La Maratona #igrandidialoghinelweb, con il logo della famosa fotografia degli Angeli sul Tevere (a sinistra) del compianto fotografo d’arte Giulio Bianca, nasce nell’autunno del 2020.
Anna Manna, l’ideatrice dei Grandi Dialoghi nel web, così descrive l’avvio del progetto: “All’inizio della seconda ondata di pandemia! Dopo la prima ondata che ci unì in un caloroso abbraccio in famiglia, la solitudine vinta anche grazie ai dialoghi quotidiani con gli amici di Facebook, mi resi conto che non si parlava più dei grandi temi letterari o sociali ed anche esistenziali. Addio ai convegni, addio agli incontri letterari, addio alle presentazioni dei libri, restavamo per ore su Facebook a parlare di cucina, di paure, di ansie! Casalinghi ed angosciati! Allora, tra il fiorire di tante Maratone simpatiche e leggiadre, ho lanciato un gruppo particolare: “I Poeti dei grandi dialoghi nel web!”.
Per sentirci meno soli nell’anima e nel cuore, per raccontarci la nostra volontà di continuare sulla strada della letterartura senza rinchiuderci in noi stessi. Prigionieri di una casa e di un cuore che avevano perso il contatto con l’esterno. Per la mia attività culturale ormai trentennale in mezzo ad artisti, poeti, scrittori, saggisti, mi è stato facile creare una prestigiosa ghirlanda di poeti, affermati e famosi, ma anche di poeti ed artisti bravi ma sconosciuti che soltanto i nuovi mezzi di comunicazione hanno permesso di far conoscere a molti amanti della letteratura.
Confronto e scambio culturale tra la grande letteratura ed il poeta magari di provincia, tra la grande città ed i piccoli centri. In un dialogo che azzera le distanze ed arricchisce. La risposta su Facebook è stata, direi, clamorosa! Moltissime le adesioni, tante tante poesie per scandagliare i Grandi Temi che via via ho proposto!”.
Sta forse nascendo allora la risposta al clima tradizionale che circonda ormai tanti eventi letterari? Il tanto deprecato uso di internet puo’ rinnovare, avvicinare, accendere le energie vitali che percorrono gli intellettuali più moderni? Chissà, staremo a vedere. Certo i fascicoli ormai famosi de Le rosse pergamene inviati a Papa Francesco e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dai poeti delle maratone poetiche nel web, ideate e organizzate personalmente con impegno quotidiano della poetessa Anna Manna, occupano un posto che risalta nelle iniziative con taglio originale e moderno.
Il premio è dedicato alla poetessa Jole Chessa Olivares, a un anno dalla sua scomparsa. Proprio lei fu la prima poetessa premiata in questo ambito nel 2020. La cerimonia di premiazione si svolse nel 2021 interamente su Facebook con tre giorni dedicati all’analisi della sua poesia.
Quest’anno il Premio, originale e con una metodologia che si sviluppa nei mesi, verrà illustrato in autunno durante la Cerimonia di premiazione dei Superpremi con il “Trofeo degli angeli dialoganti”.Saranno premiati anche i vincitori della Sezione Premio #igrandidialoghinelweb.
I Superpremi vengono assegnati all’artista, nel suo complesso, alla personalità artistica che ha espresso con la sua arte il valore del dialogo. I premiati de #IGRANDIDIALOGHINELWEB, invece, vengono applauditi per l’opera di diffusione della propria poesia su Facebook.
L’ultima Sezione s’intitola “Vieni a dialogare con noi”. Vuol essere un invito a entrare nel mondo di Facebook atteraverso il dialogo ad una personalità artistica di grande rilievo che ancora resiste ai nuovi mezzi di comunicazione.
L’ideatrice di questo interessantissimo progetto culturale è Anna Manna, poetessa, scrittrice e vivace cultural promoter. Il critico marchigiano Lorenzo Spurio così ha parlato di questo progetto della Manna nel conferimento del Premio Speciale “Alla Cultura” in seno alla X edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi (AN) nel 2022: «Anna Manna è donna della tradizione ma anche dell’innovazione. Si pensi ai suoi frequentatissimi progetti lanciati sul web con l’hashtag “I dialoghi del web”, momenti di partecipazione e di senso d’unità anche negli asfittici e drammatici periodi del distanziamento, della reclusione in casa, dell’impossibilità di un contatto fisico dell’era Covid. La Manna rappresenta l’esempio di un intellettuale che apprezza e difende il passato, lo conosce e lo propone, ma che sa interfacciarsi con competenza ed efficacia con le nuove sfide, adoperando i nuovi linguaggi. Per il fatto di concepire il mondo culturale tanto quale reale ecclesia (di una comunità di scambio, partecipazione, crescita permanente e responsabilità verso se stessi, gli altri e il mondo (quanto di ragunanza letteraria, di cenacolo ludico-culturale all’aria aperta, informale, una sorta di convivio pastorale, privo dei fronzoli e della serietà dell’Accademia), sulle tracce di Cristina di Svezia da lei approfondita (in una pubblicazione di stampo teatrale), Le conferiamo il nostro Premio Speciale “Alla Cultura” in questa edizione del Premio”.
La cerimonia di premiazione del Premio della Manna avrà luogo in autunno a Roma in sede prestigiosa. I vincitori sono stati annunciati in questo periodo e vengono riportati a continuazione:
SUPERPREMIO “TROFEO ANGELI DIALOGANTI”
POESIA – CORRADO CALABRÒ
Motivazione: Per la poesia vissuta come dialogo: la natura, la figura femminile, la scienza, il cosmo. Attraverso l’innamoramento dell’alter, l’ironia nello scandaglio dell’uomo nella sua avventura terrestre, l’approfondimento culturale di ogni aspetto od oggetto e soggetto di poesia. Poesia raffinata e colta ma immediata, sincera, palpitante di vita, mai appesantita dal bagaglio culturale tradizionale o dal contatto con i nuovi linguaggi ma, al contrario, arricchita da questi due aspetti.
NARRATIVA – MARIO NARDUCCI
Motivazione: Per il costante dialogo con la propria città svelandone gli aspetti più nascosti, i ricordi più commoventi, le usanze, le tradizioni in una scrittura che accoglie il lettore come l’abbraccio degli antichi avi e diventa mitico racconto di un tempo che non c’è più. Grande successo nel web delle sue novelle che lo scrittore diffonde con grande pazienza e nel quotidiano trascorrere dei ricordi. Un omaggio all’artista ma anche un omaggio del Premio “I grandi dialoghi” alla città dell’Aquila, capitale della Cultura Italiana 2026.
GIORNALISMO – GOFFREDO PALMERINI
Motivazione: Lo sguardo sulla tenace avventura degli italiani nel mondo dell’arte e della cultura in genere, ieri e oggi, ma soprattutto la storia dell’importante grande dialogo tra gli italiani all’estero e il mondo esterno. Tra il reportage giornalistico e il racconto narrativo, Palmerini rivela le difficoltà, la battaglia quotidiana, le piccole e grandi vittorie dei figli della nostra amata Italia, che hanno dovuto abbandonare la loro terra d’origine alla ricerca del proprio posto nel mondo. Palmerini ha occhi e cuore per le piccole storie e le grandi affermazioni artistiche come quella indimenticabile di Mario Fratti. Nel suo ultimo libro, Così ti racconto, è evidenziato l’intento narrativo e dialogante di Palmerini che apre nuove e interessanti ipotesi di lavoro giornalistico e non solo.
CRITICA LETTERARIA – SIMONE GAMBACORTA
Motivazione: Per il costante, attento, partecipe dialogo tra critico letterario e autori nell’attenzione all’opera e alla personalità di chi scrive. In un moderno approccio globale all’evento letterario, sia come espressione personale dell’autore, sia come manifestazione di espressione sociale.
SAGGISTICA – NERIA DE GIOVANNI
Motivazione:Per il dialogo tra la donna e la cultura europea.
PITTURA – GINA MARZIALE
Motivazione: Per il dialogo continuo e penetrante con il proprio inconscio attraverso l’arte pittorica.
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Per la SEZIONE PREMIO#IGRANDIDIALOGHINELWEB i vincitori vengono premiati per l’opera di diffusione della poesia su Facebook.
CLARA DI STEFANO – Poetessa dell’amore come dialogo e scambio sincero di sentimenti, diffonde su Facebook i suoi canti d’amore di grande sensibilità e incanto.
MARIA RITA MAGNANTE – Poesia raffinata, spesso con richiami ai poeti del passato, anzi a volte la poetessa si rivolge direttamente ai poeti scomparsi in una dimensione temporale che supera ogni limite di tempo e di spazio. La poetessa diffonde su Facebook il dialogo poetico per eccellenza.
MARIA FEDERICA VALENTINI – Per la partecipazione alla maratona di poesie per Venezia con la poesia più votata.
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SEZIONE “VIENI A DIALOGARE CON NOI”
VINCITRICE è ANNA MARIA GIANCARLI
Nota: Questo articolo è stato preparato a partire dall’articolo-comunicato stilato da Alessandro Clementi, già diffuso in alcuni spazi di cultura online.
La grande notorietà di Federico García Lorca (1898-1936) e della sua opera nel nostro Paese è testimoniata non solo da una prolifica attività critica e da continue riedizioni – anche commentate – della sua opera, ma anche da alcuni esperimenti di lettura di diverso tipo, che meritano adeguato rispetto e approfondimento. Mi riferisco – in relazione a quel suo carattere di poeta terrigno eppure universale – alla sua grande capacità di saper parlare e raggiungere popoli, gruppi umani, linguistici diversi, al pathos che trasmise nelle sue produzioni che i traduttori – non senza difficoltà – hanno cercato di rendere in idiomi altri rispetto allo spagnolo nativo del Poeta. È il caso anche dell’esigenza di percorrere la sua opera lirica in lingue dalla diffusione più limitata, localizzate in specifici ambienti di provincia, vale a dire i dialetti.
Non sono mancate, infatti, iniziative di cultori di dialetto che sono andate in questa direzione: non tanto quella del recupero della tradizione poetico-culturale oriunda, tra reminiscenze di età andate e grumi di nostalgia ma, piuttosto, quello di riconnettersi alla tradizione alta, colta, riallacciandosi a opere e autori di altre età, di altri contesti e “prenderle in prestito”, in qualche maniera, per “farle proprie” ma in maniera originale. Si tratta di un procedimento alquanto curioso, che nella maggior parte dei casi non ha visto esiti di particolare altezza, ma che ha, comunque, evidenziato una questione rilevante: la necessità dell’uomo contemporaneo – dello studioso attento – di saper interloquire anche con ciò che costituzionalmente non gli appartiene in forma nativa e identitaria.
La traduzione, questo “versare”, “porre a lato”, diviene, dunque, un qualcosa di fondamentale. Il tradurre da lingua a lingua lo è per ovvi motivi che qui risulta superfluo richiamare e che attengono principalmente alla possibilità di conoscere, apprendere, apprezzare e introiettare nel proprio panorama di ricchezze nozionistiche un sapere in una lingua estranea dalla nostra e, pertanto, se non intervenisse un medium a facilitarci la comprensione di quel testo, reso – adattato, trasposto, versato – nella nostra lingua, saremmo irrimediabilmente esposti a una perdita gravosa di conoscenze.
Il tradurre da lingua a dialetto è qualcosa di diverso poiché quest’ultimo non aspira a una diffusione capillare nel contesto nazionale e negli usi della lingua – da quelli formali e istituzionali a quelli pratici e d’uso comune della propria familiarità – dacché, per portare un esempio, tradurre i Sonetti di Shakespeare in napoletano non direttamente apporta per i parlanti del napoletano (né, di converso, per gli italiani tutti) una conoscenza superiore o inedita rispetto al bagaglio di conoscenze già in dotazione dell’italiano, dacché le liriche del Bardo sono già ben note in italiano, che è la versione primaria nella quale sono state trasposte nel nostro Paese dal loro originale.
Va da sé che, essendo un procedimento non automatico ma condotto dall’uomo dietro perizia di lettura, studio, attenzione e conoscenza delle due culture (quella dalla quale si parte e quella alla quale si giunge) e dunque un “trasferimento”, non può esistere un’unica versione concepita come giusta, completa, unanimamente accettabile di un’opera né, per le stesse ragioni, superiore rispetto a un’altra (con i distinguo di competenza e rispondenza all’originale di cui si diceva).
Avvicinandoci al caso di Federico García Lorca tradotto nel nostro Paese in lingue e varianti dialettali d’uso che non siano la lingua italiana (eliminando chiaramente il tedesco del Sud Tirol, il catalano di Alghero, il francese della Valle d’Aosta) ho reperito alcune informazioni che mi sembrano utili, sebbene approssimative, dal momento che la ricerca è stata breve e non può considerarsi esaustiva né particolarmente soddisfacente. Valga, comunque, come “anticipo” di un possibile discorso da riprendere e approfondire, quale tesi propedeutica a uno studio investigativo più allargato.
Veniamo al caso di Federico García Lorca, l’“andaluso universale” come ebbe a definirlo Carlo Bo, all’interno della grande vastità di dialetti del Belpaese. Alcuni anni fa Piero Marelli e Maurizio Noris hanno compilato un’antologia di poeti dialettali traduttori dal titolo Con la stessa voce (Lieto Colle, 2015) nella quale compaiono autori della classicità europea tradotti in altrettanti dialetti regionali o locali del nostro Paese. A fianco di Lee Masters, Shakespeare, Leopardi e Robert Burns, vi figura – doverosamente – anche García Lorca, tradotto in bergamasco dallo stesso Noris[1] ma anche in barese da Vincenzo Mastropirro[2]. Si vedano degli esempi:
I
Lorca:
Muerto se quedó en la calle
con un puñal en el pecho.
