“Per una strada” di Emanuele Marcuccio, recensione di Susanna Polimanti

Per una strada
di Emanuele Marcuccio
SBC Edizioni, Ravenna, 2009, pp. 100
ISBN: 978-88-6347-031-4
Genere: Poesia
Prezzo: 12,00 €
 
Recensione a cura di Susanna Polimanti

 

emanuele marcuccio - per una strada“Tutto è passato per una strada, luogo fisico, luogo dell’anima, che è stato trasfigurato dalla mia sensibilità, dalla mia immaginazione, che ho cercato di esprimere con la mia poesia”: parole stupende ed essenziali, scritte da Emanuele Marcuccio, poeta palermitano, nella prefazione alla sua  silloge “Per una strada” – SBC Edizioni.  La nostra vita è cammino lungo sentieri tortuosi e lineari, un passaggio attraverso il tempo terreno. La poesia di Marcuccio  percorre età e stati d’animo differenti, una mescolanza di presente e passato, ogni aspetto della sua realtà poetica è profondamente legato a forti tradizioni artistiche e culturali della sua terra di origine, nonché alla sua storia personale.

Definirei Emanuele Marcuccio un poeta dallo stile arcaico, un’anima antica che predilige l’essere all’avere, un attento ermeneuta alla continua ricerca filologica; in ogni suo verso è estremamente tangibile l’amore per la parola, la sua lirica palesa un’intensa spiritualità, ricorda le antiche odi greche e latine. Memore delle prestigiose liriche classiche, ai cui autori Marcuccio dedica svariati canti, si fa mentore egli stesso, con parole ardenti e passionali penetra tutto ciò che nel mondo è essenziale, suggerisce coraggio ed infonde speranza. Una vena poetica di altri tempi dunque, espressione di affetti e sentimenti su temi come la patria, l’amore, la natura e la libertà dell’individuo; egli manifesta nei suoi versi emozioni che riflettono la contraddizione del proprio tempo in una società moderna di massa,  parole che respirano atmosfere di degrado ed ingiustizie di un progresso pervaso dall’indifferenza verso ogni creatura dell’universo, che siano animali, eventi o luoghi. La dolce e malinconica consapevolezza della capacità distruttiva dell’uomo si alterna e s’intreccia con voci comuni e tradizionali in versi vivaci e coloriti. La sua lirica è echeggiante e pregiata, pregnante di significati connotativi in un insieme di emozioni, immagini ed effetti che la parola è capace di evocare. Imperante il desiderio di un rifugio interiore che sfocia nella dolce catarsi della poesia. Non a caso nella silloge “Per una strada” ritroviamo spesso il verbo “inabissarsi”, il poeta vive ogni suo verso  esattamente come specchio interiore, visione del mondo e mondo essa stessa, secondo quel ritmo purificatorio che le ha impresso. La sua opera è immagine pura della sua stessa integrità  e fedeltà al momento creativo originale.

Profonda e costante la presenza divina la cui ispirazione è tracciato potente e luminoso dell’evoluzione artistica di Emanuele Marcuccio; un poeta-musico, la cui poesia ritengo possa egregiamente essere accompagnata dal suono di uno strumento musicale e magari cantata in un suggestivo teatro, come affascinante può considerarsi la lettura dei suoi versi.

 Susanna Polimanti 

Cupra Marittima (AP), 29 agosto 2013

“Si tira avanti solo con lo schianto” di Davide Rondoni, recensione di Ninnj Di Stefano Busà

Si tira avanti solo con lo schianto” emblematico libro di Rondoni che mostra la poesia come visione lirica di un progetto esistenziale inevitabile e necessario.

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

untitledLa demolizione di ogni sogno, di ogni ideale sembrerebbe racchiudere questo titolo, in realtà si rivela in Davide Rondoni, un panorama ineludibile del far poesia: senza lo schianto non vi possono essere crescita, rinascita, superamento, non vi può essere il palese dissidio, la distonìa che muove e sommuove le anime in un mutuabile e vicendevole percorso di vita.

