“Federico García Lorca tradotto in alcuni dialetti italiani”. Saggio di Lorenzo Spurio

La grande notorietà di Federico García Lorca (1898-1936) e della sua opera nel nostro Paese è testimoniata non solo da una prolifica attività critica e da continue riedizioni – anche commentate – della sua opera, ma anche da alcuni esperimenti di lettura di diverso tipo, che meritano adeguato rispetto e approfondimento. Mi riferisco – in relazione a quel suo carattere di poeta terrigno eppure universale – alla sua grande capacità di saper parlare e raggiungere popoli, gruppi umani, linguistici diversi, al pathos che trasmise nelle sue produzioni che i traduttori – non senza difficoltà – hanno cercato di rendere in idiomi altri rispetto allo spagnolo nativo del Poeta. È il caso anche dell’esigenza di percorrere la sua opera lirica in lingue dalla diffusione più limitata, localizzate in specifici ambienti di provincia, vale a dire i dialetti.

Non sono mancate, infatti, iniziative di cultori di dialetto che sono andate in questa direzione: non tanto quella del recupero della tradizione poetico-culturale oriunda, tra reminiscenze di età andate e grumi di nostalgia ma, piuttosto, quello di riconnettersi alla tradizione alta, colta, riallacciandosi a opere e autori di altre età, di altri contesti e “prenderle in prestito”, in qualche maniera, per “farle proprie” ma in maniera originale. Si tratta di un procedimento alquanto curioso, che nella maggior parte dei casi non ha visto esiti di particolare altezza, ma che ha, comunque, evidenziato una questione rilevante: la necessità dell’uomo contemporaneo – dello studioso attento – di saper interloquire anche con ciò che costituzionalmente non gli appartiene in forma nativa e identitaria.

La traduzione, questo “versare”, “porre a lato”, diviene, dunque, un qualcosa di fondamentale. Il tradurre da lingua a lingua lo è per ovvi motivi che qui risulta superfluo richiamare e che attengono principalmente alla possibilità di conoscere, apprendere, apprezzare e introiettare nel proprio panorama di ricchezze nozionistiche un sapere in una lingua estranea dalla nostra e, pertanto, se non intervenisse un medium a facilitarci la comprensione di quel testo, reso – adattato, trasposto, versato – nella nostra lingua, saremmo irrimediabilmente esposti a una perdita gravosa di conoscenze.

Il tradurre da lingua a dialetto è qualcosa di diverso poiché quest’ultimo non aspira a una diffusione capillare nel contesto nazionale e negli usi della lingua – da quelli formali e istituzionali a quelli pratici e d’uso comune della propria familiarità – dacché, per portare un esempio, tradurre i Sonetti di Shakespeare in napoletano non direttamente apporta per i parlanti del napoletano (né, di converso, per gli italiani tutti) una conoscenza superiore o inedita rispetto al bagaglio di conoscenze già in dotazione dell’italiano, dacché le liriche del Bardo sono già ben note in italiano, che è la versione primaria nella quale sono state trasposte nel nostro Paese dal loro originale.

Va da sé che, essendo un procedimento non automatico ma condotto dall’uomo dietro perizia di lettura, studio, attenzione e conoscenza delle due culture (quella dalla quale si parte e quella alla quale si giunge) e dunque un “trasferimento”, non può esistere un’unica versione concepita come giusta, completa, unanimamente accettabile di un’opera né, per le stesse ragioni, superiore rispetto a un’altra (con i distinguo di competenza e rispondenza all’originale di cui si diceva).

Avvicinandoci al caso di Federico García Lorca tradotto nel nostro Paese in lingue e varianti dialettali d’uso che non siano la lingua italiana (eliminando chiaramente il tedesco del Sud Tirol, il catalano di Alghero, il francese della Valle d’Aosta) ho reperito alcune informazioni che mi sembrano utili, sebbene approssimative, dal momento che la ricerca è stata breve e non può considerarsi esaustiva né particolarmente soddisfacente. Valga, comunque, come “anticipo” di un possibile discorso da riprendere e approfondire, quale tesi propedeutica a uno studio investigativo più allargato.

Veniamo al caso di Federico García Lorca, l’“andaluso universale” come ebbe a definirlo Carlo Bo, all’interno della grande vastità di dialetti del Belpaese. Alcuni anni fa Piero Marelli e Maurizio Noris hanno compilato un’antologia di poeti dialettali traduttori dal titolo Con la stessa voce (Lieto Colle, 2015) nella quale compaiono autori della classicità europea tradotti in altrettanti dialetti regionali o locali del nostro Paese. A fianco di Lee Masters, Shakespeare, Leopardi e Robert Burns, vi figura – doverosamente – anche García Lorca, tradotto in bergamasco dallo stesso Noris[1] ma anche in barese da Vincenzo Mastropirro[2]. Si vedano degli esempi:

I

Lorca:

Muerto se quedó en la calle

con un puñal en el pecho.

No lo conocía nadie.

¡Cómo temblaba el farol!

Madre.

¡Cómo temblaba el farolito

de la calle!

[prime due strofe della poesia “Sorpresa” estratta da Poema del Cante Jondo, 1921]

Noris:

Mòrt l’è restàt lè ‘n de strada

con d’o pognal in del pèt.

Negut l’lo conussìa.

Come tremàa ol lampiù!

Màder.

Come l’tremàa ol lampiunsì

de la strada!

*

II

Lorca:

Cuando yo me muera,

enterradme con mi guitarra

bajo la arena 

[prima strofa della poesia “Memento” estratta da Poema del Cante Jondo, 1921]

Mastropirro:

Quanne Criste me chiòme,

prequàteme cu la chetàrra maje

sotta tièrre

Sebastiano Burgaretta[3], studioso di tradizioni popolari e cultore locale nato ad Avola (SR) nel 1946 ha llevado a cabo – ha portato avanti – una traduzione in siciliano di un’opera teatrale di Lorca ovvero La casa de Bernarda Albapièce conclusiva della nota trilogia drammatica che l’autore, a causa dell’assassinio nel 1936, non poté mai vedere rappresentata né stampata su carta. Burgaretta, che ha anche curato il relativo adattamento teatrale dell’opera, ha pubblicato il suo volume tradotto in siciliano con i tipi di Algra Editore di Zafferana Etnea (CT) nel gennaio 2015. Giuseppe Di Stefano in una nota critica sull’opera di Burgaretta ha osservato: «Il lettore ha così un anticipo immediato, seppur succinto, di quanto calzante sia stata l’iniziativa di tradurre in un siciliano autentico e duro lo spagnolo di un’opera che mette in scena quel che abbiamo sentito o anche visto accadere, e non tanto di rado, in più di una casa dei nostri paesi fino a non molte decine di anni fa; quel che in tempi andati abbiamo raccontato e commentato in piazza, al circolo, al caffè, o ci è stato raccontato, usando il medesimo linguaggio che fu nostro e che era dei nostri padri, zii, nonne, donne di casa, ad Avola o a Fuente Vaqueros fa lo stesso».

Ed è proprio il siciliano che ha dato grande eco all’opera dell’autore di Romancero gitano se pensiamo che il grande poeta Salvatore Camilleri (1921-2021) con Tringale Editore di Catania nel 1983 pubblicò 70 Poesie dove raccolse alcune delle più impressive poesie di Lorca in versione siciliana[4]. Così scrive nella prefazione: «Federico m’insegnava a trarre ispirazione dal folclore, senz’essere folcloristico […] ma era un maestro difficile, quasi impalpabile, che chiedeva totale devozione e tensione continua; un maestro le cui emozioni folgoranti dovevano essere percepite senza nessuna mediazione, per magie, risolvendosi in banalizzazione ogni tentativo di dare significato all’immagine o alla metafora. […] Nessuno procede da solo, né nella vita, né nei sentieri della poesia; né mai poeta ha percorso la strada senza avere a fianco altri compagni di viaggio, altri poeti, senza ricevere e senza dare a quelli che vengono dopo»[5].

Altra manifestazione interessante è quella di Rosario Loria (nato a Poggioreale, nel Trapanese, nel 1938) – noto scrittore, poeta, commentatore attento delle vicende cronachistiche e culturali dei nostri tempi nonché ideatore del genere riverismo poetico – che nel suo dialetto locale, quello di Poggioreale con influssi della parlata di Menfi (AG) dove vive da varie decadi – ha tradotto la prima delle quattro parti – quella che in originale porta il sotto-titolo di “La cogida y la muerte” – del famoso Llanto por la muerte de Ignacio Sánchez Mejías. Lorca scrisse quest’opera nel 1934, sull’onda del lutto e dello scuotimento emotivo provato per la morte del celebre torero andaluso che nel 1934 sulla plaza de toros di Manzanares venne duramente attaccato dal toro Granadino e morì della fatale cornata.

Riportiamo a continuazione la versione tradotta di Loria (notare anche la bizzarra circostanza della quasi totale corrispondenza tra cognome dell’autore e del traduttore che si diversificano per una sola lettera: LorCa A Loria), con l’adozione del corsivo per i versi che trasmettono, in maniera anaforica, il terribile ritornello che preannuncia e dichiara, inveisce e proclama l’avvicinarsi, il concretizzarsi e il prodursi della morte del celebre matador:

“Alle cinque della sera” di Federico García Lorca

Versione in lingua siciliana

Traduzione di ROSARIO LORIA[6]

A li cincu di la sira.

Eranu li cincu ‘mpuntu di la sira.

U’ ‘mpicciliddu, purtà lu linzòlu biancu,

a li cincu di la sira.

‘Nna sporta di quacina, già pronta,

a li cincu di la sira…

Lu ‘rrestu, era morti e ‘ssulu morti,

a li cincu di la sira.

Lu ventu purtà luntanu li cuttùna,

a li cincu di la sira.

E la ‘rrùnia siminàu cristalli e ‘nnichèliu,

a li cincu di la sira…

Già cummàttinu, la palùmma e lu liupàrdu,

a li cincu di la sira.

E ‘nna coscia c’u’ ‘ncornu sdisulato,

a li cincu di la sira…  

‘Ncuminciàru li sònura di burdùni,

a li cincu di la sira.

Li campani d’arsenicu e lu fumu,

a li cincu di la sira.

A l’agnùna, ruppa di silenziu,

a li cincu di la sira.

Sulu lu tàuru, havi lu cori ‘nn’àvutu!

A li cincu di la sira.

Quannu vinni lu sudùri di nivi,

a li cincu di la sira,

quannu l’arena si crupìu di iodiu,

a li cincu di la sira,

la morti pusàu l’ova ‘nni la firita

a li cincu di la sira…

A li cincu di la sira.

A li cincu ‘mpuntu di la sira.

‘Nna ‘bbara cu’ ‘rròti, è lu lettu,

a li cincu di la sira…

Ossa e ‘fflàuti, sònanu ‘nni li so aricchi,

a li cincu di la sira…

Lu tauru già gridava di la frunti,

a li cincu di la sira.

La stanza si culuràva di unìa,

a li incu di la sira.

Di luntanu già veni la cancarèna,

a li cincu di la sira.

Trumma di gighiu, pi li virdi ‘nguini,

a li cincu di la sira.

Li firiti abbruciavanu comu lu suli,

a li cincu di la sira.

E la fudda ‘rrumpìa li finestri,

a li cincu di la sira…

A li cincu di la sira…

Ah, chi ‘ttirribbuli cincu di la sira !

Eranu li cincu di la sira, a ‘ttutti li ‘rròggiura !

Eranu li cincu, all’ummira di la sira…

Il poeta e noto giurista Corrado Calabrò sulle famose quartine lorchiane che compongono lo struggente Llanto (tradotto nella nostra lingua frequentemente come Lamento e più raramente con l’azzeccato Pianto) ebbe a porre l’attenzione sul senso d’incompiutezza (e dunque di formidabilità) di questo canto lirico: «Erano le cinque in punto della sera. Erano le cinque [in] tutti gli orologi. Venticinque volte Lorca ripete A las cinco de la tarde, alle cinque della sera nel suo Llanto por Ignacio Sánchez Mejías. Non lo fa certo per dirci l’ora. Ma se avesse detto: «Nel pomeriggio di oggi nella plaza de toros di Siviglia, il giovane e valente Ignacio Sánchez…» avrebbe fatto solo una cronaca da giornale locale. Lui dice invece Eran las cinco de la tarde; e niente come quelle parole che citano semplicemente l’ora segnata dall’orologio in quel momento, potenzialmente da tutti gli orologi in quel momento, ci dà il senso di come, in un istante, la nostra vita ci sfugga, ci sfugga per sempre, irreversibilmente. Sfugge al torero Ignacio, sfugge, prima o poi, a ognuno di noi, in un attimo. Il massimo della significazione con il minimo dell’espressione. Il non detto che scaturisce dal detto, da quello specifico detto; l’evocazione nell’udito interiore generata da un ascolto insostituibile e indeterminato ad un tempo. È questo che fa la poesia, la grande poesia. E la poesia di García Lorca è Grande. Agli inizi, la sua limitata acculturazione, suscitò dei dubbi sulla profondità di quella poesia. Critici emunctae naris rimasero perplessi di fronte alla sua immediatezza impressionistica, sospettandola di superficialità e accusandola di impurità, in tempi in cui si stavano già affermando, in poesia, tendenze esoteriche e rarefatte. Non capivano che quella immediatezza nasceva da una magica capacità d’immedesimazione, da un dono naturale di libertà e autenticità, che, rifiutando asfittiche prigioni correntizie e speculazioni di nessun esito, non per questo debordava dal territorio eletto dell’arte. “Ginatismo”, si disse; era invece un territorio che con lui appariva rigogliosamente ancora vergine per la prodigiosa capacità di reinvenzione della poesia, quella vera. Sì – osserva ancora Carlo Bo – «sembrava che lo guidasse una vera fame di poesia e che per questa fame non ci fosse un cibo capace di saziarlo». Con gli anni, Lorca, senza perdere la sua spontaneità, trovò una sua misura, al tempo stesso naturale e vicino alla misura classica. Sopravvenne la sua morte, e con essa la fama di Lorca, s’ingigantì e dilagò per il mondo. Giustamente venne visto nella sua uccisione il tentativo bestiale dell’incultura di sopraffare i valori assoluti dell’uomo. […] Quando una poesia è grande – e quella di Lorca lo è – essa è universale. Così come la morte di Ignacio è la sorte di ognuno di noi»[7].

A Calabrò sembrano far eco – con un linguaggio disomogeneo e a tratti sospensivo, ma per questo non meno catartico e passionale – alcune considerazioni di Rosario Loria che a maggio di quest’anno ha inteso porre a corredo della sua traduzione lorchiana testé riportata. Qui leggiamo: «Mai un’emozione intensa come questa volta, così istantanea e così violenta, dopo tante letture e riletture e decine di traduzioni dall’italiano… Ora capisco… Ora capisco, mentre vibro e ho la gotta, e sudo, la ripetizione folle e apparentemente assurda, del gelido e imperiale celeberrimo verso… Come una falce, che non guarda alti e bassi… E miete… Inesorabile… Il martellare delle nostre insistenze, dove il pianto non certifica la ragione, avviene sempre in tutti gli orologi, a quell’orario… Solo a quell’orario… È sempre quell’orario, quando non vedi riconosciuto il tuo diritto di avere un amico comune, ed esserne estromesso per gelosia… Martella, martella sempre, dalle cinque della sera, in tutti gli orologi… Fino adesso mai avevo capito il furore di questo Poeta, e capire la paura del tiranno, per liberarsi della quale, lo ha fucilato… Non è un problema ideologico… Ma è la viltà della potenza che ci fa caini…».

Per ampliare il tema qui proposto con questo scritto della versatilità dei contenuti lorchiani resi in alcuni dei dialetti nazionali vorrei riportare altre circostanze che mi sembrano interessanti. La città di Napoli – dove è sempre stato particolarmente vivo il mondo teatrale, tanto di maschere, di scena e impegnato – ha visto la creazione di un vero e proprio connubio con l’opera teatrale del Granadino.

Ne è testimonianza la trasposizione in dialetto partenopeo de La casa de Bernarda Alba a opera e per la regia di Gigi Di Luca che a maggio del 2010 andò in scena alla Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta nel capoluogo partenopeo. Tra gli attori protagonisti: Fulvia Carotenuto nel ruolo dell’arcigna Bernarda Alba, Gina Perna nel ruolo della domestica Poncha, la giovane Benedetta Bottino nei panni della tormentata Adela, Lisa Falzarano (Angustia), Federica Aiello (Martirio), Ilaria Scarano (Amelia) e Roberta Serrano (Maddalena). Come ricorda la stampa, tale opera in napoletano aveva debuttato già qualche anno prima, nel 2007 al Teatro Nuovo di Napoli, alla presenza dell’allora Assessore alla Cultura di Siviglia, don Juan Carlos Marset, poi portato anche in Spagna al Teatro Almeda.

