spazi vuoti intervallati da versi e strofe, spazi che nascondono significati e celano più di quel che si dice.
Ma ritengo ci sia un aspetto più tecnico che attiene al contenuto della poesia la quale si fa contenitore di un messaggio: più in alto ci trasporta il messaggio più il vuoto si riempie. Ma cosa è il vuoto? Nell’immaginario collettivo è visto come abisso della solitudine, una condizione da rifuggire, tenere più lontano possibile: ma è davvero così negativo il vuoto? Se invece lo pensassimo come la nostra parte in ombra che attende di essere estratta e vista? So per esperienza diretta quanto la solitudine sia la molla che fa scattare il desiderio di comunicare, di creare, di interagire, di saltare verso…
Ma… com’è il vuoto? Io lo immagino come una sfera all’altezza dell’esofago che contiene già il sé più prezioso in viaggio verso l’esterno, affinché mani invisibili si aggrappino alla pienezza del vivere e la sfera trasli e raggiunga la vetta dell’anima, un’anima che, seppure piena di tagli, va verso la luce. È strano come ciò che ho appena detto mi riporti alla mia opera di Poesia Sculturata “Utero della terra-Marhanima” la quale ha, al suo interno, le preziosità più segrete: quelle che attengono all’anima. In “Utero della terra” la sfericità si fa contenuto e contenitore e al suo interno vi si accede con la reverenza di chi si predispone ad accoglierne il segreto: oltre la soglia, la sfera è completa, piena e si palesa quasi con sfrontatezza poiché essa sa, conosce ciò che è inconoscibile. Eppure è sufficiente saltare – con coraggio – nel vuoto per accedere alla luce. La poesia, quindi, me la figuro come un utero da riempire con le unicità del cosmo e… dell’uomo.
Il poeta ama il vuoto e si fa voce di un silenzio che non sta mai zitto, un silenzio che risiede già nelle cellule del corpo, ma anche nel tessuto sociale: si manifesta come coscienza del sé e come coscienza collettiva. Il corpo è uno dei veicoli che il poeta utilizza per trasmettere il suo messaggio: attraverso l’epidermide egli percepisce vibrazioni che poi esprime con le parole. Immagino il poeta-funambolo utilizzare l’asta come se fosse una sciabola di sillabe e innalzarla verso un ideale di armonia e bellezza, di amore e benessere.
Italo Calvino sosteneva che “bisogna elevarsi, alleggerirsi, rispetto alla pesantezza della realtà: planare sulle cose dall’alto e non avere macigni sul cuore”.Guardare dall’alto, quindi, permette di alleggerire. Alleggerire permette di creare spazio. Lo spazio riporta all’essenziale, al vuoto che eleva.
Poesia di pienezza è, secondo me, comunione tra la propria essenza, il divino e gli uomini; tra il sé e il tutto. Il tutto: ciò che l’uomo ha il privilegio di vedere, osservare, gustare, toccare, annusare. Quanti verbi! Eppure sono in linea con chi si affida ai sensi. La pienezza nella poesia accade quando il poeta si libera da ciò che è superfluo: dai suoni e dalle immagini che provengono dall’esterno e si concentra sull’armonia e… contempla. Il contemplare rigenera il vuoto, gli dà nuova forma e nuovo significato. Senza il vuoto non potrebbe esistere il pieno. E il pieno forse è semplicemente l’amore. Ascoltate cosa scrive Sàndor Màrai:
La vita, amore mio, è la pienezza.
La vita sono un uomo e una donna (… che sono) l’uno per l’altro,
ciò che la pioggia è per il mare:
l‘uno torna sempre a cadere nell’altro,
si generano a vicenda,
l’uno è la condizione dell’altro.
Da tale pienezza nasce l’armonia,
e in questo consiste la vita.
Una cosa rarissima fra gli esseri umani.
La poesia è l’arte creativa più nobile, quella che riesce a penetrare nel midollo delle cose. La poesia si lascia trovare solo da coloro che la cercano. Fosse anche il fruscio del vento, il ritmo della pioggia o un sorriso spontaneo: eccola la poesia è vista e ascoltata. Scriverla è forgiare le emozioni, è dare corpo alle sensazioni. La poesia di pienezza quindi è semplice ma profonda, sfida il consueto, oltrepassa il disamore per accedere all’amore, quello più alto, quello che niente chiede in cambio. Come un dialogo tra l’umanità, la natura e la fede. Un po’ come “affidare al vento il dolore, all’onda marina il pianto e tenere in braccio l’amore.”
*
Nota dell’autrice: Questo saggio breve è stato redatto per il convegno “La poesia: Quel poco che riempie il vuoto”, evento inserito ne “Il Maggio dei libri 2023”, promosso dall’Associazione Faro Convention of Citizen Europe, presso la Biblioteca Comunale di Villa Trabia di Palermo, relazionato il 29 maggio 2023.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore/l’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Nella letteratura tra le due guerre, François Mauriac rappresenta, con Bernanos, il romanzo d’ispirazione cristiana.
Nato a Bordeaux nel 1885, ricevette dalla madre un’educazione strettamente cattolica. Dopo gli studi al liceo e alla Facoltà di Lettere di Bordeaux, si stabilisce a Parigi, dove si dedica alla letteratura, pubblicando due raccolte poetiche (Les mains jointes, 1909; L’Adieu à l’adolescence, 1911). Rinunciando alla poesia per il romanzo, pubblica nel 1913 L’Enfant chargé de chaînes, ma il successo arriverà più tardi, nel 1922, con Le Baiser au lépreux. Questo libro non è soltanto il primo capolavoro di Mauriac, ma esprime anche, molto nettamente, il dono di questo romanziere cattolico per l’analisi, nel contesto dei costumi della sua provincia natale, del conflitto tra peccato e sacrificio, tra la vita dei sensi e la liberazione spirituale.
Negli altri romanzi (citiamo: Le Désert de l’amour, 1925; Thérèse Desqueyroux, 1927; Destins, 1928; Le Mystère Frontenac, 1931; Le noeud de vipères, 1932; La Finde la nuit, 1935; La Pharisienne, 1941), Mauriac confermava le qualità di moralista e scrittore, dotato di uno stile sempre adeguato alle situazioni dei personaggi. Ma qualche cosa è cambiata o almeno ha subito un’evoluzione nella visione che questo romanziere si faceva del mondo. In effetti è facile seguire, attraverso le sue opere, il passaggio da un cupo pessimismo che lo spinge a osservare lo spettacolo del peccato e del crimine (Thérèse Desqueyroux), a una presenza della Grazia che dà al nodo oscuro della coscienza la speranza della salvezza. Questa evidenza del problema della Grazia conferisce all’opera di Mauriac, secondo alcuni critici, un tono tipicamente giansenista.
Tra le altre opere di questo scrittore ricordiamo una Vie de Jésus (1936), Asmodée (1937), Les mal aimés (1945) e Le Cahier noir (pubblicato nel 1943 con lo pseudonimo di Forez) in cui espresse la sua fede di resistente. Essendosi dedicato al giornalismo politico, pubblicò Bloc-Notes (1958). Partigiano del gollismo, scrisse una biografia del Generale (De Gaulle, 1964). Mauriac si spense nel 1970.
Il poeta, scrittore e giornalista francese François Mauriac
Thérèse Desqueyroux
Accusata di aver tentato di avvelenare il marito, Thérèse Desqueyroux, protagonista dell’omonimo romanzo (1927) di Mauriac, è infine messa in libertà per non luogo a procedere, in seguito alla deposizione favorevole dello stesso marito desideroso di soffocare lo scandalo che travolge il nome della propria famiglia.
Rientrando ad Argelouse, uno sperduto villaggio della Gironda ove il marito l’attende, Teresa prepara la sua difesa in vista di una riappacificazione ma, evitando le facili e meschine giustificazioni, va alla ricerca delle ragioni che l’hanno condotta al crimine. Evoca così – e siamo alla pagina che qui presentiamo – la sua infanzia, che essa stessa vede come “de la neige à la source du fleuve le plus sali” (“neve alla fonte del fiume più sporco”). Si rivede pura accanto alla sua amica prediletta, Anna, ma la sua non è una semplicità sciocca, dovuta all’ignoranza delle cose. Disegna per sé l’immagine di un angelo, ma di “un ange plein de passion” (“un angelo pieno di passione”, presenza del tema della sensualità). Lasciando al lettore la scoperta di queste notazioni, ci limitiamo a osservare quanto sinuosa e sottile, lucida e spietata sia questa ricerca di Mauriac, che insiste sulle pieghe più riposte e più lontane dell’anima per rintracciarvi il senso di un destino.
Le speranze di Teresa risulteranno vane. Il marito, nella sua sanguigna semplicità, non è fatto per capire e comprendere la complessità delle cose e quindi, dopo averla sacrificata ad Argelouse, conduce la moglie a Parigi, ove l’abbandona.
“Attraversò a tentoni il giardino del capostazione, sentì i crisantemi senza vederli. (In tutto il libro domina il senso dell’olfatto: sentire i crisantemi è più importante che vederli, attraversare il giardino è più importante che vedere i fiori e gli alberi).
Nessuno nello scompartimento di prima classe, dove d’altra parte la luce fioca del treno non sarebbe stata sufficiente ad illuminare il suo viso. Impossibile leggere: ma quale racconto non sarebbe sembrato insipido a Teresa, al prezzo della sua vita terribile? Forse morirebbe di vergogna, di angoscia, di rimorso, di fatica – ma non morirebbe di noia. (La luce non è sufficiente, luce in tutti i sensi. Teresa è nelle tenebre del peccato: ancora una volta il senso della vista non è coinvolto. Il tema della luce attraversa tutti il libro alternato a quello del buio. Ecco i sentimenti che offuscano Teresa, la opprimono: vergogna, angoscia, rimorso, fatica. La donna aspira al perdono e per questo prepara la sua difesa, la confessione che le consentirà di arrivare al sospirato perdono – che non arriverà).
Si cacciò in un angolo, chiuse gli occhi. Era verosimile che una donna della sua intelligenza non arrivasse a rendere questo dramma intellegibile? Sì, finita la confessione, Bernard l’avrebbe risollevata: “Va’ in pace, Teresa, non ti preoccupare. Nella casa di Argelouse, aspetteremo insieme la morte, senza che possano mai separare le cose compiute. Ho sete. Scendi in cucina. Prepara un bicchiere di aranciata. Lo berrò d’un fiato, anche se è torbido. Cosa importa se il gusto mi ricorda quello che aveva un tempo il mio cioccolato del mattino? Ti ricordi, mia cara, tutto quel vomitare? La tua cara mano sosteneva il mio capo; tu non distoglievi lo sguardo da quel liquido verdastro; le mie sincopi non ti spaventavano. Tuttavia, come diventasti pallida quella notte in cui mi accorsi che le mie gambe erano inerti, insensibili. Tremavo, ricordi? E quell’imbecille del dottor Pédemay meravigliato che la temperatura fosse così bassa e il polso così agitato…”. (Confessione, notte – anche notte e buio del peccato -, gusto: temi costanti).
“Ah! Pensa Teresa, non avrà capito. Bisognerà ricominciare dall’inizio…” Dove è l’inizio dei nostri atti? Il nostro destino, quando vogliamo isolarlo, somiglia a quelle piante che è impossibile strappare con tutte le radici. Teresa risalirà fino all’infanzia? Ma l’infanzia stessa è una conclusione, un risultato. L’infanzia di Teresa: neve alla fonte del fiume più sporco. (Teresa si interroga sul suo destino, è un misto di purezza e peccato: è pura come la neve, vuole essere pura ma è contaminata, è sporca, la passione la domina. Angelo e demonio. Più volte nel corso del romanzo si definisce mostro).
Al liceo, era sembrata vivere indifferente e come assente dalle piccole tragedie che laceravano i suoi compagni. Gli insegnanti spesso proponevano l’esempio di Thérèse Larroque (è il nome di famiglia di Thérèse): Teresa non chiede altra ricompensa che, se non la gioia di realizzare in sé stessa un tipo di umanitàsuperiore. La sua coscienza è l’unica e sufficiente luce. (Eccola la luce alla quale Teresa nella sua oscurità tende!).
L’orgoglio di appartenere alla élite umana la sostiene meglio di quello che farebbe la paura del castigo…”. (Altro binomio fondamentale, il perdono e il castigo).
Così si esprimeva uno dei suoi insegnanti. Teresa si interroga: “Sono felice? Sono così candida? Tutto ciò che precede il mio matrimonio assume nel mio ricordo questo aspetto di purezza: contrasto, senza dubbio, con l’inevitabile sudiciume delle nozze. Il liceo, al di là del mio tempo di sposa e di madre, mi appare come un paradiso. Allora non ne ero cosciente. Come avrei potuto sapere che in quegli anni prima della vita stavo vivendo la vera vita? Pura, io l’ero: un angelo, sì! Ma un angelo pieno di passione(Teresa è un misto di purezza – alla quale tende – e tenebre).
Qualunque cosa pretendessero le mie insegnanti, soffrivo e facevo soffrire. Gioivo del male che causavo e di quello che proveniva dalle mie amiche; pura sofferenza che nessun rimorso alterava: dolori e gioienascevano dai più innocenti piaceri”. (Teresa indaga sull’origine dei suoi atti e per fare questo risale all’infanzia e al liceo).
La ricompensa di Teresa, era, quando la stagione bruciava, di non giudicarsi indegna di Anna (Anne de la Trave, l’amica d’infanzia di Teresa) che raggiungeva sotto le querce di Argelouse. (Le querce con i pini rappresentano lo sfondo naturale di tutto il romanzo. La quercia è un albero sacro investito dei privilegi della divinità suprema del cielo, senza dubbio perché attira il fulmine e rappresenta la maestà).
Occorreva che potesse dire alla bambina educata al Sacré-Coeur: “Per essere pura come te, non ho bisogno di tutti quei nastri né di tutti quei ritornelli…”Magari la purezza di anna fosse fatta di ignoranza. Le dame del Sacré-Coeur interponevano mille veli tra la realtà e le loro ragazzine. Teresa le disprezzava perché confondevano virtù e ignoranza: “Tu, cara, non conosci la vita…”, ripeteva in quelle lontane estati d’Argelouse. Quelle belle estati…Teresa, nel trenino che si mette in moto, infine, confessa che il suo pensiero deve risalire fino a loro, se vuole vedere chiaro. Incredibile verità che in quelle albe completamente pure della nostra vita, i peggiori temporali erano già sospesi. Mattinate troppo blu: cattivo segno per il tempo del pomeriggio e della sera. Annunciano aiuole devastate, i rami rotti e tutto quel fango. Teresa non ha riflettuto, non ha premeditato mai in nessun momento della sua vita; nessuna curva brusca: ha sceso una pendenza insensibile, prima lentamente poi più velocemente. La donna persa di quella sera è proprio quell’essere radioso che fu durante le estati di quell’Argelouse dove ora torna furtiva e protetta dalla notte. Che fatica! A che scopo scoprire gli aspetti segreti di ciò che è compiuto? La giovane donna. Attraverso i finestrini, non distingue nulla se non il riflesso del suo volto morto. Il ritmo del trenino si rompe; la locomotiva soffia a lungo, si avvicina con prudenza alla stazione. Una lanterna da un braccio, richiami in gergo, le grida acute dei maialini sbarcati: già Uzeste. Ancora una stazione, e sarà Saint Clair da dove occorrerà compiere in una vettura a cavalli l’ultima tappa verso Argelouse. Resta poco tempo a Teresa per preparare la sua difesa! (“Non puoi immaginare la liberazione dopo la confessione, dopo il perdono, – quando di nuovo puliti, si può ricominciare la propria vita”, così diceva a Teresa l’amica Anna. Teresa anela al perdono del marito, di Bernard che però la respingerà. La natura gioca un ruolo importantissimo ed è sempre associata ai turbamenti della protagonista, al suo sentire. Il pino è molto importante e generalmente, in Estremo Oriente, è simbolo d’immortalità, cosa che spiegano contemporaneamente la persistenza del fogliame e l’incorruttibilità della resina. I pini sono legati all’incontro di Teresa con Jean: riflettono, come uno specchio, gli stati d’animo della donna).
I pini: Il mio primo incontro con Jean…Devo ricordare ogni circostanza: avevo scelto di andare a quella colombaia abbandonata dove mangiavo un tempo con Anna e dove sapevo che, dal quel momento in poi, le era piaciuto raggiungere quel Azévédo. No, non era nella mia mente, un pellegrinaggio. Ma i pini, da quel lato, sono cresciuti troppo perché si possa spiare i colombacci: non rischiavo di disturbare i cacciatori. Questa colombaia non poteva più servire poiché tutta la foresta intorno nascondeva l’orizzonte: le cime allontanate non quei grandi viali di cielo dove chi spia vede sorgere i voli.