Lo schianto che come precisa lo stesso Rondoni è mutuato  da un verso del testo poetico “Giorno dopo giorno” di Ungaretti è la molla necessaria, forse dilagante e intristita di un giorno qualunque che si propone come faglia, come referente di mistero, di approdo “altro”, di altre destinazioni ed esperienze.

Ma non basta per dare una svolta successiva ad un’arte che in Rondoni è esperimento di un’alterità, che ci prescinde e ci restituisce la nostra vera essenza, la sorte alla quale siamo chiamati, in prossimità, di esperienze e di conoscenze, di eventi personali a noi strettamente legati.

Tutti gli interrogativi, le incognite, le inadeguatezze portano ad un solo destino: il superamento del punto di fuga, relativo alla stessa coscienza che in modo difforme ci porta ad assumere atteggiamenti diversificati nel pensiero, riconoscendo la poesia come interprete di un quid che si nutre di stupore, di curiosità per un sentire che è sempre balzo in avanti, incantamento e curiosità verso noi stessi e l’altrui.

La molla che ha fatto sua l’esperienza di scrittura di questo libro, è a mio parere, il riconoscere la capacità del dolore, l’impatto con esso e condividerlo con l’esperienza stessa del dolore degli altri. Sono incontri con l’altrui “schianto”, all’interno di una strategia comportamentale che ama confrontarsi e dialogare col suo prossimo, evangelicamente edotta dalla sua esperienza personale di uomo e di cristiano.

Rondoni scrive con un linguaggio asciutto, efficace e moderno che sa individuare e, quindi, tradurre il disagio e il dosaggio dei giovanilismi ai quali la sua poetica è diretta. Davide Rondoni è il poeta delle nuove generazioni, cui lo “schianto” ha permesso di vivisezionare il normale intercalare della coscienza e derimerla dalla conoscenza, dalla esperienza.

La sua scrittura è dotata di assonanze necessarie in una visione d’insieme che è religiosamente laica, ma anche con qualche impennata teologico culturale di neofita cristiano.

 

Gli incontri coi personaggi, le visitazioni di luoghi, in apparenza casuali, si mostrano invece forte sollecitazione per l’anima del poeta che ne viene assorbito, fagocitato e ustionato dalla scoperta di umanità, inevitabile al suo linguaggio che non è circoscritto solo all’ambiente familiare, domestico ma risulta inusuale, caratterizzato da forte simbologie e metafore surreali, quanto di lucido e ruvido realismo: in entrambi i casi, fortemente improntati alla vita di tutti i giorni, alle cadute, alle dinamiche, alle ustioni, agli “schianti” propri e dell’altrui solitudine: “ Si tira avanti solo con lo schianto/ il resto va in panne, si esaurisce/ nella schiena ho il fuoco/ di ali bruciate, se mi dici/ rallenta/ precipito in ogni dolore nel raggio di una vita/…/ la vita è solo se scommette d’essere infinita/ l’impatto è una carezza/ nella nostra condizione/ sbandati da ogni morale/ ed è diritta sparata in Dio o/ in una sacrosanta maledizione.”

In definitiva, la poesia per Davide Rondoni fa da supporto ad un più umano sentire, che è “scienza nutrita di stupore” detta alla maniera bigongiariana, e rinnova, riaccende la coscienza della parola con episodi e visioni di sangue e carne,come previsto dal protocollo che abbraccia l’intera essenza dell’umanità.  

QUESTA RECENSIONE VIENE QUI PUBBLICATA DIETRO CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

Intervista a Salvuccio Barravecchia, a cura di Lorenzo Spurio

 INTERVISTA A SALVUCCIO BARRAVECCHIA

AUTORE DE “LA DIVINA IRONIA”

  

9788862720168LS: Il tuo libro “La divina ironia” è stato descritto in vari modi: come una pungente critica della società, come una parodia, come una riscrittura della storia della creazione, come una summa di insegnamenti forniti per mezzo della tecnica del paradosso. Quale era la tua intenzione principale che ti eri prefissato con questa pubblicazione? Stupire, criticare o far ragionare gli altri?