Nel marzo del 2019 al Teatro TRAM di Via Port’Alba a Napoli andò in scena la versione in dialetto napoletano di Yerma col titolo ‘A Jetteca per la regia di Fabio Di Gesto e Silvio Fornacetti, costumi di Rosario Martone e attori recitanti Chiara Vitiello, Diego Sommaripa, Francesca Morgante, Maria Grazia Di Rosa e Gennaro Davide Niglio.

L’interesse verso la drammaturgia drammatica di Lorca è particolarmente forte nel nostro Meridione dove, la realtà sociale e familiare di piccoli borghi di provincia e delle campagne nel secolo scorso, viene percepita molto affine – se non addirittura identica – a quella della retrograda, machista e illiberale Spagna che Lorca dipinse. Non solo in Sicilia, in Campania, ma anche in Sardegna l’opera di Lorca trova una versione in una lingua locale. È il caso di Bodas de sangre tradotta in sardo da Gianni Muroni col titolo Isposòriu de sàmbene e pubblicata da Condaghes Edizioni di Cagliari nel 2013.

Pur tuttavia non si trattò della prima traduzione in sardo di quest’opera se si tiene presente che nel 2011, prima al Teatro Verdi di Sassari poi al Teatro delle Celebrazioni di Bologna, andò in scena Nozze di sangue nella versione sarda (variante barbaricina) scritta a quattro mani dal noto Marcello Fois e Serena Sinigaglia col titolo Bodas de sambene. Una lingua – quella sarda – che come ricorda la segnalazione della messa in scena su «La Repubblica» del periodo: «[è] di terra e sangue, perfetta per le sue caratteristiche linguistiche e antropologiche, per parlarci di confini distesi e violati, campi arsi e coltelli, di parole impronunciabili, di silenzi violenti»[8]. Nell’opera di Fois e Sinigaglia la Barbagia sostituisce la Vega, ma tutto è rimasto inalterato: l’ambiente di campagna, la reticenza dei personaggi e la loro ritrosia, l’incomunicabilità diffusa e un senso inscalfibile di tragedia sin dalle prime battute con una dominazione indiscussa del mistero e del fatalismo. Il successo della rappresentazione fece sì che l’opera venisse riproposta nel suo locus primigenio, in Sardegna, alcuni anni dopo (al Teatro Massimo di Cagliari in tre serate consecutive dal 21 al 23 aprile 2017 e al Teatro Eliseo di Nuoro in due serate consecutive, dal 28 al 29 aprile 2017) dove la popolazione locale non poté che premiarla con applausi, rispettosa attenzione ed entusiasmo. Di questa fulgida esperienza, motivo d’arricchimento per il teatro del Belpaese, è un volume dal titolo Nozze di sangue (co-autori Marcello Fois e Federico García Lorca) edito da Transeuropa Edizioni di Massa nel 2011 con allegati contenuti media relativi alla messa in scena.

Non furono solo i dialetti dell’Italia meridionale e insulare a mostrarsi interessati all’opera letteraria di Federico García Lorca: due esempi sono utili per testimoniare quanto si sta dicendo, ovvero le traduzioni in friulano (il casarsese per la precisione) di Pier Paolo Pasolini e quelle in piemontese di Luigi Olivero.

La professoressa Maria Isabella Mininni dell’Università di Torino in un recente saggio dal titolo “Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)”[9] si è dedicata a una veloce disamina dei principali autori spagnoli tradotti da Pasolini in friulano, richiamando, appunto, anche Lorca (sebbene preferisse, a lui, di gran lunga Antonio Machado e Juan Ramón Jiménez[10]). Sono i testi che vennero pubblicati nell’opera poetica totale di Pasolini nel 2003 a cura di Walter Siti per la Mondadori. Nel saggio di Mininni si ripercorre, pertanto, la natura di traduttore in friulano[11] di Pasolini di alcuni dei maggiori lirici spagnoli del Secolo scorso: oltre a Lorca, Machado e Juan Ramón Jiménez, anche Salinas e Jorge Guillén. Questi autori – forse con l’aggiunta di altri – avrebbero costituito un possibile nuovo volume per Pasolini, che indicò in forma di bozza con l’indicazione di Traduzioni. Piccola antologia iberica. Il poeta di Casarsa, che era un grande amante del libro e che già da giovanissimo aveva contribuito a costruire un’ampia biblioteca personale, con viva probabilità possedeva – o per lo meno aveva letto – la prima traduzione in italiano di una selezione di testi poetici del Granadino curata dal critico e traduttore Carlo Bo (Poesie di García Lorca edito da Guanda di Parma nel 1940) o nella successiva opera da lui curata col titolo di Lirici Spagnoli (Corrente Edizione, Milano, 1941)[12]; quest’ultima, a differenza dell’altro volume citato, non era monografico sull’autore Granadino e contemplava vari altri poeti della penisola iberica e proponeva, oltre alle traduzioni in italiano, a fronte, anche i testi nella lingua originaria. Sono sei le poesie lorchiane tradotte da Pasolini: “Romance sonámbulo”, “El cazador”, “Canción de la muerte pequeña”, “La balada del agua del mar”, “Preciosa y el aire” e una parte del celebre Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (la sezione “La cogida y la muerte”, la sezione “La sangre derramada” sino al verso 24 e la sezione “Alma ausente”).

Notevole anche il lavoro di traduzione del giornalista e poeta piemontese Luigi Armando Olivero (1909-1996) la cui consultazione è possibile, tramite la rete, grazie a un documentatissimo sito curato dal prof. Giovanni Delfino[13] dal quale si viene a conoscenza del fatto che Olivero, presente in territorio catalano nel 1931, incontrò e scambiò delle battute con lo stesso Lorca (uno dei pochi intellettuali italiani ad averlo conosciuto di persona, ad aver interagito con lui).

Oltre a dedicarsi a una serie di traduzione di liriche lorchiane in dialetto piemontese, Olivero scrisse – nel medesimo idioma – alcuni articoli su una rivista denominata «Èl Tòr» dei quali si riportano i riferimenti a continuazione: “Omage a Federico García Lorca Tradussion an Piemontèis dal Romancero gitano”, «Èl Tòr» n°14, 1946; “Polemica gentil con la «Rivista poliglotta» di Lisbona. In margine ad alcune traduzioni piemontesi di Federico García Lorca”, «Èl Tòr» n°17, 1946 (testo scritto quale risposta al prof. Moisé Guillén Pascolato relativamente ad alcune critiche rivolte verso le sue traduzioni di opere lorchiane). Delfino segnala, inoltre, l’esistenza di altri due articoli correlati usciti su altre riviste in età successiva: “Rivive nelle danze gitane la fortuna del Romancero”; “Tra il folklore di Spagna e le suggestioni surrealistiche Fortuna agitata di García Lorca”; “Amici e nemici per il poeta Andaluso”, «La Fiera Letteraria», n°4-5, 1951 (ovvero tre articoli con quattro disegni di Lorca contenenti due suoi ritratti a opera di Gregorio Prieto, due poesie dichiarate inedite a tradotte da Olivero in italiano: “Tre storielle del vento” e “Stampa del cielo”). Seguì poi l’articolo “Federico García Lorca Poeta – Musicista andaluz”, «Musicalbrandé», n°12, 1962 (contenente alcune notizie su Lorca e la traduzione in piemontese della poesia “Se ha quebrado el sol” tradotta con “Cita romansa dla passion stërmà” il cui originale in spagnolo venne pubblicato per la prima volta da Claude Couffon nel 1962 in appendice al suo volume A Grenade sur le pas de García Lorca) e un ulteriore articolo, questa volta scritto da Francesco Tentori, in risposta a quanto precedentemente pubblicato da Olivero su Lorca che uscì su «La Fiera Letteraria», n°8 e n°10, 1951.

Questo breve studio – come si era doverosamente asserito agli inizi – non ha nessuna pretesa di esaustività sull’argomento dal momento che esistono anche in numerosi altri dialetti versioni di opere di Lorca, spesso non pubblicate con editori professionali ma con tipografie o in proprio o, nel caso di opere teatrali, vive solo per mezzo dei ricordi della rappresentazione non esistendo copie cartacee delle rispettive bozze di recitazioni. Si capisce, pertanto, anche per le ragioni addotte, come questi testi e versioni spesso risultino non di semplice recupero, localizzazione e dunque di successiva menzione o riproposizione. Quel che è certo è che Lorca fu (ed è) tradotto non solo nelle lingue nazionali ma anche nei dialetti locali, nelle parlate, in codici linguistici che non direttamente si identificano con un concetto di nazione. Questo è di ulteriore dimostrazione e della grandezza della sua opera e dell’universalità dei contenuti e dei messaggi tramandati.

LORENZO SPURIO

Jesi, 20/06/2021


[1] Un’altra poesia lorchiana tradotta da Noris (“El niño mudo”) in dialetto bergamasco (“Ol s-cetì möt”) è disponibile e ascoltabile nella versione registrata all’interno della notizia: Maurizio Noris, “El niño mudo, Ol s-cetì möt. I versi di García Lorca in dialetto bergamasco”, «Sant’Alessandro», [settimanale online della Diocesi di Bergamo], 2 maggio 2019, link: http://www.santalessandro.org/2019/05/02/so-los-dell-02-05-2019-el-nino-mudo/ (Sito consultato il 10/05/2021).

[2] In maniera più precisa si tratta del dialetto di Ruvo di Puglia (BA). La traduzione di questo testo nel volume viene posta “a confronto” con quella – dei medesimi versi – eseguita da Fernando Grignola nel suo dialetto ticinese di Agno (Svizzera) che così recita: «Quand ch’a sarò mòrt, / soteremm / cun ra mè ghitàra / sóta ra sàbia». 

[3] Una sua nota bio-bibliografica è consultabile su questi siti: https://www.archilibri.it/author-book/sebastiano-burgaretta/ e su http://www.libreriaeditriceurso.com/Burgaretta_Sebastiano.html (siti consultati il 10/05/2021).

[4] Ringrazio l’amico, il poeta e scrittore Marco Scalabrino di Trapani, grande studioso del dialetto siciliano, per avermi reso edotto di questa preziosa notizia e per avermi proporzionato le scansioni dell’immagine di copertina e della prefazione al volume.

[5] Salvatore Camilleri, Prefazione a Federico García Lorca, 70 Poesie Tringali, Catania, 1983, pp. 5-8.

[6] Sia la traduzione di Loria che il suo commento successivo sono alla data odierna inediti e l’Autore ne ha concesso l’autorizzazione alla pubblicazione.

[7] Corrado Calabrò, “Ricordando Federico García Lorca”, «La Presenza di Èrato», 4 ottobre 2017, link: https://lapresenzadierato.com/2017/10/04/ricordando-federico-garcia-lorca-di-corrado-calabro/ (Sito consultato il 10/05/2021). Testo riprodotto in Fabia Baldi, L’altrove nella poetica di Corrado Calabrò, Aracne, Roma, 2019.

[8] “Nozze di sangue in terra sarda, ecco García Lorca tradotto da Fois”, «La Repubblica», 01/12/2011, link: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/12/01/nozze-di-sangue-in-terra-sarda-ecco.html (sito consultato il 18/05/2021).

[9] Maria Isabella Mininni, “Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)”, «Intralinea Online On line Translation Journal», 2013, link: http://www.intralinea.org/specials/article/2003 (sito consultato il 18/05/2021).

[10] «García Lorca, en cambio, me impresionó mucho menos, por ejemplo, pero Juan Ramon Jiménez y Antonio Machado han tenido una gran influencia sobre mí. En aquella época yo escribía en friulano», in “Es atroz estar solo”, Entrevista con Pier Paolo Pasolini por Luis Pancorbo, «Revista de Occidente», 1976, n°4, pp. 42-43.

[11] «Il friulano in cui Pasolini scriveva era un ibrido, né la versione già codificata della tradizione letteraria del capoluogo regionale, né il canone stabilito dal dizionario Italiano-Friulano di Pirona. Pier Paolo si basava su quello che sentiva, trascrivendo una mescolanza di friulano, di veneto e delle idiosincrasie personali in cui si imbatteva», in Barth David Schwartz, Pasolini. Requiem, Venezia, Marsilio, 1995, p. 215.

[12] Qui erano stati antologizzati i poeti: Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Fernando Villalón, Rafael Villanova, Pedro Salinas, Jorge Guillén, Gerardo Diego, Federico García Lorca, Rafael Alberti, Luis Cernuda, Josefina de la Torre.

[13] Il sito è consultabile a questo indirizzo: http://www.luigiolivero.altervista.org/ (Sito consultato il 19/05/2021).


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“La volontà amorosa” di F. G. Lorca – volume a cura di Alberto Pellegatta – recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

La casa editrice Taut di Milano, fondata e diretta dal poeta Alberto Pellegatta, ha recentemente dato alle stampa il volume La volontà amorosa, liberamente attribuito al celebre poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca (1898-1936). Il volume ricognitivo propone una scelta di testi – alcuni tra i meno letti e ricordati – dell’importante intellettuale andaluso riproposti in un’elegante veste grafica e tradotti nella nostra lingua dallo stesso Pellegatta. In copertina si stagliano due donne dipinte sì vicine da far pensare che siano avvolte dallo stesso manto nero; si tratta di un’opera – come ricorda la bandella descrittiva di destra – dell’artista Riccardo Garolla dal titolo “Vedove in attesa”. Come non pensare al severo lutto imposto dalla tirannica madre, Bernarda Alba, alle sue cinque figlie alla notizia della morte dell’uomo di casa, nell’omonima opera? Si tratta – come la critica ha ampiamente osservato – di un lutto imposto e, dunque, di un dolore per lo più posticcio, in una casa dove la figura paterna deceduta (padre di sangue solo della prima figlia) vien presto rimpiazzato da un matriarcato doloroso che non lascerà scampo ai giovani virgulti di quelle fanciulle. Non bisogna stupirsi di questo, la società che Lorca dipinge nel suo teatro drammatico è quella a lui coeva della Spagna contadina, arcaica, vetusta, fondata su un senso di onore inappellabile e inviolabile. Le due donne ritratte in copertina danno il senso di questa tragedia che s’è compiuta – quella del suicidio della giovane Adela che non si sottomette alla bigotta e incivile madre – ma anche ai tanti altri crimini della ragione che Lorca portò in scena (l’impiccagione di Mariana Pineda, l’invecchiamento da zitella di Rosita, la morte della farfalla di cui Curianito s’era innamorato, la disperazione uxuricida di Yerma e tanto antro ancora) che, a posteriori, possiamo anche leggere come intenti di rivendicazione e lotta per le libertà e i diritti civili cui lui, come uomo, fu senz’altro uno strenuo difensore.

Questo 2021 appare importante per gli approfondimenti e gli studi lorchiani, di settore certo, ma utilissimi e agevoli per poter comprendere a tutto tondo uno degli intellettuali più fertili e ricchi in termini di messaggi e tematiche: si segnala, infatti, l’uscita di un volume collettivo che raccoglierà i testi delle varie conferencias y alocuciones che il Granadino tenne nel corso della sua breve vita (di grande successo furono, tra le altre, quelle tenute a Buenos Aires e Montevideo nel periodo 1933-1934). Il Lorca conferenciante (conferenziere) ritorna così in auge – per i tipi di Debolsillo[1] – a una pletora allargata di lettori e di studiosi appassionati svelando, tra le tante adesioni al mondo culturale del Poeta (la poesia, appunto, il teatro, il disegno, il cinema), la centralità della verbalità e dell’arte oratoria nel Nostro. Paradossalmente, come ben messo in luce in un articolato saggio in lingua spagnola di Alejandro González Luna apparso sulla rivista «Global» nell’aprile del 2018, al quale ha fatto seguito un mio intervento dal titolo Voz ausente. Il perdurante mistero attorno alla voce di Federico García Lorca (che c’è, ma non si trova)” apparso su «Culturelite» il 18/06/2020, non esistono grabaciones, vale a dire registrazioni audio della voce del poeta. Elementi d’assenza – come questo – che contribuiscono ancor più a fortalecer l’idea di un vero mito contemporaneo.