FAUSTA GENZIANA LE PIANE
Bibliografia
François Mauriac, Thérèse Desqueyroux, éd. Grasset, 1956.
Le traduzioni nel corpo del testo sono di Fausta Genziana Le Piane
Questo saggio viene pubblicato su questo spazio dietro autorizzazione da parte dell’Autrice che nulla avrà a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. La riproduzione del saggio, in forma parziale o integrale e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentita senza l’autorizzazione da parte dell’Autrice.
L’Oriente è quella parte di mondo in cui, nonostante il materialismo sempre più dilagante, la spiritualità ancora si respira quasi a pieni polmoni.
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Gerusalemme
Tra le mura della città vecchia ogni pietra è impronta di Dio.
Questi testi vengono pubblicati nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionati dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore/l’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Parlare di poesia è sempre un tema affascinante, chiedersi cosa sia Poesia, come nasce, perché i poeti amano esprimere in versi il loro sentire, sono domande che gli uomini si sono posti nel corso dei tempi. Definire poesia non è affatto facile, molti chiamano poesia delle loro riflessioni scritte. La poesia è mistero, è magia, scrivere in versi è l’arte più alta che ci sia, fortunati coloro che hanno avuto il dono e il privilegio (dagli dei?) di cantare con le Muse.
Cos’è la Poesia e che rapporto c’è con la spiritualità? Ogni epoca ha avuto la sua concezione di Poesia e ha dato un significato precipuo alla sua funzione.
La poesia è soprattutto metafora, un’immagine dovrebbe dare il senso al pensiero, di cui diventa messaggio, simbolo; dovrebbe raccontare lo spaccato della società, che ormai nega attenzione alla persona.
Apparentemente la poesia descrive qualcosa, ma questa descrizione è simbolica, è la rappresentazione simbolica della vita umana.
La poesia usa un linguaggio universale, trasmette agli uomini l’universalità dei nostri sentimenti.
Rifacendoci al pensiero del filosofo Heidegger possiamo condividere ciò che lui pensa di quest’arte, cioè che la poesia va intesa nel significato di poiesis, ossia di pro-durre, creare, svelare, portare alla luce ciò che è nascosto. La parola ha un potere evocativo, non è la parola della scienza o della tradizione metafisica, la parola della poesia chiama le cose nella loro essenza: è il linguaggio che svela il mondo, è pensiero che diventa parola, “quella determinata parola”, perché poi da lì scaturisce l’emozione; di conseguenza la poesia ha una forte componente irrazionale.
Dobbiamo dire che la poesia è nata prima della scrittura e all’inizio si è espressa in forma orale.
All’origine l’uomo ha fatto esperienza della conoscenza proprio attraverso il linguaggio poetico, linguaggio che ha disvelato il mondo e sé stesso e per ritrovare il senso della sua esistenza l’uomo ha dovuto riscoprire nel non detto, nell’abisso più profondo il principio da cui tutto ha avuto origine, perché il dire dei poeti ha infinite sfaccettature.
La poesia disvela universi sconosciuti ed è la migliore opportunità per conoscere sé stessi e il mondo, ha una forte capacità d’introspezione e di indagine. Spesso ricorriamo alla poesia per esprimere i sentimenti più profondi della nostra anima, che non possono essere trasmessi dal linguaggio lineare e controllato della prosa.
Il mondo della Poesia, ancora oggi, s’interroga sulla sua essenza: c’è chi afferma che la Poesia è un momento emozionale; chi un momento di riflessione; chi usa la Poesia per sperimentare linguaggi nuovi, a volte ermetici, di difficile interpretazione. Io personalmente, penso che al fondo della Poesia ci sia sempre la ricerca di senso, la ricerca dell’uomo, del suo essere. Poesia è filosofia e in questo condivido il pensiero del poeta romantico tedesco Holderlin, ma nel contempo la poesia è ricerca della parola, parola che esprime il nostro sentire, anche se ciò non sempre avviene. Bravi quei poeti che riescono non solo a trasmettere in pochi versi l’emozione, ma anche il senso, ossia l’essenza del loro sentire. In questo senso intendo la “spiritualità” della poesia, perché il poeta dona sempre una visione della realtà che va rivissuta, goduta in ogni attimo; ad esempio soffermiamoci sul verso foscoliano dell’Inno primo dedicato a Venere del poema Le Grazie, opera incompiuta Splendea tutto quel mare; mirabilmente Ugo Foscolo in versi endecasillabi sciolti, fa fluire, trasparire sia il senso dell’armonia del creato, sia il conflitto interiore tra la memoria e l’anelito verso l’Infinito, armonia del creato intesa come equilibrio di bellezza e virtù, suscitata dalla vista di quella distesa azzurra. Il poeta di fronte alla “vastità”, alla distesa mediterranea, al colore azzurro, al mistero dell’Universo rimane stupito, il desiderio si trasforma in conflitto tra il piacere e il dolore che tale piacere procura e questo piacere doloroso è simile a quel sentimento del sublime di cui discorreva Kant nella Critica del Giudizio.
La condizione esistenziale del poeta Foscolo di sradicato, di cittadino, anche se ideale di tante patrie, Grecia, Venezia, Italia al quale le circostanze negarono una vera appartenenza, viene appagata soprattutto nel cantare la Bellezza, anche la Bellezza femminile, in un paesaggio eminentemente classico ed è una Bellezza che rasserena, mitiga gli istinti; il linguaggio che Foscolo usa è un linguaggio elevato, classico, sembra che voglia afferrare l’inafferrabile.
In alcune immagini Foscolo esprime in maniera evidente sensazioni intime, personali, in ciò è vicino alla lirica moderna, proprio per quella ricerca dell’analogia tra il linguaggio e le cose.
La figura della donna che affiora dal mare è accecante così come le ninfe acquee che veleggiano per ispirare gioia, serenità e desiderio di un amore puro.
La poesia del Foscolo non è né antica, né moderna, le visioni che lui ci ha regalato sono proprie di un presente perenne, perché, appunto, la poesia non è figlia di un’epoca, per esempio lo sguardo commosso di Odisseo nella poesia A Zacinto è lo stesso sguardo del giovane moderno nel suo sostare e meditare sulla distesa azzurra.
Secondo la teoria di R. Jackobson, la funzione poetica caratterizza ogni testo letterario in quanto in esso l’attenzione si concentra sugli aspetti formali del messaggio.
Nella poesia il significante e il significato sono indivisibili: il primo indica le parole della poesia, il loro suono e il loro ritmo, cioè come la poesia è scritta, mentre il significato rappresenta il messaggio vero e proprio della poesia.
Nel quadro linguistico letterario che va dal Manzoni in poi, secondo il Devoto, ci sono delle evasioni linguistiche. Queste evasioni possono essere: sentimentali, realistiche, esuberanti. Le evasioni sentimentali le ritroviamo in Pascoli nella poetica del Fanciullino e sono chiamate dal Devoto evasioni linguistico-sentimentali. Evasione linguistica intesa come cambiamento della lingua, evoluzione, sviluppo che va al di là del quadro rigido di quello che era stata la lingua del Manzoni oppure la lingua del Verga, la lingua plastica-romantica; in essa troviamo l’uso di onomatopee, ossia i suoni si basano sui ricordi, sulle sensazioni. Le evasioni realistiche sono quelle un po’ ragionate di Fogazzaro, che viene visto nel primo periodo un po’ come il contrasto, l’antitesi del Manzoni, soprattutto nella riflessione dei luoghi e dei personaggi.
In questo periodo la poesia ha una dimensione alogica, è consolatrice della funzione, ossia lo scopo del poeta è quello di consolare, sollevare, dare sfogo ai sentimenti. La letteratura diventa evasione, evasione dalla storia, evasione dai problemi reali della società, anche evasione dalla società industriale un po’ in tutta l’Europa. La poesia non serviva per lottare, serviva per evadere dalla realtà e dai contrasti con la stessa realtà. Dal punto di vista linguistico, la poesia si sposta, si amplia attraverso la descrizione di momenti quotidiani, per fare questo il poeta ha bisogno di ricercare nuovi vocaboli, di arricchirsi lessicalmente, il Pascoli in particolare trova la soluzione nelle onomatopee. Il verso non è più così lirico, così stretto, poetico, enigmatico, il verso diventa quasi prosastico, somigliante quasi ad un discorso. La parola assume un valore evocativo e suono simbolico, è associazione del suono e del simbolo a cui fa riferimento. Pascoli attraverso gli echi e le risonanze melodiche, arricchite da rapide note impressionistiche e da frasi che racchiudono l’essenzialità, ci parla di un mondo, simbolo delle sue angosce e delle sue ossessioni interiori: le figure più ricorrenti nella sua poesia appartengono al mondo campestre e contadino, il nido, l’orto, la siepe, gli uccelli, i fiori, sono i simboli delle angosce e delle ossessioni interiori del poeta.
Anche in D’Annunzio la parola è importante, la parola in D’Annunzio acquista un valore sensuale, però nella sua poetica è evidente un altro aspetto, non quello del quotidiano come nel Pascoli, ma quello dell’eroe, dell’eroe decadente; s’intende per eroe decadente un eroe che non è impegnato in un tipo di lotta, è un eroe più intimista, è superiore anche a certi problemi, così superiore che non li osserva nemmeno questi problemi, non è l’eroe foscoliano. L’opera del D’Annunzio è varia, va dalla prosa alla poesia e i moduli artistico-espressivi che usa sono molteplici; anche in D’Annunzio c’è una tendenza impressionistica, così immediata che quasi quasi si impoverisce di contenuto, ecco che la poesia e la prosa dannunziana hanno avuto successo in quel momento in cui andavano di moda, poi non hanno avuto più lo stesso riscontro nella storia della letteratura e non possiamo dire che un’opera del D’Annunzio sia intramontabile come l’opera del Manzoni, perchè l’opera del D’Annunzio si è impoverita proprio per questa eccessiva evocazione, per questo impressionismo della parola e alla fine questo tipo di linguaggio ha avuto scarsa presa sul lettore.
Ci chiediamo, quale funzione, oggi, la poesia abbia e a che serve. Possiamo affermare che la poesia predispone ad un atteggiamento di apertura e di flessibilità, predispone ad arricchire la percezione delle cose, della realtà esterna, anche dei sentimenti interiori di ognuno, perchè la poesia consente di focalizzare nella sua dinamicità il potenziale significativo delle parole, sia attraverso una pluralità di sensi, sia attraverso l’estensione del lessico, in quanto la poesia è sensibile a una pluralità di registri linguistici che in essa, a differenza di altri testi, si manifestano più liberamente. Inoltre la poesia è sensibile, anche, all’immaginazione linguistica, così si esprime Maurizio Della Casa e viene definita polisemica perché ogni parola, ogni verso ha almeno due significati: quello letterale e quello simbolico ed è un particolare tipo di scrittura letteraria, caratterizzata da una serie di artifici metrici, ritmici e retorici attraverso i quali si realizza al massimo grado la funzione poetica del linguaggio.
La poesia, dunque, è ritmo, musicalità, metrica, anche nel verso libero il ritmo è dato dalla scansione interna del poeta, non è legato ad alcuna regola oggettiva, per cui la scelta della parola diventa essenziale, proprio per il suo significato di “essenza”. Il verso libero è espressione di tensione alla libertà che è caratteristica della nostra epoca. La danza nei passi “essenziali” trasporta il poeta nel mondo dell’immaginazione, con le sue regole, con la sua armonia. Così, infatti la poesia, la possiamo definire “Armonia dell’universo” e specchio della spiritualità dell’uomo.
Bibliografia:
Della Casa Maurizio, I generi e la scrittura, La Scuola SEI, 2014
Devoto Giacomo, Profilo di storia linguistica italiana, La Nuova Italia, 1990
Foscolo Ugo, Le Grazie, Tiemme Edizioni Digitali, 2021
Foscolo Ugo, Le poesie, a cura di Matteo Palumbo, Rizzoli, 2010
Heidegger Martin, La poesia di Hölderlin, Adelphi, 1988
Jackobson Román, Lo sviluppo della semiotica, a cura di Pierluigi Basso Fossali, Luca Sossella editore, 2017
Pascoli Giovanni, Poesie, a cura di M. Pazzaglia, Salerno editrice, 2002
Pascoli Giovanni, Tutte le poesie. Ediz. Integrale, Newton Compton Editori, 2006
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore/l’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Viene bandita l’undicesima edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato, fondato e presieduto dal poeta e critico letterario Lorenzo Spurio e organizzato da Euterpe APS di Jesi.
Art. 2 – Patrocini Morali
Il Premio è patrocinato dalla Regione Marche, dall’Assemblea Legislativa della Regione Marche, dalla Provincia di Ancona, dai Comuni di Jesi, Ancona e Senigallia e dall’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Art. 3 – Partnerships
Il Premio gode del patrocinio morale e della partnership del Centro Studi “Sara Valesio” di Bologna, del Centro Culturale “Vittoriano Esposito” di Avezzano (AQ), del Movimento Internazionale “Donne e Poesia” di Bari, dell’Associazione “Le Ragunanze” di Roma, dell’Associazione Siciliana Arte e Scienza (ASAS) di Messina, dell’Associazione “L’oceano nell’anima” di Bari, dell’Associazione “Africa Solidarietà Onlus” di Arcore (MB), dell’Associazione “Il Faro” di Cologna Spiaggia (TE), della Consulta Giovanile di Bonorva (SS), del Club per l’Unesco di Cerignola (FG), di Wiki-Poesia e del quotidiano online «Il Graffio».
Art. 4 – Requisiti fondamentali
Si può partecipare sia con opere edite che inedite. Qualora l’opera sia edita è necessario indicare nella scheda di partecipazione il riferimento bibliografico completo dove è precedentemente apparsa (titolo opera, casa editrice, luogo e anno di pubblicazione). L’organizzazione è sollevata da qualsiasi problematica, disguido e controversia possa nascere nel caso in cui l’autore presenti la sua opera come inedita quando, in realtà, essa, alla data d’invio della partecipazione al premio, è edita.
Art. 5 – Minorenni
I minorenni partecipano a titolo gratuito. Per la loro iscrizione è necessario che la scheda dati venga firmata in calce da un familiare (indicando tra parentesi il grado di parentela) o da un curatore o chi ne fa le veci.
Art. 6 – Sezioni a concorso
Il Premio è articolato in tredici sezioni identificate dalle lettere dell’alfabeto. Il partecipante può prendere parte a una o più sezioni.
SEZIONE A – POESIA IN ITALIANO
Si partecipa con un massimo di tre poesie in lingua italiana a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).
SEZIONE B – POESIA IN DIALETTO
Si partecipa con un massimo di tre poesie in dialetto a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi). Le opere dovranno avere ben indicato il riferimento al tipo di dialetto o di zona nel quale è parlato e si dovrà allegare obbligatoriamente la traduzione dell’opera in lingua italiana. Qualora la traduzione non sia stata eseguita dall’autore è necessario indicare il nome del traduttore.
SEZIONE C – POESIA IN LINGUA STRANIERA
Si partecipa con un massimo di tre poesie in lingua straniera a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi). Si considerano lingue straniere tutti quegli idiomi vivi caratteristici degli stati nazionali e federali nonché i patois e le lingue minoritarie che contraddistinguono un popolo. Non si accetteranno opere in lingue artificiali o in codici che non hanno un uso reale o non peculiari di una realtà geopolitica concreta riconosciuta dalla comunità internazionale. Le opere dovranno avere ben indicato il riferimento al tipo di lingua o alla zona nella quale è parlata e si dovrà allegare obbligatoriamente la traduzione dell’opera in lingua italiana. Qualora la traduzione non sia stata eseguita dall’autore è necessario indicare il nome del traduttore.
SEZIONE D – POESIA RELIGIOSA
Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema religioso in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).
SEZIONE E – POESIA D’AMORE
Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema amoroso – liberamente inteso – in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).
SEZIONE F – PROSA POETICA
Si partecipa con un testo in prosa (no versi) che non superi 1 cartella editoriale pari a 1.800 battute complessivi (spazi compresi) in cui l’elemento narrativo rappresenti un aspetto marginale e secondario a beneficio degli elementi più marcatamente riflessivi e descrittivi che possano far risaltare gli aspetti emozionali e sensoriali dando sfogo alla propria interiorità prediligendo composizioni costruite su un piano lirico di chiaro impatto. Non saranno conformi a tale sezione racconti canonicamente intesi fondati prevalentemente sulla costruzione del personaggio (fiction) o la narrazione di episodi.