SB: Sicuramente far ragionare gli altri ma anche stupire. Il mio libro “La Divina Ironia”, quando uscì ebbe molte critiche per niente costruttive: alcuni insistevano nel dire che non si capiva niente, senza nemmeno averlo letto o per invidia; altri invece, affermavano che era un’accozzaglia di versi messi su carta bianca. Addirittura ci furono personaggi di bassa calibratura culturale, che cominciarono a puntarmi il dito dicendomi che ero un satanista, un blasfemo, uno che odiava la razza umana e addirittura un pazzo scatenato fuori dagli schemi.

Queste affermazioni però oltre a farmi sorridere mi spinsero a presentare il mio libro in modo alternativo e su questo mi aiutò molto la struttura del mio testo di per se molto teatrale.

Nella prima presentazione che feci utilizzai molto i disegni e le melodie.

Infatti nei miei versi accompagnati dalla chitarra, ho cercato di evidenziare l’amore per la natura e i suoi messaggi divini, l’amore per la poesia, per l’Arte ma in particolare ho cercato un modo per scrollarsi di dosso la serietà con cui l’uomo si confronta con le religioni.

Io non sono mai stato legato a nessuna religione, ma questo non vuol dire che le disprezzi.

Credo nel Dio per il semplice fatto che la poesia è un qualcosa di molto misterioso e chiunque l’abbia inventata e donata, nutre un amore immenso per l’Arte. Questo è e resta un qualcosa di molto evidente.

Il sorriso è di per se Arte; esso vive dentro di noi per liberare l’animo dalle catene delle invidie.

Il mondo di oggi ha smesso di ridere, si pensa solo a far soldi a palate, ad andare in chiesa a pregare per se e mai per coloro che muoiono di fame. Si pensa solo a trucidare le donne perché magari hanno un animo libero rispetto alla chiusura mentale di coloro che li circonda.

Al contrario di quello che si può pensare nella Divina ironia ho  inventato un viaggio molto creativo e costruttivo (il tempo poi mi ha dato ragione) in due mondi paralleli , paradiso e inferno, dove si vanno a ricercare i punti che li possono accomunare e quelli che li differenziano e l’ho fatto utilizzando un linguaggio leggero, pungente, rispettoso, pieno di colori e profumi e avvalendomi di un ampio uso dell’ironia e del paradosso.

In questo viaggio ho tralasciato volutamente  il purgatorio perché a mio parere meta obbligatoria per soli avvocati.

Ecco io a questo punto volevo evidenziare alcuni passaggi del mio libro e lo faccio trascrivendo la metafora dello Spensierato Samaritano:

 

Lo spensierato samaritano

 

Giuseppuzzo amava Mariuzza da sempre. Ma, dopo il loro matrimonio, imparò ad amarla ancora di

più. La stessa cosa valeva per Mariuzza, che attendeva ansiosa il susseguirsi dei giorni, nella

speranza dell’arrivo di un bambino.

Passarono giorni, anni, mesi ma del pargolo… nessuna notizia.

Il gran Dio notò che Giuseppuzzo e Mariuzza geneticamente non erano tanto compatibili, e ciò

divenne un problema, dal momento che aveva deciso di far arrivare come salvezza,

il suo di figlio, e direttamente nelle braccia di Mariuzza.

Ma il grande Dio pur continuando a sperare nella loro riproduzione, appropinquando del visto,

 chiamò lo Spirito Santerello dicendogli:

“Vai Spirito Santerello!!! Per far nascere il mio figlio messaggero e messia occorre una manovra.

Giuseppuzzo purtroppo, nonostante sia una persona stupenda, dobbiamo metterlo per un attimo da

parte, perché non potrà raggiungere mai la mia astratta genetica. Adesso vai ed annuncia a chi di

dovere, le mie ultime intenzioni…!!!”