Come accaduto nel 2020, nell’occasione dei novanta anni dal viaggio americano di Lorca, al quale sono stati dedicati articoli (come quello puntualissimo e arricchente del prof. Gabriele Morelli apparso sull’ultimo numero della rivista «Poesia» di Crocetti) e ripubblicazioni dell’opera Poeta en Nueva York – il testo che contiene le opere scritte in quel periodo e pubblicato solo dopo la sua morte nel 1940 – ci si augura che anche in questo 2021 si tengano iniziative volte a ricordare e ad approfondire la “seconda parte” di quell’importante viaggio Oltreoceano, ovvero Cuba dove il poeta visse per i primi mesi del 1921 percependo l’isola caraibica come una seconda casa.

Ritornando al volume di Pellegatta, credo debba essere ascritto in quel contesto virtuoso e mai domo che vede nel mondo intellettuale di ogni paese e di ciascuna lingua un particolare e sempre sentito interesse, attaccamento e riconoscimento verso il poeta spagnolo, poeta tellurico come lui stesso si definì, ma anche e soprattutto poeta de las masas come Neruda e, pertanto, poeta universale.

Esso si compone di una riproposizione selettiva di testi lorchiani, scelti dall’autore come indicativi della raccolta in esame (il Romancero gitano) e, in chiusura, la conferenza “Imaginación, inspiración y evasión” che il poeta tenne per la prima volta a Granada nel medesimo anno di pubblicazione del libro. Il Romancero gitano venne definito dallo stesso autore come un retablo de la Andalucía, tanti sono i temi, i motivi, le suggestioni che richiamano profondamente il clima costumbrista e realista al contempo del sud della Spagna, della sua amata Granada, ma anche il bianco di Cordoba, la compostezza e l’austerità di Jaén, finanche la grandezza e il colorismo di Siviglia, sede di una delle principali plaza de toros di tutto il mondo, la Real Maestranza. Non solo la natura ritratta nella sua serafica pace, spesso con attributi antropici e tesa a un’universalità panteistica, edenica e tragica al contempo, ma anche la cultura locale del flamenco, del cante jondo, della confluenza di culture, del mundo mozarabe, del toreo, dei festejos e delle romerías. Come è ricordato nel testo riportato da Pellegatta, “grande personaggio oscuro, come un cielo d’estate, un personaggio che è la Pena che filtra nel midollo e nella linfa degli alberi, e che non ha nulla a che vedere con la malinconia, né con la nostalgia, né con alcuna afflizione o dolore dell’animo, che è un sentimento più celeste che terrestre; pena andalusa che è una lotta dell’intelligenza amorosa con il mistero che la circonda e che non può comprendere” (10). Nel corso della sua vita Lorca non mancherà di essere tacciato di essere un poeta popolare perché radicato nella campagna, eccessivamente folklorico nella sua componente andalusa, pertanto localista, di nicchia, relegato a un mondo popolare circoscritto e determinato, campestre, in antitesi con il grande respiro della poesia del Novecento tesa al recepimento di influenze altre, connubi linguistici, travasi esperienziali. Critiche che, se già in molti e lui stesso con grande capacità dimostrarono essere avulse e non coerenti con la sua reale natura, priva di gabbie di ciascuna tipologia, oggi siamo convinti fortemente furono immotivate e inapplicabili a un personaggio così versatile come lui. Si ricordi la sua vicinanza (da leggere: il suo interesse e non la sua adesione) all’avanguardia spagnola dell’ultraismo, alla lettura surrealista della sua opera newyorchese e alla forte e tormentata amicizia con Salvador Dalí, il coinvolgimento per il Living Theatre, lo sperimentalismo linguistico nei Seis poemas galegos resi possibili grazie all’intervento e collaborazione di Blanco Amor, finanche l’esperimento della Barraca fondato con Eduardo Ugarte, un Carro di Tespi contemporaneo fortemente suasivo, con grande raccolta di pubblico, viva partecipazione e, cosa non meno importante, quale decisiva forma libera di culturalizzazione dei pueblos più reconditi (non solo andalusi, ma anche della Castiglia e della Mancia).

La selezione dei testi che Pellegatta propone dal Romancero gitano – che ricalca quella fatta dallo stesso Lorca per presentare l’opera nel corso della conferenza – vede senz’altro delle punte di diamante dell’intera produzione lorchiana, a cominciare dal (citerò i titoli nel loro originale anche se, come ricordato, questo volume è interamente in lingua italiana) “Romance de la luna luna”, “Preciosa y el aire”, la tragica “Reyerta” che ben ricalca il clima d’odi intestini che in Bodas de sangre vedranno epiloghi nefandi, il “Romance sonámbulo” dedicato a Gloria Giner e Fernando de los Ríos, la cui figlia, Laura, avrebbe poi sposato in America – dove la famiglia si recò in esilio a causa della guerra civile spagnola – il fratello di Federico, Francisco García Lorca, il “Romance de la pena negra”, “Prendimiento de Antoñito el Camborio en el camino de Sevilla” con la preziosa dedica a Margarita Xirgu, forse la maggiore interprete femminile del suo teatro; con il suo dolorosissimo seguito – arcano premonitore della fine del Granadino – “Muerte de Antoñito el Camborio”. In questa mirata crestomanzia di versi non poteva di certo difettare l’assenza del notorio “Romance de la guardia civil” e il meno noto – ma non per questo meno stupendo – componimento dai motivi biblici “Thamar y Amnon”.

In chiusura, come già anticipato, vi è il testo della celebre conferenza “Imaginación, inspiración y evasión”, strutturata in due parti consecutive anticipate dalla numerazione romana. I contenuti sono noti: il poeta parte dal concetto d’immaginazione, fondamentale per chi ha la dote di recepire dal mondo i linguaggi arcani e darne forma, sostenendo, però, che essa necessita di una variabile importante che non è di dominio comune, ovvero l’intuizione. Nella sua traduzione di Lorca così scrive Pellegatta: “L’immaginazione è limitata dalla realtà: non si può immaginare ciò che non esiste” (83) assunto, questo, su cui tanta filosofia avrebbe da dire e da obiettare lungamente ma che, nel contesto nel quale Lorca adopera simili conversari, risulta illuminante dal momento che, come si legge poco dopo, “l’immaginazione poetica viaggia e trasforma le cose, offre loro un senso più puro e determina relazioni” (84). In vista della chiusura della prima parte del suo testo di conferenza Lorca ebbe a sostenere: “l’ispirazione poetica possiede una logica poetica. Non serve una tecnica acquisita, non c’è nessun postulato estetico sul quale operare; e così come l’immaginazione è una scoperta, l’ispirazione è un dono, un regalo ineffabile” (87). Avendo parlato tanto d’immaginazione e d’ispirazione, indagandone i reconditi legami, il poeta si accomiatava, nel corso della seconda parte della conferenza prendendo ad oggetto l’idea di evasione: un atto di libertà come l’immaginazione non poteva, infatti, essere considerato quale una reale fuga ma anche come un monito d’indipendenza e di rifiuto di ciascun tipo di giogo. Ecco perché – queste sono frasi che spessissimo, riferendosi alla sua persona, vengono citate – “La luce del poeta è la contraddizione”: la poesia necessita l’uomo libero ma al contempo la libertà è ingrediente speciale del poeta; “La poesia non vuole adepti”, sosteneva – vale a dire non risponde a un sentimento di casta, di classe, d’organizzazione comunemente intesa – “ma amanti”, spiriti liberi, sinceri appassionati, coloro che si lasciano emozionare. Questo perché essa “sparge rami di mora selvatica e ricci di vetro perché si feriscano per amore suo le mani che la cercano” (94).

Per esprimersi al meglio in merito all’operazione editoriale promossa da Alberto Pellegatta con La volontà amorosa che con questo volume propone – come si è detto – testi lorchiani da lui tradotti, si dovrebbe avere un’ottima conoscenza della lingua spagnola e avere la capacità di un’agile comparazione, oltre che con l’originale, con le traduzioni “dotte” (e ormai classiche) dell’opera lorchiana nella nostra lingua. Penso a Carlo Bo, Vittorio Bodini, Oreste Macrì ed Elena Clementelli per lo più, per indagare con un metro tecnico che è quello del filologo, le scelte compiute e il perché. Mi pare di osservare che il testo in calce, quello della conferenza, non si discosti in maniera considerevole dalle precedenti traduzioni della stessa mentre alcune piccole varianti possono senz’altro essere evidenziate nella traduzione delle liriche. Mi limiterò ad alcuni brevi cenni per mostrare alcune diverse occorrenze terminologiche impiegate riportando il caso della poesia “Thamar y Amnon” rimandando, per chi vorrà, a ulteriori raffronti mirati con l’originale e avvicinamenti con i maggiori ispanisti che hanno tradotto Lorca. Mi riferirò qui alla versione di Claudio Rendina ed Elena Clementelli, comparata con questa di Pellegatta (P.): “in cima ai tetti” diviene in P. “sopra ai tetti”; suonavano nervi di metallo” diviene in P. “risuonavano nervi di metallo”; “vento increspato veniva” diviene in P. “Arriva aria arricciata”; “o scossa da acuti” diviene in P. “o spaventata d’acuti”; “cetre allunate” diviene in P. “cetre lunatiche”; “richiede fiocchi di neve al suo ventre” diviene in P. “chiede banco al suo stomaco”; “cinque colombe gelate” diviene in P. “cinque piccioni congelati”; “la guardava dalla torre” diviene in P. “sulla torre la guardava”; “di freccia conficcata da poco” diviene in P. “di freccia da poco fermata”; “si coricò sul letto” diviene in P. “si stese sul letto”; “tutta l’alcova soffriva” diviene in P. “tutta la camera soffriva”; “zampilla silenzio nelle giare” diviene in P. “germoglia silenzio nelle brocche”; “Amnon geme nella tela” diviene in P. “Amnon piange nel lenzuolo”; “copre la sua carne arsa” diviene in P. “ricopre la sua carne bruciata”; “Tamar entrò silenziosa” diviene in P. “Tamar entra silenziosa”; “nella silente alcova” diviene in P. “nella camera silenziata”; “I miei fili di sangue tessono” diviene in P. “Mille fili di sangue cuciono”; “Lasciami in pace, fratello” diventa in P. “Lasciami tranquilla, fratello”; “I tuoi baci sulla mia spalla sono” diviene in P. “I tuoi baci sulla mia schiena sono”; “e nei polpastrelli delle tue dita” diviene in P. “e sulle gemme delle tue dita”; “nelle tinozze il sole contrastava” diviene in P. “il sole resisteva nel secchio”; “ora le strappa la camicia” diviene in P. “ormai le arpeggia la camicia”; “ruscelli su bionda mappa” diviene in P. “ruscelli in rosso sulla mappa”; “Quanti pugnali!” diviene in P. “che spessore di pugnali”; “stantuffi e cosce giocano” diventa in P. “emboli e muscoli giocano”; “bianchi panni s’arrossano” diventa in P. “panni bianchi arrossiscono”; “violatore infuriato” diventa in P. “violentatore furioso”; “Amnon fugge sulla sua cavalla” diventa in P. “Amnon scappa con la sua cavalla”. Tutto questo, ovviamente, non è sufficiente e dunque non è utile per dire che una traduzione è migliore dell’altra. Si tratta di varianti, come tante ve ne sono e ce ne saranno. Autori, tra poeti egli stessi e traduttori, che con le loro conoscenze linguistiche, culturali e la loro sensibilità hanno tentato di far “rivivere” il testo del Granadino, proponendone una conversione nella lingua d’appartenenza. Nel caso specifico della poesia presa in oggetto va rivelato che, oltre a differenze terminologiche dovute all’uso (non sempre) di sinonimi, si riscontra un diverso uso di preposizioni semplici ed articolate, come pure l’inversione di termini in un verso facendo, di volta in volta, a seconda dei casi, anteporre il soggetto piuttosto che il suo complemento o il contrario. Frequente è, nel caso di Pellegatta, l’inserzione di articoli aggiuntivi che nell’originale – non consentendo lo spagnolo la doppia e coeva presenza congiunta di articolo e pronome possessivo – sono intuiti e non appaiono graficamente. Notevole è il cambio della forma verbale (in Pellegatta si passa dall’originale passato remoto con l’idea di un’azione recondita, in sé chiusa e che ha prodotto degli effetti, a un parco presente che dà l’idea dell’occorrenza dell’azione in forma progressiva, al momento che il lettore s’appropria del testo). Non sempre la traduzione più intuitiva e “a calco” dall’altra lingua risulta applicabile, o comunque, efficace; si notano differenze vistose anche nella traduzione di parti anatomiche evocate da Lorca con un evidente abbaglio di Rendina (che traduce espalda con “spalla”), mentre poco convince quel “lunatiche” affiancato alla parola “cetre” nella traduzione di Pellegatta. In molti altri casi la sfumatura è minima e pare di trovarsi di fronte a versioni italiane completamente rispettose dell’originale.

LORENZO SPURIO

Jesi, 01/01/2021

(Il presente saggio è stato precedentemente pubblicato sulla rivista “Diwali – Rivista contaminata” a gennaio 2021 e riproposto sul giornale “La voce agli italiani” in data 23/04/2021. Nel caso di citazioni dal presente testo è strettamente richiesto di indicare le due fonti dove, in precedenza a questo blog dedicato, il testo è stato pubblicato e diffuso). 


[1] Federico García Lorca, De viva voz. Conferencias y alocuciones, Debolsillo, Barcelona, 2020.

N.E. 01/2023 – “En cada ventana de azul / Ad ogni finestra d’azzurro” di Claudia Piccinno. Recensione di Annamaria Ferramosca

É con grande gioia che attraverso questa ultima raccolta di Claudia Piccinno, innanzitutto guardando alla bellissima intesa dell’autrice con l’amica poeta e sua straordinaria traduttrice Elisabetta Bagli, intesa che continua il dialogo intessuto dalle due amiche nella precedente intensa raccolta a quattro mani, dal titolo Versos Cruzados (Editorial Dunken, 2021).

Questa corrente empatica che porta a realizzare un dialogo poetico oppure, come in questo libro, a offrire le proprie poesie in traduzione, mi conferma l’efficacia comunicativa di una modalità di incontro tra poeti che riflette un profondo scambio emozionale, ma che si spinge al di là della solita dilatazione della parola oltre un confine linguistico. Leggiamo infatti questo scambio come qualcosa che, attestando l’incontro  tra due sensibilità, si oppone alla possibile deriva egoica e spesso autoreferenziale di una scrittura individuale tout court.

Ma cerchiamo di entrare nelle stanze di questa raccolta che nel titolo dichiara l’apertura all’azzurro, elemento cromatico collegato da sempre, oltre che alla spiritualità, alla profondità e alla vastità. Chi legge avverte infatti subito l’aprirsi di un largo cielo visionario che attraversa realtà e memoria, natura e mito, ma che diventa anche un mare, il mare della vita personale e collettiva, le cui onde sono gli infiniti e pure inaspettati eventi da affrontare, le ferite ricevute, l’incessante ripetersi di naufragi collettivi per gli errori umani, ma anche il resistere ostinato della speranza.

In questo vasto azzurro i testi si stagliano nella loro concisione e limpidezza, come a indicare l’urgente necessità di una sincera comunicazione volta ad un rigenerarsi collettivo, nonostante le rare gioie e le più frequenti amarezze oscurino l’intensità dell’azzurro con l’ombra del disincanto.

Così accade che la percezione degli eventi nel mondo e la riflessione sull’esistenza si mescolino di continuo dando vita a scene ed epifanie in un mosaico visivo e simbolico costantemente caratterizzato da un’incisiva impronta etica.

E percorrendo dall’inizio i testi notiamo subito come la prima urgenza comunicativa  sia stata quella di salvare la sacralità degli affetti fondamentali, sottraendo per sempre dalla evanescenza la memoria dei genitori scomparsi (Ad ogni finestra d’azzurro; A mio padre).

Sono queste prime finestre ad aprirsi e lo fanno in modo invertito, non aprendosi all’esterno, ma nel proprio cielo interiore, a indicare il senso profondo di un sentimento assoluto, incrollabile, dispiegato attraverso percezioni uditive (la voce materna che chiama dal cortile dei giochi), olfattive (il profumo delle arance raccolte dal padre), simboliche (la piuma, il vento, le corone d’alloro). Qui subito si evidenzia la cifra poetica di Claudia Piccinno nella forma e nel ritmo, con l’andamento libero e armonioso di un racconto-fabula in versi, a volte scosso dal battere delle anafore, spesso chiuso da un finale epifanico.