SEZIONE G – LIBRO EDITO DI POESIA
Si partecipa con un solo libro di poesia pubblicato con una casa editrice o auto-prodotto dotato di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’Autore, dal curatore del volume e dall’editore. In caso di vittoria il premiato verrà comunque considerato l’Autore del volume. Si accettano anche libri di poesie in dialetto o in lingua straniera (con traduzione a fronte), di haiku e libri di poesia corredati da immagini (foto e quadri) e antologie (in questo caso si leggano le specifiche sotto). Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e il file originale in formato pdf.
Specifiche per la partecipazione con antologie e opere di AA.VV.
Si partecipa con un’antologia poetica (di qualsiasi tipo e composizione, tranne le antologie dei premi letterari) pubblicata con una casa editrice o auto-prodotta dotata di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’Autore principale, dal curatore, dall’editore o da uno degli autori inseriti. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e il file digitale in formato pdf.
SEZIONE H – HAIKU
Si partecipa con un massimo di tre haiku (5-7-5 sillabe) in lingua italiana in forma anonima.
SEZIONE I – VIDEOPOESIA
Si partecipa con una videopoesia che dovrà essere inviata unicamente con una delle due possibilità:
1) caricandola su YouTube e fornendo nella mail di partecipazione il link del video. In questo caso l’utente non deve assolutamente apportare modifiche al video né cambi di URL per tutta la durata di svolgimento del premio, pena la squalifica;
2) allegando il video (soli formati .avi, .mp4, .wmv) mediante il sito di trasferimento gratuito WeTransfer.
Non dovranno essere mandati video nei quali siano impiegate canzoni, basi e melodie d’accompagnamento che siano brani tutelati/iscritti alla SIAE. Nella scheda di partecipazione l’Autore deve dichiarare di avere utilizzato per la produzione del video materiali (foto, video, musiche) propri o di dominio pubblico o, laddove siano opere di terzi, di aver ottenuto le necessarie liberatorie per l’utilizzo, sollevando Euterpe APS da qualsivoglia responsabilità.
SEZIONE L – SPERIMENTAZIONI POETICHE E NUOVI LINGUAGGI
In questa sezione rientrano quei testi che si riconoscono rispondenti alla fertile attività di sperimentazione contemporanea che si allineano ai parametri caratteristici di ciascun genere movimento, tendenza, avanguardia (riconducibile a Manifesti, note programmatiche, presentazioni del genere, etc.) con particolare attenzione a quelle di seguito indicate:
CORTO POESIA: Sottogenere poetico ideato dai poeti palermitani Antonio Barracato e Dorothea Matranga nel 2019 conformato da un apposito movimento che ne individua caratteristiche formali, contenuti e finalità comunicative[1].
I canoni distintivi della corto poesia sono:
Presenza di un titolo;
Struttura in tre versi;
Contenuto socialmente utile, atto a produrre un cambiamento nel cuore dell’uomo, veicolato a una denuncia del malessere di quest’epoca;
Il terzo verso non deve superare le dieci sillabe.
Si partecipa con un massimo di tre testi; è requisito necessario il rispetto delle caratteristiche peculiari del genere al quale appartengono, pena la squalifica.
DINANIMISMO: Il movimento poetico-artistico del dinanimismo è stato creato – come il relativo neologismo – nel 2009 dal poeta campano Zairo Ferrante volendo intendere in tale originale crasi una fusione di dinamismo e anima[2].
I canoni distintivi (prevalentemente contenutistici) del dinanimismo sono:
1. Volontà di contrapposizione alla dilagante banalità e frivolezza;
2. Riscoperta dell’autenticità e dell’essenza dell’uomo: poesia istintiva e innata;
3. Ricezione degli aspetti dinamici relativi al mutamento, divenire e rinascita (la poesia è una forma di dinamismo anche dell’anima);
4. Propensione all’interrogazione e all’approfondimento su questioni d’ordine pratico e d’interesse collettivo (poesia anche come impegno “sociale”);
5. Linguaggio congruo col sentire e al passo coi tempi; versi puliti, in grado di fondere interiorità e modernità, anche mediante l’utilizzo di parole e immagini in linea con lo sviluppo socio-tecnologico. Progresso inteso non come attività deumanizzante ma come spinta propulsiva all’evoluzione etico-morale dell’intera collettività.
Si partecipa con un massimo di tre testi di lunghezza non superiore a 40 vv. ciascuno; è requisito necessario il rispetto delle caratteristiche peculiari del genere al quale appartengono, pena la squalifica.
DITTICO POETICO A DUE VOCI: Sottogenere del comune dittico poetico, ideato dal poeta e aforista palermitano Emanuele Marcuccio nel 2010 e da lui definito come “una composizione di due poesie di due diversi autori, scritte indipendentemente, anche in tempi diversi, e accomunate dal medesimo tema in una sorta di corrispondenza empatica”[3].
I canoni distintivi (prevalentemente contenutistici) del dittico poetico a due voci sono:
Presenza di un titolo per ciascuna delle due poesie;
Rispondenza di un tema comune alle due poesie;
Ciascuno dei due autori della rispettiva poesia formanti il dittico deve attenersi al proprio modo di fare poesia, senza in alcun modo cercare di imitarsi;
La seconda poesia del dittico deve essere in qualche modo un’ideale risposta alla prima attraverso una sorta di continuum per analogie, corrispondenze sonore o emozionali, di significanza, di empatia, di poetica affinità elettiva.
Si partecipa con un testo con un massimo di 40 versi per ciascuna delle due poesie formanti il dittico. Il partecipante che invia la propria opera deve essere autore di una delle due poesie del dittico e deve aver messo a conoscenza (e ottenuto l’autorizzazione) all’invio dell’altra opera che costituisce il dittico da parte dell’altro autore. Per tale sottosezione è requisito necessario l’invio della scheda dei dati personali da parte di entrambi gli autori delle poesie che costituiscono il dittico. È requisito necessario che rispettino le caratteristiche peculiari del genere al quale appartengono, pena la squalifica.
SEZIONE M – CRITICA LETTERARIA
Si partecipa con una recensione, un testo critico, un’analisi dell’opera, un approfondimento, un articolo, un saggio letterario su un’opera poetica classica o contemporanea della letteratura italiana o straniera (comprensiva su autori esordienti) in forma anonima. L’opera potrà focalizzarsi sull’analisi di una singola poesia o di più testi, di una silloge, di un libro o più, o dell’intera produzione poetica di un dato autore. Tale testo non dovrà superare le quattro cartelle editoriali pari a 7.200 battute complessive (spazi compresi), senza conteggiare il titolo, le eventuali note a piè di pagina e la bibliografia (consigliata).
SEZIONE N – PREFAZIONE DI LIBRO DI POESIA
Si partecipa con una prefazione o una postfazione a un libro edito di poesia. La prefazione può essere inviata sia dall’autore che dall’Autore del libro all’interno del quale è inserita; in caso di vittoria sarà considerato vincitore unicamente l’autore della prefazione e non del libro. Tale testo non dovrà superare le quattro cartelle editoriali pari a 7.200 battute complessive (spazi compresi), senza conteggiare il titolo e le eventuali note a piè di pagina.
SEZIONE O – LIBRO EDITO DI SAGGISTICA SULLA POESIA
Si partecipa con un solo libro di saggistica o critica letteraria (saggio, volume critico, approfondimento, monografia, tesi di laurea pubblicata) su qualsiasi aspetto relativo alla poesia, sia locale, nazionale che internazionale, pubblicato con una casa editrice o auto-prodotto dotato di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore, dal curatore del volume e dall’editore. In caso di vittoria il premiato verrà comunque considerato l’autore del volume. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e il file originale in formato pdf.
Art. 7 – Norme di esclusione
In merito agli autori:
È fatto divieto di partecipare, pena l’esclusione, ai:
Soci Fondatori, Soci Onorari e ai Consiglieri (in carica o passati) di Euterpe APS;
Presidenti di Giuria attivi o passati del presente premio;
Presidenti degli enti / associazioni partner;
Vincitori di Premi Speciali “Alla Carriera” e “Alla Cultura” in precedenti edizioni del premio.
In merito alle opere:
L’opera non deve aver ottenuto un 1° premio assoluto in un precedente concorso al momento dell’invio della propria partecipazione, pena l’esclusione[4];
I vincitori del 1° premio assoluto dell’edizione precedente di codesto Premio (X edizione) non potranno concorrere nella medesima sezione di riferimento, pena l’esclusione;
Saranno escluse dalla Segreteria le partecipazioni che non saranno considerate conformi al bando ovvero le opere che
Riportino nome, cognome, soprannome dell’autore o altri segni di riconoscimento o di possibile attribuzione dell’opera (con eccezione delle sezioni G, I, N, O);
Presentino elementi razzisti, xenofobi, denigratori, pornografici, blasfemi, di offesa alla morale e al senso civico, d’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione di ciascun tipo o che fungano da proclami ideologici, partitici e politici;
Siano giunte prive della scheda dei dati personali e/o del contributo di partecipazione e/o dei testi con i quali s’intende partecipare, e/o con la scheda di partecipazione illeggibile e/o non completata in ogni campo, e/o con modalità non conformi a quanto richiesto dal bando, e/o oltre i termini di scadenza.
Articolo 8 – Contributo
Per prendere parte al Premio è richiesto un contributo di € 10,00 (DIECI//00) a sezione a copertura delle spese organizzative. È possibile partecipare a più sezioni corrispondendo il relativo contributo. I soci di Euterpe APS regolarmente iscritti all’anno di riferimento (2022) hanno diritto a uno sconto del contributo pari al 50% per sezione.
Causale: XI Premio di Poesia “L’arte in versi” – nome e cognome partecipante
Contanti:
Nel caso si invii il materiale per posta tradizionale, la quota di partecipazione potrà essere inserita in contanti, ben occultata all’interno del plico.
Art. 9 – Scadenza e invio
La scadenza di invio dei materiali (opere, scheda di iscrizione compilata e ricevuta del contributo versato) è fissata al 31 dicembre 2022. I materiali dovranno pervenire in forma digitale (per le opere singole esclusivamente in formato doc / docx; per i libri editi in formato pdf) alla mail premiodipoesialarteinversi@gmail.com indicando come oggetto “XI Premio di Poesia “L’arte in versi”. In alternativa, l’invio può avvenire in formato cartaceo; in questo caso fa fede la data di spedizione. Il plico dovrà essere inoltrato a:
XI Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”
c/o Associazione Culturale Euterpe
Casella Postale 375
Ufficio Postale Jesi Centro
60035 – Jesi (AN)
NOTA BENE:
Qualora le spedizioni NON vengano effettuate con Poste Italiane ma con Corrieri o altri sistemi postali, dal momento che questi non consegnano presso l’Ufficio, si chiede di scrivere alla mail del Premio per manifestare questa volontà e verrà fornito un indirizzo alternativo dove effettuare la spedizione.
Art. 10 – Elaborati
Le opere a concorso non verranno riconsegnate. Per quanto concerne le sezioni G (Libro edito di poesia) e O (Libro edito di saggistica) le copie dei volumi partecipanti verranno donate ad alcune biblioteche del territorio nazionale. Una copia rimarrà nell’Archivio di Euterpe APS.
Art. 11 – Commissioni di Giuria
Le Commissioni di Giuria, differenziate per le varie sezioni, sono costituite da esponenti del mondo letterario e sono nominate all’uopo dal Consiglio Direttivo di Euterpe APS. Esse sono presiedute da Michela Zanarella e vedono la presenza di Stefano Baldinu, Fabia Binci, Lucia Cupertino, Valtero Curzi, Mario De Rosa, Graziella Enna, Zairo Ferrante, Rosa Elisa Giangoia, Fabio Grimaldi, Giuseppe Guidolin, Francesca Innocenzi, Antonio Maddamma, Simone Magli, Emanuele Marcuccio, Francesco Martillotto, Vincenzo Monfregola, Morena Oro, Rita Stanzione e Laura Vargiu.
Art. 12 – Premi
Per ciascuna sezione saranno assegnati i seguenti premi da podio:
1° Premio: targa, diploma, motivazione e tessera socio ordinario Euterpe APS anno 2023;
2° Premio: targa, diploma e motivazione;
3° Premio: targa, diploma e motivazione.
Ai primi vincitori assoluti delle sezioni A, B, C, D, E verrà offerto un contratto di pubblicazione gratuito per un volume di poesie da parte della casa editrice Ivvi Editore – Nuovi autori del Gruppo Solone s.r.l. i cui dettagli saranno contenuti nel contratto che verrà consegnato assieme al premio.
La Giuria attribuirà inoltre una serie di Premi speciali come di seguito indicato:
Il Premio Speciale del Presidente del Premio;
Il Premio Speciale del Presidente di Giuria;
Il Premio Speciale della Critica;
Il Premio Speciale “Trofeo Euterpe”;
Il Premio Speciale “Picus Poeticum” che verrà assegnato alla migliore poesia di autore marchigiano;
Il Premio Speciale ASAS (donato dall’Associazione Siciliana Arte e Scienza di Messina) che verrà assegnato alla migliore poesia in dialetto siciliano;
Il Premio Speciale “Peppe Sozu” (donato dalla Consulta Giovanile di Bonorva – SS) che verrà assegnato alla migliore poesia in una minoranza linguistica;
Il Premio Speciale “L’oceano nell’anima” (donato dall’Associazione L’Oceano nell’anima di Bari) che verrà assegnato alla migliore poesia “sui sentieri emozionali”;
Il Premio Speciale “Donne e Poesia” (donato dal Movimento Internazionale “Donne e Poesia” di Bari) che verrà assegnato alla migliore poesia a tema la donna;
Il Premio Speciale “Le Ragunanze” (donato dall’Associazione Le Ragunanze di Roma) che verrà assegnato alla migliore poesia a tema la natura;
Il Premio Speciale “Il Faro” (donato dall’Associazione Il Faro di Cologna Spiaggia – TE) che verrà assegnato alla migliore poesia a tema il mare;
Il Premio Speciale “Africa Solidarietà” (donato dall’Associazione Africa Solidarietà Onlus di Arcore – MB) che verrà assegnato alla migliore poesia a tema la solidarietà;
Il Premio Speciale “Cerignola città d’arte” (donato dal Club per l’Unesco di Cerignola – FG) che verrà assegnato alla migliore poesia a tema la bellezza dei nostri luoghi;
Il Premio Speciale “Miglior Giovane Poeta” che verrà assegnato alla migliore poesia di un partecipante minorenne;
Il Premio Speciale “Vittoriano Esposito” (donato dal Centro Culturale “Vittoriano Esposito” di Avezzano – AQ) che verrà assegnato alla migliore opera di critica letteraria.
Nel caso in cui non sarà pervenuta una quantità di testi numericamente congrua o qualitativamente significativa per una sezione, l’organizzazione, a sua unica discrezione, si riserva di non attribuire determinati premi.
Tutte le opere premiate verranno pubblicate nell’antologia del Premio, disponibile gratuitamente il giorno della premiazione.
Art. 13 – Premi speciali a personalità del mondo letterario
Fuori concorso verranno assegnati i Premi Speciali “Alla Memoria”, “Alla Cultura” e “Alla Carriera” a insigni poeti del nostro Paese. Non si accetteranno candidature in tal senso dal momento che tali decisioni verranno assunte con deliberazione del Consiglio Direttivo di Euterpe APS.
Art. 14 – Pubblicità e trasparenza
Per gli obblighi di pubblicità e trasparenza il verbale di Giuria verrà dato a conoscere nei primi mesi del 2023. A tutti i partecipanti verrà inviato a mezzo e-mail e verrà pubblicato sul sito ufficiale di Euterpe APS (www.associazioneeuterpe.com) e sulla relativa pagina Facebook, sui siti www.literary.it e www.concorsiletterari.it
Non si darà seguito a richieste in merito a posizionamenti e punteggi ottenuti, analisi estetico-valutative né a commenti critici sulle proprie opere presentate.
Art. 15 – Premiazione
La cerimonia di premiazione si terrà in provincia di Ancona entro giugno 2023. I vincitori sono tenuti a presenziare alla cerimonia per ritirare il premio. Qualora non possano intervenire hanno facoltà di inviare un delegato. In questo caso, la delega va annunciata a mezzo mail, all’attenzione del Presidente del Premio entro una settimana prima dalla cerimonia di premiazione all’indirizzo presidente.euterpe@gmail.com. Non sarà possibile delegare membri della Giuria e familiari diretti degli stessi. Un delegato non potrà avere più di due deleghe da altrettanti autori vincitori assenti. Non verranno considerate le deleghe annunciate in via informale a mezzo messaggistica privata di Social Networks né per via telefonica[5]. I premi non ritirati personalmente né per delega potranno essere spediti a domicilio (sul solo territorio nazionale) mediante Corriere TNT, previo pagamento delle relative spese di spedizione a carico dell’interessato. In nessuna maniera si spedirà in contrassegno.