E lo Spirito Santerello partì verso la casa della famiglia SANTI, a riversare il volere del Dio.

Il giorno dopo l’inondazione di purezza ormonica, Mariuzza andò contenta nella falegnameria di

Giuseppuzzu per dargli la notizia. Giuseppuzzu quando la vide arrivare l’abbracciò dicendole:

“Ma come sei contenta amore… vedendoti così divento ancor più felice…”.

Mariuzza: “Giuseppuzzu, aspetto un bambino per volere divino…”.

Giuseppuzzu: “Ma mi rendi una pasqua… finalmente diventerò padre !”

Mariuzza lentamente e molto intimidita rispose:

“Diciamo una specie di padre adottivo… perché la genetica

appartiene tutta al Padre Eterno, prestata o donata prudentemente allo Spirito Santerello… per poi

 lasciarmela… crescere dentro…”.

Giuseppuzzu: “E l’illibatezza?”

Mariuzza: “Quella è rimasta intatta…!”

A tal punto, a Giuseppuzzu confuso restò per sempre questo dubbio: “Ma lo Spirito Santerello,

visto questo passaggio… È MASCHIO O FEMMINA?

Il loro stato mentale era sugli stenti di qualsiasi opinione.

Ma entrambi dandosi la mano e guardando su in cielo, videro gli astri scambiarsi il loro unico scopo

per poi lasciare spazio a questo schermato rumore:

ACIDI GONFI

È caduto un soffio

che parlava con scansione

derubava alcuni istinti

osservati dal chi sei.

La parola chiede spazio

con la forza della rabbia

distorce il gusto di una fetta

assaggiata prima di noi

Siamo soli

siamo gonfi

siamo sciolti

come acidi in vita.

Siamo umani non capiti

di fronte a quel sublime

dove scivola stanco

il vero nome della libertà

Siamo goffi

siamo sobri

Siamo opposti di entità.

Ecco ci tengo a sottolineare che in questo sinceramente non trovo niente di offensivo; senza riuscire a scherzare con il Divino arricchisce il rapporto con le proprie divinità.                                                 Anche se il mondo oggi è diventato un recipiente di tristezza e di paure.

 

LS: Nel libro non sono infrequenti dei passi in cui abbandoni la prosa per scrivere, invece, in versi. Secondo te il messaggio che un poeta manda con una poesia può essere mandato anche con un pezzo in prosa oppure, per qualche motivo, non si riuscirebbe mai a sortire lo stesso effetto nell’interlocutore?

 SB: Io ho cercato di utilizzarle entrambe, il mio è un chiaro esperimento artistico.

La parte raccontata del mio libro cerca sempre di ironizzare su diversi aspetti: un esempio i sette peccati capitali. Infatti come ben sappiamo questi peccati ti conducono all’inferno.

Infatti nel mio libro l’Ira viene attribuita al nostro Dio, il quale durante il diluvio universale fattosi prendere appunto dall’Ira, cancellò la razza umana da lui creata… quindi è stato un monellaccio divino, senza offesa.

L’uomo è soggetto all’Ira e se siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio significa che qualche vizietto ce l’ha trasmesso.

Poi vorrei anche che qualcuno mi spiegasse come da due uomini, Caino e Abele, si sia popolato il pianeta.

Comunque ritornando al discorso con l’utilizzo dei versi ho dato ampio spazio alla mia fantasia mentre con la prosa ho creato la culla dove poggiarli.

La poesia nasce vera e complice senza bisogno di ritocchi, al contrario della parte raccontata che ha bisogno della sua sonorità per crescere che ho fatto tramite un’approfondita ricerca Artistica.

Io ritengo con questa pubblicazione di aver creato un nuovo genere, originale e innovativo, utilizzando un metodo di scrittura completamente inventato da me.

 

LS: Quanto è importante per te la poesia? Quali sono i progetti culturali che ti vedono attualmente impegnato per la promozione della poesia o della cultura in generale?