Un’altra finestra di grande delicatezza psicologica, che si apre nell’azzurro della memoria è quella che dice di un’altra mancanza, così crudele perchè avvenuta durante l’infanzia (Compagno di scuola), quando si è disarmati, tanto da sentirsi “in castigo” , per chissà quali piccole colpe ingigantite dalla perdita (quanti tra i lettori si riconosceranno in questa dimensione!).

L’esercizio incessante dello sguardo porta poi inevitabilmente l’autrice a notare le colpevoli incongruenze della contemporaneità, il mancato progresso sociale ed etico, se ancora  non solo non si è raggiunta la vera parità di genere (giacché la donna è ancora oggi paragonabile alla sapiente Aspasia di Mileto, non riconosciuta nel suo valore perfino dallo stesso Pericle che l’aveva amata), ma anche perché ancora l’umanità persevera nell’errore, non annullandosi l’assurdità di guerre e violenze. Sono, queste, le domande centrali dell’oggi, cui ogni poeta non può sottrarsi. Sono domande che sottendono il senso universale profondo dell’esistere, mentre si continua a percepire il correre della vita come un insulso girare a vuoto, anzi come solo “ rumore “, privo com’è della luce dell’incontro vero (Nel codice alfanumerico).

E l’autrice reagisce ad ogni deriva dichiarando di non poter che “predisporsi al silenzio”, come in una rassegnazione muta, che trova sollievo solo nella contemplazione e nell’ascolto della natura. Sì, perchè in natura perfino le pietre, con le loro soluzioni di saggezza geologica millenaria, ci parlano di un equilibrio tra materia vivente e non vivente ancora possibile (La rupe; Le pietre di Sardegna). Se sappiamo ascoltarlo, vi è un intero continente fuori di noi che ci parla: voci di rocce acque piante a indicarci, semplicemente coabitando in vantaggio reciproco, una dimensione armonica di salvezza.

Per Claudia Piccinno vi è anche un’altra soluzione di resistenza, che sale dal profondo della sua interiorità: è il fermo proposito di conservare intatta la propria schiettezza, non tener conto del disconoscimento altrui del proprio valore, di ogni ingratitudine, anche se è doloroso veder montare la disillusione e cadere l’entusiasmo.

Ci rendiamo allora conto che queste riflessioni di Claudia Piccinno sono anche le nostre, anzi riconosciamo, come sempre accade in poesia, il senso universale che investe questa parola poetica nel nostro tempo di deriva, tempo del disincontro, che scorre tra virtuale e tecnologia, tra indifferenza e superficialità. Claudia Piccinno, come altri poeti contemporanei (posso citare Jorie Graham, Cristina Bove, Laura Liberale, Giuseppe Yussuf Conte), sta lanciando un alert in poesia, che è la nostra fiera ribellione contro la disumanità che avanza con il suo corredo di potere, alienazione, mancanza di solidarietà. E dunque accogliamo la sua indicazione nel voler restare “vetro”, che sopravvive in virtù della propria limpidezza (Plastica nelle vetrine); soluzione di semplicità cristallina, non affidata a formule, ma al proprio istinto che, decidendo di sottrarsi ad ogni pesantezza da pensieri dolorosi o da urti ricevuti, cerca solo la levità, l’onestà, la benevolenza, l’incontro e il continuo stupore (L’arte del sottrarre).

Questa scrittura di donna non poteva poi escludere l’esperienza di madre tormentata, come lo sono tante madri, che però lascia sempre aperta la porta alla fiducia nel futuro, purchè sia costruita con il legno del coraggio e mai della resa (Lente le ore), con la consapevolezza che ogni esperienza, anche la più dolorosa, è riserva di forza e sempre di sovrabbondante voglia di donare (Il dolore che mi porto dentro).

 La scrittura ritorna poi a trasmettere le voci autentiche dell’umanità abbattuta e violentata nel passato, il grido di sangue versato nei conflitti che giunge da luoghi e immagini significative (Cracovia, il Piave, l’olivo di Fossoli giunto da Israele), per ricordare ancora una volta l’insensatezza della morte per-uomo (Zio Tore; Ciao Gazzella).

Non sono poi da tralasciare le poesie raccolte a fine libro nella sezione Frammenti di vita, dove l’autrice mostra la sua ricchezza visionaria unita alla sapienza nel mescolare immagini, colori e sensazioni e alla sua straordinaria padronanza del ritmo (Ragnatele cremisi e segg.).

Poesia profondamente civile e dunque profondamente contemporanea, pure poesia coraggiosa, che prende le distanze da ogni eventuale giudizio smaccatamente letterario-estetico, preferendo dichiarare la propria fede aperta alla parola della speranza: quella di un’inversione di rotta dell’umanità verso l’etica dei comportamenti, la sola dimensione che fa umano l’essere umano (E tu nascesti, nasci e nascerai).

Per queste ragioni sento questi versi costeggiare la Parola assoluta, divenire segno umano degno di memoria.

E per queste ragioni invito caldamente i lettori in due lingue a leggere queste pagine.

*

Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

“Disadatti all’esilio” a cura di Giorgio Anelli. Recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Poche settimane fa, nella collana “Poesia” di Ladolfi Editore di Borgomanero (NO), Giorgio Anelli e Abigail hanno raccolto in un volume di pratica e piacevole consultazione una serie di testi scelti di poeti tra loro distanti (per appartenenza geografica, per periodo storico, per influssi e stile letterario) dal titolo emblematico Disadatti all’esilio.

Giorgio Anelli, che ha dedicato a Simone Cattaneo anche il prezioso volume di prose poetiche Di culto et orfico (Ladolfi, 2019), fornisce alcune considerazioni in merito a questa scelta d’inserimento. Nella quarta di copertina del volume (estratto dalla Prefazione) è possibile leggere: “Cosa c’entra un’antologia di poeti stranieri con Simone Cattaneo? Perché si è tentato un accostamento in apparenza bizzarro e inconsueto? E soprattutto, può avere senso? Forse, unicamente Andrea Temporelli ne potrebbe intuire la valenza ed il significato. Proprio lui [mi] […] raccontava del suo amico Simone Cattaneo, apostrofandolo quale nuovo Rimbaud. […] [La mia intenzione] […] è proprio quell[a] di dare (o quanto meno tentare di dare) giustizia al merito, ovvero di evidenziare una valenza europea ‒ se non addirittura internazionale ‒ nei versi, e quindi nell’opera, del poeta Simone Cattaneo”.

Ma chi era Cattaneo? Qualche nota biografica può risultare utile a chi non ha mai incontrato il suo nome né conosciuto i suoi versi lucidi e potenti. Simone Cattaneo (Saronno, 1974-2009) visionario e critico della società contemporanea, fu poeta irriverente e sfrontato. Nella sua poetica si avverte nettamente la tensione verso la libertà, la ricerca incalzante – fino al periglio – dello spirito libero. Dall’animo ribelle e refrattario al canone convenzionale, con la sua opera ha proposto la trattazione di tematiche vicine e afferenti non solo al disagio psico-emotivo e sociale ma anche alle condizioni spolianti, difficili e incerte dell’uomo nel contesto liquido e insicuro della società odierna. Il ricorrente dilemma esistenziale si coniuga alla crisi di valori e alla difficoltà di accoglimento in una società perennemente miope e disattenta. Pubblicò Nome e soprannome (Atelier, 2001) e Made in Italy (Atelier, 2008) mentre postuma è la raccolta-omnia Peace & Love (Il ponte del sale, 2012). Sulla sua opera poetica hanno scritto vari critici tra cui Roberto Roversi, Roberto Carifi, Andrea Temporelli, Giuliano Ladolfi, Davide Brullo, il sottoscritto e lo stesso Giorgio Anelli[1].

Cantore della disperazione e della vita appesa al filo (disoccupazione, malessere, solitudine, droga, immigrazione, violenza, etc.) Cattaneo è stato, pur senza volerlo, il Prometeo delle periferie, l’essere vagabondo che osserva criticamente, che denuncia con caparbia, che dice la sua in maniera netta e mai scontata, interloquendo con gli esponenti di una società dei recessi, che la norma non vorrebbe conoscere e finge di non sapere che esista. Come pure la loro richiesta d’aiuto silente. Autoironico e beffardo, non mancò neppure nell’atteggiamento cinicamente maldestro nei confronti di una società frantumata e colpevolmente disinteressata al bene sociale. In alcuni componimenti l’amara riflessione sul reale dà sfogo a un ripiegamento sofferto: “preferisco cercare una spiegazione che mi accompagni / dalla sera alla mattina come una sentenza capitale / che si possa eseguire solo lontano da te”.

A fianco di Cattaneo troviamo autori senz’altro importanti della letteratura internazionale seppur non propriamente canonici o ritenuti “classici” nel senso proprio del termine. In loro, per lo meno in senso generale e allargato, per ragioni di ordine diverso, la “consacrazione” unanime come autori imprescindibili non è mai giunta in forma inequivocabile. Ecco perché, con viva probabilità, i curatori del volume li accomunano a Cattaneo – maledetto contemporaneo – alla categoria labile e discutibile degli “esiliati”, di coloro che – sia in vita che in morte – sono stati minimizzati, tralasciati, più o meno volutamente dimenticati, relegati a una memoria asfittica e deludente, al cospetto di grandi indiscussi, giganti di pietra inscalfibili, auctoritas della contemporaneità.

Seguono nel volume le poesie di Emanuel Carnevali (Firenze, 1897 – Bologna, 1942). Entrambi i suoi genitori, che se lo contesero durante la sua infanzia per averlo con sé decretando in lui una condizione d’in-appartenenza e di squilibrio, erano italiani: il padre romagnolo, la madre torinese. La storia di Carnevali è quella di un racconto picaresco. Lasciata l’Italia alla volta degli Stati Uniti, lì visse a contatto con le sacche di emarginazione della metropoli a stelle e strisce imparando da autodidatta la lingua inglese e iniziando a scrivere versi (scriverà per sempre in quella lingua). Era ancora giovane quando venne colto da malattia e decise di ritornare nel paese natale. Condusse una vita disagiata in povertà e solitudine, passando da una clinica all’altra. Suoi i versi: “Io vado, solo come una roccia che sta / nuda e sola in un campo dove l’erba gioca. / Io vado, solo come un’orchidea in un bosco”. Unica compagna, fino alla fine dei suoi giorni, la scrittura che oggi ci permette di narrare la sua vicenda di disperato della nostra età. Autore sia di poesie che di racconti, molti dei quali raccolti postumi e riversati in italiano. Nel 1928, riferendosi alla luna, sua compagna di tante notti trascorse al freddo delle vie americane in compagnia di emarginati, scrisse: “Ma io voglio essere il tuo enfant terrible, / raccontare i tuoi segreti ad un branco di sciocchi, / raggirarti, tradirti, / Rivelare che la tua oscurità e il tuo candore / sono storie per creduloni”.

Incontriamo poi qualche opera dell’autore Benjamin Fondane (Iaşi, Romania, 1898 – Auschwitz, Polonia, 1944) scrittore e filosofo rumeno, di fede ebraica, naturalizzato francese. Fu vittima delle violenze antisionistiche del XX secolo. Negli anni ’20 fu nella capitale francese impegnato nell’attività di scrittore e pensatore. Secondo il suo approfondimento l’impegno in campo filosofico deve caratterizzarsi con una dimensione attiva, in un’azione, in una vera lotta in difesa della libertà. Arrestato nel 1944 dalla polizia collaborazionista della Repubblica di Vichy, venne deportato a Drancy e infine ad Auschwitz dove, come tanti, venne annientato nelle fameliche camere a gas. La sua opera maggiore viene considerata il Falso Trattato di estetica. Saggio sulla crisi del reale (1938).

Anelli ha inserito nel suo lavoro anche Catherine Pozzi (Parigi, 1882-1934) che sin da giovanissima fu a contatto con il mondo della cultura (i suoi genitori frequentavano, tra gli altri, Proust e Colette). Dal 1913 siglò le prime pagine personali di quello che sarà il suo “diario d’adulta” che non abbandonerà per tutta la vita e che oggi, quali strumento para-letterario, ci aiuta a conoscere la sua persona e ad approfondire la sua caratura intellettuale. Unita da una relazione turbolenta con il poeta simbolista Paul Valéry[2] (undici anni più grande di lei e al quale dedicherà la famosa poesia “Vale”) fino al 1928. Per mezzo di quest’ultimo conobbe un altro grande delle Lettere, Rainer Maria Rilke col quale fu platonicamente unita da una fertile corrispondenza datata 1924-1925. Nel 1927 pubblicò il racconto autobiografico Agnès e due anni dopo “Ave”, la sua unica poesia pubblicata in vita. Già cagionevole di salute da ragazza, i suoi ultimi anni furono segnati da un’infermità pesante.

La sua poesia è viscerale e appassionata, alimentata dagli ambienti foschi della notte, improntata alla predilezione dell’analogia, vicina all’orfismo mistico. Alcuni potenti versi impregnati di scavo emotivo e perlustrazione filosofica destinati all’amato Valéry ben evidenziano la sua ottundente passione di donna e l’originalità di poetessa: “Io ho ritrovato il celeste e il selvaggio / Il paradiso dove l’angoscia è desiderio. / L’altisonante passato che cresce di età in età / È il mio corpo e sarà il mio senso / Dopo la morte”.

Spazio anche a Victor Segalen (Brest, 1878 ‒ Huelgoat, 1919), scrittore, poeta, archeologo e critico letterario. Come archeologo importante fu il suo soggiorno nella Polinesia francese nel periodo 1903-1904. I suoi numerosi viaggi lo portarono anche in Cina e Giappone. Scrisse opere sul pittore Gaugain e il poeta Rimbaud, entrambe uscite postume. A lui è dedicata la seconda università della città di Bordeaux.

Il volume propone anche la quasi (completamente) sconosciuta Marceline Desbordes-Valmore (Douai, 1786 – Parigi, 1859) di professione attrice e cantante, che si esibì in varie circostanze a Bruxelles. Autodidatta, la sua prima raccolta di poesie, Élégies, è datata 1819. A questa seguirono altre raccolte che le diedero di che vivere, oltra a qualche premio a livello accademico. Seppur abbastanza nota al periodo, anche grazie alla considerazione di Baudelaire di cui vi è traccia, oggi è quasi completamente misconosciuta (di certo nel nostro Paese), sebbene possa essere considerata una precorritrice della poesia francese moderna. Complimenti, dunque, anche in questo caso, ad Anelli per il curioso “recupero” e per la riproposta della sua vicenda esistenziale, seppur in pillole, e del suo trascorso poetico. Una delle potenzialità di questo libro è proprio quella di accogliere questi “spunti” per un’eventuale ricerca delle loro opere e un approfondimento. Lirismo intenso e asciutto, il suo, dedicò anche alcuni versi al primo figlio morto, richiamato con il nome di Oliver. In una lirica amorosa leggiamo: “Ma se viviamo solo nella speranza e nell’allarme, / Smettiamo di vederci, / Condividiamo al meglio: io trattengo le lacrime, / Tu continua a sperare”.

Prima fila (da sinistra): Simone Cattaneo, Emanuel Carnevali, Catherine Pozzi e Victor Segalen.
Seconda fila (sa sinistra): Marceline Desbordes-Valmore e Benjamin Fondane.

Per concludere possiamo dire che quelle incluse in quest’opera sono voci particolari, senz’altro non canoniche, fuori dagli schemi ordinari e, in qualche caso, di insoddisfatti della vita, o di rimasti relegati al loro tempo storico in cui sono vissuti. Parole che in certi casi si fanno ispide, irruente ed emblematiche, dolorosamente ambigue, atte ad esprimere, proprio come i “pugni di Cattaneo, unici, irripetibili, inimitabili” il senso di disagio, l’in-appartenenza, la vulnerabilità, l’in-ascolto, la lontananza, la complessità del proprio io interiore. Un Parnaso degli inferi, potremmo dire, senz’altro un diorama complicato e frastagliato, poco approfondito, di certo in questa chiave antologico-comparativa che si allontana da qualsiasi prerogativa già percorsa imboccando un sentiero di particolare originalità, di cui Anelli ci aiuta a far luce, tramite versi drammatici e appassionati, a tratti coinvolgenti e a tratti quasi disturbanti. Opere che scantonano l’astratto per afferrarsi con le unghie alle difficoltà e al trauma del quotidiano, in un concentrato di versi che amplifica quella contaminazione totale tra vita e letteratura.