No lo conocía nadie.
¡Cómo temblaba el farol!
Madre.
¡Cómo temblaba el farolito
de la calle!
[prime due strofe della poesia “Sorpresa” estratta da Poema del Cante Jondo, 1921]
Noris:
Mòrt l’è restàt lè ‘n de strada
con d’o pognal in del pèt.
Negut l’lo conussìa.
Come tremàa ol lampiù!
Màder.
Come l’tremàa ol lampiunsì
de la strada!
*
II
Lorca:
Cuando yo me muera,
enterradme con mi guitarra
bajo la arena
[prima strofa della poesia “Memento” estratta da Poema del Cante Jondo, 1921]
Mastropirro:
Quanne Criste me chiòme,
prequàteme cu la chetàrra maje
sotta tièrre
Sebastiano Burgaretta[3], studioso di tradizioni popolari e cultore locale nato ad Avola (SR) nel 1946 ha llevado a cabo – ha portato avanti – una traduzione in siciliano di un’opera teatrale di Lorca ovvero La casa de Bernarda Alba, pièce conclusiva della nota trilogia drammatica che l’autore, a causa dell’assassinio nel 1936, non poté mai vedere rappresentata né stampata su carta. Burgaretta, che ha anche curato il relativo adattamento teatrale dell’opera, ha pubblicato il suo volume tradotto in siciliano con i tipi di Algra Editore di Zafferana Etnea (CT) nel gennaio 2015. Giuseppe Di Stefano in una nota critica sull’opera di Burgaretta ha osservato: «Il lettore ha così un anticipo immediato, seppur succinto, di quanto calzante sia stata l’iniziativa di tradurre in un siciliano autentico e duro lo spagnolo di un’opera che mette in scena quel che abbiamo sentito o anche visto accadere, e non tanto di rado, in più di una casa dei nostri paesi fino a non molte decine di anni fa; quel che in tempi andati abbiamo raccontato e commentato in piazza, al circolo, al caffè, o ci è stato raccontato, usando il medesimo linguaggio che fu nostro e che era dei nostri padri, zii, nonne, donne di casa, ad Avola o a Fuente Vaqueros fa lo stesso».
Ed è proprio il siciliano che ha dato grande eco all’opera dell’autore di Romancero gitano se pensiamo che il grande poeta Salvatore Camilleri (1921-2021) con Tringale Editore di Catania nel 1983 pubblicò 70 Poesie dove raccolse alcune delle più impressive poesie di Lorca in versione siciliana[4]. Così scrive nella prefazione: «Federico m’insegnava a trarre ispirazione dal folclore, senz’essere folcloristico […] ma era un maestro difficile, quasi impalpabile, che chiedeva totale devozione e tensione continua; un maestro le cui emozioni folgoranti dovevano essere percepite senza nessuna mediazione, per magie, risolvendosi in banalizzazione ogni tentativo di dare significato all’immagine o alla metafora. […] Nessuno procede da solo, né nella vita, né nei sentieri della poesia; né mai poeta ha percorso la strada senza avere a fianco altri compagni di viaggio, altri poeti, senza ricevere e senza dare a quelli che vengono dopo»[5].
Altra manifestazione interessante è quella di Rosario Loria (nato a Poggioreale, nel Trapanese, nel 1938) – noto scrittore, poeta, commentatore attento delle vicende cronachistiche e culturali dei nostri tempi nonché ideatore del genere riverismo poetico – che nel suo dialetto locale, quello di Poggioreale con influssi della parlata di Menfi (AG) dove vive da varie decadi – ha tradotto la prima delle quattro parti – quella che in originale porta il sotto-titolo di “La cogida y la muerte” – del famoso Llanto por la muerte de Ignacio Sánchez Mejías. Lorca scrisse quest’opera nel 1934, sull’onda del lutto e dello scuotimento emotivo provato per la morte del celebre torero andaluso che nel 1934 sulla plaza de toros di Manzanares venne duramente attaccato dal toro Granadino e morì della fatale cornata.
Riportiamo a continuazione la versione tradotta di Loria (notare anche la bizzarra circostanza della quasi totale corrispondenza tra cognome dell’autore e del traduttore che si diversificano per una sola lettera: LorCa A Loria), con l’adozione del corsivo per i versi che trasmettono, in maniera anaforica, il terribile ritornello che preannuncia e dichiara, inveisce e proclama l’avvicinarsi, il concretizzarsi e il prodursi della morte del celebre matador:
Eranu li cincu di la sira, a ‘ttutti li ‘rròggiura !
Eranu li cincu, all’ummira di la sira…
Il poeta e noto giurista Corrado Calabrò sulle famose quartine lorchiane che compongono lo struggente Llanto (tradotto nella nostra lingua frequentemente come Lamento e più raramente con l’azzeccato Pianto) ebbe a porre l’attenzione sul senso d’incompiutezza (e dunque di formidabilità) di questo canto lirico: «Erano le cinque in punto della sera. Erano le cinque [in] tutti gli orologi. Venticinque volte Lorca ripete A las cinco de la tarde, alle cinque della sera nel suo Llanto por Ignacio Sánchez Mejías. Non lo fa certo per dirci l’ora. Ma se avesse detto: «Nel pomeriggio di oggi nella plaza de toros di Siviglia, il giovane e valente Ignacio Sánchez…» avrebbe fatto solo una cronaca da giornale locale. Lui dice invece Eran las cinco de la tarde; e niente come quelle parole che citano semplicemente l’ora segnata dall’orologio in quel momento, potenzialmente da tutti gli orologi in quel momento, ci dà il senso di come, in un istante, la nostra vita ci sfugga, ci sfugga per sempre, irreversibilmente. Sfugge al torero Ignacio, sfugge, prima o poi, a ognuno di noi, in un attimo. Il massimo della significazione con il minimo dell’espressione. Il non detto che scaturisce dal detto, da quello specifico detto; l’evocazione nell’udito interiore generata da un ascolto insostituibile e indeterminato ad un tempo. È questo che fa la poesia, la grande poesia. E la poesia di García Lorca è Grande. Agli inizi, la sua limitata acculturazione, suscitò dei dubbi sulla profondità di quella poesia. Critici emunctae naris rimasero perplessi di fronte alla sua immediatezza impressionistica, sospettandola di superficialità e accusandola di impurità, in tempi in cui si stavano già affermando, in poesia, tendenze esoteriche e rarefatte. Non capivano che quella immediatezza nasceva da una magica capacità d’immedesimazione, da un dono naturale di libertà e autenticità, che, rifiutando asfittiche prigioni correntizie e speculazioni di nessun esito, non per questo debordava dal territorio eletto dell’arte. “Ginatismo”, si disse; era invece un territorio che con lui appariva rigogliosamente ancora vergine per la prodigiosa capacità di reinvenzione della poesia, quella vera. Sì – osserva ancora Carlo Bo – «sembrava che lo guidasse una vera fame di poesia e che per questa fame non ci fosse un cibo capace di saziarlo». Con gli anni, Lorca, senza perdere la sua spontaneità, trovò una sua misura, al tempo stesso naturale e vicino alla misura classica. Sopravvenne la sua morte, e con essa la fama di Lorca, s’ingigantì e dilagò per il mondo. Giustamente venne visto nella sua uccisione il tentativo bestiale dell’incultura di sopraffare i valori assoluti dell’uomo. […] Quando una poesia è grande – e quella di Lorca lo è – essa è universale. Così come la morte di Ignacio è la sorte di ognuno di noi»[7].
A Calabrò sembrano far eco – con un linguaggio disomogeneo e a tratti sospensivo, ma per questo non meno catartico e passionale – alcune considerazioni di Rosario Loria che a maggio di quest’anno ha inteso porre a corredo della sua traduzione lorchiana testé riportata. Qui leggiamo: «Mai un’emozione intensa come questa volta, così istantanea e così violenta, dopo tante letture e riletture e decine di traduzioni dall’italiano… Ora capisco… Ora capisco, mentre vibro e ho la gotta, e sudo, la ripetizione folle e apparentemente assurda, del gelido e imperiale celeberrimo verso… Come una falce, che non guarda alti e bassi… E miete… Inesorabile… Il martellare delle nostre insistenze, dove il pianto non certifica la ragione, avviene sempre in tutti gli orologi, a quell’orario… Solo a quell’orario… È sempre quell’orario, quando non vedi riconosciuto il tuo diritto di avere un amico comune, ed esserne estromesso per gelosia… Martella, martella sempre, dalle cinque della sera, in tutti gli orologi… Fino adesso mai avevo capito il furore di questo Poeta, e capire la paura del tiranno, per liberarsi della quale, lo ha fucilato… Non è un problema ideologico… Ma è la viltà della potenza che ci fa caini…».
Per ampliare il tema qui proposto con questo scritto della versatilità dei contenuti lorchiani resi in alcuni dei dialetti nazionali vorrei riportare altre circostanze che mi sembrano interessanti. La città di Napoli – dove è sempre stato particolarmente vivo il mondo teatrale, tanto di maschere, di scena e impegnato – ha visto la creazione di un vero e proprio connubio con l’opera teatrale del Granadino.
Ne è testimonianza la trasposizione in dialetto partenopeo de La casa de Bernarda Alba a opera e per la regia di Gigi Di Luca che a maggio del 2010 andò in scena alla Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta nel capoluogo partenopeo. Tra gli attori protagonisti: Fulvia Carotenuto nel ruolo dell’arcigna Bernarda Alba, Gina Perna nel ruolo della domestica Poncha, la giovane Benedetta Bottino nei panni della tormentata Adela, Lisa Falzarano (Angustia), Federica Aiello (Martirio), Ilaria Scarano (Amelia) e Roberta Serrano (Maddalena). Come ricorda la stampa, tale opera in napoletano aveva debuttato già qualche anno prima, nel 2007 al Teatro Nuovo di Napoli, alla presenza dell’allora Assessore alla Cultura di Siviglia, don Juan Carlos Marset, poi portato anche in Spagna al Teatro Almeda.
Nel marzo del 2019 al Teatro TRAM di Via Port’Alba a Napoli andò in scena la versione in dialetto napoletano di Yerma col titolo ‘A Jetteca per la regia di Fabio Di Gesto e Silvio Fornacetti, costumi di Rosario Martone e attori recitanti Chiara Vitiello, Diego Sommaripa, Francesca Morgante, Maria Grazia Di Rosa e Gennaro Davide Niglio.
L’interesse verso la drammaturgia drammatica di Lorca è particolarmente forte nel nostro Meridione dove, la realtà sociale e familiare di piccoli borghi di provincia e delle campagne nel secolo scorso, viene percepita molto affine – se non addirittura identica – a quella della retrograda, machista e illiberale Spagna che Lorca dipinse. Non solo in Sicilia, in Campania, ma anche in Sardegna l’opera di Lorca trova una versione in una lingua locale. È il caso di Bodas de sangre tradotta in sardo da Gianni Muroni col titolo Isposòriu de sàmbene e pubblicata da Condaghes Edizioni di Cagliari nel 2013.
Pur tuttavia non si trattò della prima traduzione in sardo di quest’opera se si tiene presente che nel 2011, prima al Teatro Verdi di Sassari poi al Teatro delle Celebrazioni di Bologna, andò in scena Nozze di sangue nella versione sarda (variante barbaricina) scritta a quattro mani dal noto Marcello Fois e Serena Sinigaglia col titolo Bodas de sambene. Una lingua – quella sarda – che come ricorda la segnalazione della messa in scena su «La Repubblica» del periodo: «[è] di terra e sangue, perfetta per le sue caratteristiche linguistiche e antropologiche, per parlarci di confini distesi e violati, campi arsi e coltelli, di parole impronunciabili, di silenzi violenti»[8]. Nell’opera di Fois e Sinigaglia la Barbagia sostituisce la Vega, ma tutto è rimasto inalterato: l’ambiente di campagna, la reticenza dei personaggi e la loro ritrosia, l’incomunicabilità diffusa e un senso inscalfibile di tragedia sin dalle prime battute con una dominazione indiscussa del mistero e del fatalismo. Il successo della rappresentazione fece sì che l’opera venisse riproposta nel suo locus primigenio, in Sardegna, alcuni anni dopo (al Teatro Massimo di Cagliari in tre serate consecutive dal 21 al 23 aprile 2017 e al Teatro Eliseo di Nuoro in due serate consecutive, dal 28 al 29 aprile 2017) dove la popolazione locale non poté che premiarla con applausi, rispettosa attenzione ed entusiasmo. Di questa fulgida esperienza, motivo d’arricchimento per il teatro del Belpaese, è un volume dal titolo Nozze di sangue (co-autori Marcello Fois e Federico García Lorca) edito da Transeuropa Edizioni di Massa nel 2011 con allegati contenuti media relativi alla messa in scena.
Non furono solo i dialetti dell’Italia meridionale e insulare a mostrarsi interessati all’opera letteraria di Federico García Lorca: due esempi sono utili per testimoniare quanto si sta dicendo, ovvero le traduzioni in friulano (il casarsese per la precisione) di Pier Paolo Pasolini e quelle in piemontese di Luigi Olivero.