 1208798_360539797409678_1342153338_nSB: La poesia muove il mio animo, riesco a sentire il suo battito del cuore, spesso mi sorride e spesso mi abbraccia.

Grazie all’amore che nutro per la mia poesia ho partecipato e dato il via a presentazioni di pitture, di autori. Ho avuto importanti riconoscimenti, come il premio di poesia Alda Merini realizzato con l’adesione del capo dello stato, organizzato dall’Accademia dei Bronzi di Catanzaro e inserito nella medesima antologia “Mille voci per Alda” edita dalla prestigiosa casa editrice Ursini ed. 

Inoltre altre mie poesie sono state inserite nell’antologia “Amici in poesia”, pubblicato dall’università Ponti con la Società.

Ho scritto quarte di copertine per altri autori e per il futuro ho messo in cantiere, insieme ad un amico scrittore di nome Luigi, un bel teatro poetico; quest’ultimo per promuovere e divulgare la Poesia e l’Arte di diversi autori siciliani.

Certo le idee non mancano, ma voglio perfezionarle al massimo in questo nuovo progetto divulgativo, logicamente con la collaborazione di questo mio amico e di tanti appassionati di Arte.

Per uscire da questa morsa che attanaglia la cultura di oggi, bisogna spronare tutti gli artisti a partecipare e ad inventare eventi sempre più innovativi e fantasiosi.

Farsi conoscere direttamente dal pubblico è la cosa migliore, anche perché se tutto va bene si può creare una catena divulgativa senza precedenti.

 

LS: Che cosa ne pensi dei premi letterari e delle scuole di scrittura creativa? Sono dei validi strumenti per l’esordiente oppure sono delle macchinazioni che hanno prevalentemente un fine commerciale?

 SB: Esistono due tipi di concorsi: quelli che riescono a valorizzarti veramente e non c’è soddisfazione più grande, e quelli fatti per gli amici dei compari dei parenti… bisogna solo saper scegliere.

Per quanto riguarda la scuola di scrittura creativa, non penso assolutamente che sia utile.

La creatività nasce dentro ed è l’unica cosa astratta, in continua evoluzione. A mio parere insegnare un metodo di scrittura creativa ad un Artista- scrittore potrebbe bloccare la sua Arte personale e quindi avere dei risultati completamente opposti.

L’Artista è nato per inventare e non certo per seguire schemi prefissati. 

 

LS: Stai lavorando a una nuova pubblicazione? Se sì, puoi anticiparci qualcosa (titolo, genere, tematica)?

 SB: Si certo, sto lavorando ad una mia nuova produzione. Poco tempo fa ho tirato fuori dal cassetto un vecchio racconto che sto cercando di riadattare a copione teatrale; un mix di dialetto e italiano.

Il titolo non lo posso ancora svelare, ma posso dirti che tratta di un gioco ironico e rivoluzionario sulla società, società che è diventata vecchia, stanca e alla portata dei potenti, e che così facendo non può che esplodere.

Io preferisco passare la parola ad un sorriso, un sorriso che sfiori il cuore e cominci a far riflettere.

Non ho ancora ben chiaro con quale casa editrice pubblicarlo, di certo non Bonfirraro ed. perché per me non è in grado per ovvi motivi di promuovere Artisti.

Se invece la casa editrice è seria e mostra attenzione e interesse nel promuovere i suoi autori, allora si può fare tutto.

 

 30-06-2013           

“L’estetica dell’oltre”: la poetessa Michela Zanarella pubblica il suo nuovo libro

L’ESTETICA DELL’OLTRE : IL NUOVO LIBRO DI MICHELA ZANARELLA

 

1278360_561980763860100_1499406212_nArteMuse Editrice presenta in anteprima la nuova silloge della giovane e affermata poetessa Michela Zanarella, che esordisce nella collana Castalide. Una voce poetica apprezzata da personalità di spicco della cultura e delle arti in Italia, vincitrice di numerosi premi e citata nei siti di Alda Merini e Pier Paolo Pasolini. Le profonde liriche che compongono L’Estetica dell’Oltre sono introdotte dalle parole di Angela Molteni e Antonino Caponnetto. L’uscita ufficiale della raccolta è il 9 settembre 2013.