Art. 16 – Diritto d’autore sul bando
La stesura del presente bando, nella forma e nei contenuti che lo compongono e che lo caratterizzano, è prodotto creativo dei soli organizzatori del concorso, deliberato nella forma presente dal Consiglio Direttivo di Euterpe APS. Sul testo, in quanto prodotto creativo di Euterpe APS, il diritto d’autore va difeso e tutelato. Eventuali forme documentate e palesi di plagio, in forma parziale o integrale dello stesso, su qualsiasi tipo di supporto, saranno oggetto di valutazione nelle sedi opportune.
Art. 17 – Privacy
Ai sensi del D.Lgs 196/2003 e del Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali n°2016/679 (GDPR) il partecipante acconsente al trattamento, diffusione e utilizzazione dei dati personali da parte di Euterpe APS che li utilizzerà per i fini inerenti al concorso in oggetto e per tutte le iniziative culturali e letterarie organizzate dalla stessa.
Art. 18 – Ultime
Il presente bando di concorso consta di nr. 18 (DICIOTTO) articoli compreso il presente contenuti su nr. 11 (UNDICI) pagine compresa la presente.
La partecipazione al concorso implica l’accettazione tacita e incondizionata di tutti gli articoli che lo compongono.
Dott. Lorenzo Spurio – Presidente del Premio/ Presidente Euterpe APS
□ B – Poesia in dialetto specificare dialetto: _________________________________________________)
□ C – Poesia in Lingua Straniera specificare lingua: _________________________________________)
□ D – Poesia religiosa
□ E – Poesia D’amore
□ F – Prosa poetica
□ G – Libro edito di poesia
□ H – Haiku
□ I – Videopoesia
□ L – Sperimentazioni poetiche e nuovi linguaggi
( ) Corto Poesia[Teorizzazione A. Barracato / D. Matranga]
( ) Dinanimismo[Teorizzazione Z. Ferrante]
( ) Dittico poetico[Teorizzazione E. Marcuccio]
□ M – Critica Letteraria
□ N – Prefazione di Libro di Poesia
□ O – Libro edito di saggistica sulla Poesia
AVVERTENZE IMPORTANTI – Si deve indicare:
Per le sezioni A, B, C, D, E, F, H, L, M indicare il titolo delle opere, specificando vicino se sono EDITE o INEDITE e, nel caso di EDITE, dove sono precedentemente comparse.
Per le sezioni G, O specificare il titolo del libro, casa editrice e anno.
Per la sezione H essendo gli haiku privi di titolo, non dovrà essere indicato niente.
Per la sezione I specificare il titolo della videopoesia e di eventuali nomi di regista, musiche e voce recitante. Musiche, canzoni, brani usati non devono essere iscritti/tutelati dalla SIAE.
Per la sezione L barrare la relativa sottosezione o indicare, nello spazio bianco, a quale nuova tendenza, stile, avanguardia, genere ci si riferisce.
Data_____________________________________ Firma ___________________________________
L’autore è iscritto/ tutelato dalla SIAE? □ Sì □ NoI testi presentati al concorso sono depositati alla SIAE? □ Sì □ NoSe Sì indicare quali testi _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
DICHIARAZIONE PER I PARTECIPANTI DI TUTTE LE SEZIONI
□ Dichiaro che le opere non presentano in nessuna forma elementi che possano rimandare a una lettura, interpretazione, collegamento e/o richiamo a impostazioni ideologiche di tipo razziste, xenofobe, denigratorie, pornografiche, blasfeme, di offesa alla morale e al senso civico, d’incitamento all’odio o alla differenza e all’emarginazione, nonché di tipo politico, partitico o di ogni altra impostazione e fazione che possa richiamare un clima di violenza, lotta, incomprensione, intolleranza e insubordinazione.
□ Dichiaro che i testi presentati sono frutto del mio unico ingegno e che sono l’unico responsabile sugli stessi sollevando EUTERPE APS da qualsivoglia problematica o disputa possa sorgere.
□ Autorizzo EUTERPE APS a pubblicare in cartaceo i miei testi all’interno dell’opera antologica del Premio, qualora risultassi premiato, senza nulla avere a pretendere né ora né in futuro.
□ Autorizzo Euterpe APS di Jesi (AN) al trattamento dei miei dati personali ai sensi della disciplina generale di tutela della privacy (D.Lgs n. 196/2003 e Regolamento Europeo 2016/679 – GDPR) allo scopo del concorso in oggetto e per future iniziative culturali.
Data_____________________________________ Firma ___________________________________
DICHIARAZIONE DA COMPILARE
SOLO PER I PARTECIPANTI ALLA SEZIONE I – VIDEOPOESIA
□ Dichiaro, sotto la mia unica responsabilità, di non aver fatto uso di brani, musiche, canzoni, melodie iscritte/tutelate dalla SIAE nella mia video-poesia.
□ Dichiaro, sotto la mia unica responsabilità, di aver fatto uso, nell’elaborazione della video-poesia di immagini/video/suoni di mia proprietà o di dominio pubblico o, laddove abbia usufruito di materiali di terzi, di aver provveduto a richiedere relativa liberatoria degli autori per l’autorizzazione a usarli nell’elaborazione del video, sollevando l’Organizzazione da qualsiasi disputa possa nascere in merito all’attribuzione di paternità dei componenti della video-poesia.
Data_______________________________ Firma ___________________________________
[1] Per maggiori informazioni e approfondimenti consultare i materiali di seguito linkati:
[4] Se la singola opera fa parte di una silloge, mini raccolta o raccolta che è risultata premiata con un premio da podio potrà essere inviata ma non dovrà avere il medesimo titolo della silloge, mini raccolta o raccolta premiata, pena l’esclusione.
[5] I vincitori dei Premi Speciali fuori concorso (“Alla Cultura”, “Alla Carriera” e gli eredi dei premi “Alla Memoria”), accettando il conferimento, si impegnano ad essere presenti fisicamente il giorno della premiazione. In caso di immotivata assenza, intempestiva comunicazione di assenza e d’impossibilità di invio di un delegato (che in questo caso non potrà essere scelto tra i premiati presenti alla cerimonia ma dovrà essere un familiare o amico stretto munito di opportuna delega), l’organizzazione potrà decidere, dietro deliberazione del Consiglio Direttivo, di far decadere il premio.
Mercoledì 6 aprile a Milano in Università Cattolica anteprima dell’edizione del centenario edita da Interlinea dell’opera del poeta che scelse l’anonimato in letteratura dopo l’esperienza drammatica della guerra. Con il curatore Gianni Mussini in Università Cattolica critici e studiosi. Patrizia Valduga leggerà poesie dell’autore di Dall’imagine tesa.
«Dall’imagine tesa / vigilo l’istante / con imminenza di attesa – / e non aspetto nessuno» sono i celebri Canti anonimi di Clemente Rebora pubblicati nel 1922 dopo la drammatica esperienza della guerra e ora proposti da Interlinea in edizione del centenario commentata da Gianni Mussini e presentata da Pietro Gibellini, con un evento di anteprima mercoledì 6 aprile alle 17 nell’Aula magna dell’Università cattolica con letture di Patrizia Valduga.
Nel libro c’è il rapporto tra natura e città, la sua Milano dove Rebora è nato nel 1885, e soprattutto c’è l’ansia per l’attesa di un futuro migliore, grazie a qualcuno o qualcosa, forse la donna amata o forse la fede, dopo l’annichilimento e la strage della Grande Guerra («trincee fonde nei cuori – l’età cavernìcola è in noi.»); per questo scrive dei «canti anonimi» perché vuole cercare, nel donarsi anonimo agli altri, una ragione per continuare a vivere, per ripartire, per trovare prima o poi chi «verrà, se resisto / a sbocciare non visto»; l’edizione è a tiratura limitata (pp. 264, euro 28, richieste a: edizioni@interlinea.com).
«Clemente Rebora nasce a Milano il 6 gennaio 1885. Frequenta, ivi, tutte le scuole: dalle elementari al ginnasio-liceo (Parini), all’università (Accademia Scientifico-Letteraria) dove si laurea in Lettere. Dal 1910 al 1915 insegna a Milano, Treviglio e Novara. Ufficiale nella Grande Guerra 1915. Insegna a Como e a Milano. Quivi, anche all’Accademia Libera “Cento”. Nel 1929 viene alla Fede. Nel 1931 è novizio dell’Istituto della Carità (Padri Rosminiani) al Monte Calvario di Domodossola. 13 maggio 1933: ivi, emette la sua professione religiosa. 1936 (20 settembre): ordinato sacerdote a Domodossola. Vive a Stresa, nel Collegio Rosmini». Così l’asciutta Nota biografica dettata dal poeta per la prima edizione nel dicembre 1955 del Curriculum vitae (che riceve il premio “Cittadella”). Aggiungiamo che dall’ottobre di quello stesso anno è infermo a letto, ma un’emorragia cerebrale lo aveva colto già tre anni prima. Dopo una passio fisica e spirituale durata venticinque mesi muore il 1° novembre 1957. Scrive lo stesso giorno Eugenio Montale per il “Corriere della sera”: «È un conforto pensare che il calvario dei suoi ultimi anni – la sua distruzione fisica – sia stato per lui, probabilmente, la parte più inebriante del suo curriculum vitae».
L’attuale edizione del centenario dei Canti anonimi, in distribuzione dal 9 aprile, continua la serie reboriana di commenti inaugurata da Interlinea nel 2001 con il Curriculum vitae, proseguita nel 2008 con i Frammenti lirici e poi gli scritti di guerra, proseguita nel 2012 con il carteggio tra Rebora e l’editore Vanni Scheiwiller.
Viene bandita la decima edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato, fondato e presieduto dal poeta e critico letterario Lorenzo Spurio e organizzato dall’Associazione Culturale Euterpe di Jesi.
Art. 2 – PATROCINI MORALI
Il Premio è patrocinato dalla Regione Marche, dall’Assemblea Legislativa della Regione Marche, dalla Provincia di Ancona, dai Comuni di Jesi, Ancona e Senigallia e dall’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
Art. 3 – PARTNERSHIPS
Il Premio gode del sostegno e della collaborazione esterna (partnership) di alcune enti e associazioni culturali che condividono gli intenti di promozione e diffusione della cultura e le finalità del concorso: Centro Studi “Sara Valesio” di Bologna, Associazione “Le Ragunanze” di Roma, Associazione Siciliana Arte e Scienza (ASAS) di Messina, Associazione “Arte per Amore” di Seravezza (Lucca), Associazione “Oceano nell’anima” di Bari, Associazione “Africa Solidarietà Onlus” di Arcore (Monza-Brianza), Associazione “Il Faro” di Cologna Spiaggia (Teramo), Associazione “Un Passo Avanti” di Ascoli Piceno, AlmanHaiku e Wiki-Poesia.
Art. 4 – REQUISITI FONDAMENTALI
Si può partecipare sia con opere edite che inedite. Qualora l’opera sia edita è necessario indicare nella scheda di partecipazione il riferimento bibliografico completo dove è precedentemente apparsa (titolo opera, casa editrice, luogo e anno di pubblicazione). L’organizzazione è sollevata da qualsiasi problematica, disguido e controversia possa nascere nel caso in cui l’autore presenti la sua opera come inedita quando, in realtà, essa, alla data d’invio della partecipazione al premio, è edita.
Art. 5 – NORME DI ESCLUSIONE
In merito alle opere:
L’opera non deve aver ottenuto un 1° premio assoluto in un precedente concorso al momento dell’invio della propria partecipazione, pena l’esclusione[1].
I vincitori del 1° premio assoluto dell’edizione precedente di codesto Premio (anno 2020) non potranno concorrere nella medesima sezione di riferimento, pena l’esclusione.
Per gli altri casi di esclusione si rimanda all’art. 11 del presente Regolamento.
In merito agli autori:
È fatto divieto partecipare, pena l’esclusione, ai Soci Fondatori, ai Soci Onorari e ai Consiglieri (in carica o passati) dell’Associazione Culturale Euterpe;
È fatto divieto partecipare, pena l’esclusione, ai Presidenti di Giuria attivi o passati del presente premio;
È fatto divieto partecipare, pena l’esclusione, ai Presidenti delle Associazioni partner e agli ideatori, fondatori e teorizzatori delle avanguardie, tendenze poetiche e nuovi stili indicati quali sotto-sezioni all’interno della sezione L (“Sperimentazioni poetiche e nuovi linguaggi”)
È fatto divieto partecipare, pena l’esclusione, ai vincitori di Premi Speciali “Alla Carriera” e “Alla Cultura” in precedenti edizioni del premio.
Art. 6 – MINORENNI
I minorenni partecipano a titolo gratuito. Per la loro iscrizione è necessario che la scheda dati venga firmata in calce da un familiare (indicando tra parentesi il legame di parentela) o da un curatore o chi ne fa le veci. Si rammenta che le opere dei minorenni verranno valutate al pari di quelle degli adulti nelle medesime sezioni di riferimento e che la loro valutazione non avverrà secondo una graduatoria a parte, non essendo dedicata una specifica sezione alla partecipazione di minori e giovanissimi.
Art. 7 – SEZIONI A CONCORSO
Il Premio è articolato in tredici sezioni identificate dalle lettere dell’alfabeto. Il partecipante può prendere parte a una o più sezioni.
SEZ. A – POESIA IN ITALIANO:Si partecipa con un massimo di tre poesie in lingua italiana a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).
SEZ. B – POESIA IN DIALETTO: Si partecipa con un massimo di tre poesie in dialetto a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi). Le opere dovranno avere ben indicato il riferimento al tipo di dialetto o di zona nel quale è parlato e si dovrà allegare obbligatoriamente la traduzione dell’opera in lingua italiana. Qualora la traduzione non sia stata eseguita dall’autore è necessario indicare il nome del traduttore.
SEZ. C – POESIA IN LINGUA STRANIERA: Si partecipa con un massimo di tre poesie in lingua straniera a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi). Si considerano lingue straniere tutti quegli idiomi vivi caratteristici degli stati nazionali e federali nonché i patois e le lingue minoritarie che contraddistinguono un popolo. Non si accetteranno opere in lingue artificiali o in codici che non hanno un uso reale o non peculiari di una realtà geopolitica concreta riconosciuta dalla comunità internazionale. Le opere dovranno avere ben indicato il riferimento al tipo di lingua o alla zona nella quale è parlato e si dovrà allegare obbligatoriamente la traduzione dell’opera in lingua italiana. Qualora la traduzione non sia stata eseguita dall’autore è necessario indicare il nome del traduttore.
SEZ. D – POESIA RELIGIOSA: Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema religioso in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).
SEZ. E – POESIA D’AMORE: Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema amoroso – liberamente inteso – in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).
SEZ. F – PROSA POETICA: Si partecipa con un testo in prosa (no versi) che non superi 1 cartella editoriale pari a 1.800 battute complessivi (spazi compresi) in cui l’elemento narrativo rappresenti un aspetto marginale e secondario a beneficio degli elementi più marcatamente riflessivi e descrittivi che possano far risaltare gli aspetti emozionali e sensoriali dando sfogo alla propria interiorità prediligendo composizioni costruite su un piano lirico di chiaro impatto. Non saranno conformi a tale sezione racconti canonicamente intesi fondati prevalentemente sulla costruzione del personaggio (fiction) o la narrazione di episodi.
SEZ. G – LIBRO EDITO DI POESIA: Si partecipa con un solo libro di poesia pubblicato con una casa editrice o auto-prodotto dotato di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore, dal curatore del volume, dall’editore o dal (riconosciuto) erede letterario dell’autore. In caso di vittoria il premiato verrà comunque considerato l’autore del volume. Si accettano anche libri di poesie in dialetto o in lingua straniera (con traduzione a fronte), di haiku e libri di poesia corredati da immagini (foto e quadri) e antologie (in questo caso si leggano le specifiche sotto). Si accettano, altresì, libri di poesie di autori scomparsi, inviati da parenti, amici, centri culturali ed editori. Verranno in questo caso considerati, in caso di valutazione positiva della Giuria, per un Premio speciale o “Alla memoria”. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e il file originale in formato pdf.
Specifiche per la partecipazione con antologie e opere di AA.VV.