La professoressa Maria Isabella Mininni dell’Università di Torino in un recente saggio dal titolo “Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)”[9] si è dedicata a una veloce disamina dei principali autori spagnoli tradotti da Pasolini in friulano, richiamando, appunto, anche Lorca (sebbene preferisse, a lui, di gran lunga Antonio Machado e Juan Ramón Jiménez[10]). Sono i testi che vennero pubblicati nell’opera poetica totale di Pasolini nel 2003 a cura di Walter Siti per la Mondadori. Nel saggio di Mininni si ripercorre, pertanto, la natura di traduttore in friulano[11] di Pasolini di alcuni dei maggiori lirici spagnoli del Secolo scorso: oltre a Lorca, Machado e Juan Ramón Jiménez, anche Salinas e Jorge Guillén. Questi autori – forse con l’aggiunta di altri – avrebbero costituito un possibile nuovo volume per Pasolini, che indicò in forma di bozza con l’indicazione di Traduzioni. Piccola antologia iberica. Il poeta di Casarsa, che era un grande amante del libro e che già da giovanissimo aveva contribuito a costruire un’ampia biblioteca personale, con viva probabilità possedeva – o per lo meno aveva letto – la prima traduzione in italiano di una selezione di testi poetici del Granadino curata dal critico e traduttore Carlo Bo (Poesie di García Lorca edito da Guanda di Parma nel 1940) o nella successiva opera da lui curata col titolo di LiriciSpagnoli (Corrente Edizione, Milano, 1941)[12]; quest’ultima, a differenza dell’altro volume citato, non era monografico sull’autore Granadino e contemplava vari altri poeti della penisola iberica e proponeva, oltre alle traduzioni in italiano, a fronte, anche i testi nella lingua originaria. Sono sei le poesie lorchiane tradotte da Pasolini: “Romance sonámbulo”, “El cazador”, “Canción de la muerte pequeña”, “La balada del agua del mar”, “Preciosa y el aire” e una parte del celebre Llanto por Ignacio Sánchez Mejías (la sezione “La cogida y la muerte”, la sezione “La sangre derramada” sino al verso 24 e la sezione “Alma ausente”).
Notevole anche il lavoro di traduzione del giornalista e poeta piemontese Luigi Armando Olivero (1909-1996) la cui consultazione è possibile, tramite la rete, grazie a un documentatissimo sito curato dal prof. Giovanni Delfino[13] dal quale si viene a conoscenza del fatto che Olivero, presente in territorio catalano nel 1931, incontrò e scambiò delle battute con lo stesso Lorca (uno dei pochi intellettuali italiani ad averlo conosciuto di persona, ad aver interagito con lui).
Oltre a dedicarsi a una serie di traduzione di liriche lorchiane in dialetto piemontese, Olivero scrisse – nel medesimo idioma – alcuni articoli su una rivista denominata «Èl Tòr» dei quali si riportano i riferimenti a continuazione: “Omage a Federico García Lorca Tradussion an Piemontèis dal Romancero gitano”, «Èl Tòr» n°14, 1946; “Polemica gentil con la «Rivista poliglotta» di Lisbona. In margine ad alcune traduzioni piemontesi di Federico García Lorca”, «Èl Tòr» n°17, 1946 (testo scritto quale risposta al prof. Moisé Guillén Pascolato relativamente ad alcune critiche rivolte verso le sue traduzioni di opere lorchiane). Delfino segnala, inoltre, l’esistenza di altri due articoli correlati usciti su altre riviste in età successiva: “Rivive nelle danze gitane la fortuna del Romancero”; “Tra il folklore di Spagna e le suggestioni surrealistiche Fortuna agitata di García Lorca”; “Amici e nemici per il poeta Andaluso”, «La Fiera Letteraria», n°4-5, 1951 (ovvero tre articoli con quattro disegni di Lorca contenenti due suoi ritratti a opera di Gregorio Prieto, due poesie dichiarate inedite a tradotte da Olivero in italiano: “Tre storielle del vento” e “Stampa del cielo”). Seguì poi l’articolo “Federico García Lorca Poeta – Musicista andaluz”, «Musicalbrandé», n°12, 1962 (contenente alcune notizie su Lorca e la traduzione in piemontese della poesia “Se ha quebrado el sol” tradotta con “Cita romansa dla passion stërmà” il cui originale in spagnolo venne pubblicato per la prima volta da Claude Couffon nel 1962 in appendice al suo volume A Grenade sur le pas de García Lorca) e un ulteriore articolo, questa volta scritto da Francesco Tentori, in risposta a quanto precedentemente pubblicato da Olivero su Lorca che uscì su «La Fiera Letteraria», n°8 e n°10, 1951.
Questo breve studio – come si era doverosamente asserito agli inizi – non ha nessuna pretesa di esaustività sull’argomento dal momento che esistono anche in numerosi altri dialetti versioni di opere di Lorca, spesso non pubblicate con editori professionali ma con tipografie o in proprio o, nel caso di opere teatrali, vive solo per mezzo dei ricordi della rappresentazione non esistendo copie cartacee delle rispettive bozze di recitazioni. Si capisce, pertanto, anche per le ragioni addotte, come questi testi e versioni spesso risultino non di semplice recupero, localizzazione e dunque di successiva menzione o riproposizione. Quel che è certo è che Lorca fu (ed è) tradotto non solo nelle lingue nazionali ma anche nei dialetti locali, nelle parlate, in codici linguistici che non direttamente si identificano con un concetto di nazione. Questo è di ulteriore dimostrazione e della grandezza della sua opera e dell’universalità dei contenuti e dei messaggi tramandati.
LORENZO SPURIO
Jesi, 20/06/2021
[1] Un’altra poesia lorchiana tradotta da Noris (“El niño mudo”) in dialetto bergamasco (“Ol s-cetì möt”) è disponibile e ascoltabile nella versione registrata all’interno della notizia: Maurizio Noris, “El niño mudo, Ol s-cetì möt. I versi di García Lorca in dialetto bergamasco”, «Sant’Alessandro», [settimanale online della Diocesi di Bergamo], 2 maggio 2019, link: http://www.santalessandro.org/2019/05/02/so-los-dell-02-05-2019-el-nino-mudo/ (Sito consultato il 10/05/2021).
[2] In maniera più precisa si tratta del dialetto di Ruvo di Puglia (BA). La traduzione di questo testo nel volume viene posta “a confronto” con quella – dei medesimi versi – eseguita da Fernando Grignola nel suo dialetto ticinese di Agno (Svizzera) che così recita: «Quand ch’a sarò mòrt, / soteremm / cun ra mè ghitàra / sóta ra sàbia».
[4] Ringrazio l’amico, il poeta e scrittore Marco Scalabrino di Trapani, grande studioso del dialetto siciliano, per avermi reso edotto di questa preziosa notizia e per avermi proporzionato le scansioni dell’immagine di copertina e della prefazione al volume.
[5] Salvatore Camilleri, Prefazione a Federico García Lorca, 70 Poesie Tringali, Catania, 1983, pp. 5-8.
[6] Sia la traduzione di Loria che il suo commento successivo sono alla data odierna inediti e l’Autore ne ha concesso l’autorizzazione alla pubblicazione.
[9] Maria Isabella Mininni, “Traduzioni di poeti spagnoli nel felibrismo friulano di Pier Paolo Pasolini (1945-1947)”, «Intralinea Online On line Translation Journal», 2013, link: http://www.intralinea.org/specials/article/2003 (sito consultato il 18/05/2021).
[10] «García Lorca, en cambio, me impresionó mucho menos, por ejemplo, pero Juan Ramon Jiménez y Antonio Machado han tenido una gran influencia sobre mí. En aquella época yo escribía en friulano», in “Es atroz estar solo”, Entrevista con Pier Paolo Pasolini por Luis Pancorbo, «Revista de Occidente», 1976, n°4, pp. 42-43.
[11] «Il friulano in cui Pasolini scriveva era un ibrido, né la versione già codificata della tradizione letteraria del capoluogo regionale, né il canone stabilito dal dizionario Italiano-Friulano di Pirona. Pier Paolo si basava su quello che sentiva, trascrivendo una mescolanza di friulano, di veneto e delle idiosincrasie personali in cui si imbatteva», in Barth David Schwartz, Pasolini. Requiem, Venezia, Marsilio, 1995, p. 215.
[12] Qui erano stati antologizzati i poeti: Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez, Fernando Villalón, Rafael Villanova, Pedro Salinas, Jorge Guillén, Gerardo Diego, Federico García Lorca, Rafael Alberti, Luis Cernuda, Josefina de la Torre.
La riproduzione del presente saggio, in forma integrale e/o di stralci, su qualsiasi tipo di supporto non è consentita senza l’autorizzazione da parte dell’Autore.
Nel giro di pochi mesi sono giunte due grandi soddisfazioni per la poetessa romana e grande animatrice culturale Anna Manna Clementi che, sull’onda del successo di sue iniziative definite maratone de “I Grandi dialoghi nel web”, ha riscosso il plauso e la considerazione ammirata del Capo dello Stato, Sergio Mattarella e del Pontefice Francesco.
A identificare questo valido progetto di promozione e di autentico coinvolgimento sociale nato dalla Manna in periodo di pandemia è stata un’impressiva fotografia ad opera del compianto fotografo d’arte Giulio Bianca che ritrae un particolare, leggermente sfumato e reiterato come in una tecnica futurista che attribuisce un valore cinetico all’immagine, i celebri Angeli del Lungotevere. Foto che risultò premiata nel 2003 presso l’Archivio di Stato di Roma dal famoso Luciano Luisi, Presidente della Giura del Premio “Dall’emozione all’immagine”, nell’ambito della mostra della Pittrice Mines Preda De Carolis “Colori tra i versi a Sant’Ivo”.
L’idea di questo progetto completamente virtuale – come ha spiegato Anna Manna – è sorta perché in quel periodo della tremenda seconda ondata del Coronavirus avevamo necessità di un confronto e di un colloquio con l’altro che ci consentisse di non deprimerci e staccarci dal mondo, facendoci sentire meno soli, ancora attivi e promettenti d’idee, resilienti e combattivi. Per continuare a coltivare l’amore per i libri, per lo studio degli autori, la conoscenza delle rispettive produzioni poetiche e cercare di minimizzare il senso di straniamento dal contesto che, invece, ci vedeva obbligati a rispettare le regole del distanziamento (e della reclusione). L’iniziativa è andata nel segno del «confronto e scambio culturale tra la grande letteratura e il poeta magari di provincia, tra la grande città e i piccoli centri. In un dialogo che azzera le distanze e arricchisce. La risposta su Facebook è stata, direi, clamorosa!».
Ed in effetti risulta impossibile non rispondere – e sentirsi particolarmente avvinti e coinvolti – dal grande entusiasmo di una fucina di idee come Anna Manna, dalla sua profonda passione in tutto ciò che con grande slancio, simpatia e profonda capacità fa, permettendoci di intervenire nelle sue ricche iniziative. Sono state così moltissime le adesioni che ne sono derivate, tra grandi firme (tra cui Marcia Theophilo, Corrado Calabrò e Renato Minore, solo per citarne alcuni), gli aquilani grande vanto nazionale Mario Narducci, Liliana Biondi, Clara Di Stefano, Maria Rita Magnante, i romani Jole Chessa Olivares, Daniela Fabrizi, Eugenia Serafini, Ruggero Marino, le poetesse siciliane Maria Morganti Privitera e Giulia Maria Sidoti e numerosi altri ancora. Hanno aderito anche giornalisti (tra cui Tiziana Grassi e Selene Pascasi), docenti universitari (Luisa Bussi e Beppe Contini), artisti poliedrici come Antonella Pagano. Un nutrito elenco di presenze della scena letteraria e artistica nazionale tra cui pure vanno citati anche Anna Maria Giancarli, Giuseppe Nasca, Augusta Romoli, Sandro Costanzi e Franco Leone.
In particolare la recente maratona declinata all’adesione dei poeti nel contesto della Giornata Mondiale della Povertà (15 novembre 2020) ha visto la pubblicazione sul web di un vasto numero di testi poetici di autori che, sull’onda di un tema endemico e cruciale quale quello della miseria globale, non hanno rinunciato di dire la propria. Le poesie, opportunamente raccolte da Anna Manna e stampate su carta pergamenata, sono state così inviate all’attenzione della Segreteria di Stato Vaticana quale destinatario privilegiato il Santo Padre. Nel pregevole fascicolo erano presenti testi dei poeti (in ordine alfabetico): Liliana Biondi, Corrado Calabrò, Jole Chessa Olivares, Beppe Contini, Clara Di Stefano, Daniela Fabrizi, Dante Fasciolo, Marilena Ferrone, Rosa Giordano, Maria Rita Magnante, Anna Manna, Maria Morganti Privitera, Mario Narducci, Giuseppe Nasca, Lidia Popa, Eugenia Serafini, Lorenzo Spurio e Vittoria Tomassoni.
I poeti che hanno partecipato alla Maratona poetica #igrandidialoghinelweb# in questa importante giornata, hanno fermamente inteso, attraverso la poesia, prendere parte all’iniziativa virtuale (e ideale) con il contributo attento all’indagine e alla trattazione del sofferto tema della povertà nel mondo. La curatrice Manna ha osservato che tali testi poetici erano in grado di svelare e proporre versi quale approfondimento psicologico e sentimentale verso una tematica di portata universale e di grande attualità che investe non solo l’aspetto economico e sociale. «Un tema che tocca il significato e il senso della convivenza tra tutti i popoli secondo principi di civiltà, progresso, umanità!» ha rimarcato nel corso di una dichiarazione.
