N.E. 02/2024 – “Riflessioni”, poesia di Gian Luca Guillaume

Passa dalla porta principale la vita

o dalle parole mie in rima,

un sommovimento dell’anima

quando si schianta la presa di coscienza,

quando ognuno fa da sé

senza ma senza perché.

Eppure qualcosa brilla e si spegne

tra le pieghe della notte,

forse la trama di un’anziana signora

forse la brama di una prossima ventura,

o tutt’al più l’intenzione della sensazione,

prestare la voce alla verità:

l’unico compito spirituale concessoci.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

“L’impronta del pensiero” di Vincenzo Lubrano

L’impronta del pensiero

di Vincenzo Lubrano

Esserre Press, 2013

 

“L’impronta del pensiero” è il nuovo libro di Vincenzo Lubrano edito da Esserre Press.

copertina impronta del pensieroUna raccolta di pensieri, poesie e riflessioni di grande intensità. Scritto in ogni attimo di pace ritrovato nelle poche ore di riposo da lavoro dell’autore, il libro vuole essere una rivelazione autentica di emozioni e sentimenti, un consapevole viaggio interiore nei tanti perché della vita. Osservare il mondo, affrontare limiti, gioie, paure è un percorso di crescita indispensabile per un giovane uomo che trova nella scrittura una vera e propria ancora di salvezza. “Mi ritrovo davanti ad un foglio bianco come mio migliore amico, esso mi permette di esprimere, sbagliare, correggere e cancellare, ma soprattutto di dare forma ai miei pensieri e far si che ogni mio sogno diventi realtà consigliando con le parole di chi mi conosce di più…me stesso”. Vincenzo Lubrano è nato a Napoli e vive a Pozzuoli. “L’impronta del pensiero” rappresenta il suo esordio nel mondo dei libri.

 

Vincenzo Lubrano è nato a Napoli il 30/04/1988. Vive a Pozzuoli, una provincia al sud di Napoli, una terra caratterizzata dal bellissimo litorale flegreo che si estende tra mare, sole e pescherecci. L’autore è diplomato in “tecnico dei servizi ristorativi di cucina” ha intrapreso la sua attività lavorativa all’età di quindici anni in contemporanea con la scuola, acquistando così indipendenza per se e un aiuto di cuore alla sua famiglia. Lo stesso senso di responsabilità lo porta negli ultimi tempi verso la scoperta di sé, lavorando all’Isola d’elba come aiuto cuoco. La passione per ogni forma d’arte è sempre stata la sua “dote” e ciò gli permette di esprimere il suo pensiero con la scrittura che egli definisce come migliore amica : “Mi ritrovo davanti ad un foglio bianco come mio migliore amico, esso mi permette di esprimere, sbagliare, correggere e cancellare.. ma soprattutto di dare forma ai miei pensieri e far si che ogni mio sogno diventi realtà consigliando con le parole di chi mi conosce di più.. me stesso”.. Nasce così la sua prima raccolta di pensieri, poesie e riflessioni “L’impronta del pensiero” scritta in ogni attimo di pace ritrovato nelle poche ore di riposo del lavoro dove semplicemente osservando apprezza ogni elemento a se circostante ma in primo piano il RISVEGLIO al mattino che l’autore definisce “Il vero senso della vita”.