Si partecipa con un’antologia poetica (di qualsiasi tipo e composizione, tranne le antologie dei premi letterari) pubblicata con una casa editrice o auto-prodotta dotata di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore principale, dal curatore, dall’editore o da uno degli autori inseriti. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e il file digitale in formato pdf. Qualora il partecipante sia uno degli autori inseriti e non il curatore dell’antologia, il partecipante dovrà informare previamente della sua volontà di partecipare al premio il curatore del volume e dovrà tenerlo aggiornato sull’andamento del concorso e l’esito. Il partecipante sarà l’unico responsabile in materia di comunicazioni con il curatore dell’antologia per tutte le fasi relative del Premio, non potendo il curatore/editore nulla imputare all’organizzazione del Premio.
SEZ. H – HAIKU: Si partecipa con un massimo di tre haiku (5-7-5 sillabe) in lingua italiana in forma anonima.
SEZ. I – VIDEOPOESIA: Si partecipa con una video-poesia che dovrà essere inviata solo con una delle due possibilità: 1) caricandola sul sito online YouTube e fornendo nella mail di partecipazione il link del video. In questo caso l’utente non deve assolutamente apportare modifiche al video né cambi di URL per tutta la durata di svolgimento del premio, pena la squalifica; 2) allegando il video (soli formati .avi, .mp4, .wmv) mediante il sito di trasferimento dati gratuito WeTransfer. Non verranno considerati validi altri sistemi di trasmissione delle opere. Non dovranno essere mandati video nei quali siano impiegate canzoni, basi e melodie d’accompagnamento che siano brani tutelati/iscritti alla SIAE. Nella scheda di partecipazione l’autore deve dichiarare di avere utilizzato per la produzione del video materiali (foto, video, musiche) propri o di dominio pubblico o, laddove siano opere di terzi, di aver ottenuto le necessarie liberatorie per l’utilizzo, sollevando l’Associazione Culturale Euterpe da qualsivoglia responsabilità.
SEZ. L – SPERIMENTAZIONI POETICHE E NUOVI LINGUAGGI: In questa sezione rientrano quei testi che si definiscono o si riconoscono rispondenti alla fertile attività di sperimentazione contemporanea – tanto formale che contenutistica – che si allineano ai parametri caratteristici di ciascun genere movimento, tendenza, avanguardia (riconducibile a Manifesti, note programmatiche, presentazioni del genere, etc.) con particolare attenzione a quelle di seguito indicate:
CORTO POESIA: Sottogenere poetico ideato dai poeti palermitani Antonio Barracato e Dorothea Matranga nel 2019 conformato da un apposito movimento che ne individua caratteristiche formali, contenuti e finalità comunicative[2].
I canoni distintivi della corto poesia sono:
Presenza di un titolo
Struttura in tre versi
Contenuto socialmente utile, atto a produrre un cambiamento nel cuore dell’uomo, veicolato a una denuncia del malessere di quest’epoca
Il terzo verso non deve superare le dieci sillabe
Si partecipa con un massimo di tre testi; è requisito necessario il rispetto delle caratteristiche peculiari del genere al quale appartengono, pena la squalifica.
DINANIMISMO: Il movimento poetico-artistico del dinanimismo è stato creato – come il relativo neologismo – nel 2009 dal poeta campano Zairo Ferrante volendo intendere in tale originale crasi una fusione di dinamismo e anima[3].
I canoni distintivi (prevalentemente contenutistici) del dinanimismo sono:
1. Volontà di contrapposizione alla dilagante banalità e frivolezza
2. Riscoperta dell’autenticità e dell’essenza dell’uomo: poesia istintiva e innata
3. Ricezione degli aspetti dinamici relativi al mutamento, divenire e rinascita (la poesia è una forma di dinamismo anche dell’anima)
4. Propensione all’interrogazione e all’approfondimento su questioni d’ordine pratico e d’interesse collettivo (poesia anche come impegno “sociale”)
5. Linguaggio congruo col sentire e al passo coi tempi; versi puliti, in grado di fondere interiorità e modernità, anche mediante l’utilizzo di parole e immagini in linea con lo sviluppo socio-tecnologico. Progresso inteso non come attività deumanizzante ma come spinta propulsiva all’evoluzione etico-morale dell’intera collettività.
Si partecipa con un massimo di tre testi di lunghezza non superiore a 40 vv. ciascuno; è requisito necessario il rispetto delle caratteristiche peculiari del genere al quale appartengono, pena la squalifica.
DITTICO POETICO A DUE VOCI: Sottogenere del comune dittico poetico, ideato dal poeta e aforista palermitano Emanuele Marcuccio nel 2010 e da lui definito come “una composizione di due poesie di due diversi autori, scritte indipendentemente, anche in tempi diversi, e accomunate dal medesimo tema in una sorta di corrispondenza empatica”[4].
I canoni distintivi (prevalentemente contenutistici) del dittico poetico a due voci sono:
Presenza di un titolo per ciascuna delle due poesie
Rispondenza di un tema comune alle due poesie
Ciascuno dei due autori della rispettiva poesia formanti il dittico deve attenersi al proprio modo di fare poesia, senza in alcun modo cercare di imitarsi
La seconda poesia del dittico deve essere in qualche modo un’ideale risposta alla prima attraverso una sorta di continuum per analogie, corrispondenze sonore o emozionali, di significanza, di empatia, di poetica affinità elettiva
Si partecipa con un testo con un massimo di 40 vv. per ciascuna delle due poesie formanti il dittico. Il partecipante che invia la propria opera deve essere autore di una delle due poesie del dittico e deve aver messo a conoscenza (e ottenuto l’autorizzazione) all’invio dell’altra opera che costituisce il dittico da parte dell’altro autore. Per tale sottosezione è requisito necessario l’invio della scheda dei dati personali da parte di entrambi gli autori delle poesie che costituiscono il dittico. È requisito necessario che rispettino le caratteristiche peculiari del genere al quale appartengono, pena la squalifica.
SEZ. M – CRITICA LETTERARIA: Si partecipa con una recensione, un testo critico, un’analisi dell’opera, un approfondimento, un articolo, un saggio letterario su un’opera poetica classica o contemporanea della letteratura italiana o straniera (comprensiva su autori esordienti) in forma anonima. L’opera potrà focalizzarsi sull’analisi di una singola poesia o di più testi, di una silloge, di un libro o più, o dell’intera produzione poetica di un dato autore. Tale testo non dovrà superare le quattro cartelle editoriali pari a 7.200 battute complessive (spazi compresi), senza conteggiare il titolo, le eventuali note a piè di pagina e la bibliografia (consigliata).
SEZ. N – PREFAZIONE DI LIBRO DI POESIA: Si partecipa con una prefazione (o postfazione) a un libro di poesia. La prefazione può essere inviata sia dall’autore che dall’autore del libro all’interno del quale è inserita; in caso di vittoria sarà considerato vincitore unicamente l’autore della prefazione e non del libro. Tale testo non dovrà superare le quattro cartelle editoriali pari a 7.200 battute complessive (spazi compresi), senza conteggiare il titolo e le eventuali note a piè di pagina.
SEZ. O – LIBRO EDITO DI SAGGISTICA SULLA POESIA: Si partecipa con un solo libro di saggistica o critica letteraria (saggio, volume critico, approfondimento, monografia, tesi di laurea pubblicata) su qualsiasi aspetto relativo alla poesia, sia locale, nazionale che internazionale, pubblicato con una casa editrice o auto-prodotto dotato di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore, dal curatore del volume e dall’editore. In caso di vittoria il premiato verrà comunque considerato l’autore del volume. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e il file originale in formato pdf.
Art. 8 – CONTRIBUTO:
Per prendere parte al Premio è richiesto un contributo di € 10,00 (DIECI//00) a sezione a copertura delle spese organizzative. È possibile partecipare a più sezioni corrispondendo il relativo contributo. Gli associati dell’Associazione Culturale Euterpe regolarmente iscritti all’anno di riferimento (2021) hanno diritto a uno sconto del contributo pari al 50% per sezione.
Causale: X Premio di Poesia “L’arte in versi” – nome e cognome partecipante
Contanti: nel caso si invii il materiale per posta tradizionale, la quota di partecipazione potrà essere inserita in contanti, ben occultata all’interno del plico.
Art. 9 – SCADENZA E INVIO
La scadenza di invio dei materiali (opere, scheda di iscrizione compilata e ricevuta del contributo versato) è fissata al 31 dicembre 2021. I materiali dovranno pervenire in forma digitale (per le opere singole esclusivamente in formato doc / docx; per i libri editi in formato pdf) alla mail premiodipoesialarteinversi@gmail.com indicando come oggetto “X Premio di Poesia “L’arte in versi”. In alternativa, l’invio può avvenire in formato cartaceo; in questo caso fa fede la data di spedizione. Il plico dovrà essere inoltrato a:
X Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”
Associazione Culturale Euterpe
Casella Postale 375
Ufficio Postale Jesi Centro
60035 – Jesi (AN)
Qualora le spedizioni vengano effettuate mediante Poste Italiane può essere usato questo indirizzo di cui sopra. Se, invece, il partecipante intende inviare il materiale con altre modalità, vedasi altri Corrieri, dal momento che questi non depositano spedizioni nella casella postale d’ufficio, si chiede di scrivere alla mail del Premio per manifestare questa loro volontà e gli verrà fornito un indirizzo diverso dove sarà possibile inviare spedizioni a mezzo Corriere.
Art. 10 – ELABORATI
Le opere a concorso non verranno in nessun modo riconsegnate. Per quanto concerne le sezioni G (Libro edito di poesia) e O (Libro edito di saggistica) le copie dei volumi partecipanti verranno donate ad alcune biblioteche del nostro territorio nazionale[5]. Una copia rimarrà nell’Archivio dell’Associazione Culturale Euterpe.
Art. 11 – MOTIVI DI ESCLUSIONE DELLA PROPRIA OPERA
Saranno esclusi dalla Segreteria le partecipazioni che non saranno considerate conformi al bando ovvero le opere che:
riportino nome, cognome, soprannome dell’autore o altri segni di riconoscimento o di possibile attribuzione dell’opera.
siano risultate vincitrici di un 1° premio in un precedente concorso;
appartengano ad autori che hanno vinto il 1° premio assoluto nella medesima sezione nella precedente edizione del Premio;
appartengano ad autori che sono stati premiati con Premi Speciali “Alla Carriera” e “Alla Cultura” in precedenti edizioni del Premio.
presentino elementi razzisti, xenofobi, denigratori, pornografici, blasfemi, di offesa alla morale e al senso civico, d’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione di ciascun tipo o che fungano da proclami ideologici, partitici e politici;
appartengono ai soci fondatori e onorari dell’Associazione Culturale Euterpe, ai membri del Consiglio Direttivo della stessa in carica o passati; ai Presidenti di Giuria attivi o passati del presente premio; ai Presidenti delle Associazioni che collaborano esternamente;
siano giunte prive della scheda dei dati personali e/o del contributo di partecipazione e/o dei testi con i quali s’intende partecipare, e/o con la scheda di partecipazione illeggibile e/o non completata in ogni campo, e/o con modalità non conformi a quanto richiesto dal bando, e/o oltre i termini di scadenza.
Art. 12 – COMMISSIONE DI GIURIA
Le Commissioni di Giuria, differenziate per le varie sezioni, sono costituite da poeti, scrittori, critici letterari, giornalisti ed esponenti del mondo culturale e letterario e sono presiedute dalla poetessa e giornalista Michela Zanarella. Esse sono composte (in ordine alfabetico) da Stefano Baldinu, Fabia Binci, Lucia Cupertino, Valtero Curzi, Mario De Rosa, Graziella Enna, Zairo Ferrante, Rosa Elisa Giangoia, Fabio Grimaldi, Giuseppe Guidolin, Francesca Innocenzi, Antonio Maddamma, Emanuele Marcuccio, Francesco Martillotto, Vincenzo Monfregola, Morena Oro, Rita Stanzione e Michela Zanarella.
Art. 13 – PREMI
Per ciascuna sezione saranno assegnati tre premi da podio: 1° Premio: targa placcata in oro 24 kt, diploma, motivazione della giuria e tessera socio ordinario Ass.ne Culturale Euterpe anno 2022; 2°/ 3° Premio: targa, diploma e motivazione.
Ai primi vincitori assoluti delle sezioni A, B, C, D, E, inoltre, verrà offerto un contratto di pubblicazione gratuito per un volume di poesie da parte della casa editrice Ivvi Editore – Nuovi autori del Gruppo Solone s.r.l. i cui dettagli saranno contenuti nel contratto che verrà consegnato assieme al premio.
La Giuria attribuirà il Premio del Presidente di Giuria, il Premio della Critica, il Trofeo “Euterpe”, il Premio “Picus Poeticum” (alla migliore opera di un autore marchigiano), il Premio ASAS (alla migliore opera in siciliano), il Premio “Le Ragunanze” (alla migliore opera sulla natura), il Premio “L’Oceano nell’Anima” (alla migliore opera “sui sentieri emozionali”), il Premio “Arte per Amore” (alla migliore opera a tema amoroso), il Premio “Il Faro” (alla migliore opera sul mare), il Premio “Africa Solidarietà” (alla migliore opera sul multiculturalismo) e il Premio “Un Passo Avanti” (alla migliore opera sulla speranza).
La casa editrice Ivvi Editore ha facoltà di attribuire un ulteriore contratto per una pubblicazione gratuita, a sua insindacabile scelta, a una delle opere da podio delle sezioni A, B, C, D, E.
Fuori concorso verranno assegnati i Premi Speciali “Alla Memoria”, “Alla Cultura” e “Alla Carriera” a insigni poeti del nostro Paese. La Giuria potrà proporre ulteriori premi, indicati quali “Menzione d’onore”, ad altrettante opere meritorie non rientrate nei premi da podio. Nel caso in cui non sarà pervenuta una quantità di testi numericamente congrua o qualitativamente significativa per una sezione, l’organizzazione a sua unica e inappellabile discrezione, si riserva di non attribuire determinati premi. Tutte le opere risultate vincitrici a vario titolo verranno pubblicate nell’antologia del Premio, disponibile gratuitamente il giorno della premiazione.
Art. 14 – RESPONSO
Il responso della Giuria si conoscerà nei primi mesi del 2022. A tutti i partecipanti verrà inviato il verbale di Giuria a mezzo e-mail. Esso verrà pubblicato sul sito dell’Associazione Culturale Euterpe (www.associazioneeuterpe.com) e sui siti www.literary.it e www.concorsiletterari.it I risultati e i testi vincitori della sezione haiku saranno pubblicati sul portale “Alman Haiku” – Annuario Italiano degli Haiku Premiati all’indirizzo www.almanhaiku.blog Non si darà seguito a richieste in merito a posizionamenti e punteggi ottenuti, analisi estetico-valutative né a commenti critici sulle proprie opere presentate.
Art. 15 – PREMIAZIONE
La cerimonia di premiazione si terrà in un luogo della provincia di Ancona, presumibilmente nel comune di Jesi, salvo diverse comunicazioni, entro giugno 2022. I vincitori sono tenuti a presenziare alla cerimonia per ritirare il premio; qualora non possano intervenire hanno facoltà di inviare un delegato. In questo caso, la delega va annunciata a mezzo mail, all’attenzione del Presidente del Premio entro una settimana prima dalla cerimonia di premiazione all’indirizzo presidente.euterpe@gmail.com. Non sarà possibile delegare membri della Giuria e familiari diretti degli stessi. Un delegato non potrà avere più di due deleghe da altrettanti autori vincitori assenti. Non verranno considerate le deleghe annunciate in via informale a mezzo messaggistica privata di Social Networks né per via telefonica. I premi non ritirati personalmente né per delega potranno essere spediti a domicilio unicamente mediante Corriere TNT, previo pagamento delle relative spese di spedizione a carico dell’interessato. In nessuna maniera si spedirà in contrassegno.
Art. 16 – DIRITTO D’AUTORE SUL BANDO
La stesura del presente bando, nella forma e nei contenuti che lo compongono e che lo caratterizzano, è prodotto creativo dei soli organizzatori del concorso, deliberato nella forma presente dal Consiglio Direttivo dell’Associazione Culturale Euterpe con verbale 01/2021. Sul testo del verbale, in quanto prodotto creativo dell’Associazione Culturale Euterpe, il diritto d’autore va difeso e tutelato. Eventuali forme documentate e palesi di plagio, in forma parziale o integrale dello stesso, su qualsiasi tipo di supporto, saranno oggetto di valutazione nelle sedi opportune.
Art. 17 – PRIVACY
Ai sensi del D.Lgs 196/2003 e del Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali n°2016/679 (GDPR) il partecipante acconsente al trattamento, diffusione e utilizzazione dei dati personali da parte dell’Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN) che li utilizzerà per i fini inerenti al concorso in oggetto e per tutte le iniziative culturali e letterarie organizzate dalla stessa.