L’idea di raccogliere su pergamene, come in uno scrigno prezioso, i versi di poeti piuttosto noti e ricorrenti negli scenari della letteratura e cultura nazionale, dedicati alla povertà, è scaturita – ha spiegato la poliedrica Anna Manna – dalla ventennale frequentazione che la stessa ideatrice del noto Premio “Le rosse Pergamene del Nuovo Umanesimo” ha istituito con il mezzo fisico della pergamena – attestazione e riconoscimento, ma anche testamento e affresco sociale – inteso come veicolo di cultura e diffusione della poesia.
La risposta del Vaticano non si è fatta attendere molto. Con grande gioia Anna Manna ha pubblicato sulle sue pagine Facebook la lettera ricevuta dalla Santa Sede in riscontro al suo invio. La missiva, con tanto di bollo della Segreteria Vaticana, era siglata dalla firma di Monsignor Roberto Cona, Assessore, e conteneva i ringraziamenti del Santo Padre che molto aveva apprezzato il lavoro del fascicolo con le poesie. Unitamente ai ringraziamenti di rito, il Santo Padre formulava la sua benedizione apostolica a tutti i poeti uniti dal progetto corale.
Sull’onda di questa grande soddisfazione la promotrice Manna ha deciso di proseguire nel suo cammino d’impegno collettivo e, dopo il discorso rivolto agli italiani pronunciato dal Capo dello Stato in vista della conclusione del 2020, venne deciso di raccogliere in un nuovo fascicolo le poesie dei poeti (questa volta legate al tema de “Il risveglio”) un totale di trentatré poeti – come gli anni di Gesù Cristo – inoltrate alla Segreteria Particolare della Presidenza della Repubblica in vista delle Festività Pasquali. Al gruppo precedente di poeti si sono aggiunti in questa nuova grande occasione anche gli artisti Milena Petrarca, Antonietta Siviero, Silvana Leonardi, Rosa Girodano, Regina Resta e altri bravi e appassionati di poesia.
Anche in tale circostanza, come osservato dall’ideatrice, «il cuore ha trovato sostegno!» difatti all’invio del plico ha fatto seguito una comunicazione del Presidente Mattarella, scritta di suo pugno, con la quale trasmetteva un biglietto di ringraziamento. Gesto di grande prestigio per l’intera iniziativa de “I Grandi dialoghi nel web” da rimanere come momento di grande importanza nello sviluppo ed elaborazione di questo mirabile progetto.
Anna Manna ha anche osservato che, dopo la grande soddisfazione promanata dalle maratone da lei lanciate e dall’onore riservato a lei e ai poeti partecipanti dalla partecipazione in termini di stima e riconoscenza del Pontefice e del Presidente della Repubblica, il progetto continua, sull’onda di una più accentuata energia sostenendo che sta lavorando nell’individuazione di nuove tematiche da percorrere. Questo perché, come rivelato, «un po’ per celia, un po’ per non morire, è diventato il mio progetto più importante!». Considerazione, questa, che non può non vedere il riscontro felicemente concorde e unanime tra quanti vi hanno aderito e tra coloro che si sono imbattuti nella notizia del progetto.
LORENZO SPURIO
Jesi, 08/05/2021
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Il Premio “Il Poeta Ebbro”, pregevole creazione della nota poetessa romana Anna Manna Clementi, si svolge in due tappe in due diverse città e con diverse Commissioni di Giuria. A Spoleto, infatti, nella verdeggiante Umbria, si è appena conclusa quella che può essere considerata la prima tappa con i premi speciali che sono stati attribuiti a eminenti personalità della cultura nazionale lo scorso 29 agosto nella sontuosa sede dell’Hotel dei Duchi[1]. L’evento, che ha avuto un copioso risultato in termini di pubblico, critica e attenzione mediatica, è stato permesso anche all’importante connubio formatosi con il “Festival dei due Mondi”, appuntamento immancabile del piccolo centro umbro.
Ci si prepara ora per la seconda tappa di questo importante Premio che avrà luogo nella Capitale e che vedrà la consegna di importanti superpremi, tuttavia la data rimane ancora da scegliere e l’individuazione della stessa rimane sospesa per le note condizioni sanitarie dettate dal Coronavirus.
Ci si augura – è questa la vera volontà della frizzante organizzatrice – che la cerimonia di premiazione sia, oltre che un momento per attribuire premi a chi, con merito si è distinto nei vari campi, ma anche per gettare l’avvio di un periodo che si auspica più sereno per tutti, libero da preoccupazioni che limitano comportamenti che potrebbero favorire il diffondersi del virus.
Le nuove giurie del Premio, volutamente distinte per le due diverse “tappe”, hanno lavorato secondo lo schema organizzato con vivace fantasia dalla fondatrice la scrittrice e poetessa romana Anna Manna Clementi. Per la sezione letteraria il presidente di giuria è il poeta di fama internazionale, ex giurista Corrado Calabrò. Si è decretato, quale vincitore dell’edizione 2020 de “Il Poeta Ebbro” il poeta abruzzese (da sempre attivo nella Capitale) Renato Minore, scrittore di successo, giornalista di chiara fama e di riconosciuto impegno.
In tale contesto è stato attribuito un premio anche alla poetessa Jole Chessa Olivares che ha appena pubblicato la traduzione in portoghese del suo libro di poesie Nel finito…mai finito edito da Nemapress, volume risultato già premiato all’esordio del Premio “Il Poeta ebbro” a Palazzo Sora, sede del Sindacato Libero Scrittori Italiani.
La vulcanica Anna Manna Clementi, ideatrice e fondatrice del Premio “Il Poeta Ebbro”
Per quanto attiene, invece, alla sezione della letteratura e arti figurative è stato incaricato di presiedere la giuria il dott. Franco Leone. Premiati sono risultati Silvana Lazzarino e, per la sezione “Dal Lazio con poesia” Rosa Giordano. Per quanto attiene, invece, alla sezione fotografia la Presidente Manna Clementi ha osservato che i nominativi dei vincitori saranno resi noti al momento della cerimonia ufficiale.
“La caratteristica del Premio, che individua i vincitori a insindacabile giudizio della Giuria, consiste nel premiare la persona non tanto per una sua opera, ma soprattutto per il suo impegno globale che spesso si manifesta nel lavoro di una vita intera, nell’abbraccio che a volte accompagna la professione e i giorni della vita in una simbiosi che determina ed individua l’Artista degno di questo nome” ha rivelato la Presidente Manna a sostegno delle motivazioni che hanno dettato la nascita del Premio e la sua naturale prosecuzione – con vivo successo e partecipazione – nel corso degli anni.
Il presente testo è stato adattato, rivisto e implementato dal sottoscritto, curatore di Blog Letteratura e Cultura, in data 26/09/2020 a partire dal comunicato stampa ufficiale a firma di Anna Manna Clementi, ideatrice e presidente del Premio “Il Poeta Ebbro”.
È uscito il nuovo libro di poesie della poetessa e scrittrice romana Anna Manna dal titolo “Ebbrezze d’amore, dolcezze e furori” per i tipi di Nemapress di Roma, Collana Poesie, che sarà presentato ufficialmente giovedì 12 dicembre a Roma presso l’Aula Magna di Palazzo Sora (Corso Vittorio Emanuele II n°217) in un evento tenuto presso il Sindacato Libero degli Scrittori Italiani.
Anna Manna Clementi ha pubblicato molti libri di poesia e racconti, tutti risultati pluripremiati in vari contesti letterari in numerose regioni italiane. Tra di essi i prestigiosi “Premio Teramo” e “Premio Alghero”, il “Premio Scrivere Donna” (Tracce Editore), il Premio “Sinite Parvulos” in Vaticano, Premio “Francesco Grisi”, “Calliope” e tanti altri ancora. Ha ideato, fondato e presiede il Premio Letterario “Le Rosse Pergamene” con sede a Roma, il cui nome è nato a partire da una delle sue numerose pubblicazioni. Per la poesia ha pubblicato Migranti (2016), Le poesie di Monteluco (2016), Maree amare mare e amare, Umiliparole e grandi sogni. Cinque poesie per tre pontefici; per la narrativa ha pubblicato il romanzo A largo della polveriera (2002); per la saggistica Europa e cultura del Nuovo Umanesimo e L’Illimite . Incontro con il poeta Corrado Calabrò (2015). Sue poesie sono presenti in numerose antologie. È Presidente Fondatrice del Premio “Europa e Cultura” che si svolge presso il Centro di Documentazione europea “Altiero Spinelli” alla Facoltà di Economia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Pluripremiata anche a livello istituzionale per la sua attività di cultural promoter. I suoi saggi sono stati presentati anche presso la Biblioteca della Camera dei Deputati e presso Casa Menotti a Spoleto. Si sono occupati della sua scrittura e della sua instancabile attività di promozione culturale i maggiori critici letterari e giornalisti del nostro Paese.
Prenderanno parte alla presentazione, oltre all’autrice del libro, Francesco Mercadante (filosofo del diritto, saggista, Presidente del Sindacato Libero Scrittori italiani), con un saluto di indirizzo che aprirà poi agli interventi di Neria De Giovanni (Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari) e Daniela Fabrizi (poetessa, con la quale Anna Manna nel 2016 pubblicò il libro a quattro mani Migranti, con prefazione di Dante Maffia e postfazione di Lorenzo Spurio). Ospiti d’onore saranno Diana Cavorso Caronia, Sabino Caronia e Mario Narducci. Ad arricchire il pomeriggio poetico saranno lette e commentate le poesie di Anna Manna presenti nel volume da parte di Fabia Baldi, Luisa Bussi, Jole Chessa Olivares, Tiziana Marini, Ruggero Marino, Artemide Napolitano, Antonella Pagano ed Eugenia Serafini.
Mondadori-Store così presenta, in forma sintetica, i contenuti di questo volume: “Il libro raccoglie le poesie di oltre vent’anni, rappresentando quasi un’opera omnia di una scrittrice e poeta molto nota in campo nazionale. Ne è la prova, non soltanto le liriche antologizzate, ma soprattutto l’ultima parte del libro, in cui numerosissimi saggisti e critici letterari si cimentano nell’analisi di singole poesie, scelte per empatia e vicinanza di tematiche tra saggista e poeta. Il libro è la sintesi di poesie d’amore e anche d’amore per l’arte e la bellezza. Si chiude con un omaggio poetico alla città di Roma”.
La scrittrice Neria De Giovanni, che ha curato la prefazione, così parla della nuova opera di Anna Manna: “è il resoconto di una vita di riflessioni, emozioni, immagini letterarie e realtà vissute. [Il volume] è composito e ricchissimo, con una voce poetica che a volte diventa anche preludio e presentazione critica per guidare, all’interno del volume, tra versi e prose critiche, illuminando un percorso sempre più accattivante e misterioso insieme. Anna Manna è certamente poeta, ma anche critico letterario e ideatore-coordinatore di eventi di alto spessore culturale. Pertanto ha voluto racchiudere in questo volume non soltanto le sue poesie migliori con un ordito rigoroso e motivato, ma anche testi critici di approfondimento e lettura dei suoi versi, da parte di lettori d’eccezione, critici militanti”.
Tra di essi figurano gli scomparsi Giorgio Carpaneto, Vittoriano Esposito, Pasqualino Fortunato, Gilberto Mazzoleni, Raimondo Venturiello, Mauro Milesi, Nino Piccione e Mario Mazzantini e viventi quali i contemporanei Renato Minore, Luigi Tallarico, Marianna Bucchich, Mario Narducci, Ruggero Marino, Franco Campegiani, Giuseppe Nasca, Liliana Biondi, Diana e Sabino Caronia, Fabia Baldi, Lorenzo Spurio, Michela Zanarella, Daniela Fabrizi, Jole Chessa Olivares, Fausta Genziana Le Piane, Lidia Popa, Luisa Bussi, Tiziana Grassi, Elisabetta Bagli, Romano Maria Levante, Carmelita Randazzo, Antonella Pagano, Tiziana Marini, Anita Napolitano. Le conclusioni critiche sono di Carmelo Aliberti e Giuseppe Manitta mentre i rapporti tra la poesia della Manna e la pittura sono analizzati e sviluppati dalla scomparsa Mines Preda De Carolis e dai contemporanei Stefania Camilleri ed Eugenia Serafini.
LORENZO SPURIO
La riproduzione del presente testo, in forma di stralcio o integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dell’autore.
Esprimersi in termini critici sull’opera poetica di Corrado Calabrò, per quanto si cerchi di adoperare quell’onestà di sabiana memoria e ci si appelli a un’umiltà di giudizio che ne descriva in maniera congrua gli stilemi cardine, è questione ardua. Un’impresa, si dovrebbe dire, dalle dimensioni titaniche. Lo è per ragioni di varia natura, alcune assai palesi e sotto gli occhi di tutti, altre di appartenenza alla schiera letteraria e a chi, con strenuo impegno e competenza, ha fatto suo il percorso di scavo, approfondimento esegetico e d’interpretariato concettuale. Tali ragioni hanno senz’altro a che vedere con l’influente portata di Corrado Calabrò intellettuale (che è ciò che deve prioritariamente interessare il critico, conscio, però, della sua notevole carriera nel campo della Magistratura), uno dei maggiori poeti della scena nazionale e non solo, se si tiene in considerazione che le sue opere sono state tradotte in decine di lingue (non solo europee) e che per la sua formidabile e riconosciuta attività letteraria gli sono stati attribuiti, tra i tanti premi ed encomi, riconoscimenti accademici quali la Laurea Honoris Causa rispettivamente dell’Università Mechnikov di Odessa (Ucraina) nel 1997, dell’Università Vest Din di Timişoara (Romania) nel 2000 e dell’Università Statale di Mariupol (Ucraina) nel 2015. Ricordo anche uno dei recenti successi in una lingua straniera ovvero il libro Janelas de silêncio (Vasco Rosa, Lisbona, 2017) in lingua portoghese, arricchito dalla prefazione della poetessa e scrittrice Fabia Baldi[1], presentato a Salone Nobile dell’Istituto Portoghese di Sant’Antonio a Roma il 29 novembre 2018. Sempre nel mondo lusofono va ricordato l’importante riconoscimento attribuitogli nel 2016 dall’Università di Lisbona ovvero la preziosa Medaglia “Damião de Góis”.