“Sbarco clandestino” di Dante Maffia, recensione di Ninnj Di Stefano Busà

SBARCO CLANDESTINO
di Dante Maffìa.
Edizioni Tracce, 2011
Pagine: 150
 
Recensione a cura di Ninnj Di Stefano Busà

imagesUn tema di grande attualità, una problematica che trova ostracismi e contraddizioni in termini, mentre si delinea l’umiliante vetrina di un mondo spaurito, allarmato davanti a fenomeni di così profondi mutamenti etnici, apocalittici, vere trasmigrazioni di popoli, e di così imponenti investiture morali, sociali, politiche. Un mondo, quello di oggi, sprovveduto e disorientato dinanzi a fattori ontologici che proprio per l’essere grandemente vaste, trova incerta e perplessa, nettamente contrariata e incapace l’opinione pubblica, i governi in un contesto di umanità reproba e inerte, inadatti ad opporvisi, a registrare il fenomeno e regolarlo nella giusta dimensione, disorientati e quindi spiazzati a padroneggiare il destino di molti.. E infine, larghe sacche di oppositori ad oltranza che volutamente ignorano o lasciano trasparire repulsione con atti di miseria morale e intolleranza razziali, tali da innescare un processo di dissociazione intellettuale fatalistica e discriminatoria. Volutamente inconciliabile si mostra la desolazione alla domanda di aiuti umanitari che da questi fenomeni originano.. La poesia di Dante Maffìa va a toccare i nervi scoperti e dolorosi di un scoperchiamento di pensieri e di azioni, di travisamenti e soprattutto di fatalismo che ingenera una catastrofica forzatura delle regole, una condotta maldestra, un’opposizione omologante e inquietante per quelle genti (una moltitudine vagante), private del diritto d’asilo, svilite da sospensioni di libertà, dissociazioni d’identità, oppressioni e frustrazioni nei diritti umani e civili, defraudate e umiliate. Lo spettro della miseria morale di coloro che dovrebbero sostenerli si fa in molti casi segno inquietante di una deprivazione di coscienza, che appare non salda, non matura e annaspa nell’ondivaga emergenza di un piano tempestivo di aiuti, tentando di sottrarsi alla propria responsabilità di cristiani civilizzati, declinando quei paradigmi di accoglienza e di indulgenza al . Diverso da chi? si dovrebbe poi obiettare? ma è l’umanità stessa che di fronte allo strazio primordiale, quanto universale della diaspora così massiccia, arretra nella sua posizione di deserto arido e informe. Il massimo della solidarietà intellettuale va dunque rivolto a questo poeta integerrimo che dalla sua vocazione di immaginario collettivo, sa estrapolare commoventi e limpide suggestioni, emozioni che costituiscono deterrente per molte e più proficue riflessioni. La diaspora è stata da sempre considerata un filone parallelo alla morte dei diritti umani, qualcosa che disorienta e coglie impreparato il fatalismo storico dell’intera umanità. Siamo portatori sani di “nequizie”, il male si aggrava e diventa pandemia quando a respingere ai loro destini è l’ottusa ipocrisia, il collasso della solidarietà nel non voler accettare e considerare di questi diseredati, umiliati e offesi in una visione cosmogonica, che si manifesta in toni edonistici, quasi dissacratori e sempre impotenti in prossinità di eventi e avvenimenti di portata biblica che disorientano l’altro, “il diverso”, l’esiliato dal pianeta, l’afflitto, il senza volto, il diseredato, l’escluso: Non dovremo dimenticare che anch’essi sono fratelli in Cristo, ma l’universo mobile, cangiante, variegato di un disincanto e di una spregiudicatezza collettivi, li fa apparire transeunti della storia, virgole precarie di un dato storico irreversibile, “circostanze circostanziali” li definirei per antonomasia, (non uomini e donne) ma solo depositari di sventura. È difficile, se non impossibile, trovare un poeta che rappresenti così bene il travaglio degli sventurati musulmani succubi di lotte tribali per l’ascesa al potere di governanti-boia, in balìa di dittatori-terroristi, sanguinari che esercitano i loro poteri totalitari e senza regole su popoli indifesi, siano essi etiopi, o siriani, arabi, o algerini, magrebini, marocchini etc, i perseguitati sono sempre loro, a subire le angherie dell’esilio, la mano devastante e inquietante della fame, della sete, ad addentrarsi in clandestinità, a rivendicare diritti negati, identità perdute in una necessità impellente portata a scegliere tra sopravvivenza outside, ai limiti dell’indecenza o morte. Dante Maffìa è un veterano di tematiche che altri respingono, fa spesso sue le problematiche delle minoranze senza voce, degli esclusi dalla storia dell’esistenza, quasi ectoplasmi. A questi esseri umani egli presta la sua voce, ne ascolta il loro tormento.