Lorenzo Spurio

Matera, 18/01/2024


[1] Una nota bio-bigliografica più approfondita può essere letta nel volume antologico del IX Premio di Poesia “L’arte in versi” curata dal sottoscritto dove a Cattaneo è stato riconosciuto il Premio Speciale “Alla Memoria” nel 2020. Nel medesimo volume trova collocazione la motivazione critica di conferimento del Premio. Entrambi i testi sono ripubblicati e disponibili online nell’apposita sezione “Alla Memoria” del Premio a questo link: https://premiodipoesialarteinversi.blogspot.com/2023/09/simone-cattaneo.html

[2] La poetessa e saggista Flavia Novelli ha approfondito la tormentata relazione amorosa ed epistolare tra Catherine Pozzi e Paul Valéry nel quattordicesimo capitolo del suo libro Amori diVersi. Le grandi storie d’amore tra poeti raccontate attraverso scambi epistolari, diari e poesie, Porto Seguro, Firenze, 2022. Una mia recensione a questo libro è stata pubblicata in «Verbum Press», anno IV, n°17, Febbraio 2023, pp. 100-104.


Nota – E’ severamente vietato pubblicare la presente recensione in formato integrale e/o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore.

Riconoscimento alla memoria per il poeta veronese Arnaldo Ederle (1936-2019)

Ad alcuni anni di distanza dalla sua dipartita, avvenuta nel 2019, viene ricordata la figura dell’insigne poeta, saggista e traduttore Arnaldo Ederle di Verona. L’evento commemorativo si terrà il 14 maggio nelle Marche.

La produzione letteraria di Arnaldo Ederle esordì nel 1965 con Le pietre pelose ben osservate alla quale nel corso del tempo seguirono numerosi altri libri: Vocativi e querele (1981; 2012), Partitura (1981), Intermittenze (1981), Il fiore d’Ofelia (1984), La chiesa di Santa Anastasia (1992), Contrechant (1993), Paradiso (1994), Cognizioni affettive (2001), Arcipelaghi (2002), Sostanze (2004), Varianti di una guarigione (2005), 10 Divagazioni sul corpo umano (2008), Stravagante è il tempo (2009), Negrura (2012), Poemetti per Negrura (2013), Burlesque (2014), Il deserto di Usèg (2014), Le magnifiche donne di Glencourt (2014), Poemetti e racconti in versi (2016), I giganti e gli uomini (2017). Attivo anche in campo narrativo con la pubblicazione dei romanzi Sandwich (2010) e La fiammata (2019) e in campo saggistico con La luce dei cristalli. Scritti critici (2008).

Il riconoscimento “Alla memoria”, che verrà consegnato ai familiari del Poeta, si terrà, su iniziativa e per volere dell’Associazione Culturale Euterpe APS di Jesi (AN).  Il Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato e presieduto dal poeta e critico letterario marchigiano Lorenzo Spurio, giunto quest’anno alla sua undicesima edizione, ha infatti deciso di attribuire l’importante riconoscimento alla figura di Ederle, rinomato poeta che per vari anni ha insegnato Fonologia delle lingue romanze presso l’Istituto di Glottologia dell’Università di Padova in Verona, esegeta raffinato e apprezzato traduttore.

La cerimonia si terrà presso l’Auditorium San Rocco di Senigallia (Ancona) domenica 14 maggio alla presenza della Commissione di Giuria del Premio, presieduta dalla poetessa e giornalista Michela Zanarella e membri del panorama culturale e letterario contemporaneo.

Fine intellettuale, Ederle dedicò particolare attenzione al mondo della traduzione con la cura di varie opere tradotte nel nostro Paese tra cui Cani (1966) di Lucien Guillot, Un amore al telefono (1971) di Elisabeth Nerval, Quattro quartetti (1983) di John Clare, Ombre italiane (1988) di Vernon Lee e Amanti assassinati da una pernice: racconti, dialoghi, conferenze (1993) di Federico García Lorca. Sulla sua produzione letteraria (meritoria di vari riconoscimenti tra cui il Premio “Alessio”, il Premio “Metauro” e il Premio “Dessì”) hanno scritto Giovanni Raboni, Paolo Ruffilli, Renzo Piccoli, Gian Mario Lucini e altri.

Uno scatto della premiazione della precedente edizione del Premio tenutasi al S. Rocco di Senigallia a maggio 2022.

A patrocinare l’iniziativa, oltre agli enti amministrativi locali della Regione Marche, dell’Assemblea Legislativa della Regione Marche, della Provincia di Ancona, dei Comuni di Ancona, Jesi e Senigallia, dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, data la prestigiosa figura di Ederle, di chiaro interesse e vanto veronese e veneto, sono stati attribuiti i patrocini morali della Regione Veneto, della Provincia di Verona e del Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università degli Studi di Verona.

Durante la premiazione il poeta Arnaldo Ederle verrà ricordato mediante la lettura di alcune poesie scelte; il Presidente del Premio Lorenzo Spurio darà lettura alla motivazione critica del conferimento. Verrà altresì diffusa l’antologia in volume contenente tutte le opere premiate in questa edizione del Premio all’interno della quale una significativa parte sarà dedicata ad Ederle e riporterà la sua biografia letteraria, un’ampia scelta di testi e la motivazione del conferimento.

Una delle volontà degli organizzatori di questo Premio che viene bandito annualmente da Euterpe APS e che quest’anno ha visto giungere circa 1700 opere nelle 13 sezioni in cui era possibile partecipare, è quella di segnalare alla comunità letteraria e non solo, ponendo in rilievo e con opportuni approfondimenti e studi, la figura di importanti esponenti della poesia contemporanea italiana che purtroppo sono venuti a mancare. Precedenti premi alla Memoria sono stati conferiti, tra gli altri, alla poetessa messinese Maria Costa, alla calabrese Giusi Verbaro Cipollina, ai marchigiani Gina Mario Maulo e Novella Torregiani e, l’anno scorso, al giovane irpino Domenico Carrara e al toscano Veniero Scarselli.

L’importante iniziativa si avvale della collaborazione di varie associazioni ed enti culturali: le Associazioni “Le Ragunanze” di Roma, “L’Oceano nell’anima” di Bari, ASAS di Messina, “Il Faro” di Cologna Spiaggia, “Africa Solidarietà” di Arcore, il Club Unesco di Cerignola, unitamente alla Consulta Giovanile di Bonorva, al Centro Studi “Sara Valesio” di Bologna, al Centro Culturale “Vittoriano Esposito” di Avezzano, Ivvi Editore, Wiki-Poesia, la rivista “Il Graffio” e all’importante Movimento Internazionale “Donne e Poesia” di Bari presieduto dalla prof.ssa Anna Santoliquido.

INFO:

www.associazioneeuterpe.com

ass.culturale.euterpe@gmail.com

Esce la prima traduzione italiana della poetessa “fueguina” Anahí Lazzaroni e in Argentina la sua opera omnia

Dopo mesi di lavoro è uscita l’opera antologica della poetessa argentina Anahí Lazzaroni (1957-2019) definita dalla stampa di quel paese come “la precursora dell’estremo sud Argentino”. L’opera, pubblicata con la casa editrice Editorial Cultural Tierra de Fuego, porta il titolo evocativo “La palabra nieve es una buena contraseña (1988-2017)” che potremmo liberamente tradurre in italiano come “La parola neve è una buona credenziale” o “La parola neve è una password efficace”. Grazie al meticoloso lavoro di Florencia Lobo, Responsabile della Editorial Cultural Tierra de Fuego e alla collaborazione e all’apporto della sorella della poetessa, Alicia Lazzaroni, finalmente è possibile sfogliare in un tomo unico l’intera produzione poetica della poetessa Anahí Lazzaroni morta qualche anno fa a Ushuaia, capitale della Provincia di Terra del Fuoco, Antartide e Isole dell’Atlantico del Sud, all’estrema propaggine del continente americano.

Quasi parallelamente all’uscita complessiva del percorso letterario della Lazzaroni è appena uscita nel nostro Paese la prima versione in volume in lingua italiana di una porzione dell’opera della Lazzaroni. Il poeta e critico letterario Lorenzo Spurio, infatti, ha lavorato nell’ultimo anno all’opera di traduzione di una selezionata parte della sua produzione ovvero alle sillogi “El viento sopla” del 2011 e “Alguien lo dijo” del 2017, ovvero le due opere più recenti della poetessa fueguina (della Terra del Fuego). L’opera, dal titolo “Il vento soffia / Qualcuno lo disse è uscita per i tipi di Bertoni Editore di Corciano (PG), con l’autorizzazione della sorella Alicia e del Patrocinio morale della Tierra del Fuego, Antártida y Islas del Atlántico Sur.

Il ricco articolo-recensione di Pablo Nardi sull’opera omnia della Lazzaroni pubblicato lo scorso 9 giugno sulla testata «Infobae» ci parla con grande perizia della poetica dell’apprezzata poetessa di Ushuaia, la città dalla pioggia continua come era solita ricordare la stessa autrice, ma anche della neve osservata al di là della finestra, come richiama il titolo stesso del volume. La Ushuaia narrata dalla Lazzaroni era quella di allora, di una città per lo più tranquilla e assopita, silenziosa nel suo manto di bianco, ancora non divenuta oggetto di un turismo massivo e rumoroso degli occidentali del Vecchio Continente per conoscere “la fine del mondo”. Affascinata dal grande romanzo contemporaneo dei geni indiscutibili della narrativa tra cui i russi Tolstoj, Destovieskij e Gogol, la Lazzaroni era una grandissima lettrice e amante della letteratura di varie culture: quella italiana di Calvino, grande sperimentatore e narratore spesso vicino all’onirico e dell’esistenzialismo doloroso di Eugenio Montale, ma anche la tradizione orientale della cultura giapponese che la portò a cimentarsi anche con la forma dell’haiku. Alla sua morte, avvenuta nel 2019 all’età di sessantadue anni, sua sorella ha deciso di donare l’ingente patrimonio librario della poetessa alla locale biblioteca che è stata a lei dedicata.

La poesia di Anahí è fatta di silenzi e approfondimenti interiori, piccole passeggiate e scatti fotografici, riflessioni sulla vita e sull’uomo in generale, permeata di spazi e cesure, momenti di stasi, rallentamenti. L’andatura è dettata spesso dai sommovimenti metereologici: raffiche di vento, pioggia che non annuncia a diminuire e che spaventa, neve che s’adagia lieve e che trasforma il paesaggio a lei circostante. Sono gli elementi naturali i veri abitatori degli spazi, i protagonisti fondamentali del suo pacato interloquire, le presenze immancabili e caratterizzanti le sue giornate. Poesia dell’isolamento e della distanza, ma anche del limite e del confronto, poesia degli spazi e degli elementi naturali è quella della Lazzaroni nella quale non mancano slanci ironici, elementi di denuncia, piccoli sfoghi dettati dalla malattia e dalla stanchezza.

Il volume antologico si apre con un prologo scritto dalla sorella Alicia e da uno studio preliminare a firma di Luciana Mellado che già in precedenza si era occupata in termini critici della poetessa di Ushuaia. Città nella quale Anahí – nella cui ascendenza c’era sangue italiano, come pure il cognome evidenzia – visse instancabilmente dal 1966 e nella quale fu attiva in campo culturale ed editoriale ottenendo consensi e riscontri dall’ambiente degli scrittori patagonici al punto tale che, secondo le parole di Roberto Santana, “fondò la poesia moderna fueguina”. Anahí Lazzaroni rappresentò senza dubbio alcuno – assieme ai poeti Julio José Leite (1957-2019) e Niní Bernardello (1940-202), che purtroppo se ne sono anch’essi andati recentemente – una delle maggiori voci poetiche non solo della Terra del Fuoco e della Patagonia ma dell’Argentina contemporanea, ragione che ha motivato l’interesse di interpretazione e traduzione anche in contesti geografici – come il nostro – a lei distanti.

La poetessa argentina Anahi Lazzaroni

Nel corso della sua vita pubblicò otto libri di poesia: “Viernes de acrílico” (1977), “Liberen la libélula” (1980), “Dibujos” (1988), “El poema se va sin saludarnos” (1994), “Bonus Track” (1999), “A la luz del desierto” (2004), “El viento sopla” (2011) e “Alguien lo dijo” (2017) e il romanzo “En esta ciudad se escribirá una novela” (1989). Alcune sue poesie sono state tradotte in francese, inglese, catalano, italiano e coreano su siti e blog di cultura.

La prima edizione in volume della sua opera tradotta in italiano, a cura di Lorenzo Spurio – autore che in precedenza ha tradotto in italiano anche l’ecuadoriana Dina Bellrham – è appena uscita col titolo “Il vento soffia / Qualcuno lo disse” per i tipi di Bertoni Editore di Corciano. Il volume, che contempla le due ultime sillogi poetiche pubblicate dall’autrice, ha ottenuto il Patrocinio Morale della Provincia della Terra del Fuoco, Antartide e isole del sud.

Esce “BABEL. Stati di alterazione”, l’antologia poetica plurilingue curata da Enzo Campi

Segnalazione di Lorenzo Spurio

Il Festival Bologna in Lettere si sviluppa da sempre a cavallo di due anni solari, più o meno da settembre a maggio. In questa edizione, in cui cade il decennale, il Festival ha intensificato il numero degli eventi a cominciare da Giugno 2021 con la realizzazione di ben quattordici eventi e si concluderà nel mese di Maggio 2022 con otto giornate in presenza e sei online. Per celebrare in maniera significativa il decennale si è pensato di lavorare su quella che è, per così dire, la materia prima, ovvero la lingua. Nei due anni di pandemia, un po’ per scelta, un po’ per necessità abbiamo incrementato e consolidato rapporti di vario tipo con autori, traduttori e curatori di tutti e cinque i continenti, gettando così le basi per la deflagrazione del decennale. Da qui il ricorso alle lingue. Il volume BABEL stati di alterazione (Bertoni, Perugia, 2022), curato da Enzo Campi, nasce da questi presupposti e viene a caratterizzarsi non tanto come un’opera quanto come una vera e propria operazione. A ognuno dei ventisette autori selezionati (Karine Marcelle Arneodo, Vincenzo Bagnoli, Daniele Barbieri, Brice Bonfanti, Domenico Brancale, Sonia Caporossi, Marthia Carrozzo, Laura Cingolani, Lella De Marchi, Francesco Forlani, Gianluca Garrapa, Marisol Bohorquez Godoy Michela Gorini, Alessandra Greco, Eugenio Lucrezi, Lorenzo Mari, Francesca Marica, Silvia Molesini, Fabio Orecchini, Jonida Prifti, Lidia Riviello, Massimo Rizza, Ranieri Teti, Ida Travi, Paolo Valesio, Sara Ventroni, Maria Luisa Vezzali) è stato chiesto di produrre un solo testo inedito. Ognuno di questi testi è poi stato tradotto in tre lingue diverse. Le lingue al lavoro nel volume sono quindici (rumeno, inglese, francese, arabo, russo, tedesco, spagnolo, giapponese, albanese, turco, greco moderno, greco antico, latino, dialetto napoletano, dialetto lucano). I traduttori che hanno preso parte a questo progetto sono: Claudia Albu-Gelli,Karine Marcelle Arneodo, Alice BartoliniFabiana Bartuccelli, Chantal Bizzini, Antonino Bondì, Amal Bouchareb, Ani Bradea, Domenico Brancale, Michele Carenini, Valentina Chepiga, Anna Maria Curci, Gianni Darconza, Francesca Del Moro, Kaharu Inokuchi, Irène Dubœuf, Gerhard Friedrich, Marisol Bohorquez Godoy Eugenio Lucrezi, Silvia Molesini, Anna Chiara Peduzzi, Evangelia Polymou, Jonida Prifti, Graziella Sidoli, Maria Laura Valente, Daniele Ventre, Maria Luisa Vezzali, Patrick Williamson, Gabrielle Zimmermann.

Un discorso a parte merita la postfazione in cui le lingue, attraverso svariati processi di manipolazione (stati di alterazione), si moltiplicano a vista d’occhio partendo da lingue morte come l’ittita, l’aramaico, il sumero, l’accadico, il lidio, passando attraverso lingue generalmente poco usate nelle traduzioni dall’italiano quali olandese, armeno, basco, vietnamita, macedone, indonesiano, creolo, danese, serbo, catalano e via dicendo, in una sorta di gioco a rimpiattino dove le lingue rimbalzano le une sulle altre mescolandosi e confondendosi tra loro. L’idea è quella di trattare le varie lingue innestandole in un unico corpus e creare così una vera e propria trasposizione babelica che è poi in stretta sintonia con quella che è oggi la nostra civiltà. Si pensi soprattutto alle grandi metropoli dove per sopravvivere e tenersi al passo coi tempi è letteralmente insufficiente parlare una sola lingua. Tutti gli eventi di maggio partono dall’idea, sicuramente utopista, che si possa creare una sorta di lingua universale che possa essere compresa da tutti e veicolata attraverso atti artistici. Non è un caso che tutti gli eventi del decennale siano stati definiti azioni e numerati progressivamente, così come non è un caso che Bologna in Lettere sia sempre stato un festival multidisciplinare.