Il poeta Corrado Calabrò
L’altra ragione che motiva una certa inibizione e sbandamento nell’approcciarsi alla sua ingentissima opera (decine e decine di opere pubblicate, per cui non faremo qui l’elenco) attiene all’elevata gamma di eminenti critici, accademici o meno, che nel tempo hanno scritto di lui e della sua opera. Si dovrebbero (solo per citarne alcuni) richiamare i nomi di Domenico Rea, Carlo Bo, Maria Grazia Lenisa, Luigi Reina, Mario Luzi e Maria Luisa Spaziani che, senza specificazioni di sorta, ben mettono in luce l’importanza, finanche la completezza e la profondità di Corrado Calabrò. Tra gli altri, un corposo volume monografico a cura del critico Carlo Di Lieto, docente di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, pubblicato da Vallardi Edizioni nel 2016 col titolo di La donna e il mare. Gli archetipi della scrittura di Corrado Calabrò. Testo che risulta avere una sua centralità e dal quale non si può prescindere se decidiamo di voler conoscere da più vicino e con un adeguato mezzo informativo, orientativo e di accompagnamento alcuni dei temi-simbolo della poesia di Calabrò.
L’antologia Quinta dimensione (Mondadori, 2018)[2], che compendia un percorso selezionato[3] di poesie pubblicate nel sessantennio 1958-2018, è stata presentata a Roma, Milano e a Torino riscuotendo particolare successo. È, come ebbe a dire Pasolini nel caso dei Cantos di Ezra Pound, una poesia «enormemente vasta»[4]: per quantità, calibro, spessore e intensità. Ad aprire il volume una chiosa di Eraclito, poeta del divenire, che recita testualmente: «Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo». A questa fa seguito l’apertura con un incisivo poemetto dal titolo Roaming introdotto da Senofonte, testo nel quale, in esergo, Calabrò cita Thomas Stearn Eliot, il modernista allucinato, richiamando i Quattro quartetti.
Il lettore di questo libro e dell’intera opera di Calabrò, dovrebbe cautelarsi dinanzi alla materia che gli viene offerta e rendersi consapevole di questo arricchimento continuo. Le copiose citazioni, versi richiamati, echi, camei, rimandi intertestuali ad altrettante opere di letteratura, filosofia e scienza, sono preziosissime e vanno raccolte saggiamente. Esse ci consentono non solo di ricostruire fedelmente il prezioso mosaico che è la stessa campionatura di versi del poeta calabrese, ma anche d’iscrivere questa sua fiorente produzione all’interno del grande mare della letteratura di ogni tempo, dunque della nostra storia e del senso di abitare questo mondo. Tra i suoi innumerevoli maestri, padri putativi e fonti, vanno senz’altro enucleati gli esponenti di spicco della cultura europea, greca, romana, della classicità letteraria nazionale (Dante, Ariosto, Leopardi), dei poeti melanconici (Rilke[5]), civili (Lorca, Neruda), simbolisti (Baudelaire) e metafisici (Eliot).
Roaming si presenta composito, con una sapiente intersecazione di spazi e cornici temporali, volutamente inteso a divagare e far confluire storie, significati, vicende di uomini d’allora e perplessità d’oggi. La ricchezza dei contenuti e la vistosità delle prese di posizione – soprattutto nei riguardi di alcuni costumi o tendenze diffuse nella nostra età – ci permette di concepirlo anche come sorta di Manifesto – non di una poetica – semmai del travaglio odierno, dove i sentimenti risultano ingabbiati dalle logiche e dalle azioni automatizzate.
L’autore, anche se vive nella Capitale[6] da vari decenni, è nato a Reggio Calabria nel 1935 ed è chiaro ed evidente il suo forte legame a quella terra, per mezzo di una serie di figure quali il mare e ogni riferimento a tale ecosistema, la madre (incuneata nel ricordo per mezzo della casa), finanche della storia di quelle terre soleggiate.
In Roaming, poemetto «sgorgato quasi in trance» (25)[7] come scrive nella nota che lo accompagna datata settembre 2018, si fa accenno ad una delle tragedie più indecorose della storia della nostra Penisola, vale a dire il terremoto che nel 1909 colpì Reggio e Messina decretando un numero di vittime che lo stesso poeta richiama nei suoi versi: «Trentamila morti solo a Reggio./ Io persi nel crollo della casa/ i nonni una zia e un cuginetto/ che quest’anno avrebbe centun anni. / […]/ Sono abitate dai pesci le case/ sott’acqua» (7).[8] Questo tema ritorna spesso in altre liriche a sottolineare, nel ceppo familiare di Calabrò e nella sua memoria, un incisivo segno di dolore per quegli accadimenti.
Da un tempo a noi lontano, Calabrò, forse l’unico poeta italiano a occuparsi di astrofisica (se non altro con tali felici esiti), anticipa uno dei suoi temi ricorrenti ovvero quello dell’interesse verso i mondi siderali, a-terrestri, della dimensione spaziale in parte sconosciuta e per questo ulteriormente ricca di suggestione e fautrice di idee: «Gli astronomi – alcuni – erano intenti/ a scrutare col nuovo telescopio/ gli spazi siderali per scoprire/ altri pianeti simili alla Terra» (7-8).
Tra questi due scenari si situa la lettura critica e distaccata di quell’oggi che è un misto di monotonia, insicurezza, imprecisione e indifferenza diffusa, dove anche il linguaggio è divenuto servo degli oggetti e degli interessi: «È vero che esiste solamente/ quello che appare in televisione;/ ma si può sempre cambiare programma» (10).[9] Versi lapidari che in qualche modo denunciano la passività dell’uomo odierno che non è più agente, ma ricevente e succube di tutto ciò a cui viene sottoposto. Uomo-automa, uomo-oggetto, uomo de-umanizzato: ciò fa anche pensare al realismo terminale di Guido Oldani che, nel relativo Manifesto programmatico, evidenziò questa fede e immolazione della realtà oggettuale a discapito dell’oltraggio e svuotamento della sensibilità umana.
In Roaming si procede a sobbalzi, per scansioni che rimestano di continuo, una possibile linea cronologica: è un procedere a random, appunto, dove la casualità però non è propriamente tale – non è un flusso disincantato e continuo di pensieri, disarticolati – ma le trame profonde della Calabria, dell’amore e del cambiamento, nutrono le fondamenta del poemetto dandone vigore e rendendolo tecnicamente perfetto e contenutisticamente variegato. Ecco, allora, riaffiorare la guerra: «M’è accaduto più volte da ragazzo/ di sentire il fischio delle bombe/ che scendevano dritte sul rifugio/ ed anche di venire mitragliato/ da un aereo in picchiata» (12) e poi far capolino pensieri di continuo divenire, quale la deriva dei continenti: «il pianeta/ sta per venire meno sotto i piedi» (12) fino a inquietudini d’interesse globale: «E se la terra fosse deragliata/ dalla sua orbita? C’è la deriva/ impercettibile dei continenti/ e c’è quella delle galassie» (15).
Proprio come i versi de La terra desolata sono un continuo campo di citazioni, la poetica di Calabrò è un mosaico di realtà, di mondi diversi e distanti, di età, di scenari e situazioni; essa è il luogo in cui, come in una agorà, si mescolano i saperi, le concezioni, i pensieri, in un interscambio continuo tra parola e arte, poesia e musica, scienza e tecnica e, ancora, erudizione di un pensiero che poggia su fondamenta del mondo greco-romano e gore esistenzialistiche. È senz’altro opportuno richiamare le considerazioni ermeneutiche di una studiosa come Julia Kristeva che tanto si è spesa, in termine d’indagine del testo, su valore e la potenza del mondo intertestuale. Così, tra i tanti “commensali” in questo ampia tavola (rotonda) dove si dibatte e ci s’interfaccia, si respira e si cerca se stessi, si contestualizza e si tenta una fuga in una dottrina che non è così accessibile come sembrerebbe, che troviamo il fisico Steven Weinberg, il poeta irlandese Oscar Wilde, la poetessa per antonomasia, Saffo, anima dei lirici greci e, – non appaia vizioso l’avvicinamento e si apprezzi, invece, la vastità delle fonti -, l’apostolo San Paolo (Prima Lettera ai Corinzi), Guido Cavalcanti, Dante, l’autore delle Bucoliche più volte citato dal Nostro in quelle che son divenute formule idiomatiche del mondo latino (Labentia signa), finanche i cantares populares (Machado, il già menzionato Lorca del quale, pure, il poeta si svela innamorato del celebre Llanto), l’avanguardista esasperato Sanguineti[10] e l’enigmatico Lewis Carroll proiettato verso un oltre invisibile che ammicca. Non è di certo una tavola fredda, semmai un banchetto ricco di portate, se si considerano i requisiti di rimando, le motivazioni per cui Calabrò si serve di tali fonti, a più livelli, per inserire i suoi versi. Si crea, così, una polifonia di suoni e d’interpretazioni, linguaggi apparentemente diversi che viaggiano su binari separati, come quello poetico e quello scientifico, che vengono resi, se non amici e sovrapponibili, per lo meno affini, inter-comunicanti, richiamanti l’un l’altro, decretando la fine di aporie binarie inconfutabili. Ci sono sistemi comunicativi di vario tipo che intervengono quali il codice segreto del linguaggio Morse, l’uso di terminologie in altre lingue, l’adozione di onomatopee che tentano di recuperare il suono di un evento che s’è prodotto e poi tutto l’universo dei richiami, dei bisbigli, dei fragori lenti o ritmati, dei movimenti che, colti nel loro tramestio, trasmettono indelebili movenze di un suono che si forma, s’increspa e scivola via.
L’esperienza-imprinting della fanciullezza a Reggio ritorna a galla, per frammenti, ricordi che luccicano, all’interno dell’intero corpus poetico del Nostro. Reggio sta a Calabrò come Macondo sta a Marquez e Recanati sta a Leopardi, è un luogo dell’anima, è spazio titanico e culla, emblema di legami familiari, contesto dove hanno preso forma i giochi, gli amori, i pensieri. Si riappropriano in maniera netta dei versi queste immagini nitide nel ricordo; il recupero delle immagini è asintomatico, quali pillole di un flusso che, di colpo, complici associazioni di immagini, rimandi pareidolitici e effluvi che si spargono, evidenziano la loro compresenza nel presente: sono già lì, non appartengono a una realtà passata, in quell’asfittico tentativo di scansione di un tempo che è tutto presente perché vivo. Ecco «Le strade a pelo d’acqua di Messina» (36) e «Le piazze dei paesi adagiati sullo Ionio» (40), sembra quasi di percepire il vento che fa ondeggiare le tamerici, lo iodio disperso nell’aria che si respira; così sono presenti anche le isole siciliane: «Da Lipari fino ad Alicudi/ piano piano si fredda/ il mare ch’è un immenso bacile d’olio grigio» (74) e poi Filicudi, Panarea. La Calabria, depositaria delle adorate immagini dei cari, è anche quella campestre: «Ulivi rocciosi di Calabria/ dalle arterie marmorizzate/ contorti sulle radici/ come totem viventi!» (112).
Dei genitori, che sono forme di quell’entità varia che è la terra natia, la Grande Madre, si assiepano memorie, nel tempo che separa alla loro corporeità ormai disillusa: «Solo ora sento che mio padre è morto!/ […]/ Con lui salivo su per le colline,/ […]/Andavo, armato della sua fiducia,/ […]/ Chiudo gli occhi: il tuo volto è un po’ smarrito/ ma il tuo cuore va al trotto sul sentiero/ della mia giovinezza e la precorre/ coi passi svelti di quand’ero piccolo» (195-196). E poi la casa delle origini che s’intravede, non vista nel reale, così presente nell’anima: «Quanto sono vicine le due sponde!/Si può scorgere forse la casa/ con tante stanze in cui mia madre è morta./ Quello ad angolo sembra un suo balcone» (202). La casa che fu embrione e che è testamento, baluardo e memoria: «Ma i luoghi dell´infanzia son soggetti/ anch’essi a un’occulta subsidenza./ Riuscii a dissimulare per un anno/ a me stesso che mia madre non c’era» (166); “È come una barca senza chiglia/ una casa in cui manca la mamma” (49).