Autrice di poesia, narrativa e testi teatrali, supporto stampa di ELFA Promotions, realtà di promozione artistica. Michela Zanarella, nata a Cittadella (PD) vive e lavora a Roma, dove svolge la sua attività collaborando con varie testate giornalistiche on web.

 

Per prenotare il libro: http://www.twinsgroup.it/twinsstore/libri/133-michela-zanarella-l-estetica-dell-oltre.html

“Essere poeti nell’era della decadenza intellettuale” di Ninnj Di Stefano Busà

di Ninnj Di Stefano Busà

 

In ogni epoca, la Poesia ha sempre avuto i suoi detrattori, ma è sempre stata il filtro, la ragione ultima e la necessità prioritari all’interno di un processo emotivo, logico, interscambiabile di ogni essere umano <pensante> che sa ritrovare in essa la materia-prima di molti e suggestivi modelli d conoscenza.

La sua rara e preziosa struttura morfologica, la carica emotiva, il lampeggiamento interiore hanno sempre fornito all’uomo la sensazione di non vivere di solo <pane> ovvero, di possedere anche un’anima e un cervello che devono essere alimentati, se non vogliono morire soffocati dal banale, dalla mediocrità e dal quotidiano.

L’individuo è fatto essenzialmente di materia, di cellule, di cromosomi, ma anche di genio ed esaltazione. Ne ha bisogno come dell’aria ed è, in torto, chi crede di glissare, tergiversare o, peggio ancora, di banalizzare il concetto poetico, che si fa interprete di un ruolo necessario alla psiche, come l’ossigeno.

Concorrono poi diversi elementi perché un individuo giunga alla poesia. Innanzitutto, la predisposizione alla visione globale di un piano logico/culturale che lo porti a formulare dentro di sé il concetto lirico. Come per il musicista le note, il poeta deve sentire le parole armonizzarsi, fondersi attraverso la coscienza  che formalizzi il linguaggio (ri)componendone il suo universo psicologico/intellettuale.

PoesiaInfatti, perché non è di tutti scrivere versi? Lo fa solo chi lo sa fare, (talvolta, anche chi proprio non vi riesce), ma è ugualmente elogiativo lo sforzo di voler scrivere in poesia.

L’individuo sia esso di genere femminile o maschile avverte l’impianto poetico come un dono aggiuntivo, un quid che lo catapulta oltre lo steccato di una vita miserevole, a volte appiattita dalle vicende quotidiane e dalle sofferenze, ma proprio per questo, portato ad immaginare orizzonti più vasti, cieli più alti, stratosfere dove è bello volare senza le ali, magari solo con la fantasia e il coraggio di voler essere migliori, più ricchi psichicamente, intellettualmente…

È un dono che non tutti possono possedere, raggiungere uno stadio alto, a priori, nell’immediatezza è pressocché impossibile, perché anche i grandi poeti hanno dovuto lavorare per imporre alla pagina letteraria il loro nome. Niente è facile su questa terra e anche la Poesia, per quanto istintiva, innata e ricercata, ha bisogno di essere incanalata, orientata e perseguita con tenacia e abnegazione. Nessuno ignori mai la necessità del tirocinio, della sua elaborazione a livello d’anima e d’ingegno. Anche i grandi poeti hanno dovuto dimostrare di esserlo. Ovviamente poi, c’è una scala di valori, una graduatoria di meriti che vanno rispettate, perché la Poesia abbia una sua universalità e veridicità.