Dialetto particolare, diventato lingua: alcune considerazioni sulla questione linguistica siciliana

Articolo di ROSARIO LORIA

I nove dialetti delle nove province siciliane, non esistono. Ogni provincia ha tanti dialetti, quanti sono i paesi che la compongono e la loro omogeneità non può esistere, se non incanalandoli in una Lingua. Con tutti i complicatissimi corredi, ad iniziare dai testi di formazione.

La problematica drammatica e orgogliosamente felice, è che nessuno di loro, come nessuno di tutte le regioni d’Italia, ha un rapporto stretto con la Lingua italiana… Sembra una brutta favola, ma è la realtà. Poi c’è un colpo di fortuna straordinaria. O per altri, un miracolo. Dove oggi c’è un gruppetto di paesini, prima del Trecento, – oggi in Sicilia ci sono 2400 parole italiane, inserite nella Lingua siciliana. Per esempio: – Scarpa, pasta, acqua, ossa, mula, tubi, giacca, lenza, panna, Luna, aria, occhi, testa e così via… – ove i paesini vennero su popolati da ovunque, e la gente adottò la parlata che trovò e la conservò, in parte conservando quegli idiomi latinizzanti.

Nel Trecento era già diffusa come ‘linguaggio’ di commercio, a Firenze, a Venezia e nelle Puglie… Le parole citate prima, esistevano da noi prima del Trecento… Questo linguaggio che poi i paesotti che vennero su nei tre lembi delle province di Palermo, Trapani e Agrigento lo adottarono e lo conservarono, coi suoi latinismi.

– Mè Matri, ja a la Missa… – Che poi nell’Italiano viene distorta in Messa… Ma da noi resta ‘Missa,’ in dialetto… Ma già nel Trecento, Dante aveva capito tutto, e nella Divina, accettando il volgare, non esiste nulla della Sicilia, se non quel dialetto latinizzato, di cui Dante andò fiero, dicendo che tutto quello che è ‘siciliano, è poesia’.

Io sono nato in uno di quei paesini… Paesini che in due guerre e varie carestie non hanno avuto un morto, una bomba… Scansati perché poveri, non offrendo agli invasori, alcuna garanzia economica… Per secoli il mio paesino tenne costante una popolazione di 3500 abitanti… Oggi manco 1500… Infatti le parlate, e nella Divina, la Lingua siciliana trova se stessa, al punto di insinuare che la Lingua italiana, nasce dalla Lingua siciliana…

C’è uno sparpaglio di confronti con le critiche di Giovanni Teresi, e le mie traduzioni in Lingua siciliana. Nell’ottanta per cento dei casi le parole sono uguali, nelle traduzioni del Purgatorio… Uguali, non somiglianti… Quindi questo è un miracolo unico per tutta la nazione… La Lingua poi si perfeziona con Federico II, Pier delle Vigne, Francesco D’Assisi… – Ludato si tu, me Signuri… Sora Luna… Frate sole… – Da noi non esistono ‘fratelli’, ma ‘li frati…’ Cu’ ‘Nninu semu comu li frati… ‘Nni spartèmu lu sonnu di la notti… –

A continuazione i vv. 99-126 del C. 1V del Purgatorio della Commedia e, a seguire, la traduzione in dialetto di Loria nella parlata della nativa Poggioreale (TP) con evidenti e inevitabili influssi e contaminazioni della parlata autoctona di Menfi (AG) dove da decenni vive ed è umanamente e culturalmente legato:

E com’elli ebbe sua parola detta,

una voce di presso sonò: «Forse

che di sedere in pria avrai distretta !

E ‘ccom’iddu happi, la so palora ditta,

‘nna vuci ‘ddà vicinu sunàu; – Forsi

chi ‘ddi sèdiri primu, avirrài la stritta !

Al suon di lei ciascun di noi si torse,

e vedemmo a mancina un gran petrone,

del qual né io né ei prima s’accorse. 

A lu sònu d’idda, ognùnu di nùi si turcìu,

e ‘bbittim’a ‘mmancina u’ ‘rràn ‘mpitrùni,

di lu quali, né iu, né iddu prima, s’àccurgiu.

Là ci traemmo; e ivi eran persone

che si stavano a l’ombra dietro al sasso

come l’uom per negghienza a star si pone.

‘Ddà ‘nni’ ‘nni jèmu, e ‘ddà ‘cc’eranu pirsuni

chi si ‘nni stàvanu all’ùmmira, darrè lu màssu,

comu l’òmu, pi ‘gnurànza, stari s’impùni.

E un di lor, che mi sembiava lasso,

sedeva e abbracciava le ginocchia,

tenendo ‘l viso giù tra esse basso.

E unu d’iddi chi mi paria stancu,

sidia e abbrazzava li dinocchia,

tinènnu lu facciùzzu, jùsu, tra iddi, biancu.

«O dolce segnor mio», diss’io, «adocchia

colui che mostra sé più negligente

che se pigrizia fosse sua serocchia ».

– Oh, duci signùri mèu, – diss’iu, – talia

a ‘cchiddu chi ‘ppàri chidd’è ‘gnuràntùni,

chi ‘ssi l’annùiazia, fùssi sò surùzza Lia. –

Allor si volse a noi e puose mente,

movendo ‘l viso pur su per la coscia,

e disse: «Or va tu sù, che se’ valente !».

Allura si vutàu a ‘nnùi, e ‘ppòsi mènti,

muvènnu la facci, puru sùsu, pi la coscia

E dissi; – Ora và tù sùsu, chi ‘ssì ‘bbalènti ! –

Conobbi allor chi era, e quella angoscia

che m’avacciava un poco ancor la lena,

non m’impedì l’andare a lui; e poscia

Canusciv’allùra cu’ era, e ‘cchiddu ròppu

chi m’affucava u’ ‘mpòcu, ancòra la lena,

u’ ‘mmi ‘mpidì d’abbicinallu: e ‘ddòppu,

ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,

dicendo: «Hai ben veduto come ‘l sole

da l’omero sinistro il carro mena ? ». 

ch’a iddu fu ‘gghiùntu, aisàu la tèsta appèna,

dicènnu; – Ha beni vistu comu lu suli,

di l’omèru màncu, lu carru arrèna ? – 

Li atti suoi pigri e le corte parole

mosser le labbra mie un poco a riso;

poi cominciai: «Belacqua, a me non dole 

L’azioni sòi lenti, e li curti paròli,

muvèru li labbra mèi u’ ‘mpoc’a risu,

poi, ‘cuminciavi; – Belacqua, a ‘mmia u’ ‘ndoli, 

di te omai; ma dimmi: perché assiso

quiritto se’? attendi tu iscorta,

o pur lo modo usato t’ha’ ripriso ? ».

di tia ormai: ma dicimi: picchì assisu

dirilittu si ? Aspetti tu la scorta,

o puru lu mod’usatu, t’ha risprisu ? – 

Ed elli: “O frate, andar in sù che porta ?

ché non mi lascerebbe ire a’ martìri

l’angel di Dio che siede in su la porta.

E iddu: – O frati, iri sùsu, chi ‘ppòrta ?

C’u’ ‘mmi lassirria iri ch’a li martiri,

l’angilu di Diu, chi ‘ssedi ‘ncàpu la porta. 

The Nail: il volume bilingue italiano-inglese della triade poetica Matranga-Billeci-Barracato

Articolo di Lorenzo Spurio

È uscito in questi giorni – per i tipi di Billeci Edizioni di Borgetto (PA) – un interessante volume bilingue di poesie di tre autori siciliani. Il libro, dal titolo The Nail (che, tradotto, sta per “il chiodo”, proprio quello che compare ben piantato nella prima di copertina), contempla una scelta di poesie di Dorothea Matranga, Francesco Billeci e Antonio Barracato con, a fronte, la versione in lingua inglese.

Un progetto poderoso curato – nelle traduzioni – da Dorothea Matranga che nelle ultime ore – assieme agli altri co-autori – ha felicemente lanciato sui Social la lieta notizia dell’avvenuta pubblicazione. The Nail è uno di quei lavori che, tanto per la confluenza sintonica di voci che sono poeti ma anche amici, quanto per la dimensione volutamente aperta a un’internazionalità e dunque a un destinatario potenzialmente allargato all’inverosimile, si evidenzia da subito come vincente e in grado di far parlare di sé. Questo anche per la preziosa prefazione della poetessa e critico letterario Francesca Luzzio che – meglio di qualsiasi vestito – riesce a cucire in maniera splendida e irripetibile una lettura puntigliosa e fresca di questo nuovo volume.

La copertina del libro

The Nail è l’ennesimo – e non previsto – segno che testimonia un clima di ampia effervescenza culturale nell’ambito del Palermitano che si unisce a una grande capacità espressiva e volitività che contraddistingue le tre fervide menti dalla fertilissima produzione letteraria. Tanto per citare alcuni di questi “punti fermi” che contraddistinguono questa triade autoriale possono essere richiamati – tra i tanti percorsi, collaborazioni, iniziative – il noto Concorso Internazionale di poesia “La vita in versi” di Cefalù organizzato dal poeta Antonio Barracato che annualmente vede la cerimonia di premiazione nell’elegante Teatro Cicero di Cefalù, come pure il Cenacolo Letterario Letterario Italiano “25 Novembre” sempre di Cefalù (con sua seconda sede a Borgetto) dove gravitano vari poeti dell’hinterland palermitano, finanche la copiosa e diversificata produzione di volumi dell’editore Billeci (con un fresco progetto antologico dal nome Il meglio di me al quale hanno partecipato, tra gli altri, i poeti Francesco Camagna, Andrea Lazzara, Antonio Barracato, Rosa Rampulla, Pietro Pinzarrone, Vita Alba Tumbarello, Rossana Licari, Rosa Di Pino e lo stesso Francesco Billeci) che testimonia una presenza importante, in termini di promozione e diffusione culturale sul territorio, di certo non trascurabile e meritoria di nota. Non si dimentichi neppure la fondazione del movimento – e la creazione del relativo genere letterario della corto poesia – da parte di Barracato e Matranga, istituzionalizzato in un apposito Manifesto, diffuso anche per mezzo di una pubblicazione in volume – per la quale sono stato onorato di scrivere la prefazione – e dal riconoscimento da parte della comunità letteraria nazionale che in taluni contesti di premi letterari ha ravvisato l’interesse e l’esigenza dell’inserzione del detto genere tra le sezioni di partecipazioni.

Così si è espressa Francesca Luzzio presentando questo testo: «La presente trilogia propone una coralità di voci, dove con levità affabulatoria ed insieme con forza icastica i tre poeti nei modi di un’epica minima, attenta al quotidiano, si raccontano in versi non solo parlando del proprio io, ma proponendo anche il loro heideggeriano “esserci” con occhio attento alla realtà circostante e  non è un caso  che  essi dedichino anche versi alla poesia perché è proprio questa che consente loro di raggiungere quelle incommensurabili atmosfere».

I tre autori del libro. Da sinistra Francesco Billeci, Dorothea Matranga e Antonio Barracato

Quanto alle principali tematiche delle poesie che il lettore incontrerà in questo volume Luzzio ci informa che si ritrovano in particolar misura temi come il tempo, la malinconia, l’idea dello scorrere, il cambiamento e la ricerca di verità (Matranga); la catarsi, la purezza del sentimento, la religiosità, i riflessi esistenziali e gli intenti sociali (Barracato); gli affetti, il dolore, l’interesse verso gli altri e la solidarietà, finanche alcune tematiche scottanti (e attualissime) come l’immigrazione (Billeci).

Pur essendo il significato più chiaro e diretto, quello di “chiodo”, a cui il titolo del libro si riferisce, credo che vada anche detto altro; nell’utilizzo parlato della lingua inglese non è infrequente l’espressione (la costruzione verbale) to nail (something) per sottolineare la perfezione con la quale una determinata attività viene condotta; il phrasal verb to nail (something) down sta proprio per “fissare”, “precisare”, “definire con precisione” e tale ulteriore sfaccettatura del lemma impiegato dai tre autori per il loro nuovo libro non credo proprio che possa dirsi casuale dal momento che – come già detto – sono tanti i temi – anche di indagine sociale – sui quali non esitano a esprimersi, con chiarezza, trasporto, voglia di esternazione.

Il volume, pur presentando tre sillogi in sé indipendenti appartenenti a tre autori distinti, si apprezza come opera unica nel ricco intrico di legami e corrispondenze che s’instaurano tra immagini, tematiche, codici e linguaggi dei tre poeti. Non è, dunque, come leggere tre libri separati uniti sotto un’unica copertina, ma è un’opera unica che va concepita nella sua originalissima totalità. Tanto è vero che, come è stato recentemente osservato (cito dal Comunicato stampa), «[il libro produce] un forte impatto emozionale per le coinvolgenti tematiche trattate e i motivi che hanno portato alla realizzazione di questo ambizioso progetto culturale, che si ripropone di far conoscere le opere e il volume in tutto il mondo […] Il titolo The Nail è stato scelto come simbolo di costante e capillare penetrazione che punta alla rinascita dei valori universali e sani principi per il risanamento dell’Io, nel modo di sentire heideggeriano che è anche il loro “esserci” in questa triplice intesa dell’accorato verseggiare con lo scopo soprattutto di farsi ascoltare».

Alcuni cenni bibliografici dei tre autori

Dorotea Matranga (in arte “Dorothea”) è nata ad Alcamo (TP) nel 1954, vive a Bagheria (PA). Poetessa, scrittrice e critico letterario. La sua formazione, d’impostazione classica, l’ha portata a vivere un crescente amore verso la letteratura e la scrittura. Per la narrativa ha pubblicato il romanzo Funnyman ovvero il Venditore di sogni (2014), varie sue poesie figurano in antologie. Per la critica letteraria ha scritto e pubblicato molti saggi e recensioni diffusi su riviste online e cartacee. Collabora con le riviste «Convivio» e «CulturElite». In unione ad Antonio Barracato ha ideato la corto-poesia-italiana con il relativo Manifesto “Ipseità dell’io” ha fornito le linee programmatiche e formali di questo movimento. Dirige il Circolo Culturale “Giacomo Giardina” di Bagheria dove riveste il ruolo di responsabile per le attività letterarie. Ha partecipato a numerosi reading poetici e concorsi letterari vincendo molti podi, menzioni e premi speciali, è accademica di varie accademie. È Vicepresidente dell’Associazione “Cenacolo Letterario Italiano Via 25 Novembre” di Cefalù.

Francesco Billeci è nato a Borgetto (PA) nel 1973, città nella quale vive. Poeta, scrittore, cuntastorie e sceneggiatore siciliano, dirige le Edizioni Billeci e l’omonima Associazione Culturale contraddistinta, nel logo, da un bel girasole luminoso. Numerosissime le pubblicazioni in volume, afferenti a tutti i generi letterari; si ricordano le raccolte di poesie: Diario di bordo, I binari dell’anima, I ginestri di Portella, Rarichi du passatu, Germogli di fede, Na valìggia china di paroli, Lu Cuntastori, Versi liberi 1999-2016, Germogli di fede 2016, Poesie del cuore, Strade Parallele, Varcare la soglia, Perfume de amor, il meglio di me, Cockitail Letteraio, Faiddi di Puisia. Per la prosa, invece, i romanzi Il passato non si dimentica, La Biglia Verde, Segreti di mafia, I Bambini non si toccano, Delitti e segreti di Cosa Nostra, Agende di vita vissuta, Raccontare e raccontarsi, Il destino di un sogno, il Profumo Magico dell’origano, Il contatore dell’amore, Mai più Veronica, il contatore della Passione, la mia vita tra le dita. Ha pubblicato anche commedie teatrali: Ogni gruppu veni o pettini, Ogni nodo viene al pettine, Pane, pizzu e Libbirtà vers in lingua italiana e siciliana, Giuseppe La Franca (vittima di mafia) e Teatro 2016. Ha scritto la sceneggiatura del film Cambuca non è mafia /Giuseppe La Franca… vive ancora. Numerosissimi i premi ricevuti da ogni zona del territorio nazionale.