La dimensione dell’oltre di cui si diceva, dell’alterità senza limiti o dell’illimite (termine spesso usato dal Nostro) può essere riscontrata nelle tematiche dell’amore (che è un sentimento che non conosce vincoli, ostacoli né dimensioni), come pure nell’immensità del mare, che ricorre ampiamente nelle liriche del Nostro al punto da osservare: «Ho comprato un potente cannocchiale/ con ingrandimento trenta volte.// Non per guardare Roma, io cerco il mare;/ è quello l’orizzonte che mi manca.// Qualche volta la notte guardo il cielo» (61). Mare come elemento ma anche come stato d’animo, con l’andamento ondivago delle sue acque, dei cambi di vento, tra traghettamenti, soste, abbordaggi. «Il mare è un rischio» (31)[11] recita Calabrò in una sua poesia e subito fa seguire quest’altro verso: «Il mare va preso come viene» (31). Immagine acquosa della vita, di un percorso fatalistico dove l’uomo è immerso: il mare è la vita stessa dell’uomo dove pericoli, bonacce, alte maree, riflussi e ancoraggi, ne descrivono il corso: «è religioso/ l’altalenante equilibrio del mare» (174). La sintassi poetica di Calabrò si piega a questo mondo acquatico, dell’universo salino, della navigazione e della pesca: tutto rimanda al mondo dei naviganti e dei marinai, in un sodalizio arcaico e archetipo al contempo uomo-mare: «Davanti agli occhi, a tutto campo, è il mare:/ pista d’acqua che ostenta il suo turgore/ come una mammella palpitante/ e livella il presente e il passato» (32); «La notte sia grande quanto il mare// io vorrei la tua lingua, come il mare/ salata» (98). Nel mare, nella profondità del suo temperamento, si perdono anche intrighi, segreti, silenzi e aneliti di un amore che si è consumato con passione e che alberga le reminiscenze più dolci: «Il senso del mare si ritrova/ in quello che chi l’ama non sa dire» (145). Ricchissimo di evocazioni, sguardi sensuali e connessioni intime, in un affascinante brano contemplativo che ha del metafisico, è il poemetto “Il vento di Myconos (Nostos)” nel quale l’indicibile figura del vento, nelle sue varie sembianze e accezioni, è di impareggiabile resa. Esso va letto con lo stesso andamento delle raffiche e delle sue pause, in un vortice che lambisce e rigenera in cui le parole accarezzano e imprimono in forma inarrivabile un simposio tra natura e meditazione, tra canto e investigazione dell’io. Così si legge: «Il vento, egemone dell’isola,/ il vento che scortica i declivi/ isterilendo le vacche scarnite,/ e manda i maschi a fare i marinai» (163).
Il soddisfacimento che si prova dinanzi a questa comunione con le acque – quasi il Nostro fosse un essere anfibio che le domina, sguazzando e risalendo a seconda del bisogno –, è una sorta di estasi panteistica, di amplesso amoroso dove pure l’acqua che sale all’altezza della gola (lontana da intenzioni di morte per acqua, di cui pure parla Eliot) ha il sapore di un godimento estremo, di una totalità inglobata all’estrema potenza, di energia che si protende, al punto tale da invocare un assopimento nelle acque, tra quelle coperte tumultuose che sono le onde: “Sarebbe bello addormentarsi in mare/ con l’acqua in gola che disseta e nutre/ e, volteggiando, planare sul fondo/ dove s’addensa l´ombra degli assenti” (167).
Uno scatto della consegna della Targa Euterpe di Socio Onorario dell’Associazione Culturale Euterpe al poeta Corrado Calabrò durante la premiazione della VII edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” a novembre 2018 a Jesi (AN). Das sx: i Consiglieri dell’Associazione Valtero Curzi, Marinella Cimarelli, Gioia Casale, Elvio Angeletti, Oscar Sartarelli, la Presidente di Giuria del Premio Michela Zanarella, il Presidente dell’Ass. Euterpe Lorenzo Spurio, Corrado Calabrò e la poetessa Fabia Baldi.
Come non far riferimento ai versi più vistosamente dichiarativi di un amore forte, pulsante: sono le poesie di Calabrò più effervescenti e aperte all’altro, dotate di un’energia senza pari dove l’io lirico è in una situazione d’infatuazione, coinvolgimento totale, assuefazione dei sensi. Pennellate che raggrumano sensualità, nella ricerca estenuata dell’alterità della coppia: «Seni così saldi,/ candidi picchi aureolati di rosa/ albeggianti nel buio/ al chiarore rossastro della stufa» (48). L’amore è connotato di mistero, ogni qual volta che il Nostro ne richiama il concetto esso è vincolato a immagini perturbanti, che imprimono foga e destabilizzano. Il poeta sembra dilaniato dal peso della lontananza dall’amata, da una solitudine che si auto-amplifica («L´amore è la presenza rimandata/ di un’assenza», 52; «Se esiste una ragione perch’io t’ami,/ ci sei nella misura in cui mi manchi», 143), dibattuto dinanzi alla non catalogabilità di quella relazione, alla sua levità e preponderanza al contempo che lo porta a domandarsi in cosa esso consista. La risposta al quesito non può che essere velata, per lo più insoddisfacente come sempre accade quando ci si approssima a parlare dell’infinito: «L’amore, d’altra parte, è come l’anima:/ nessuno, credi a me,/ nessuno mai l’ha visto». (76)
Attenzione va posta anche sui componimenti dal piglio più direttamente civile. Vale a dire quelle che poesie che fanno risalire a galla la forza della tensione morale, dell’impegno sociale che ogni cittadino dovrebbe sentire proprio e coltivare. Così, con un linguaggio chiaro al punto da fornire visuali d’istantanee, il Nostro ricorda delle sevizie e tribolazioni del conflitto in Cecenia (scenario geopolitico tutt’oggi indefinito, non riconosciuto completamente): «Nere, la luna spinge madri insonni/ tra mucchi di neve alla ricerca,/ ogni notte, in spazi troppo bianchi.// Cercano la loro via alla vita» (221). Ci sono poi testi atti a ricordare (non in chiave elegiaca, ma a ragione di uno sdegno insormontabile, che è quello dell’umanità civile) la paranoia e il senso d’imminente sciagura durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale («Gli americani coi B23/ […]/ binari luminosi intermittenti/ […]/ Centinaia di bengala illuminavano/ a giorno il cielo, il mare e la città/ […]/S’era ormai spento l’ultimo bengala/ quando si sentirono due raffiche/ droppete-droppete/ e il rombo strozzato d’un aereo.// Dopo sei giorni si scavava ancora/ dove il fetore indicava cadaveri/ ma noi andavamo in cerca di bengala/ e aspettavamo la prossima incursione.// …]/ Era tedesco l’aereo abbattuto», 200), la sciagurata disavventura dei nostri connazionali caduti a Nassiriya nel 2003 («ricordo – ad antenna ammainata -/ è una duna di sabbia nel vento/ cui passano accanto i cammelli/ a testa alta», 232), le problematiche e le animosità comuni e i drammi relativi al fenomeno senza controllo dell’immigrazione. Tema di un’attualità perenne e che ritorna, ponendo quesiti di varia natura, utilizzato come discrimine partitico nella questione della gestione del fenomeno. In “Canto senegalese a Lampedusa”, Calabrò presta la voce a uno sconosciuto uomo che si appresta a valicare il Continente: «fammi passare/ […]/ Il mare è aperto/ come il deserto/ quando è piatto/ ci puoi camminare/ […]/ la luna ci vuole accompagnare» (229).
L’universo siderale rappresenta una sorta di condizione permanente nell’intera produzione del Nostro dove la luna, da satellite della nostra Terra, talvolta personificata nella donna, altre volte richiamata quale prolungamento di uno stato d’animo, segna le direttive di una poetica intrisa di quel fascino illuminato e sapiente di cui tutti i grandi, da Shakespeare a Lorca, passando per Baudelaire, Borges, Yeats sino a Merini (solo per citarne alcuni) hanno parlato. Della luna Calabrò ci parla di ogni forma di accadimento: dalla sospensione («luna ferma nel cielo/ come un dilemma», 76) all’assopimento («la sedazione della luna», 78) sino ad adoperare tale isotopia anche per descrivere una condizione, quella di «allunato» (96), fino a quando esso diviene un campo di possibile nutrimento per la futura vita: «Un fiore assurdo/ è attecchito sulla luna» (95). Descrivendoci le varie fasi: la luna piena (la «luna ecedentaria di giugno», 14), «la luna calante» (47) di quando «la faccia della luna è coperta» (95) con le sue «rivoluzion[i] a fas[i] alterne» (118) e l’accenno alle varie «lunazioni» (117) vale a dire il periodo che intercorre tra il compimento di fasi identiche e successive. La luna ha una proiezione indissolubile nell’universo femminile (il ciclo mestruale è un periodo che ha relazione proprio con le fasi lunari, proprio come gli intervalli di alte/basse maree) e il gioco di sguardi e di svelamento, in una nudità che è recupero dell’arcaico nella dimensione primigenia della Grande Madre, è palesato in versi densi di passione: «Ti svestirò di luna/ sulla grande terrazza» (100). Però è anche una luna filosofica, alla Leopardi, che permette la contemplazione, lo scavo interiore, la confessione con sé e l’interessamento verso questioni universali sulle quali tutti si son dibattuti: dal tempo e il suo scorrere, al senso della vita, alla dimensione del dolore, alla solitudine al punto che la luna è anche una proiezione, ciò che non è ma che rappresenta perché, in fondo, fiabescamente «La luna esiste solo se la guardi» (123).
La Quinta dimensione di Calabrò è transito incorporeo di un passaggio verso un oltre. Cadono categorie logiche di spazio e tempo e ci si sofferma sul senso dell’oltrepassare, di proiettarsi verso una realtà altra: «Bisogna oltrepassare, come Alice,/ la lastra riflettente di cristallo/ e senza aprirla varcare la porta/ per cui s’accede alla quinta dimensione.// Forse da dentro mi aspetti a quel varco:/ recessivi/ sugli estremi planari dell’inconscio,/ come la sorte s’aprono i tuoi occhi» (204). Ciò che compie Alice nel celebre romanzo di Lewis Carroll è, in effetti, una caduta nell’abisso, un risucchiamento in una voragine sconosciuta: un passaggio a un’altra dimensione. L’accadimento, quella della precipitazione nel cuore della terra, non è voluto né è spiegabile: ha la forma di qualcosa di assurdo e per questo motivo crea paura e da esso promana mistero. La giovanetta si troverà in un mondo dove non vige la logica comune, la morale, dove anche le normali consuetudini e conoscenze basilari sono sovvertite e annullate («Noi siamo le nostre abitudini/ se si stravolgono quelle, chi siamo?», 11). È l’introduzione in un mondo illogico, apparentemente pericoloso e ostile, in realtà la ragazzina scoprirà il meraviglioso, si divertirà, si sentirà – cosa che non le era mai accaduto in precedenza – parte attiva di una compagnia di esseri (siano pure strampalati). Il varco, prima rappresentato dal buco nel terreno, poi dalla porta che non subito riesce a valicare e nel secondo capitolo dallo specchio, il cui passaggio ha la forza del compimento di un rito di passaggio, è connotato positivamente (ma ciò potrà avvenire solo al termine della narrazione): Alice per crescere e diventare donna matura deve necessariamente compiere quel tragitto, far esperienza di quella realtà, introdursi nei gangli di una dimensione altra, che non appartiene a nessun altro del suo ambiente. Ed è, proprio per questo, privilegiata, sebbene di tutta prima lei si senta minacciata da quell’ambiente.
La Quinta dimensione di Corrado Calabrò condivide gli stilemi di questo ingresso misterioso ed esoterico in una alterità, un al di là non meglio definibile dove «vivere qualcosa oltre il vissuto» (40), in un passaggio ultra-terreno che rende afasici («Forse mi sono entrate nell’udito/ semplicemente le cose non dette», 84) e confusi («La notte non riesco a stare a letto;/ l’incertezza è l’unica certezza», 11), in parte ammorbati e appesantiti dal troppo presente che non permette, con levità il passaggio verso l’illimite riconducendo l’io agli ingranaggi della razionalità: «È questo il paradosso degli umani:/ solo al buio c’è concesso di vedere/ quel mondo cui il giorno ci fa ciechi./ Ma la notte è incognita a se stessa,/ dinanzi a Lei anche Zeus indietreggia» (21). Chiaramente non è sufficiente tutto questo per accennare alla Quinta dimensione di Calabrò e si deve richiamare la fisica degli universi paralleli. Tenuto conto che la poco richiamata “quarta dimensione” ha a che vedere più propriamente con la durata di qualcosa, ossia l’estensione che nel tempo può avere, che cosa s’intende con “quinta dimensione”? Si deve ricorrere alla Fisica quantistica, di cui ho scarso nutrimento, mi si perdonerà dunque le imprecisioni! Sembrerebbe che essa abbia a che vedere con i “futuri possibili” o i già citati “universi paralleli”, un campo indefinito di possibilità, di diramazioni, di eventualità futuribili non esperibili, una filiazione continua di circostanze che, cosa che più conta, ci vengono forniti in pensiero quale suggestione, in forma di possibile scelta, o per suggestione e influenza da altre persone. Nel blog “Il mondo della mia psiche” Alexia Meli sostiene che «nella quarta dimensione è possibile il paradosso, cioè che ciò che era vero un attimo fa può non essere vero ora. Anche ciò che era falso un momento fa potrebbe non essere vero ora. Non ci sono definizioni rigide per definire le esperienze, ma scegliamo la nostra vibrazione momento per momento»[12]. Questo sembra rispondere a ciò che accade ad Alice nel Paese delle Meraviglie, mentre la quinta dimensione «è il posto, lo spazio e l’energia che si basa sulla consapevolezza di una coscienza unica. […] nella quinta dimensione il tempo collassa. Il tempo è istantaneo, nel senso che tutto (tutte le possibilità) esistono nello stesso tempo nello stesso spazio. Non esistono polarità, condizioni, giudizi, patterns di pensiero».[13]
A completamento di questa bella antologia è uno scritto investigativo di Calabrò nel quale, con un metro critico e obiettivo, affronta varie questioni impellenti e cruciali relative alla poesia, al suo significato, ai suoi linguaggi e potenzialità nella società a noi contemporanea. Pagine di una vividezza disarmante dove Calabrò per un attimo prende la giusta distanza dalla materia poetica per osservare, con lenti potentissime, il fenomeno poetico tra ambiguità e reticenze diffuse, manipolazioni, codici destrutturati, condizioni di liminarità della poesia, ibridismi e antipoesia (è durissimo, per esempio, contro lo sperimentalismo accecante delle nuove avanguardie ma anche con la cosiddetta poesia asemantica) che dominano troppo pesantemente nello scenario d’oggi. La disanima, su questo aspetto e sull’intero universo della cultura d’oggi, è serrato e con una nutrita documentazione e riferimenti ad autori dei loro rispettivi campi d’azione; con un linguaggio chiaro e privo di omissioni di sorta, l’autore esplica assai distintamente le sue convinzioni, non esimendosi di evidenziare criticità, incomprensioni, improntare delusioni e avanzando denunce più o meno palesi, verso ciò che non gradisce, motivandone sempre le ragioni di fondo.