Art. 18 – ULTIME
Il presente bando di concorso consta di nr. 18 (DICIOTTO) articoli compreso il presente contenuti su nr. 10 (DIECI) pagine compresa la presente.
La partecipazione al concorso implica l’accettazione tacita e incondizionata di tutti gli articoli che lo compongono.
(Nelle prime due edizioni non vennero attribuiti premi da podio)
Anno 2014 (III edizione): ANNA BARZAGHI di Seveso (Poesia in Italiano); LUCIANO GENTILETTI di Rocca Priora (Poesia in Dialetto); SANDRA CARRESI di Bagno a Ripoli (Premio Alla Carriera).
Anno 2015 (IV edizione): ALDO TEI di Latina (Poesia in Italiano); GAETANO CATALANI di Ardore Marina (Poesia in Dialetto); GABRIELE GALDELLI di Castelbellino (Trofeo Euterpe); MARISA PROVENZANO di Catanzaro (Premio Alla Carriera); NOVELLA TORREGIANI (1935-2015) di Porto Recanati (Premio Alla Memoria); BRUNO EPIFANI (1935-1984) di Novoli (Premio Alla Memoria).
Anno 2016 (V edizione): LUCIA BONANNI di Scarperia (Poesia in Italiano); LUCA TALEVI di Ancona (Poesia in Dialetto); NUNZIO INDUSTRIA di Napoli (Haiku), SABRINA VALENTINI di Jesi (Trofeo Euterpe); DONATELLA BISUTTI di Milano (Premio Alla Carriera); GIUSI VERBARO CIPOLLINA (1938-2015) di Soverato (Premio Alla Memoria); PASQUALE SCARPITTI (1923-1973) di Castel di Sangro (Premio Alla Memoria).
Anno 2017 (VI edizione): VALERIA D’AMICO di Foggia (Poesia in Italiano); LUCIANO GENTILETTI di Rocca Priora (Poesia in Dialetto); EUFEMIA GRIFFO di Settimo Milanese (Haiku); LUCIA BONANNI di Scarperia (Critica Letteraria); ANGELO CANINO di Acri (Trofeo Euterpe), DANTE MAFFIA di Roma (Premio Alla Carriera); ALESSANDRO MIANO (1920-1994) di Milano (Premio Alla Memoria); MARIA COSTA (1926-2016) di Messina (Premio Alla Memoria).
Anno 2018 (VII edizione): ANTONIO DAMIANO di Latina (Poesia in Italiano); VALERIA D’AMICO di Foggia (Poesia in Dialetto / Lingua Straniera); ALBERTO BARONI di Viadana (Haiku); GIANFRANCO ISETTA di Castelnuovo Scrivia (Libro Edito); ROSY GALLACE di Rescaldina (Video-poesia); CARMELO CONSOLI di Firenze (Critica Letteraria); FABIA BALDI di Piombino (Prefazione); MARIO DE ROSA di Morano Calabro (Trofeo Euterpe); ANGELA CATOLFI di Treia (Premio Spec. “Picus Poeticum”); ANNA SANTOLOQUIDO di Bari (Premio Alla Carriera); GIAN MARIO MAULO (1943-2014) di Macerata (Premio Alla Memoria); AMERIGO IANNACONE (1950-2017) di Venafro (Premio Alla Memoria).
Anno 2019 (VIII edizione): DAVIDE ROCCO COLACRAI di Terranuova Bracciolini (Poesia in Italiano), ELENA MANEO di Mestre (Poesia in dialetto), LUCA CIPOLLA di Cesano Boscone (Poesia in lingua straniera), MARISA COSSU di Taranto (Libro Edito di Poesia), NAZARENA RAMPINI di Pogliano Milanese (Haiku), NUNZIO BUONO di Casorate Primo (Video-poesia), GRAZIELLA ENNA di Oristano (Critica Letteraria), VELIA BALDUCCI di Ancona (Trofeo Euterpe), MANUELA MAGI di Tolentino (Premio Spec. “Picus Poeticum”), ROSANNA DI IORIO di Chieti (Premio alla Cultura), MáRCIA THEóPHILO di Fortaleza (Premio alla Carriera), MARIA ERMEGILDA FUXA (1913-2004) di Palermo (Premio alla Memoria), SILVIO BELLEZZA (1943-2000) di Lanzo Torinese (Premio alla Memoria), SALVATORE TOMA (1951-1987) di Maglie (Premio alla Memoria).
Anno 2020 (IX edizione): MAURO CORONA di Roma (Poesia in Italiano), LORENZO SCARPONI di Bellaria / Igea Marina (Poesia in dialetto), VALERIA D’AMICO di Foggia (Poesia in lingua straniera), GIAN PIERO STEFANONI (Poesia religiosa), ANNA MARIA FERRARI di Cagliari (Prosa poetica), LORENZO POGGI di Roma (Libro edito di poesia), ENZA PEZZIMENTI di Gioia Tauro (Haiku), PAOLO ZANELLI di Finale Ligure (Videopoesia), FRANCESCA FAVARO di Padova (Critica letteraria), ANNALENA CIMINO di Anacapri (Premio del Presidente del Premio), IRMA KURTI di Bergamo (Premio del Presidente di Giuria), CARMEN MOSCARIELLO di Formia (Premio della Critica), AA.VV. “Tredici. I poeti del Bandino” (Trofeo Euterpe), FRANCESCA LUZZIO di Palermo (Premio alla Cultura), MATTEO BONSANTE di Bari (Premio alla Carriera), BIAGIA MARNITI (1921-2006) di Ruvo di Puglia (Premio alla Memoria), SIMONE CATTANEO (1974-2009) di Saronno (Premio alla Memoria).
La scheda si compone di nr. 2 pagine. È fondamentale che sia compilata in ogni spazio, pena l’esclusione.Per i partecipanti alla sezione I (Videopoesia) va integrata anche della pagina nr. 3.
□ B – Poesia in dialetto specificare dialetto: _________________________________________________)
□ C – Poesia in Lingua Straniera specificare lingua: __________________________________________)
□ D – Poesia religiosa
□ E – Poesia D’amore
□ F – Prosa poetica
□ G – Libro edito di poesia
□ H – Haiku
□ I – Video-poesia
□ L – Sperimentazioni poetiche e nuovi linguaggi
( ) Corto Poesia[Teorizzazione A. Barracato / D. Matranga]
( ) Dinanimismo[Teorizzazione Z. Ferrante]
( ) Dittico poetico[Teorizzazione E. Marcuccio]
□ M – Critica Letteraria
□ N – Prefazione di Libro di Poesia
□ O – Libro edito di saggistica
AVVERTENZE IMPORTANTI – Nella pagina successiva indicare:
Per le sezioni A, B, C, D, E, F, H, L, M indicare il titolo delle opere, specificando vicino se sono EDITE o INEDITE e, nel caso di EDITE, dove sono precedentemente comparse.
Per le sezioni G, O specificare il titolo del libro, casa editrice e anno.
Per la sezione H essendo gli haiku privi di titolo, non dovrà essere indicato niente.
Per la sezione I specificare il titolo della video-poesia e di eventuali nomi di regista, musiche e voce recitante. Musiche, canzoni, brani usati non devono essere iscritti/tutelati dalla SIAE.
Per la sezione L barrare la relativa sottosezione o indicare, nello spazio bianco, a quale nuova tendenza, stile, avanguardia, genere ci si riferisce.
Data_____________________________________ Firma ___________________________________
L’autore è iscritto/ tutelato dalla SIAE? □ Sì □ NoI testi presentati al concorso sono depositati alla SIAE? □ Sì □ NoSe Sì indicare quali testi _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
DICHIARAZIONE PER I PARTECIPANTI DI TUTTE LE SEZIONI
□Dichiaro che le opere non presentano in nessuna forma elementi che possano rimandare a una lettura, interpretazione, collegamento e/o richiamo a impostazioni ideologiche di tipo razziste, xenofobe, denigratorie, pornografiche, blasfeme, di offesa alla morale e al senso civico, d’incitamento all’odio o alla differenza e all’emarginazione, nonché di tipo politico, partitico o di ogni altra impostazione e fazione che possa richiamare un clima di violenza, lotta, incomprensione, intolleranza e insubordinazione.
□ Dichiaro che i testi presentati sono frutto del mio unico ingegno e che sono l’unico responsabile sugli stessi sollevando gli organizzatori da qualsivoglia problematica o disputa possa sorgere.
□ Autorizzo l’Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN), organizzatrice di questo Premio, a pubblicare in cartaceo i miei testi all’interno dell’opera antologica del Premio senza nulla avere a pretendere né ora né in futuro.
□ Autorizzo l’Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN) al trattamento dei miei dati personali ai sensi della disciplina generale di tutela della privacy (D.Lgs n. 196/2003 e Regolamento Europeo 2016/679 – GDPR) allo scopo del concorso in oggetto.
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DICHIARAZIONE PER PARTECIPANTI ALLA SEZIONE I
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[1] Se la singola opera fa parte di una silloge, mini raccolta o raccolta che è risultata premiata con un premio da podio potrà essere inviata ma non dovrà avere il medesimo titolo della silloge, mini raccolta o raccolta premiata, pena l’esclusione.
[2] Per maggiori informazioni e approfondimenti consultare i materiali di seguito linkati:
[5] In questa ottica di condivisione culturale, l’Associazione Culturale Euterpe si impegna come avvenuto ogni anni, a depositare i volumi in biblioteche civiche, nazionali o universitarie del nostro territorio affinché entrino nei cataloghi OPAC per il prestito e la consultazione. Le opere pervenute nella precedente edizione – la nona – sono state depositate presso la Biblioteca Comunale “Augusta” di Perugia e la Biblioteca Civica “Pietro Acclavio” di Taranto.
Il titolo del nuovo volume di poesie dell’autore Stelvio Di Spigno, Minimo umano, desta – da subito – una qualche forma di attenzione, se non di una pronunciata curiosità. Nella precisione della formulazione frastica, nell’essenzialità della sua forma – che ben si sposa anche a un’azzeccata cover dai toni tendenti a un cianotico-monocromatico – si pone al potenziale lettore forse più come dilemmache come – almeno così pare – una sorta di spiegazione, di decodifica unica. Eppure la scelta – credo meditata, se non mediata o suggerita a suggello del contenuto letterale del volume – della cover dovrebbe rimandare a una domanda di fondo, a un dilemma relativo alle basi del reale significato. Difatti – e mi piace rivelarlo qui, ben prima di poter commentare qualche estratto dell’opera – la presenza di mongolfiere (idea di sospensione ma, data la struttura riportata, anche di sperimentalismo della ricerca) e – in basso nell’angolo destro – di ingranaggi (che danno da pensare al meccanismo di orologi, ma che possono – pure – essere impiegati in tutt’altro genere di marchingegno) aprono a un’età di sviluppo tecnico e scientifico, di rinata consapevolezza, di vero rinascimento e di dominio dell’uomo sulla natura. In che relazione il minimo umano – l’essenziale, il puro, l’epidermico, il transeunte – si pone nei riguardi di tale possibile mondo di ricerca e scoperta, di conquista e sconvolgimento?
Questo libro – col quale Di Spigno riconosce un debito alla poetessa Silvia Bre[1] – si compone di un consistente numero di liriche (alcune già apparse altrove, su riviste per lo più, come la nota dell’autore in conclusione del volume puntualmente ricorda) suddivise in varie sezioni: “Preludi”, “Versi morali”, “Elegie finali”, “Terra e cielo”, “Il mondo estremo”, “La vita facile” e “Congedi”. Tra le sue precedenti pubblicazioni in volume figurano Mattinale (2002; 2006), Formazione del bianco (2007) e La nudità (2010). Nell’anonima nota critica in quarta di copertina si legge che, a differenza dei suoi precedenti lavori, qui, in Minimo umano, è ravvisabile “una luce radiosa che conduce alla certezza di una rinascita e un riscatto dalla sofferenza”. Considerazione, questa, che – qualora realmente riscontri il percorso intrapreso dal poeta – di certo può far ben sperare ma che, d’altro canto, non può essere il recensore del libro in oggetto (che non conosce la sua produzione antecedente) a poter fare.
Minimo umano si apre con una (quasi impensabile quanto enigmatica ma al contempo filosoficamente profonda) chiosa dell’umanista Niccolò Cusano che, come si ricorderà, tanto si espresse in tema di “congettura” (tema che, come vedremo, è importante per Di Spigno) da lui concepita come principale forma di conoscenza dell’uomo. In essa – con un procedimento ipertestuale – Di Spigno tenta – se non di chiarire e spiegare il significato del suo libro – semmai di abbozzarne un possibile contorno – o influsso – di circostanze che possano motivarne l’adozione: “Nel movimento, infatti, non si può prevenire/ al minimo assoluto, come è un centro fisso,/ perché il minimo necessariamente coincide con il massimo.// Il centro del mondo coincide con la circonferenza./ Ma il mondo non ha circonferenza”.
L’overture della sezione “Preludi” è occupata da un testo dedicato al compositore russo Alfred Schnittke (1934-1998)[2], i versi sono particolarmente lunghi mentre la partitura strofica sembra avere una conformazione tutta sua, vogliosa di contenersi ed espandersi al contempo quando il verso, come avviene in “Variante lombarda” (la cui composizione è da localizzare nel giugno 2005 come l’autore fedelmente trascrive, sulle rive del lago di Garda) assistiamo a una sorta di fluente flusso di coscienza. Immagini frammiste scorrono dinanzi agli occhi del lettore che pure non è assente né disattento nel recepire una sorta di tormento tra le righe. Assistiamo a una prima palese forma di confidenza sociale quando il poeta non si esime di svelare la condizione transeunte e insicura dell’uomo, ammorbato da quesiti esistenziali indecifrabili, in balia delle proprie vorticanti idee e riflessioni: “C’è una stagnazione dell’essenza e della vita./ Uomini come schegge, dal volto offuscato” (10). La disanima – lucida e attenta, finanche implacabile – è quella di una realtà che lo circonda fatta di una natura libera e accogliente e di un universo umano indistinto, apparentemente infelice, turbato o in attesa. Il ricorrere alla natura – il tentativo di diluizione nel paesaggio – appare come un recondito tentativo di ricerca di un benessere che, da soli, nel privato, nel conflitto continuo con la propria res cogitans, non si può raggiungere. Questo anticipa senz’altro alcune trame della poesia di Di Spigno lette, nella quarta di copertina, nei contenuti di “riflessione esistenziale” e di “inadeguatezza dei nostri tempi”. Quest’ultima, la “inadeguatezza dei nostri tempi” non è tanto un’incapacità di fondo né esiste nell’inerzia degli uomini, vale a dire non si è adeguati perché il tempo scellerato e indomabile nel quale ci troviamo non lo consente, piuttosto è l’inadeguatezza che si sperimenta nell’essere come vorremmo effettivamente essere, vale a dire si realizza in quel discostamento tra una condizione reale e potenziale (alla quale tendere) che sempre più si fa irreale divenendo platonica.
La successiva poesia, “Griselda dei Balcani”, che sembra ammiccare alla prosa lirica, diviene fruibile (e percorribile) al lettore come una sequenza ampia e frastagliata di aporie, di tentennamenti e veri timori dai quali l’io lirico cerca di smarcarsi. Si costruisce, così, una poesia dal contenuto diversificato, difficilmente ascrivibile a una particolare categoria estetica, fluente e imprendibile, dove è il tormento esistenziale, la tribolazione interiore, l’inadeguatezza – appunto – a prevaricare. Si disquisisce, tra i versi, sull’origine della vita dell’uomo e – ancor più – sul senso dell’esserci (il motivo, la finalità, l’esigenza dell’esistere) difatti Di Spigno scrive di una “nuova/ e totale convivenza con un mondo/ che non ti cerca e non fa simpatia” (12) e, a seguire, di solitudine (“la cerco, per riconoscerla/ e braccarla” in “Fragmenta”, 21), variabilità, fluire, dolore e consunzione. Immagini che, pervase dai toni di grigiore e incanalate in un turbamento epocale diverso, erano il biglietto da visita dei crepuscolari (ma qui in Di Spigno non v’è lamentazione né – mi pare – un impeto vittimistico) od erano ingredienti nutrienti di un mal di vivere bohémien, scapigliato e, in altri termini, decadente. Il motivo della morte ad esempio ritorna spesso nel corso dell’intero libro – con collegamenti diversi, sfumature varie, intenzioni multiple – tanto da rappresentare un vero e proprio collante. Qui, in “Griselda dei Balcani”, l’autore riflette – fiele in bocca – sul mistero (lo sconvolgimento) del tempus fugit (“Tutto dipende dai giorni. Passano senza passare/ vengono e nessuno li vede, ci lasciano/ cicatrici sulle mani e sul viso”, 13) e, contemporaneamente, sull’ossessione del deperimento (“frammenta le ossa”, 13). Quale, allora, il senso del tempo che passa, inavvertito, trascorre, inconsapevolmente, si consuma nella disattenzione generale?