Antonio Barracato, cefaludese di nascita, si è laureato con lode in Arti visive e discipline dello spettacolo all’Accademia delle Belle Arti. Da ragazzo ha frequentato lo Studio fotografico degli zii e, fortemente motivato, ha subito provato grande attrazione verso la fotografia, passione che non ha mai abbandonato. Oggi può vantare una nutrita collezione di premi letterari nazionali per la fotografia, come pure per la poesia, essendo prolifico poeta, tanto in lingua che in dialetto. Ha pubblicato vari libri – sia per la poesia che per la prosa: Strati e stratuzzi, Pensieri in versi, A nostra civiltà, I miei versi, Poesia senza confini, La mia poesia, Perfume de amor – Yo respiro amor, (raccolta di poesie tradotta in lingua spagnola), Squarci di vita, Verità celate, Il meglio di me. È anche autore di testi per canzoni e opere teatrali. È l’ideatore e il direttore del Gruppo «i Narratura» di Cefalù, esponente del direttivo dell’Associazione SiciliAntica, sede di Cefalù, Consigliere dell’Associazione Accademia dei poeti siciliani “Federico II”, versatile organizzatore di eventi culturali (anche virtuali come recenti reading molto partecipati e apprezzati a distanza – mediante riprese video – in tempi di pandemia e di distanziamento sociale) e una serie di altre iniziative tra cui  “Cefalù la poesia si fa strada”, l’iniziativa rivolta alle carceri (“La poesia dentro”) che negli anni ha coinvolto i detenuti della Casa Circondariale “Cavallacci” di Termini Imerese e del Carcere “Ucciardone” di Palermo; il Concorso Internazionale di poesia “La vita in versi” di Cefalù, il Premio Letterario Nazionale di poesia Città di Chiusa Sclafani, è anche direttore del blog culturale «Cefalù Art», fondatore e direttore del Cenacolo Letterario Italiano “Via 25 Novembre” di Cefalù, fondatore – assieme a Dorothea Matranga – del movimento e genere letterario della corto-poesia-italiana.

Il bando del IX Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” (scadenza 30-09-2020)

Art. 1 – ORGANIZZAZIONE

Viene bandita la nona edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato, fondato e presieduto dal poeta e critico letterario Lorenzo Spurio e organizzato dall’Associazione Culturale Euterpe di Jesi.

Art. 2 – PATROCINI MORALI

Il Premio è patrocinato dalla Regione Marche, dall’Assemblea Legislativa della Regione Marche, dalla Provincia di Ancona e dai Comuni di Jesi, Ancona e Senigallia.

Art. 3 – PARTNERSHIPS

Il Premio gode del sostegno e della collaborazione esterna (partnership) di alcune enti e associazioni culturali che condividono gli intenti di promozione e diffusione della cultura e le finalità del concorso: Centro Studi “Sara Valesio” di Bologna, Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna, Associazione “Le Ragunanze” di Roma, Associazione Siciliana Arte e Scienza (ASAS) di Messina, Associazione “Arte per Amore” di Seravezza (Lucca), Associazione “L’Oceano nell’anima” di Bari, Associazione “Africa Solidarietà Onlus” di Arcore (Monza-Brianza), Associazione “Il Faro” di Cologna Spiaggia (Teramo), Associazione “Poesia & Solidarietà Onlus” di Trieste, AlmanHaiku e Wiki-Poesia.

Art. 4 – REQUISITI FONDAMENTALI

Si può partecipare sia con opere edite che inedite. Qualora l’opera sia edita è necessario indicare nella scheda di partecipazione il riferimento bibliografico completo dove è precedentemente apparsa (titolo opera, casa editrice, luogo e anno di pubblicazione). L’organizzazione è sollevata da qualsiasi problematica, disguido e controversia possa nascere nel caso in cui l’autore presenti la sua opera come inedita quando, in realtà, essa, alla data d’invio della partecipazione al premio, è edita.

Art. 5 – NORME DI ESCLUSIONE

a)   L’opera non deve aver ottenuto un premio da podio (1°, 2°, 3° premio assoluto o ex aequo) in un precedente concorso al momento dell’invio della propria partecipazione, pena l’esclusione. Se la singola opera fa parte di una silloge, mini raccolta o raccolta che è risultata premiata con un premio da podio potrà essere inviata ma non dovrà avere il medesimo titolo della silloge, mini raccolta o raccolta premiata, pena l’esclusione.

b)   I vincitori del 1° premio assoluto dell’edizione precedente di codesto Premio (anno 2019) non potranno concorrere nella medesima sezione di riferimento, pena l’esclusione.

c)   È fatto divieto ai Soci Fondatori e ai Soci Onorari dell’Associazione Culturale Euterpe, ai Presidenti di Giuria attivi o passati del presente premio, ai Presidenti delle Associazioni partner e ai vincitori di Premi Speciali “Alla Carriera” e “Alla Cultura” in precedenti edizioni del premio prenderne parte, pena l’esclusione.

Art. 6 – MINORENNI

I minorenni partecipano a titolo gratuito. Per la loro iscrizione è necessario che la scheda dati venga firmata in calce da un familiare (indicando tra parentesi il legame di parentela) o da un curatore o chi ne fa le veci. Si rammenta che le opere dei minorenni verranno valutate al pari di quelle degli adulti nelle  medesime sezioni di riferimento e che la loro valutazione non avverrà secondo una graduatoria a parte, non essendo dedicata una specifica sezione alla partecipazione di minori e giovanissimi.

Art. 7 – SEZIONI A CONCORSO

Il Premio è articolato in dieci sezioni identificate dalle lettere dell’alfabeto. Il partecipante può prendere parte a una o più sezioni.

SEZIONE A – POESIA IN ITALIANO: Si partecipa con un massimo di tre poesie in lingua italiana a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).

SEZIONE B – POESIA IN DIALETTOSi partecipa con un massimo di tre poesie in dialetto a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi). Le opere dovranno avere ben indicato il riferimento al tipo di dialetto o di zona nel quale è parlato e si dovrà allegare obbligatoriamente la traduzione dell’opera in lingua italiana. Qualora la traduzione non sia stata eseguita dall’autore è necessario indicare il nome del traduttore.

SEZIONE C – POESIA IN LINGUA STRANIERASi partecipa con un massimo di tre poesie in lingua straniera a tema libero in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi). Si considerano lingue straniere tutti quegli idiomi vivi caratteristici degli stati nazionali e federali nonché i patois e le lingue minoritarie che contraddistinguono un popolo. Non si accetteranno opere in lingue artificiali o in codici che non hanno un uso reale o non peculiari di una realtà geopolitica concreta riconosciuta dalla comunità internazionale. Le opere dovranno avere ben indicato il riferimento al tipo di lingua o alla zona nella quale è parlato e si dovrà allegare obbligatoriamente la traduzione dell’opera in lingua italiana. Qualora la traduzione non sia stata eseguita dall’autore è necessario indicare il nome del traduttore.

SEZIONE D – POESIA RELIGIOSA: Si partecipa con un massimo di tre poesie a tema religioso in forma anonima che non devono superare i 40 versi ciascuna (senza conteggiare il titolo, l’eventuale sottotitolo, dedica, spazi bianchi).

SEZIONE E – PROSA POETICA: Si partecipa con un testo in prosa (no versi) che non superi 1 cartella editoriale pari a 1.800 battute complessivi (spazi compresi) in cui l’elemento narrativo rappresenti un aspetto marginale e secondario a beneficio degli elementi più marcatamente riflessivi e descrittivi che possano far risaltare gli aspetti emozionali e sensoriali dando sfogo alla propria interiorità prediligendo composizioni costruite su un piano lirico di chiaro impatto. Non saranno conformi a tale sezione racconti canonicamente intesi fondati prevalentemente sulla costruzione del personaggio (fiction) o la narrazione di episodi.

SEZIONE F – LIBRO EDITO DI POESIASi partecipa con un solo libro di poesia pubblicato con una casa editrice o auto-prodotto dotato di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore, dal curatore del volume, dall’editore o dal (riconosciuto) erede letterario dell’autore. In caso di vittoria il premiato verrà comunque considerato l’autore del volume. Si accettano anche libri di poesie in dialetto o in lingua straniera (con traduzione a fronte), di haiku e libri di poesia corredati da immagini (foto e quadri) e antologie (in questo caso si leggano le specifiche sotto). Si accettano, altresì, libri di poesie di autori scomparsi, inviati da parenti, amici, centri culturali ed editori. Verranno in questo caso considerati, in caso di valutazione positiva della Giuria, per un Premio speciale o “Alla memoria”. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e, qualora ne disponga, anche il file originale in formato .doc, .docx o .pdf. Si fa presente che è comunque obbligatorio l’invio delle tre copie cartacee.

Specifiche per la partecipazione con antologie e opere di AA.VV.

Si partecipa con un’antologia poetica (di qualsiasi tipo e composizione, tranne le antologie dei premi letterari) pubblicata con una casa editrice o auto-prodotta dotata di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore principale, dal curatore, dall’editore o da uno degli autori inseriti. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e, qualora ne disponga, anche il file digitale in formato .doc, .docx, .pdf. Si fa presente che è comunque obbligatorio l’invio delle tre copie cartacee. Qualora il partecipante sia uno degli autori inseriti e non il curatore dell’antologia, il partecipante dovrà informare previamente della sua volontà di partecipare al premio il curatore del volume e dovrà tenerlo aggiornato sull’andamento del concorso e l’esito. Il partecipante sarà l’unico responsabile in materia di comunicazioni con il curatore dell’antologia per tutte le fasi relative del Premio, non potendo il curatore/editore nulla imputare all’organizzazione del Premio.

SEZIONE G – HAIKUSi partecipa con un massimo di tre haiku (5-7-5 sillabe) in lingua italiana in forma anonima.

SEZIONE H – VIDEO-POESIASi partecipa con una video-poesia che dovrà essere inviata solo con una delle due possibilità: 1) caricandola sul sito online YouTube e fornendo nella mail di partecipazione il link del video. In questo caso l’utente non deve assolutamente apportare modifiche al video né cambi di URL per tutta la durata di svolgimento del premio, pena la squalifica; 2) allegando il video (soli formati .avi, .mp4, .wmv) mediante il sito di trasferimento dati gratuito WeTransfer. Non verranno considerati validi altri sistemi di trasmissione delle opere. Non dovranno essere mandati video nei quali siano impiegate canzoni, basi e melodie d’accompagnamento che siano brani tutelati/iscritti alla SIAE. Nella scheda di partecipazione l’autore deve dichiarare di avere utilizzato per la produzione del video materiali (foto, video, musiche) propri o di dominio pubblico o, laddove siano opere di terzi, di aver ottenuto le necessarie liberatorie per l’utilizzo, sollevando l’Associazione Culturale Euterpe da qualsivoglia responsabilità.

SEZIONE I – CRITICA LETTERARIASi partecipa con una recensione, o un testo critico o un’analisi dell’opera, o un approfondimento, o un articolo, o un saggio letterario su un’opera poetica classica o contemporanea della letteratura italiana o straniera (comprensiva su autori esordienti) in forma anonima. Si potranno inviare anche note di lettura, prefazioni, postfazioni e note critiche all’interno di un volume (in questo caso esso dovrà essere corredato dei dati bibliografici) e recensioni. L’opera potrà focalizzarsi sull’analisi di una singola poesia o di più testi, di una silloge, di un libro o più, o dell’intera produzione poetica di un dato autore. Tale testo non dovrà superare le quattro cartelle editoriali pari a 7.200 battute complessive (spazi compresi), senza conteggiare il titolo, le eventuali note a piè di pagina e la bibliografia (consigliata).

Sezione L – LIBRO EDITO DI SAGGISTICA SULLA POESIA: Si partecipa con un solo libro di saggistica / critica letteraria (saggio, volume critico, approfondimento, monografia, tesi di laurea pubblicata) su qualsiasi aspetto relativo alla poesia, sia locale, nazionale che internazionale, pubblicato con una casa editrice o auto-prodotto dotato di codice identificativo ISBN. La partecipazione può essere inoltrata dall’autore, dal curatore del volume e dall’editore. In caso di vittoria il premiato verrà comunque considerato l’autore del volume. Il partecipante deve inviare tre copie cartacee del libro e, qualora ne disponga, anche il file originale in formato .doc, .docx o .pdf. Si fa presente che è comunque obbligatorio l’invio delle tre copie cartacee.

Art. 8 – CONTRIBUTO:

Per prendere parte al Premio è richiesto un contributo di € 10,00 a sezione a copertura delle spese organizzative. È possibile partecipare a più sezioni corrispondendo il relativo contributo. Gli associati dell’Associazione Culturale Euterpe regolarmente iscritti all’anno di riferimento (2020) hanno diritto a uno sconto del contributo pari al 50% per sezione.

Bollettino postaleCC n° 1032645697

Intestazione: Ass. Culturale Euterpe – Jesi – Causale: IX Premio di Poesia “L’arte in versi”

Bonifico bancarioIBAN: IT31H0760102600001032645697

BIC / SWIFT: BPPIITRRXXX (per pagamenti dall’Estero)

Intestazione: Ass. Culturale Euterpe – Jesi – Causale: IX Premio di Poesia “L’arte in versi”

Contantinel caso si invii il materiale per posta tradizionale, la quota di partecipazione potrà essere inserita in contanti, ben occultata all’interno del plico.

Art. 9 – SCADENZA E INVIO

La scadenza di invio dei materiali (opere, scheda di iscrizione compilata e ricevuta del contributo versato) è fissata al 30 settembre 2020. I materiali dovranno pervenire in forma digitale (per le opere esclusivamente in formato .doc; per gli altri materiali anche in formato .pdf o .jpg) alla mail premiodipoesialarteinversi@gmail.com indicando come oggetto “IX Premio di Poesia “L’arte in versi” – 2020”. In alternativa, l’invio può avvenire in formato cartaceo; in questo caso fa fede la data di spedizione. Il plico dovrà essere inoltrato a:

IX Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”

Associazione Culturale “Euterpe”

c/o Dott. Lorenzo Spurio

Via Toscana n°3

60035 – Jesi (Ancona)

Le sezioni F (Libro Edito di Poesia), H (Video-Poesia) e L (Libro Edito di Saggistica) prevedono modi diversi di invio delle proprie opere. Per prendere visione delle modalità, si rimanda al precedente art. 7 del bando.

 

Art. 10 – ELABORATI

Le opere a concorso non verranno in nessun modo riconsegnate. Per quanto concerne le sezioni F (Libro edito di poesia) e L (Libro edito di saggistica) le copie dei volumi partecipanti verranno donate alla Biblioteca del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna e ad altre biblioteche. Una copia rimarrà nell’Archivio dell’Associazione Culturale Euterpe.

Art. 11 – MOTIVI DI ESCLUSIONE DELLA PROPRIA OPERA

Saranno esclusi dalla Segreteria le partecipazioni che non saranno considerate conformi al bando ovvero le opere che:

a)      riportano nome, cognome, soprannome dell’autore, il motto o altri segni di riconoscimento o di possibile attribuzione dell’opera (con eccezione delle sezioni F,H,L).

b)      sono risultate vincitori di un 1°, 2° o 3° premio in un precedente concorso;

c)      appartengono ad autori che hanno vinto il 1° premio assoluto nella medesima sezione nella precedente edizione del Premio;

d)      appartengano ad autori che sono stati premiati con Premi Speciali “Alla Carriera” e “Alla Cultura” in precedenti edizioni del Premio.

e)      presentano elementi razzisti, xenofobi, denigratori, pornografici, blasfemi, di offesa alla morale e al senso civico, d’incitamento all’odio, alla violenza e alla discriminazione di ciascun tipo o che fungano da proclami ideologici, partitici e politici;

f)       appartengono ai soci fondatori e onorari dell’Associazione Culturale Euterpe; ai Presidenti di Giuria attivi o passati del presente premio; ai Presidenti delle Associazioni che collaborano esternamente;

g)      sono giunte prive della scheda dei dati personali e/o del contributo di partecipazione e/o dei testi con i quali s’intende partecipare, e/o con la scheda di partecipazione illeggibile e/o non completata in ogni campo, e/o con modalità non conformi a quanto richiesto dal bando, e/o oltre i termini di scadenza.

Art. 12 – COMMISSIONE DI GIURIA

Le Commissioni di Giuria, differenziate per le varie sezioni, sono costituite da poeti, scrittori, critici letterari, giornalisti ed esponenti del mondo culturale e letterario: Cinzia Baldazzi, Stefano Baldinu, Fabia Binci, Stefano Caranti, Valtero Curzi, Mario De Rosa, Cinzia Demi, Fabio Grimaldi, Giuseppe Guidolin, Francesca Innocenzi, Antonio Maddamma, Emanuele Marcuccio, Francesco Martillotto, Vincenzo Monfregola, Morena Oro, Alessandro Ramberti, Antonio Sacco, Rita Stanzione e Michela Zanarella. La Giuria è presieduta da Michela Zanarella. Il giudizio della Giuria è definitivo e insindacabile.