Dante-Maffia_Ritratto-di-Paolo-Quaranta-270x300Il suo cuore di poeta traboccante di pietà si muove a compassione per uomini come Mahmud, Omar, Alì, Mamadou, Brahim, Kaddour. Vi sono alcuni brani di questa raccolta che commuovono per l’intensità degli episodi descritti come Gada ad es: “ Sono un fiato di vento / e vaga nell’indifferenza, / vado verso terre sconosciute/ dove troverò una radura dolce/ in cui riposarmi?” (pag.32) e poi ancora: “adesso non puoi ascoltarmi, langui/ in tristi luoghi comuni dell’Occidente/ che credi tu sia solo rabbia e vuoto/. Io invece so che verrà l’aurora/ a ridarmi l’azzurro del deserto, / la sconfinata libertà di Dio / che ha la tua voce e il tuo passo.” (idem) “Nomade, straniera, mendicante,/ che importa. Ormai sono un rifiuto/ che vaga senza meta/…/Non potevo restare /nella casa dove ogni cosa è sfiorita./ Sono ferita in ogni poro, la morte/ mi tiene lontano da sé per non essere infettata.”(Khadouj) pag 35. Maffìa redige le storie di ognuno registra le loro pene, il tremore dei loro turbamenti, le paure, le angosce, che prolificano da uno sfilacciamento di mente e corpo che subisce traumi di dissociazione inimmaginabili, avverte gli urli dei loro cuori trafitti, delle trasmigrazioni respinte, e dove la ricerca di pace e di perdono si trovano distanti anni-luce da essi, piccoli mucchietti di stracci sporchi, maleodoranti, in balìa di correnti impetuose, in preda a deliri di deprivazione e di malessere, di malattie, denutrizioni. Dante Maffìa coglie appieno l’allarme per questi derelitti, si fa tesimonial di un dolore rappreso tra la sorte e la morte, ne fa una questione di principi e di orfica desolazione: epigrafici appaiono questi versi: “Ci dicono che siamo sbarcati in Calabria Saudita! Il destino è perverso, beati i morti in mare!.” (Driss) pag.24 Vi è da un lato la miopia che confuta e procede a tentoni, non indulge e non dialoga: L’Europa “ditta”… dall’altra la moratoria umana, l’esigenza di una remora morale di universalità. Quella dei nostri giorni è una diaspora epocale, senza precedenti che antropologicamente ci costringe a prendere atto di un processo umano che s’interseca, ci obbliga ad indulgere sull’”altrui”: brutto, nero e cattivo che ci mette davanti allo specchio concavo di noi stessi, riflettendo quello che non vogliamo vedere. Ma il binocolo ha due lenti: si tratta di stabilire una corrispondenza di immagini adeguate, di coordinare regole di accoglienza, attingere al patrimonio genetico della razza umana, per estrapolare quel minimo di convergenza che d’improvviso diventi: dialogo, vita, estrema salvezza per tanti diversi da noi “gli altri”: lo scopo è guardare in fondo alle cose, prefiggersi un imperativo categorico che dell’emergenza-necessità deve fare virtù, per costituire l’obiettivo fondamentale di un mondo migliore, una confutazione di orgoglio senza pregiudizi, una coesione che sia in linea con la e restituisca credibilità e uguaglianza al pianeta così fortemente attraversato da sventure. C’è l’auspicio che si compia il miracolo che faccia dire come a Orhan: “Sarò trattato prima o poi/ come una persona che possiede/ un nome e l’anima?” pag.59

NINNJ DI STEFANO BUSA’

QUESTA RECENSIONE VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. LA DIFFUSIONE E LA PUBBLICAZIONE DELLA STESSA E’ VIETATA SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

Intervista a Idolo Hoxhvogli, autore di “Introduzione al mondo”, a cura di Lorenzo Spurio

Intervista Idolo Hoxhvogli

Autore di Introduzione al mondo

Notizie minime sopra gli spacciatori di felicità

Scepsi & Mattana Editori, 2012.

a cura di Lorenzo Spurio

LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua opera?