La seconda sezione, “Versi morali”, con una curiosa citazione tratta da La storia infinita (adattamento cinematografico di Wolfgang Petersen e non dal romanzo base di Michael Ende) introduce il lettore al tema del viaggio. La vita come percorso, tra ostacoli e risalite, itinerari da percorrere, strade da scegliere, incontri, soste, ripartenze. Il giovane e valoroso Atreyu, l’indimenticabile eroe di questa narrazione fantastica, viene “consigliato” dal Vecchio (figura del saggio, della persona alla quale – se vogliamo salvarci o solo far bene – dobbiamo fidarci) a intraprendere il viaggio velocemente perché il Nulla (cos’è questo Nulla, se non abbiamo – ancora o mai – definito un Tutto?) sta per giungere. Alla minaccia della fine, Atreyu risponde con convinzione e sagacia, con intraprendenza ed orgoglio, e compie un viaggio che – pur difficile e periglioso per la sua incolumità – lo porterà alla conoscenza e al salvamento (non solo del suo corpo, ma di un Regno che prima era minacciato). Atreyu, compiendo il viaggio, allontana la minaccia mortale e conduce a una rivelazione di scoperta, inaugurando una nuova età di splendore e di vita. Di Spigno – la cui scelta delle citazioni è senz’altro inusuale ma non per questo meno pregnante – a questo percorso iniziatico, conoscitivo, formativo e di affermazione di Atreyu (nostra sembianza, in chiave allegorica e smitizzata) dona un patina (di protezione, ma anche di scambio reversibile) d’ordine essenzialmente sociale (meno eroica, più umana e cogente) ed etica. Con “Stampa antica” si apre questo percorso terrestre (nel mondo) ma anche emozionale (nell’interiorità): “Oggi guardo dall’alto il mio destino” (17) che, in una (fedele, è da credere) lettura di ricordi collezionati e ripescati (forse per automatismo, per esigenza corriva, per associazione d’immagini o cos’altro) tracciano momenti vissuti nella loro semplicità ma talmente carichi di emozioni da divenire quasi “universali” per la propria esperienza come quando, “Ti rivedo in una camera d’albergo” (18) che è l’impersonale ma efficace “attacco” di “Il passo breve”. Titolo, questo, senz’altro significativo perché ci fornisce la fisionomia dell’andatura, l’approccio del mondo, l’ampiezza del percorso, il modus vivendi del vivere l’esistenza e saperla rievocare.
Immancabili – in una poesia così intrisa di vita, di episodi di un vivere emotivamente tellurico e continuamente teso all’interrogazione – sono le dediche in varie liriche del volume come quella a Vera della poesia “Ghostling” (dalla quale cito due versi molto potenti: “un giorno, il silenzio improvviso,/ la fiducia ritorta su un muro di spine”, 19) e quelle dei due “Congedi” (titolo della sezione di chiusura) rivolti rispettivamente a Elena D’Arienzo ed Emilia Criscuolo, persone alle quali il poeta era particolarmente legato. Lo rivelano i versi dove il dolore, pur forte, per questa mancanza e perpetua lontananza dalle due, è mitigato da una speranza di un miglior destino (“in un altrove acceso e favoloso/ nel quale rincontrarti/ […]/ ogni volta torni a mancare”, 86; “l’ultima volta che hai pensato alla vita/ […] sei lontana e tuttavia perfetta”, 88)[3].
Quello di Di Spigno è un continuo “colloquio con la morte”, un dialogare attorno al tempo nefasto di “quando l’anima si staccherà da te/ e andrà lì dove tutto si crea” (38); lo rivelano tanto le inquietudini diffuse che i destinatari delle liriche (tra le quali segnalo “Cronologie” dedicata al recentemente scomparso Mario Benedetti), i pensieri continuativi, le domande che pervadono l’animo del Nostro, quel senso di malessere quasi palpabile, i ricordi dei cari ormai andati, il procedimento convinto nell’attuazione di una lirica elegiaca, memorialistica, nostalgica, che a tratti appare come fenomeno residuale di una vita al presente configurata come inadatta, lontana e in qualche modo impraticabile.
Quello del passato è per Di Spigno non solo un insegnamento e un baluardo di formazione ma una fisima calcificata che lo conduce a vivere in una condizione di vulnerabilità e abbattimento, di continua perlustrazione di significati e spiegazioni anche quando – visibilmente – essi non lasciano traccia alcuna. Nell’attacco di “Futura” c’è un piccolo germe di estensione nella sfera del futuro (“Me ne andrò da questo stallo di pietra dura”, 26) ma anche qui – immancabilmente – è un futuro che tende a un decadimento, a una eventuale uscita di scena, a un abisso e che necessita una qualche forma di congedo dall’immanente. Si apre poco dopo, difatti, l’esigua e opprimente sezione delle “Elegie finali” in questo titolo così privo di speranza teso a definire un compimento irreversibile: sono canti di ricordo e di nostalgia, di dolore e di esplicitazione di una mancanza fortemente sentita, che l’autore raccoglie dopo una chiosa della statunitense Marilynne Robinson che giunge diretta e potente come una fitta: “Pregherò, poi dormirò”. È – si è già detto – una sorta di forma di rito che anticipa la caduta, il saluto ultimo all’approssimarsi di una vigilia dell’assenza. Ma è anche una sorta di promessa o un impegno: ciò sarà fatto con quell’ordine. La preghiera, forse, per lenire il dolore che ci si auto-imprime, per mitigare quel “traforo che bisogna/ attraversare” (25), prima del riposo eterno: un sonno continuo e irreversibile. Il tema del dormire, che ben defluisce in questa sezione, è protratto anche da un esergo del “Filocolo” di Boccaccio in apertura a “Sveglia anticipata” dove si legge: “Ora puoi iniziare il viaggio mai fatto/ […]/ Dove vai non c’è ritorno/ […]/ la preghiera, il coro dei cherubini,/ per questo sonno senza più domani” (31). In questa selezione di opere compare anche un omaggio a Giacomo Leopardi con dedica al poeta Franco Buffoni (“l’elogio alla tua logica, quanto perfetta/ la tua iattura, come è giovanile il tuo talento”, 32, si legge nella chiusa) e altri testi dedicati ora a parenti ora ad amici, compreso Alex, un giovanissimo di vent’anni deceduto nel 2001 in un incidente stradale. L’idea del deperimento (la consunzione del tempo e con essa la vecchiaia fisiologica dell’uomo come di ogni essere vivente) che aveva dominato nella prima parte del volume va man mano associandosi, nel terrore e nell’incomprensione dell’animo del Nostro, all’immagine della caduta, della morte che s’avventa sul presente. È un pensiero ricorrente, che si fa progressivamente sempre più pesante, insostituibile, al punto tale che trama profondamente l’ordito delle composizioni. Nell’assenza che la morte produce, nella lontananza implacabile dagli affetti, Di Spigno sembra intervenire con scoramento ma anche con rinata consapevolezza: “Lasciatemi andare via, persone un tempo amate,/ cose tutte dell’esistere condivise” (37).
La sezione che segue (“Terra e cielo”), che mi fa pensare all’omonimo titolo di un’opera abbozzata di Federico García Lorca durante la sua presenza in America (documentata nel carteggio e i cui componimenti finirono per lo più in Poeta a New York pubblicato nel 1940), sembra essere – in termini di composizioni – quella più vasta. L’esergo stavolta è affidato a una breve citazione del (poco ricordato) poeta e drammaturgo polacco Zbigniew Herbert attorno al tema dell’indecisione e dell’approccio speculativo dell’uomo (“ma ci sono anche quelli che dubitano indomiti”[4]); in “Tautologie” si ravvisa un lessico influenzato dall’eziologia medica impiegato per descrivere stati di difficoltà, dolore e asfissia (“fistola del distacco”, “conati di asma”) affidando alla chiusa una rivelazione misantropa e ottundente: “Gli esseri umani sono la mia croce” (43). Tale – in effetti – potrebbe apparire dinanzi una lettura disincantata e parca, tesa a indagare rapporti, significanze ed allusioni ma in fondo c’è dell’altro ed è lo stesso autore che – in maniera altrettanto camaleontica – descrive questo atteggiamento impulsivo e scoraggiato: “Vorrei spiegarmi meglio” – rivela in una conversazione privata col sottoscritto[5] – aggiungendo “gli esseri umani sono davvero la mia croce, perché mi sento sempre in difetto e inadeguato verso di loro, anche se non riesco a non esserne coinvolto e a volergli bene. Non so come funzionano, ma non posso fare a meno di loro. Se non li amassi li ignorerei, e non sarebbero più la mia croce…”.
In “Otto di giugno” il tema mortuario – stavolta nella forma concreta dell’inumazione del corpo – trova voce in versi contenutisticamente contrastivi: “poesia come ruota di mulino/ che accecava la sorte e portava refrigerio” (45) e, appunto, “le mie ossa/ feconderanno la terra” (45). Se gli occhi appartengono a un corpo ancora vivo e risultano “accecati” dando come conseguenza la cecità e l’impossibilità di appropriazione dei propri spazi e il mantenimento della vita sin lì condotta, le ossa di un corpo senza più vita (quel corpo che “marcisce prima della voce”, 58) disciolte nella terra vengono richiamate quale possibile ingrediente arricchente per la qualità del terreno dove nasceranno e prolifereranno vite. L’isotopia delle ossa ritorna in “Somnium” dove, nella terza stanza, riportata con carattere corsivo, si legge: “La vita continua negli ossari/ o nel ricordo? Nella storia o nelle steppe?/ Con noi o senza noi? La risposta/ a questi allunaggi della mente/ è dovuta./ Con parole troppo grosse,/ talvolta, ma il silenzio non è ammesso” (46). Quello di Di Spigno è un continuo interfacciarsi con la morte, un tentativo di serrato dialogo teso forse al desiderio di poter carpire qualcosa di essa. L’interrogatorio verso il mondo oggettuale (pure residuale e nella sua forma dissezionata come le ossa) è il segnale di un impellente bisogno di sapere, di interrogare se stesso, di cercare di spiegare ciò che le parole effettivamente non possono contenere. Ecco allora che il dialogo con le ossa, l’interrogazione dinanzi a un mondo che si disgrega e che non può parlare, assurge a una sorta di ansia metafisica, di sovrumana potenza e di incavalcabile dominio.
Se di preghiere, morte e ossari si è parlato, va anche detto che l’opera poetica di Di Spigno appare nutrita e pervasa dal sentimento cattolico (poesia “Mozione evangelica”, 56) che gli consente – non sempre – di dare una collocazione a quella disperazione costitutiva del suo animo, di percepire un eco – seppur labile e sbiadito – ai suoi interrogativi. In “Ultimatum” sembra palesarsi questa possibilità di ricongiungimento alla fede, di inserimento all’interno di una collocazione spirituale dotata di onniscienza – di una visione suprema e totale in un disegno completo per l’uomo tra compimento di fasi successive – leggiamo, infatti, “Al Dio che sa ogni cosa consegniamo/ concetti, trasvolate, medaglie. Farà lui/ l’inventario della bancarotta. E se alla fine/ saremo comandati dal perdono, nessuna stretta/ collettiva, nessuna sfida dall’interno” (59). Ciò significa credere nella presenza (diffusa) e nella facile inclinazione al peccato (ne aveva parlato nel testo con dedica a Silvia Bre) ma anche nella possibilità di una ricusazione dello stesso, di un invito all’accoglimento, un’espiazione che potrebbe esser vista in quella “luce” di cui si parla nella citazione in esergo alla sezione “Il mondo estremo” tratta dall’opera Ulisse del poeta Luigi Dallapiccola. Di questa parte del libro del nostro autore napoletano (classe 1975) che oggi vive nella Capitale, mi sembra opportuno soffermarsi sui titoli delle liriche che lo compongono, rivelatrici – forse ancor più degli stessi versi – del tipo di approccio e di esperienza emozionale adoperate dall’autore durante la produzione di tali versi. Appartengono a questo mondo “estremo” (i cui sinonimi più ovvi sarebbero “ultimo”, “finale”, “terminale” ma andrebbero ugualmente bene al contesto?) lo scontro (la rottura, l’allontanamento, l’inesplicabilità della scissione, la perdita), la resistenza (la forza, la perspicacia, la volontà e la concretezza dell’agire, la risoluzione e il temperamento volitivo), lo stato delle cose (la realtà, l’anamnesi del presente, il flusso insopprimibile dei pensieri, il contingente, ciò che appare e che non sempre è), il mondo di relazioni (“i padroni e le creature”, le discrepanze e le correlazioni, le intersezioni e le dominazioni, le influenze, gerarchie, i rapporti e quel che ne consegue, sia in termini ascrivibili all’oggettivo quanto – in maniera ben più ardimentosa e imprendibile – alla sfera dell’assoluto); la bellezza (e la capacità di saper vedere il bello, la spensieratezza e l’agio, la rilassatezza, la conquista della pace interiore, il rilassamento e la felice collocazione nel proprio contesto) da “la bella stagione”, possibile anticipo di un varco tra sacche di buio.
“La vita facile”, con una chiosa di Sant’Agostino attorno al tema della memoria è la nuova micro-sezione dove troviamo le liriche “Testimone”, “Ilario”, “Non capiranno” e “Outsider” (a mio modesto vedere le migliori di tutto il libro in oggetto). Si persevera con quel dialogo con l’oltretomba (intuito, pensato o rimandato) quando annota nell’incipit di “Testimone”: “Vedrò lo spettro di mio padre e di mia madre,/ quando di forza lascerò la carne/ […] entrerò nel turibolo dorato, conoscerò/ i fiori di tiglio della rotta finale” (77); finanche nella lirica dedicata al fratello (“Ilario”) il pensiero motivo di fissazione radicata nella mente del nostro è la destinazione ultima del corpo mortale: “Gli uomini baciano la lapide che li aspetta” (78). Le poesie che seguono, “Non capiranno” e “Outsider”, si riferiscono a episodi dolorosi di gente che “non ce l’ha fatta”, tra incidenti stradali o malattie inguaribili (“la madre che piangeva/ il fratello impazzito”, 79), vittime del “turbinio di droghe” (80), persone sfortunate o indifese, che sono cadute presto nel baratro e che porta Di Spigno – come aveva già fatto in precedenza – ad argomentare, pur in chiave sinottica, con un piglio lapidario e catastrofico tendente a un pessimismo inguaribile che “La strada è tutta croci” (81).
La non grande varietà di tematiche che fa di questo libro – un po’ come si era osservato per la copertina – una campitura tendente al monocromatismo contrasta con l’acutezza formale di un dolore pressante e continuo, sorgivo e che si auto-alimenta, col quale Di Spigno cerca di dialogare, con i suoi versi. Il tentativo interlocutorio di Minimo umano è apprezzabile perché, pur presentando la sofferenza e la morte come aspetti tematici fondanti, l’io lirico – che, va ricordato, è giovane! – impiega formule diverse (dalla condanna all’elegia, dal ricordo nostalgico all’attestazione di una carenza di presenze, dall’invocazione all’abbattimento) in questo confronto– ad armi impari – con ciò che (poco) conosciamo e (molto) temiamo.
[1] “Ringrazio Silvia Bre, che considero la vera mallevatrice di questo libro, per i preziosi incoraggiamenti, suggerimenti e operazioni di taglio e sintesi operate su diversi testi che ritengo decisivi” (91). A lei è dedicata la poesia “Preghiera dell’anima costiera” che fa parte della sezione “Terra e cielo” nella quale, col canonico flusso di coscienza di Di Spigno teso a spiegare a se stesso (più che a chi lo legge) il suo stato di malessere e inquietudine, si legge: “Non ora il conto intero dei peccati./ Ancora qualche anno è ciò che chiedo/ per riparare ai torti delle idee” (54)
[2] In una conversazione privata con Di Spigno, avvenuta il 16/07/2020, così si è espresso su questo importante esponente del mondo musicale: “è un uomo che, nonostante [vari] ictus e infarti, ha composto grande musica tra il 1968 e il 1994, riprendendo forme canoniche (concerto, sonata, sinfonia, quartetto d’archi etc.), riuscendo a fare una musica […] moderna, con mezzi assolutamente classici, ovvero ritornando alla citazione, alla conoscenza a tappeto della musica occidentale che aveva davvero portentosa. Per me è un simbolo, perché manda in soffitto le avanguardie restituendo alla musica una piacevolezza di ascolto e una religiosità che sono mancate per decenni, portando la musica in un vicolo cieco dal quale lui, Part, e qualche altro, sono riusciti a uscire. Mi permetto di segnalare […] il suo brano, “Quartetto 3”, con la citazione di Orlando di Lasso, per dar[e] un’idea plastica della sua poetica”.