La riproduzione del presente testo, in forma di stralcio o integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dell’autore.
[1] La prefazione di Fabia Baldi è risultata primo vincitore assoluto nella sezione critica poetica all’interno della VII edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” la cui cerimonia si è tenuta nella Sala Maggiore del Palazzo dei Convegni di Jesi (AN) il 10 novembre 2018. Essa è pubblicata, in qualità di opera vincitrice, nell’antologia del premio.
[2] Alcune poesie di Calabrò sono apparse in vari numeri della rivista di poesia e critica letteraria Euterpe nel corso degli anni, ovvero nel 2014 le poesie “La luna spenta” (n°12), “Southern Bug” (n°13), nel 2015 le poesie “Dormiveglia” (n°15), “Né ramo né radice” (n°17), nel 2016 le poesie “Alba di notte” (n°18), “Dov’è tuo fratello?” (n°19), “Ma più che mai…” (n°20), “La verità” (n°21), nel 2017 “Gemellaggio” (n°22), “L’esorcismo dell’Arcilussurgiu” (n°24), nel 2018 “Dov’è tuo fratello?” (n°26) e “Canti senegalesi a Lampedusa” (n°26). Non tutti queste opere figurano pubblicate in Quinta dimensione.
[3] Se si pensa che Calabrò scrive da sempre, dobbiamo concepire questa antologia quale il prodotto finale di un attento processo di selezione, vaglio e cernita che ha decretato l’inserzione di determinati testi, piuttosto che altri. Calabrò ha infatti osservato in precedenza: «Le prime poesie pubblicabili (e poi effettivamente pubblicate da Guanda) le ho scritte tra i quindici e i diciotto anni. Parlavano del mare: alcune figurano ancora nelle mie raccolte antologiche», in “Intervista a Corrado Calabrò” in Lorenzo Spurio, La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi, PoetiKanten, Sesto Fiorentino, 2015.
[4] Cit. in Francesco Kerbaker, Recensione ai Cantos di Ezra Pound (Mondadori, Milano, 2018), “Poesia”, anno XXXII, Aprile 2019, n°347, p. 76.
[5] Il poeta tedesco non è citato, ma viene proprio nominato, nella poesia “Non sei una dea” (93).
[6] Nell’intervista a me concessa da Calabrò nel 2015 il poeta ha rivelato: «Vivo da oltre cinquant’anni a Roma, ch’è una città meravigliosa. Ma ogni mattina, quando appena sveglio apro le imposte, avverto un senso di privazione. Ancora assonnato, ogni mattina non mi rendo conto sul momento di cosa mi manchi. Solo un attimo dopo realizzo: mi manca il mare, quel mare che vedevo da ogni finestra della mia casa nativa. È la mia vita non vissuta che s’affaccia».
[7] Tutte le citazioni, sia delle poesie che dei suoi scritti critici sulla poesia che vengono indicate per numero di pagina tra parentesi, sono tratte da Corrado Calabrò, Quinta dimensione Poesie 1958-2018, Mondadori, Milano, 2018.
[8] Alcuni versi dopo si riallacciano a quanto espresso e recitano: «La morte ci alita addosso e con essa/ si cancella tutto» (20).
[9] Oltre al televisore compaiono, quali strumenti-simbolo di quest’età in cui l’uomo è asservito alla macchina, il computer, il cellulare e l’iPod. Oggetti che sono entrati nella vita quotidiana dell’uomo senza più uscirne, contraddistinguendosi ormai come bisogni primari, proprio come il mangiare e il dormire. Ciò evidenzia il vizio della società e la condizione dell’uomo inabile nella sua primigenia natura, viziato e dipendente da altro, prodotto della sua stessa ricerca. Se tali oggetti sono frutto della scienza, pensati come elementi che consentano il miglioramento dello stile di vita (o permettano il diporto), d’altro canto finiscono per essere dei prolungamenti umanizzati, protesi tecnologiche, arti-cyborg. Il loro utilizzo è continuo, rituale (e maniacale al contempo), ormai fisiologico, come traspare anche da un verso di Calabrò: «di tanto in tanto/ riaccendo il cellulare» (89).
[10] «Privo di senso e saputo,/ come le nonpoesie di Sanguineti,/ è un calendario scaduto» (207).
[11] Proprio come la vita è una scommessa, dopo tutto.
In questo mare che è la vita, dunque tanto il passato, il presente che il futuro, il Nostro si trova spesso a ragionare: «Forse è un imbarco dal quale non torno» (33).
[13] Nello stesso articolo si legge anche: «Nella quinta dimensione si è consci di essere consapevoli. Non esistono paura, bisogno di sicurezza, mancanza di fiducia. Le energie femminili e maschili sono fuse insieme in armonia. […] Si interagisce coscientemente con il Creatore e tutti gli Esseri di Luce».
Dall’11 aprile in libreria Il ritratto vero, appassionato, commovente e lancinante di una delle penne poetiche più intense del XVI secolo
Dopo il successo di “Transtiberim. Trastevere, il mondo dell’oltretomba” Giuseppe Lorin torna in libreria da aprile con “Dossier Isabella Morra” edito da Bibliotheka Edizioni, il ritratto di una delle penne poetiche più intense del XVI secolo. Gli scritti di Isabella Morra, riflettono il valore mediatico della Poesia stessa, che entra a far parte della linfa appartenente ad una natura troppo ricca, tanto da essere predestinata a causa del suo eccesso intatto e virginale, allo stupro e al saccheggio della sua essenza. Isabella confida che i posteri non la ricordino soltanto come fanciulla uccisa, pregandoli invece di non dimenticare i suoi lavori, le sue poesie scritte nella sofferenza di adolescente privata del padre, unico punto di riferimento in una terra amara. È nel primo sonetto, più che in altri, che si avverte la necessità di essere ricordata come poetessa, poiché, come sostiene, è la Poesia a mantenere in vita il poeta stesso. E, come sempre sostengo, si tratta di un riscatto di notorietà in forza della scrittura, ovvero della poesia, unico “ponte” tra il poeta e il lettore. Hanno contribuito per questo saggio storico di Giuseppe Lorin con loro poesie originali dedicate ad Isabella Morra: Dacia Maraini, Dante Maffia, Michela Zanarella, Corrado Calabrò, Marcella Continanza, Vittorio Pavoncello e Antonella Radogna.
Giuseppe Lorin è attore, poeta, regista, critico letterario, conduttore e giornalista, ha studiato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Ha pubblicato: Manuale di dizione; Da Monteverde al mare; Tra le argille del tempo; Roma, i segreti degli antichi luoghi; Roma la verità violata; Transtiberim, Trastevere il mondo dell’oltretomba.
Un premio letterario è piacevole per molti aspetti! È una festa e di questi tempi non guasta poter gioire di qualcosa! È un incontro, uno scambio. Il rinnovarsi di amicizie di sempre e scoprire nuove empatie! Ma a volte ti accorgi, e questo avviene per merito di alcuni premiati, che a volte c’è dell’altro.
Così è capitato il 25 marzo alla Sapienza durante la cerimonia di premiazione del Premio Europa e Cultura. Il nome del premiato Renato Minore è sicuramente garanzia di preparazione culturale, di esperienza letteraria ormai sedimentata in strati d’oro, in capacità discorsiva eccellente. Ma ecco che quel famoso qualcosa in più viene fuori con naturalezza ed incanta il pubblico. Non capisci se parla il romanziere o il critico o il poeta. Lui mescola le carte e seduce l’ascoltatore come se gestisse uno spartito musicale suonato con grande perizia. Ma anche qui viene fuori qualcosa di nuovo, lo spartito s’interroga, cerca non solo conferme ma nuovi percorsi.
La nota musicale si rimette continuamente in gioco quasi a scardinare gli equilibri espressivi di sempre alla ricerca del nuovo linguaggio e del nuovo significato della parola nel romanzo. Presentato da una splendida introduzione di Corrado Calabrò, presidente di giuria, il premiato diventa indagine letteraria in tempo reale. Così nasce il momento di connubio con il pubblico in una confessione dei propri intenti narrativi fatti come fosse una confessione, la fatica delle sudate carte della ricerca approfondita diventa il pane sul quale spalmare la marmellata dei rinvii continui tra il tempo presente ed il passato, tra l’autore ed il personaggio, tra i nostri giorni ed i giorni di Rimbaud in una sovrapposizione dei piani che sorprende e conquista il lettore, l’ascoltatore diventa protagonista, diventa la penna che scorre sul foglio bianco da interrogare ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Momento indimenticabile l’intervento di Renato Minore alla Sapienza, quasi una Lectio magistralis dai contorni modernissimi di un approccio verso gli altri capace di spezzare la solitudine di chi scrive in un abbraccio collettivo con chi legge o ascolta.
Liliana Biondi, Corrado Calabrò, Renato Minore e Anna Manna
Il Premio avviato su questo percorso di grande spessore culturale non poteva diminuire come intensità. Ed infatti ha mantenuto la promessa : le performance poetiche di Eugenia Serafini, pittrice notissima e poetessa raffinata, di Antonella Pagano che ha rivissuto, scrivendo e recitando, il dramma della poetessa Isabella Morra avvolta nel tulle di un metaforico abita da sposa, i versi al femminile di Jole Chessa Olivares sintesi perfetta e purissima dell’anelito alla dimensione altra e lo sguardo alla concretezza dei problemi, hanno mantenuto alto il livello della manifestazione.
La relazione di Tiziana Marini su Sibilla Aleramo ha aperto lo scenario alla passione. Che in questa occasione si è stemperata nella atmosfera raffinatissima che da veri intellettuali la coppia formidabile Sabino e Diana Caronia hanno creato con i loro interventi degni di un dialogo teatrale.
Scivolando con grazia verso i ricordi di una Roma che forse non esiste più ma ancora conserva il fascino della riproposta intellettuale di figure che non ci sono più. Il futuro di questa famiglia di letterati amici si leggeva negli occhi di Neria De Giovanni, severa ed affascinante, pensosa e consapevole, donna di cultura capace di grandi organizzazioni e di grandi collaborazioni. Così è già nell’aria l’evento del 9 maggio prossimo al Libero Sindacato Scrittori italiani. A Palazzo Sora, nel cuore di Roma, si svolgerà l’Incontro AMBIENTE E CULTURA – Quando il luogo diventa paesaggio dell’anima curato da me, con la partecipazione prestigiosa di Neria De Giovanni presidente di giuria del Premio Italia mia, che dedica l’Evento al decennale del terremoto aquilano ed ai suoi artisti impegnati a celebrarlo. Nell’ occasione si svolgerà anche la Cerimonia di premiazione del Premio ITALIAMIA.
Corrado Calabrò e Neria De Giovanni al tavolo della presidenza
A che serve un Premio letterario? Forse a raccontarci la Speranza, la ricerca incessante di artisti verso nuove promesse, paradisi sognati e poi persi, domande sempre in bilico e mai sbrogliati, a riallacciare canovacci sgualciti, ferite mai sanate, terremoti dell’anima. Forse semplicemente a fotografare il paesaggio terribile mai definito completamente: il paesaggio dell’anima.
Che il 25 marzo alla Sapienza è stato scandagliato anche dalle poesie di Antonella Anedda, magnificamente recitate da Maria Teresa Calabrò, figlia d’arte!
L’autrice, anche lei premiata con la targa firmata Antonio Fiore, lontana per motivi professionali, è comunque stata avvertita nel cuore dei presenti come una presenza concreta e vitale. In un dialogo che supera le dimensioni spazio- tempo. In un anelito verso l’illimite, questo affascinante commensale nella tavola della vita, dove si riesce a volte ad azzerare le distanze del cuore soltanto attraverso la ricerca poetica. E non è poca cosa!
ANNA MANNA
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Dopo la precedente presentazione del volume antologico di poesie scelte di Corrado Calabrò tenutasi a Roma, presso la prestigiosa location del Tempio di Adriano, alla presenza dell’ex-sottosegretario del Governo Gianni Letta, lo scorso 18 dicembre, il noto poeta di origini calabresi ritorna a presentare Quinta dimensione edito Mondadori.