Art. 13 – PREMI

Per ciascuna sezione saranno assegnati tre premi da podio: 1° Premio: targa placcata in oro 24 kt, diploma, motivazione della giuria e tessera socio ordinario Ass. Culturale Euterpe anno 2021; 2°/ 3° Premio: targa, diploma e motivazione. La Giuria attribuirà il Premio del Presidente di Giuria, il Premio della Critica, il Trofeo “Euterpe”, il Premio “Picus Poeticum” (alla migliore opera di un autore marchigiano), il Premio ASAS (alla migliore opera in siciliano), il Premio “Le Ragunanze” (alla migliore opera sulla natura), il Premio “L’Oceano nell’Anima” (alla migliore opera con ambientazione classica), il Premio “Arte per Amore” (alla migliore opera a tema amoroso), il Premio “Il Faro” (alla migliore opera sul mare), il Premio “Africa Solidarietà” (alla migliore opera sul multiculturalismo), il Premio “Poesia & Solidarietà” (alla migliore opera sulla legalità e solidarietà). Fuori concorso verranno assegnati i Premi Speciali “Alla Memoria”, “Alla Cultura” e “Alla Carriera” a insigni poeti del nostro Paese.

La Giuria potrà proporre ulteriori premi, indicati quali “Menzione d’onore”, ad altrettante opere meritorie non rientrate nei premi da podio.

Nel caso in cui non sarà pervenuta una quantità di testi numericamente congrua o qualitativamente significativa per una sezione, l’organizzazione si riserva di non attribuire determinati premi.

Tutte le opere risultate vincitrici a vario titolo verranno pubblicate nell’antologia del Premio, disponibile gratuitamente il giorno della premiazione.

Art. 14 – RESPONSO

Il responso della Giuria sarà inviato per e-mail a tutti i partecipanti. A tutti i partecipanti verrà inviato il verbale di Giuria a mezzo e-mail. Esso verrà pubblicato sul sito dell’Associazione Culturale Euterpe (www.associazioneeuterpe.com) e sui siti www.literary.it e www.concorsiletterari.it I risultati e i testi vincitori della sezione haiku saranno pubblicati sul portale “Alman Haiku” – Annuario Italiano degli Haiku Premiati all’indirizzo www.almanhaiku.blog Non si darà seguito a richieste in merito a posizionamenti e punteggi ottenuti, analisi estetico-valutative né a commenti critici sulle proprie opere presentate.

Art. 15 – PREMIAZIONE

La cerimonia di premiazione, qualora le condizioni sociali e le normative governative lo consentiranno, si terrà a Jesi (AN) nella primavera del 2021. A tutti i partecipanti verranno fornite con preavviso le informazioni inerenti alla data e al luogo di premiazione. I vincitori sono tenuti a presenziare alla cerimonia per ritirare il premio; qualora non possano intervenire hanno facoltà di inviare un delegato. In questo caso, la delega va annunciata a mezzo mail, all’attenzione del Presidente del Premio entro una settimana prima dalla cerimonia di premiazione all’indirizzo presidente.euterpe@gmail.com. Non sarà possibile delegare membri della Giuria. Non verranno considerate le deleghe annunciate in via informale a mezzo messaggistica privata di Social Networks né per via telefonica. I premi non ritirati personalmente né per delega potranno essere spediti a domicilio mediante Poste Italiane, previo pagamento delle relative spese di spedizione a carico dell’interessato, con eccezione dei premi rappresentati da targa oro 24kt che dovranno essere ritirati necessariamente dal vincitore o delegato il giorno dell’evento. In nessuna maniera si spedirà in contrassegno.

Art. 16 – PRIVACY

Ai sensi del D.Lgs 196/2003 e del Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali n°2016/679 (GDPR) il partecipante acconsente al trattamento, diffusione e utilizzazione dei dati personali da parte dell’Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN) che li utilizzerà per i fini inerenti al concorso in oggetto e per tutte le iniziative culturali e letterarie organizzate dalla stessa.

Art. 17 – ULTIME

Il presente bando di concorso consta di diciassette articoli compreso il presente. La partecipazione al concorso implica l’accettazione tacita e incondizionata di tutti gli articoli che lo compongono.

 

 

Dott. Lorenzo Spurio

Presidente del Premio

Presidente Ass. Euterpe

 

Dott.ssa Michela Zanarella

Presidente di Giuria

 

 

 

INFO:

www.associazioneeuterpe.com – ass.culturale.euterpe@gmail.com

PEC: ass.culturale.euterpe@pec.it

Tel. (+39) 327 5914963 – Anche Sms e WhatsApp

Segreteria del Premio: premiodipoesialarteinversi@gmail.com

 

 

 

SCHEDA DI PARTECIPAZIONE

La scheda si compone di 2 pagine. È fondamentale che sia compilata in ogni spazio, pena l’esclusione.

 

Nome/Cognome __________________________________________________________________

 

Nato/a a ____________________________________________ il__________________________

 

Residente in via __________________________________________________________________

 

Città _____________________________ Cap ___________________Provincia_______________

 

Tel. _______________________________________ E-mail _______________________________

 

Partecipo alla/e sezione/i:

 

 A  Poesia in italiano 

 

 B – Poesia in dialetto specificare dialetto: _________________________________________________)

 

 C – Poesia in Lingua Straniera specificare lingua: __________________________________________)

 

 D – Poesia religiosa

 

 E – Prosa poetica

 

 F – Libro edito di poesia

 

 G – Haiku

 

 H – Video-poesia

 

 I – Critica Letteraria

 

 L – Libro edito di saggistica

 

Per le sezioni A, B, C, D, E, G, H, I indicare il titolo delle opere, specificando vicino se sono EDITE o INEDITE e, nel caso di EDITE, dove sono precedentemente comparse.

Per le sezioni F, L specificare il titolo del libro, casa editrice e anno.

Per la sezione G, essendo gli haiku privi di titolo, non dovrà essere indicato niente.

Per la sezione H specificare il titolo della video-poesia e di eventuali nomi di regista, musiche e voce recitante. Musiche, canzoni, brani usati non devono essere iscritti/tutelati dalla SIAE.

 

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 Data_____________________________________ Firma ___________________________________

L’autore è iscritto/ tutelato dalla SIAE?                                Sì                  No

 

I testi presentati al concorso sono depositati alla SIAE?      Sì                  No

 

Se Sì indicare quali testi ______________________________________________________________

 

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“Morte a Milano – Ernest” di Antonio G. D’Errico – Prefazione di Michela Zanarella

Prefazione di MICHELA ZANARELLA

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Lo sviluppo del genere noir è fluttuante, così come si evidenzia nel romanzo di Antonio G. D’Errico, e ancora oggi per i suoi scenari cupi e pessimisti ha i suoi adepti. Il noir tratta la realtà senza tante illusioni di salvezza o miglioramento, dove il male si è impossessato di insospettabili uomini. Le ambiguità delle situazioni sociali suggeriscono il ricorso alla psicoanalisi. Questi complessi fattori rappresentano, in nuce, il lato oscuro del comportamento umano. L’universo del noir è rappresentato per lo più da uomini soli che vagano spinti da motivazioni sconosciute, che risiedono nel profondo del loro passato abusato e travagliato. Sono personaggi spesso rudi, malinconici, che percorrono itinerari cittadini, dove non c’è possibilità di salvezza in una società ostile e internamente malata. Antonio G. D’Errico è uno scrittore di talento che sa muoversi bene in più generi letterari. ‘Ernest. Morte a Milano’ è un noir di qualità, scritto con un linguaggio moderno, avvincente, dallo stile originale e interessante. La trama parte dalla traduzione di un manoscritto di Monnais, già edito in Francia, che l’editore italiano vorrebbe far conoscere ai suoi lettori. Il romanzo si apre sul dialogo tra lui ed un suo collaboratore, al quale chiede con insistenza a che punto sia la traduzione del libro. Il traduttore, preso dalla rabbia e dall’inquietudine per quel comando a sbrigarsi nel lavoro, presenta il protagonista della storia di Monnais: Ernest, un giovane rimasto orfano della madre, mandato dal padre a vivere con gli zii. Qui non voglio svelare alcun altro passo ai lettori. Pagina dopo pagina ci si accorgerà comunque dei disagi psicologici esistenziali, tra cui realtà o fantasie erotiche subite per troppo tempo taciute, sdoppiamenti, riflessi.  Il traduttore, andando avanti nel suo lavoro, presuppone che Monnais cerchi di alleggerire il peso della vergogna, assegnandone una parte a un altro personaggio, la zia, colpevole di un lungo silenzio. Si interroga sulle soluzioni narrative dell’autore francese. Domande e risposte saranno opera dei lettori di questo avvincente noir. Su tutto dominano i bagliori di ombre oscure di Henry James in ‘Ritratto di signora”. Sembra quasi che le esistenze dei personaggi confluiscano in un unicum narrativo dove D’Errico ha la chiave della soluzione. L’autore è abile nel proporre il mistero, suscitando curiosità. Crimini, avvicendamenti, omissioni, omicidi, da chi sono compiuti? In un alternarsi di identità, tra realtà e mistero, si snoda tutta la vicenda che rende particolarmente intrigante il libro di Antonio G. D’Errico, ambientato nella nordica città scaligera. L’autore è riuscito a costruire un noir che ha tutte le caratteristiche tipiche del genere: esiste un assassino, c’è un’indagine, gli indizi e le ipotesi sembrano casuali, ma non è così, nasce una sfida per scoprire il perché, si va alla ricerca di una verità tra vendette e rancori. Si susseguono emozioni e sentimenti contrastanti. Si racconta di violenza, abusi, amore, abbandoni, possessione, nostalgia, gelosia, disagi psicologici e follia: le molteplici fragilità umane. Con un’analisi quanto mai lucida e attenta della società, D’Errico ci proietta in una dimensione in cui finzione e realtà si intersecano e si sovrappongono in un interscambio emotivo: si entra in un labirinto di pensieri e ci si trova a dover scostare il buio, a farlo affiorare per poi poterlo affrontare. La scrittura è matura, consapevole, molto visiva e cinematografica, non ci sono mai tentennamenti narrativi o eccessive forzature e pesantezze linguistiche. Tutto scorre fluido, mentre la suspence cresce scena dopo scena. Si delinea il ritratto di un uomo smarrito e svuotato della sua identità, che non si fida di nessuno, nemmeno di se stesso. Il protagonista incarna l’uomo di oggi senza certezze, vive nel dubbio, crede di saper amare e si aggrappa alla sete di vendetta, pensando che sia l’unica soluzione per risollevare le sorti dell’umanità. Sulla scia di Raymond Chandler, altro maestro moderno del noir, ci troviamo in questo romanzo a scandagliare la psiche, ad affrontarne i limiti, a conoscere la paura, accettandone le contraddizioni. Solo andando oltre le cose e vivendo si può riuscire a trovare il giusto equilibrio. D’Errico ci accompagna in un viaggio dell’anima, dove l’unica soluzione per il lettore è arrivare alla fine.

 

SINOSSI DEL LIBRO

Dino Lenza, traduttore di romanzi gialli, è alle prese con l’ultimo lavoro dello scrittore francese Jean Baptiste Monnais, dal titolo “La morte di uno sconosciuto”. Il protagonista è il giovane Ernest, che è stato vittima da bambino di ripetute violenze sessuali da parte dello zio. Lenza resta scosso da quelle descrizioni, rivivendo le angosce del personaggio, immedesimandosi nei suoi stati d’animo. Trova anche nei tratti somatici del protagonista una certa somiglianza coi suoi. Viene colto da un moto intimo di rabbia, come non si era mai manifestato prima.

Elimina completamente dalla traduzione le pagine scritte dell’autore francese e inizia la scrittura del suo giallo. I toni si fanno aspri e cruenti, il cinismo e la follia omicida non lasciano più uno spiraglio per il perdono. Il commissario incaricato delle indagini, pur nutrendo forti sospetti su tutti quegli omicidi, non riesce a trovare una spiegazione efficace per evitarli.

Una figura di rilievo della narrazione è la zia del giovane traduttore, pittrice famosa e donna di grande bellezza. Il rapporto tra i due lascia intravvedere un’ossessione seduttiva reciproca.

 

L’AUTORE

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Antonio G. D’Errico, poeta, scrittore e sceneggiatore. Premio Grinzane Pavese, nel 1998 e nel 2000. Ha scritto numerosi testi di argomento musicale. Nel 2011 pubblica per Rizzoli la biografia di Eugenio Finardi, Spostare l’orizzonte, scritta insieme al cantautore milanese e, nel 2015, esce presso Mondadori con la biografia di Pino Daniele, Je sto vicino a te, scritta insieme a Nello Daniele, fratello di Pino. Il suo esordio nella letteratura di genere noir gli vede assegnare il terzo posto dalla giuria dei lettori al “Premio Scerbanenco, Courmayeur noir in festival”, con l’opera per ragazzi Il Discepolo, ispirato ai fatti di cronaca legati alla sette sataniche. Successivamente dà alle stampe l’originale thriller sul mondo della scuola, La governante Tilde. Con Morte a Milanoritorna al noir tematico di genere, dopo aver pubblicato da poco per Controluna edizioni la delicatissima silloge poetica dal titolo Amori trovati per strada (Luglio 2018).

 

L’autrice della prefazione acconsente alla pubblicazione su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi pretesa o problematica possa nascere a seguito di riproduzioni e diffusioni non autorizzate, ricadendo sull’autore dello stesso ciascun tipo di responsabilità.

“Piangendo Mawawil” di Malek Saleh, con un commento di Michela Zanarella

“Moaning Mawawil” di MALEK SALEH

 

For too long stayed the night of agony

With the scream of distance

it stormed me

And with the tear of bereavement

it flogged me

Your love  is getting so painful to me

Its perfume got me tired

Once I  smell it , I get along with me

Search for me

And burst into grief

Exactly like a funeral my life has become

since the time  the light of your sun set.

I will waive me

Take me to you so as to be you

The satan of abandonment will never deceive me

Every time it  seduces me into the subtitute sin

the angels of love wave to me with you

Oh you !! who escaped from the castle of my fortress

Come on!

Dance on the stage of my chest

So that the mawawil of my moaning will be silent.

 

Piangendo Mawawil

Traduzione di Claudia Piccinno

Troppo tempo durò la notte di dolore
e l’urlo della distanza
mi prese d’assalto
E con la lacrima del lutto
mi fustigò.
Il tuo amore  sta diventando così doloroso per me
Il suo profumo mi ha stancato
Una volta  avvertito l’odore, vado d’accordo con me stesso.

Mi cerco
E scoppio a piangere
Esattamente come un funerale è diventata la mia vita
dal momento in cui la luce del tuo sole è tramontata.
Rinuncerò a me
Portami da te perché io sia te stesso
Il satana dell’abbandono non mi ingannerà mai
Ogni volta mi seduce nel peccato sottotitolato
gli angeli dell’amore mi salutano con te
Oh tu !! che sei fuggito dal castello della mia fortezza
Dai!

Danza sul palco del mio petto

Così che il gemito del mio Mawawil

Sarà silenzioso.

 

Commento di Michela Zanarella

Un canto di sofferenza e disperazione dove la poesia diventa esigenza per liberare tutto il dolore racchiuso nel cuore. La distanza, le lacrime, il lutto, sono le parole chiave che ci accompagnano a vedere e a percepire la dimensione ‘tormentata’ che vive il poeta, per la perdita di chi ama. In questo caso dobbiamo però fare una precisazione: il testo in inglese ha una sua musicalità ed intensità, la traduzione in italiano, pur essendo in linea con il contenuto della lingua originale, presenta giustamente un ritmo diverso. Malek Saleh ha comunque uno stile riconoscibile, nelle sue poesie mantiene un codice espressivo di semplicità, che gli consente di arrivare al lettore.

 

L’autore

malek.jpgMalek Saleh è un poeta, nato in provincia di Maysan, nel sud dell’Iraq. Ha vinto numerosi premi nel campo della poesia. E’ membro dell’ Organizzazione Internazionale della cultura araba in Finlandia. Ha ottenuto il primo posto nel “Concorso Lega araba”. Ha partecipato a numerosi festival di poesia, è tradotto in diverse lingue.

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