[3] Nell’analisi del libro in oggetto ho cercato di proseguire in maniera progressiva procedendo nella lettura delle varie sezioni e, contestualmente, delle varie poesie ivi inserite con la sola eccezione della sezione “Congedi”, costituita da due sole liriche, che si trova nella parte finale del libro che, rappresentando due testi molto personali dedicati a persone scomparse, ho deciso di non approfondire ulteriormente.
[4] Si veda, inoltre, la poesia dal titolo inequivocabile in tal senso, “Dilemma” (50).
[5] Conversazione privata avvenuta a mezzo mail il 16/07/2020.
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“Non oserei parlare di mito nella mia poesia, ma c’è il desiderio diinterrogare la vita”. Così si espresse Montale in un’intervista di Medeleine Graff-Santschi, pubblicata nel 1965 sulla Gazette de Lusanne, che ci fornisce una linea di movimento della poetica montaliana nella sua fase iniziale.
Montale è alla ricerca di una definizione precisa e assoluta della vita, ricerca che, sotto l’influsso delle sue letture filosofiche di impronta contingestista, trova il suo approdo nel dubbio, nello scetticismo e nel nichilismo. Egli ritiene che non sia possibile indicare una verità esistenziale come prospettiva verso la quale orientare il cammino della vita: non esistono mete né certezze universali. Il poeta elabora, allora, una sorta di “teologia negativa”, che trova la sua espressione più emblematica nella lirica “Non chiederci la parola”, composta nel 1921, che costituisce quasi una norma normans da rispettare in tutte le circostanze della vita.
La struttura della lirica poggia su un “io introspettivo” tutto al negativo, come si evince dall’uso frequente della negazione “non” (“Non chiederci”….”Non domandarci..” “non siamo…” “non vogliamo..”). Il poeta dialoga con un interlocutore indeterminato, al quale mette davanti il percorso incerto, difficile, pieno di pericoli della vita; ricorre ad un registro stilistico e lessicale pienamente aderente alla sua visione desolata e negativa dell’esistenza. “L’animo informe”, il “polveroso prato”, lo “scalcinato muro”, la “storta sillaba e secca come un ramo” costituiscono la metafora di una condizione umana precaria, drammatica, amara ed incerta, messa in contrapposizione alla sicurezza di chi non avverte questa precarietà e questo grigiore della realtà. (“Ah l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed a se stesso amico”).
Questo pessimismo non può essere letto, però, esclusivamente come chiusura nel buio, perché include, dentro l’io più profondo di Montale, anche il desiderio di infinito e di assoluto, l’apertura ad un Essere che non può farsi presente nei concetti e che non ha una collocazione nella storia; il Montale che interroga il mistero della vita, come già Leopardi, dimostra di tendere verso un Orizzonte nel quale possa essere contenuta la risposta alle tante domande che nascono nel cuore dell’uomo: “Chi può dire di vivere soddisfatto – afferma il poeta ligure – nel mondodei fenomeni, delle cose finite, senza farsi domande, chiedersi il perché? Paradossalmente la poesia di Montale è un canto mistico che si perde nel vuoto, un interrogare la vita per tentare di raggiungere quei risultati che il poeta cerca e che, però, è pienamente consapevole di non potersi attendere dal mondo fenomenico. L’unica certezza della sua indagine sull’esistenza è che l’uomo deve finire: “Sappiamo che dobbiamo finire: questa certezza ci rimanda all’Essere, all’eternità”.
L’eternità per Montale rappresenta la fine dell’inquietudine umana, la terrestrità costituisce il luogo della solitudine, dell’inganno, del malessere e della precarietà. È all’interno di questo interrogare la vita che la ratio montaliana aspira dunque a qualcosa che non riesce ad afferrare e spiegare; la sua è una ratio che non decifra il Mistero, ma che rivela il segno della sua Presenza in ogni esperienza umana:
“Sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano
scritto: ‘più in là”.
Quel “più in là!” paradossalmente rivela l’Orizzonte verso cui tende il poetare montaliano; egli non lo vede ma lo percepisce, così come l’uomo ode il grido che c’è dentro le cose, anche se non sente la voce. L’ “io noumenico” montaliano, pur muovendosi all’interno dei parametri propri della poetica italiana della modernità, che lanciava l’interpretazione della realtà come nichilismo, in fondo non risulta anti-religioso; anzi, si può ritenere che è connotato da una “passione religiosa”, cioè da una espressa passione della ricerca e della eventuale affermazione di un senso alla vita, ossia di un Mistero che dia il senso delle cose, della realtà e dell’esistenza.
Quando Montale in alcuni suoi versi afferma – “Forse un mattino andando in un’aria di vetro/arida, rivolgendomi, vedrà compirsi il miracolo:/il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/di me, con un terreno ubriaco” – , egli, in fondo, non fa altro che rappresentare l’effimero delle cose che oggi ci sono e domani non più, ribadire la vanità e la nullità di ciò che esiste. Questa sua esperienza rappresentativa della realtà è sostanzialmente identica a quella del mistico religioso cristiano, il quale mentre contempla il cielo e la terra, così grandi ed evidenti nel loro spazio, sa che domani non ci saranno più, per cui capisce che la realtà è tutta segno della parola di un Altro, cioè il Mistero che sta dietro. Questo indagare il Mistero che sta dietro alle cose, agli oggetti, alla vita stessa fa di Montale un uomo religioso senza religione, ed è la premessa alla fede come campo immediato in cui la ragione cede all’ inconoscibilità e all’ inafferabilità della “Realtà Altra”.
Se nello scavo dell’io interiore di Montale, l’elemento religioso e l’influsso della fede sono stati poco osservati, è per un errore di approccio critico; molti hanno cercato e cercano la religiosità di Montale attraverso le sue pagine, attraverso riferimenti espliciti ad una esperienza secondo la tradizione religiosa. In questa prospettiva è facilmente intuibile che il religioso in Montale è davvero argomento difficile e controverso, non solo perché poche volte la parola “Dio” compare nei suoi versi, ma anche perché il poeta ligure rigetta ogni collocazione confessionale e ideologica.
L’approccio che occorre tentare non è quello di proiettarsi verso la “religiosità del testo”, ma quello di verificare se il testo letterario in sé , pur non collocandosi in un espresso orizzonte teologico, sacrale e religioso, contenga “dati-testimonianza” di una specifica rilevanza religiosa.
I due moduli tematici e stilistici utilizzati da Montale nelle prime raccolte di versi, Ossi di seppia e Le occasioni, vale a dire la poetica degli oggetti da un lato e il simbolismo ermetico-metafisico dall’altro, trovano nel terzo Montale, quella di Bufera e altro, un esplicito appoggio ai termini del linguaggio simbolico e religioso. Mentre negli Ossi di seppia è presente una cauta e generica metafora del divino, racchiusa ora nell’ombra umana, la “disturbata Divinità” dei Limoni , ora nella presenza del mare, il “divino amico” di Esterina in Falsetto, ora nella voce paterna e immensa che “afferma una legge severa” di Mediterraneo, in Bufera e altro viene, per la prima volta, pronunciata, la parola “Dio” e l’io interiore ed intropsettivo di Montale intraprende la direzione di un lessico tratteggiato da insistenti simboli e richiami religiosi.
Entrando nella tessitura della silloge, il linguaggio lirico montaliano dà spazio ad una presenza, ambigua e per certi versi contorta, che spiega il suo affaccio inquieto al Divino in modo più esplicito rispetto alla prima esperienza poetica. Ecco alcuni testi:
su noi come Giona sepolti
nel ventre della balena…..
………………………….
L’iddio taurino non era
Il nostro, ma il Dio che colora
di fuoco i gigli del fosso…….
(Da “Ballata scritta in clinica”)
L’uomo che predicava sul Crescente
mi chiese “Sai dov’è Dio?” Lo sapevo
e glielo dissi. Scosse il capo….
(Da “Vento di Mezzaluna”)
Dovrà posarsi lassù
il Cristo giustiziere
per dire la sua parola…
(Da “Sulla colonna più alta”)
Dicevano gli antichi che la poesia
è scala a Dio. Forse non è così
se mi leggi……
(Da “Siria”)
Intorno il mondo stringe; incandescente,
nella lava che porta in Galilea,
il tuo amore profano, attendi, l’ora
di scoprire quel velo, che t’ha un giorno
fidanzata al tuo Dio …
(Da “Incantesimo”)
Io non so, messaggera
che scendi, prediletta
del mio Dio(del tuo forse)….
…………………………….
Il dì dell’Ira che più volte il gallo
annunciò agli spergiuri…..
(Da “L’Orto”)
I versi citati offrono indicazioni circa la presenza di un “io religioso” nella poetica montaliana a diversi livelli. C’è, anzitutto, un primo livello nel quale si configura un tratto antinomico della presenza del divino: da un lato l’ “iddio taurino”, dal quale Montale prende le distanze(“non era il nostro”) perché simbolo della violenza e del trionfo, e che la “razza idiota degli eletti” adora, dall’altra il “Dio che colora/di fuoco i gigli del fosso”, che simboleggia l’amore sacrificato, il dono incontaminato del sacrificio destinato a perdurare nel tempo e che riecheggia il “Dio dei fiori” della lirica thanatos athanatos di Quasimodo.
Il secondo livello supera la precedente antinomia per dare rilievo ad una “visione relazionale e comunionale” tipica del Dio della Bibbia. Il verso montaliano sembra assumere il linguaggio personalistico della fede (il “tuo Dio”, il “mio Dio”); gli aggettivi possessivi, peraltro, non solo riecheggiano il linguaggio di Dio verso Israele (“ Io sono il tuo Dio, colui che ti ha fatto uscire dall’Egitto” ) ma sembrano accorciare la distanza tra il poeta e Dio, non più percepito come realtà distante e nascosta o potenza arcana e trionfante, ma come presenza vicina e solidale all’esperienza umana. E, tuttavia, si tratta sempre un approccio titubante e timido, come si evince da quel “forse”( “del tuo forse”), che evidenzia l’ambivalenza della problematica religiosa nel poeta ligure.
In altri testi, ancora, l’accostamento al Divino si esprime ora sotto forma di domanda, ora con l’attestazione dell’attesa della parola del giudice supremo, il “Cristo giustiziere”, ora come riconoscimento dell’ontologia religiosa del verso” che, stando a quanto – scrive Montale – “dicevano gli antichi”, eleva verso Dio”.
In Bufera e altro l’io poetico montaliano non esclude dunque la possibilità della salvezza dell’uomo; Montale, che nella sua formazione ha visto l’accostamento a letture di ispirazione cristiana, quali i Padri apologeti, Sant’Agostino, Pascal, Dostoevskii, utilizza le categorie teologiche per inserire sul suo cammino poetico l’orizzonte sotereologico. E difatti, come nella teologia cristiana la salvezza passa dalla donna, tant’è che l’incarnazione del Verbo si è realizzata grazie al “fiat” di una donna, Maria, divenuta corredentrice di Cristo, così vediamo che in Bufera e altro Montale riprende, sull’onda di influenze dantesche, di convergenze stilnovistiche e di echi petrarcheschi, il tema della donna-angelo, della donna salvifica.
La struttura sintattica delle liriche appare infatti dominata da quel “Tu” rivolto quasi sempre alla donna, sotto immagini e nomi diversi, la donna del Giglio rosso, Iride, Clizia, Volpe; l’apparizione della presenza femminile ruota, al di là dell’ordine fisico e sentimentale, che pur sono compresi, all’interno di un’allegoria che ripropone temi della tradizione cristiana e figurale.
Tillich diceva: “quello che determina il nostro essere o il nostro non essere, è il nostro interesse ultimo”. L’uomo, in altre parole, non rinuncia mai, se si cala dentro il suo io più profondo con una azione introspettiva vera e sincera, alla ricerca della conoscenza del senso ultimo delle cose e dell’esistenza; egli guarda ad un fine ultimo, che per molti è Dio, per altri un archetipo, un assoluto, una causa; in ogni caso, Dio, anche se negato, rimane l’ultimo interlocutore dell’uomo.
Se il primo Montale ha sostenuto che l’inganno e l’illusione costituiscono i fondamenti su cui poggiano i falsi equilibri della vita quotidiana, se ha teorizzato la condanna dell’uomo ad una esistenza fortemente segnata dalla solitudine, e di tutto ciò ne ha manifestato il rammarico, con Bufera e altro egli comincia a testimoniare, pur se indirettamente, l’ammissione del suo bisogno di superamento del “male di vivere”, bisogno, che proprio a partire dalla raccolta Bufera e altro, egli proietta in quel “Tu” raffigurato come emblema e portatore di salvezza.
DOMENICO PISANA
L’autore del saggio ha acconsentito e autorizzato alla pubblicazione del testo su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. Si rappresenta, inoltre, che la diffusione del presente saggiosu altri spazi, in forma integrale o parziale, non è consentita senza il consenso scritto da parte dell’autore.
Esce in questi giorni, per i tipi di Aracne Editore di Roma, il libro “Rumori di fondo” di Giorgio Fabretti e Vittorio Pavoncello. Nella presentazione sinottica del volume si legge: “Che ne è dell’Homo così pressato da cambiamenti climatici che ne compromettono l’esistenza e dalla tecnologia, che attraverso robot computerizzati, minaccia la completa sostituzione del lavoro e di ogni altra attività del quotidiano? Saremo ancora capaci di riprodurci? Ogni argomento, frase, parola, presenti nel volume sono già inseriti in un nuovo mondo nel quale si è trasportati e nel quale si chiede al lettore di iniziare a vivere. Perché c’è un determinismo anche nella logica, la quale si muove nel tempo. E non capire i cambiamenti, non contrastarli o non evolversi con questi, vuol dire rimanere schiacciati. È un guardarsi in uno specchio che non riflette il proprio aspetto ma il DNA, per scoprire con sorpresa che dentro ci sono tutte le alterità, anche quella di un Homo che potrebbe ancora una volta decidere della propria sopravvivenza o della propria fine. Il problema è che non sappiamo se la scomparsa dell’Homo sarà notata nell’Universo o se qualcuno la piangerà. Le galassie non seppelliscono le proprie stelle”.
A continuazione la table of contents, l’indice del contenuti di questo ricco volume:
Indice
Introduzione generale
Parte I – Homo Stabilis. Come stabilizzare la specie umana?
Prologo
Capitolo I – Come stabilizzare la specie umana?
R. Fabretti ‘ponti-ficio’ traduttore tra passato e presente; Darwinismo logico; Mulinello (Whirlpool); Significato Esteso e Crono-logica; Mondo amore, parola o Natura?; Epigenetica Idealista Empirista Logica; Individuo/Specie, Pubblico/Privato; Biochimica e cultura epi-gen-etica; Natura/Umanità Massoneria/Religione; Democrazia o Scienza?; Puntualità Nuova Economia del Tempo; Giustezza non Giustizia; Potere complotto Novus Ordo?; Socialismi est Barbarie; Dov’è l’Uomo? Io non lo vedo…; Biostoria delle forme capitalistiche; L’inutile vendetta del Capitale inutile; Finzioni e Ragioni, il Gioco dei Giochi: il finto Reale; Scegliamoci allo zoo; Funzionalismo Finalismo; DNA Natura facile; Virus sovranisti globali; Natura è Potere; Scienza è Bioetica.
Parte II – Un punto verde, un pianeta azzurro, in un campo di materia oscura
Parodo
Capitolo I – Colori
I colori; I Nuovi Principi; Il Lato B del potere; Greta Thunberg; L’arca di Noè tra specismo e antispecismo; La formica e il libro; Antropocene; Il messaggio di Greta e la guerra tra continenti; L’isola di plastica; La ciliegia d’inverno globalizzazione e daltonismo; Il Pianeta Terra e Dio; I persuasori occulti: il tempo e la lingua; Totalitarismi ed ecologia; Mangiare; Tempo è Natura; Buchi Neri; Empatia Zero; Virtuale e Natura; Fondamentalismo; Deepfake; Le nuove frontiere della guerra; Dove stiamo andando; Il Tempo in questione; Quinta Forza: Informazione.
Parte III – Virus
Esodo
Capitolo I – COVID-19
Finis Hominis; La fine dell’antropocentrismo; Capitalismi; Coronavirus: prove tecniche di sovranismi; Fermare il sole o resuscitare i morti: come usciremo dalla trappola del virus?; Un virus senza confini.