Il nuovo incontro con l’autore si terrà a Milano il 2 Aprile alle ore 18:30 presso la Libreria Rizzoli all’interno della Galleria Vittorio Emanuele II. Interverranno Marco Corsi e Carlo Di Lieto mentre fungerà da coordinatore Giuseppe Lupo.
Corrado Calabrò è nato a Reggio Calabria. Al primo volume di poesie, scritto tra i diciotto e i vent’anni, Prima attesa (1960), sono seguite molte altre raccolte, tra cui Agavi in fiore (1976), Presente anteriore (1981), Rosso d’Alicudi (1992), Una vita per il suo verso (2002), La stella promessa (2009), T’amo di due amori (2010). Numerose sono le edizioni straniere delle sue poesie in una ventina di lingue e le trasposizioni teatrali e musicali dei suoi versi. Col romanzo Ricorda di dimenticarla(1999) è stato finalista al premio Strega e ha ispirato il film Il mercante di pietre di Renzo Martinelli. Per la sua opera poetica ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero, tra cui due lauree honoris causa.
Il 25 Marzo 2019 alle 16,00 a Roma, presso il Centrodi documentazione europea(CED) “Altiero Spinelli” alla Facoltà di Economia e Commercio della Università “La Sapienza” (Via del Castro Laurenziano 9 – Viale Ippocrate) avrà luogo la cerimonia ufficiale di consegna del premio “Europa e Cultura” nell’ambito del Progetto “Le Rosse pergamene del Nuovo umanesimo” ideato e presieduto dalla poetessa e scrittrice Anna Manna.
L’iniziativa è nata nel 2013 in occasione di un convegno, ideato e organizzato da Anna Manna, dedicato al poeta antropologo, il prof. Gilberto Mazzoleni, della Facoltà di Lettere, che ha visto studiosi e docenti riuniti alla presenza del Preside della Facoltà di Lettere, prof. Roberto Nicolai sulla tematica europea. Il Convegno ha avuto un seguito proseguendo il suo programma anche dopo la morte del prof. Mazzoleni.
Presso la Sala delle Bandiere dell’Ufficio del Parlamento Europeo a Roma a gennaio del 2014 è stato battezzato il “Premio Europa e Cultura” che si è svolto sotto la presidenza di Giuria del noto poeta Corrado Calabrò. La prima edizione del Premio si è svolta nel febbraio 2016 presso la Sala della Biblioteca della Camera dei Deputati alla presenza del presidente di Giuria Calabrò.
La poetessa e scrittrice Anna Manna ideatrice e fondatrice del Premio “Europa e Cultura” che da anni viene assegnato nel Centro “Altiero Spinelli” della Università la Sapienza a Roma
La finalità della iniziativa è quella di premiare personalità di spicco in ambito europeo. Il Centro di documentazione europea Altiero Spinelli ha ospitato le edizioni successive, diventando la sede stabile della Cerimonia di Premiazione.
Una sezione del Premio è dedicata al racconto della bellezza italiana nell’arte e nel paesaggio ITALIAMIA la cui giuria è capeggiata dal critico Neria De Giovanni, Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici letterari. Infine dallo scorso anno, per volontà della promotrice, Anna Manna, la sezione poesia si è prefissa di premiare una donna.
Nel 2019 la Giuria ha deciso di premiare due importanti personalità culturali: per la poesia la poetessa prof.ssa Antonella Anedda e per la narrativa lo scrittore, saggista e critico letterario Renato Minore. Fresco di stampa è il suo ultimo libro Rimbaud. La vita assente di un poeta dalle suole di vento edito da Bompiani nel febbraio 2019.
Alla cerimonia di Premiazione, condotta da Anna Manna, seguirà il secondo Incontro “Mi faccio Europa” della Rassegna “I protagonisti nell’Europa di tutti” dedicato alle donne, dopo il precedente incontro di dicembre 2018 nel corso del quale hanno preso parte, tra gli altri, Daniela Fabrizi, Lorenzo Spurio, Jole Chessa Olivares e Michela Zanarella. In questo nuovo incontro tutto declinato alle donne prenderanno parte Antonella Pagano, Tiziana Marini, Sabino Caronia e Diana Cavorso Caronia. Madrina dell’evento sarà la poetessa e scrittrice abruzzese Liliana Biondi che il 4 dicembre scorso ha ricevuto il “Premio Europa e Cultura” 2018. Durante l’incontro si terrà una performance poetica di Eugenia Serafini e un recital di poesie al femminile a cura di Jole Chessa Olivares.
Si segnala l’uscita del n°28 della rivista di letteratura Euterpe che proponeva quale tema di riferimento “Musica e letteratura: influenze e contaminazioni”.
L’apertura di questo numero è dedicato al poeta GUIDO OLDANI, padre del realismo terminale, con alcuni suoi inediti e un commento a cura del critico letterario Lucia Bonanni.
Nella rivista sono presenti testi di (in ordine alfabetico): Abenante Carla, Ariemma Angelo, Baldazzi Cinzia, Baldi Fabia, Bardi Stefano, Baroni Alberto, Benassi Luca, Biolcati Cristina, Bisutti Donatella, Bonanni Lucia, Buffoni Franco, Calabrò Corrado, Camerini Adriano, Camponero Francesca, Carmina Luigi Pio, Centomo Bruno, Consoli Carmelo, Conti Maria Concetta, Covezzi Miriam, Curzi Valtero, D’Arpini Paolo, D’Errico Antonio G., De Rosa Mario, De Stasio Carmen, Demi Cinzia, Di Sora Amedeo, Enna Graziella, Ferraris Maria Grazia, Fusco Loretta, Giordano Zavanone Giovanna, Giorgi Simona, Grasselli Denise, Langella Giuseppe, Lania Cristina, Linguaglossa Giorgio, Lombardi Iuri, Luzzio Francesca, Mancinelli Giorgio, Marcuccio Emanuele, Martillotto Francesco, Mongardi Gabriella, Moretti Vito, Oldani Guido, Otello Emilia, Pellegrini Sefania, Perrone Cinzia, Pierandrei Patrizia, Prediletto Vincenzo, Raggi Luciana, Santarelli Anna, Serpi Marzia, Spagnuolo Antonio, Spurio Lorenzo, Strinati Fabio, Tabellione Marco, Tiberio Tina Ferreri, Vargiu Laura, Veschi Michele, Vitale Carlos, Zanarella Michela, Zavanone Guido,
Di particolare interesse è la sezione saggistica del presente volume che si compone dei seguenti contributi:
ARTICOLI
MARIO DE ROSA – “Una mistica fra rock e poesia: Patti Smith”
IURI LOMBARDI – “Gli scrittori nella canzone d’autore italiana”
FABIA BALDI – “La querelle del Premio Nobel a Bob Dylan”
CORRADO CALABRO’ – “Musica e poesia”
BRUNO CENTOMO – “Buonaterra e Centomo: la parola in musica”
CINZIA PERRONE – “Bob Dylan il menestrello del rock”
GIORGIO MANCINELLI – “Musicologia all’origine della cultura globalizzata”
FRANCESCA CAMPONERO – “La poetica, cuore del melodramma”
PAOLO D’ARPINI – “Musica come espressione ecologica dell’anima”
DENISE GRASSELLI – “Dalla letteratura alla musica: l’enigmatica storia di Orfeo e Euridice”
CETTA BRANCATO – “Canto per Francesca”
VINCENZO PREDILETTO – “Beat in rosa: musica beat ed emancipazione femminile”
SAGGI
CINZIA BALDAZZI & ADRIANO CAMERINI – “Bob Dylan tra Keats, Leopardi e Shelley”
LUCA BENASSI – “Del testo e della musica. Un approccio storico ai problemi relativi al rapporto tra poesia e musica”
STEFANO BARDI – “La nuova frontiera della poesia in Italia: Rap & Company”
LUCIA BONANNI – “Da La terra del rimorso di Ernesto De Martino alla “cinematografia sgrammaticata” di Pier Paolo Pasolini per un percorso interdisciplinare tra etnomusicologia, letteratura popolare e cinema etnografico”
FRANCO BUFFONI – “Ritmo sopra tutto”
CINZIA DEMI – “La voce della fontana in Fogazzaro, D’Annunzio, nei Crepuscolari. Una musica per immagini”
LORENZO SPURIO – “Approcci comunicativi e sovrapposizioni di voci nel delirio di Alice nel Paese delle Meraviglie”
MARIA GRAZIA FERRARIS – “Fryderyk Chopin e George Sand. La goccia d’acqua”
GABRIELLA MONGARDI – “Letteratura e musica in La morte a Venezia di Thomas Mann”
VALTERO CURZI – “Letteratura e musica: influenze e contaminazioni”
MARCO TABELLIONE – “La Musica silenziosa. La poesia e la sua musicalità”
ANGELO ARIEMMA – “Les Chansonniers ovvero poesia per musica”
GRAZIELA ENNA – “Due poeti francesi reinterpretati da Fabrizio De André: François Villon e Pierre de Ronsard”
CARMEN DE STASIO – “Pienezza espressiva tra musica e letteratura”
FRANCESCO MARTILLOTTO – “La musica, “dolcezza e quasi anima de la poesia” in Torquato Tasso
RECENSIONI
GABRIELLA MONGARDI – “Come se di Luigi Santucci”
LAURA VARGIU – “Cattivi dentro. Dominazione, violenza e deviazione in opere scelte della letteratura straniera di Lorenzo Spurio”
LAURA VARGIU – “Quadro imperfetto di Stefania Onidi”
CARMELO CONSOLI – “Così è. Colloqui con Dio di Ermellino Mazzoleni”
La rivista può essere letta e scaricata in formato pdf collegandosi al bottone del sito dell’Ass. Euterpe (www.associazioneeuterpe.com) “Leggi i numeri della rivista” o, per maggiore praticità, può essere raggiunta cliccando qui.
Segnaliamo la possibilità di poter visualizzare e leggere la rivista anche in altri formati compatibili con altri dispositivi:
Ricordiamo, inoltre, che il tema del prossimo numero della rivista al quale è possibile ispirarsi sarà “I drammi dei popoli in letteratura: genocidi, guerre dimenticate, questioni irrisolte, rivendicazioni e speranze deluse”. I materiali dovranno essere inviati alla mail rivistaeuterpe@gmail.comentro e non oltre il 31 Maggio 2019 uniformandosi alle “Norme redazionali” della rivista che è possibile leggere a questo link
L’Incontro “MI FACCIO EUROPA” si sviluppa nell’ambito del Progetto “CULTURA E TERRITORIO IN EUROPA : I PROTAGONISTI” ideato e curato dalla poetessa, scrittirce e organizzatrice culturale Anna Manna in collaborazione con il Centro A.Spinelli. Il titolo dellIncontro “MI FACCIO EUROPA” vuol essere un ricordo ed un Omaggio al Convegno “MI FACCIO VIVO” (dedicato al Prof.Gilberto Mazzoleni) che si svolse poco prima della scomparsa del poeta antropologo presso la FACOLTA’ DI LETTERE alla presenza di molti docenti e molti studenti. Durante questo convegno, che prese il nome dal titolo dell’ultimo libro del Prof.Mazzoleni, si evidenziarono molte tematiche dedicate all’Europa della cultura e si decise l’organizzazione del Premio EUROPA E CULTURA presso la Sala delle Bandiere al Parlamento europeo. Anna Manna ha voluto riproporre il concetto del Prof. Mazzoleni per rimanere fedele ai progetti ed alle decisioni che ideò sotto la sua guida durante gli ultimi anni di docenza del professore nella Facoltà di Lettere.
Si svolgerà nei prossimi mesi affrontando grandi tematiche: LE DONNE, I GIOVANI, GLI INTELLETTUALI, L’IMPRENDITORIA, LA SCUOLA. Tutti gli incontri sono ospitati presso il CENTRO DI DOCUMENTAZIONE EUROPEA A.SPINELLI – FACOLTA’ ECONOMIA E COMMERCIO – SAPIENZA UNIVERSITA’ DI ROMA , via del Castro Laurenziano n° 9.
Anna Manna, organizzatrice e ideatrice dell’intera iniziativa
Il primo incontro sarà dedicato all’universo delle donne. Si terrà il 4 dicembre 2018 alle ore 15:30.
Durante l’incontro ci sarà la Cerimonia di premiazione del Premio EUROPA E CULTURA 2018 con la presidenza di Giuria del poeta Corrado Calabrò
Programma
Benvenuto Anna Manna, Angelo Ariemma per il CDE
Saluto CORRADO CALABRO’
Presidente Giuria Premio Europa e Cultura
PREMIO EUROPA E CULTURA
Interventi :
Lorenzo Spurio
Presentazione numero speciale rivista di letteratura “Euterpe” (il n°27) dedicato al “Coraggio delle donne” già presentato presso Palazzetto Baviera a Senigallia (AN).
Tavola rotonda con le autrici: Fabia Baldi, Liliana Biondi , Jole Chessa Olivares, Neria De Giovanni, Daniela Fabrizi, Anna Manna, Antonella Pagano, Michela Zanarella. Le relatrici, nomi di grande prestigio nel mondo della cultura, illustreranno profili di donne importanti nella storia della cultura e del territorio europeo.
L’Incontro si concluderà con una performance poetica di Eugenia Serafini
IL PREMIO EUROPA E CULTURA 2018 durante questa manifestazione rivolge la sua attenzione alle donne premiando donne di grande interesse nell’ambito del panorama culturale europeo.
Il responsabile della comunicazione per il progetto Cultura e territorio in Europa