IH: Il titolo Introduzione al mondo non indica la volontà di descrivere il mondo in tutte le sue componenti o nelle sue strutture essenziali. Esaurire il mondo in un libro è un compito impossibile e perciò utopico: il sottotitolo, Notizie minime sopra gli spacciatori di felicità, smorza ironicamente l’apparente grande pretesa e promessa presente nel titolo. Non si può, dunque, obiettare al titolo una promessa non mantenuta: le notizie che nel libro tento di dare sono infatti minime, ma allo stesso tempo paradigmatiche. Perché paradigmatiche? Perché il compito dell’autore e dell’arte è trascendere il fatto bruto per elevarlo a una dimensione superiore rispetto al puro resoconto. Il titolo indica l’esperienza che ognuno di noi fa di alcuni aspetti della realtà. Fare esperienza è questo: introdursi al mondo e alle sue dinamiche. Il libro è suddiviso in tre parti: La città dell’allegria, Civiltà della conversazione, Fiaba per adulti. Queste tre parti sviluppano una forma di introduzione al mondo. La città dell’allegria introduce ad alcune patologie della società contemporanea. Civiltà della conversazione introduce alle contraddizioni della vuota conversazione che opprime i nostri giorni. Fiaba per adulti è l’introduzione tragica di una bambina al mondo attraverso l’orribile esperienza della pedofilia. Il percorso dell’introduzione è questo: società, cittadini, individuo.

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo abbia un riferimento diretto alla propria esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di là di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché finirebbe per risultare fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di se stessi?

IH: Mi colloco pienamente nella tradizione: nego riferimenti diretti alla mia vita e affermo allo stesso tempo che in ogni libro c’è anche il suo autore. Come chiarire questa strana compossibilità? Quantificare l’elemento autobiografico non solo non è utile, ma è anche arduo. Ciò che conta non è sapere quanto della vita dell’autore c’è nel libro, è importante sapere quanto della nostra vita c’è nel libro di un qualunque autore. Perché? Perché la vita dell’autore non conta. Quello che conta, nell’opera d’arte, è che il messaggio superi le vicende personali per raggiungere una dimensione collettiva. La letteratura –  l’arte in generale –  non è solo un modo per raccontare la storia degli altri e di sé: è l’unico modo. Non ci sono alternative, perché l’arte è l’unico modo per trasformare una vicenda personale in vicenda universale, per vedere nel volto di un personaggio tutti i volti di un popolo, per scorgere in un dialogo mille dialoghi, per scoprire, dunque, l’universale nel particolare.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

IH: I miei autori preferiti sono due: l’Universo e l’Uomo. Le tendenze che mi affascinano di più sono due: quella verso la vita e quella verso la morte. La corrente che mi ha più influenzato è quella del Golfo, non tollero invece gli spifferi. Il genere letterario che apprezzo di più è l’incisione paleolitica.

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che più ami? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

IH: Il libro che più amo è la vita. Non stanca mai, è piena di colpi di scena e possiamo scriverne qualche pagina.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali ami di più?

IH: Gli autori che hanno più contribuito a formare il mio stile sono la strada, il viaggio, la solitudine e i ristoranti con un menù inferiore ai venti euro. Non posso non citare, poiché determinante nella mia formazione, la prosa scritta sul ring dai pugni di Muhammad Alì.

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

IH: Non ho mai collaborato con altri al processo di scrittura. Credo tuttavia che si tratti di una operazione molto interessante e con esiti significativi dal punto di vista editoriale e artistico. Penso ad esempio a Wu Ming, Kai Zen, Sic e Mama Sabot.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

IH: Ai lettori capaci di intendere l’ironia di queste parole del grande scrittore Antonio Delfini: «Questo autore ignoto che vi si presenta è quasi certamente un imbecille. Però voi non ne siete sicuri. Prendetevi la soddisfazione di dare dell’imbecille a uno sconosciuto con documenti alla mano. Acquistate le mie pubblicazioni». Ai lettori capaci di comprendere le intime ragioni del feroce pessimismo di un Emile Cioran: «Se Noè avesse avuto il dono di leggere il futuro sicuramente avrebbe affondato la sua barca». Ai lettori capaci di mantenere la speranza, nonostante la speranza sia, dice Baltasar Gracián, «la più grande falsificatrice della verità».

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

IH: Il tema è complesso e la risposta può essere solo abbozzata. Per quanto riguarda l’editoria digitale, credo che l’ebook debba necessariamente essere il futuro per i periodici (non ha senso pubblicare in cartaceo un giornale che il giorno dopo deve essere buttato), per le opere di consultazione (non ha senso pubblicare in cartaceo opere che devono essere continuamente aggiornate) e per i prodotti editoriali che non hanno la necessità di diventare libro. Non credo che il libro possa essere soppiantato in toto, perché il libro e il file rimangono due cose diverse. Non ci resta che attendere, comprendere e guidare le nuove tecnologie. I lettori di ebook non hanno ancora una ergonomia tale da essere considerati più comodi e fruibili di un qualunque tascabile. Per quanto riguarda l’editoria cartacea, vorrei sottolineare che quella editoriale è un’industria, non solo un’arte, e come tale è regolata dalle leggi del mercato e dell’economia. I piccoli editori dovrebbero avere maggiore attenzione verso l’utilizzo della stampa digitale (che permette di non avere copie invendute nei magazzini) e i nuovi canali promozionali offerti da internet. Tutti gli editori, poi, dovrebbero a mio parere concentrarsi sul catalogo, sviluppando un’offerta editoriale che sappia resistere nel tempo. Con la casa editrice che ha investito nel mio libro mi sto trovando molto bene.

LS: Pensi che premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

IH: I premi, a mio parere, non sono molto utili per la formazione dello scrittore. Contano solo due cose: la vita e la lettura. Senza la vita, i libri non hanno sostanza; senza la lettura, l’autore non ha le parole. I premi, però, sono sicuramente utili per farsi conoscere dal pubblico. Non amo i corsi di scrittura. Non credo che al mondo vi sia una scuola di scrittura migliore della lettura. Sfido qualunque docente di scrittura creativa ad essere più utile della lettura di Bukowski, Henry Miller, Robert Walser, Flaiano, Calvino o Gadda. Una scuola di scrittura, nel senso radicale dell’espressione, non esiste. Trovo comunque utili le scuole di scrittura che hanno come obiettivo il confronto e la problematizzazione della scrittura degli allievi. Un possibile aspetto deteriore delle scuole di scrittura è questo: l’omologazione e la standardizzazione stilistica e tematica.

LS: Quanto sono importanti il rapporto e il confronto con gli altri autori?

IH: Fondamentali. Faccio tesoro di ogni critica od osservazione ragionata e argomentata. Senza confronto, la scrittura si atrofizza e si avvita su se stessa, rischia il solipsismo.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. Ci sono spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

IH: In Introduzione al mondo la componente ipertestuale è fortemente presente. I testi che compongono il libro si citano l’un l’altro, hanno un filo conduttore (allegria, conversazione, pedofilia), sono collegati come i nodi di una rete. Come indicato nella Nota, tre testi sono frutto di una riscrittura attualizzante. Hai colto un punto fondamentale: l’utilizzo di materiali differenti, il pastiche stilistico e concettuale. Pensa a Introduzione al mondo come a una strada. In una strada sono possibili i più svariati incontri e convivono le più marcate differenze. Da qui la coesistenza di testi tra loro diversissimi, ma accomunati dal fatto di essere parte di un intero.

LS: Hai in cantiere nuovi lavori e progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?

IH: Sì, ho in cantiere un nuovo lavoro. Si tratta di una raccolta di racconti sulla falsa allegria contemporanea e sul modo in cui questa viene quotidianamente decapitata dalla realtà. Sarà un lavoro più ironico e corrosivo rispetto a Introduzione al mondo, saranno minime le parti di narrativa speculativa e più ricche quelle caustiche e mordaci. Le storie del nuovo lavoro rispondono, dal punto di vista della genesi, a questo interrogativo: come i moduli narrativi della letteratura per l’infanzia possono essere riutilizzati e attualizzati in maniera violenta?

LORENZO SPURIO

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