La programmazione di essa non avviene a tavolino, non ci si sveglia la mattina grandi poeti, non ci si scopre dall’oggi al domani: occorrono tirocinio, sensibilità, profondità emozionale, senso estetico della forma, bisogna inseguire e perseguire la Bellezza della Poesia come fattore di riscatto interiore, da opporre alle forme sbiadite di una vita abitudinaria o spenta.

La ricerca della Luce interiore porta verosimilmente ad un atto unico, inesplicabile, autentico e sincero quale è il presupposto poetico, ma è sforzo di adattamento alla vita, è superamento di se stessi, da un punto di vista umano, etico e spirituale non indifferente. La poesia bisogna amarla, vezzeggiarla, inseguirla, non è un raggiungibile in un sol giorno, non è capriccio intellettuale da mostrare in pubblico per far capire quanto si è bravi…È palestra esistenziale, costante, e tenace, crogiolo di sofferenza, sublimazione del dolore a livello inconscio o, magari, a volte, è la idealizzazione di un sogno che si realizza attraverso le spirali del dolore. Non si spiega diversamente il fatto che la migliore poesia è quasi sempre il frutto o il risultato di un travaglio interiore che tende a sfociare in una bellissima, imparagonabile oasi di luce, attraverso cui filtriamo il nostro dolore e la nostra solitudine. Tornerò ancora a parlarvi di poesia, c’è tanto da dire al riguardo….

di Ninnj Di Stefano Busà

QUESTO ARTICOLO VIENE PUBBLICATO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

“Dicotomie” di Nazario Pardini, recensione a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 DICOTOMIE di Nazario Pardini

 Recensione a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

imagesCAG2LL81Si può dire che ormai Nazario Pardini si presenti come uno dei poeti di grande e notevole spessore del secondo Novecento italiano. Ciò che colpisce di primo acchito è la sua capacità espressiva rigorosamente sintetica che ha conservato, delle prime opere, la schiettezza e l’incanto stilistico, oltre che l’efficacia di una fervida creatività e fantasia. La sua poesia è profonda, illuminata, incisiva con un nitore e una fluidità eccezionali. 

Si tratta davvero di un libro diverso, insolito e stupefacente, il suo Dicotomie perché fuori dagli schemi, nonché diverso anche dai suoi precedenti. Dunque, ritengo sia l’opera della piena maturità, il “clou” della sua attività poetica, incardinata nel senso della vita di cui ha percorso ogni tratto di strada, ogni sentiero impervio, ogni segmento vitale e ogni morte del passato, tra interiore ed esteriore, tra sacro e profano. Il poeta è perfettamente in sintonia con quell’idea di “poesia onesta” di sabiana memoria, una parola che non sia artefatta, arzigogolata e non si compiaccia del proprio potere magico che pure ha a iosa, ma che aderisca alla vita, all’idea di onestà del linguaggio, in una prospettiva storica e umana che ne contenga principi spontanei e linearità, visione della realtà e condivisione con gli altri. In questo libro Nazario Pardini raggiunge la perfezione senza nulla perdere in termini di fascino, d’eleganza della scrittura. Il poeta possiede il carisma come strumento di suggestione poetica, vi si evincono precisione d’immagini, testi memorabili e folgoranti. Sufficienti pochi versi per capire come l’autore sappia coniugare alla perfezione tutti i capitoli della sua storia con estrema semplicità, con sofferta e matura sensibilità emozionale, consegnandoci spaccati di vita e di memoria inossidabili. La poesia di Nazario Pardini è intessuta di nostalgia, si respira in abbondanza una diffusa serenità, in atmosfere calde e suggestive. “non profumano più quei bocci bianchi;/ ci sono uccelli a branchi/ che roteano largamente sui detriti/ dell’ingordigia umana”. L’accento viene posto con lucidità, ma anche con tenero distacco, con sensazioni e pensieri che si avvalgono di un linguismo chiaro, nitido, semplice, raffinato che possiede la grande capacità di testimoniare sul piano letterario un livello che salta all’occhio, per la grande compostezza del modulo espressivo, la trasparenza e la levigatezza del verso.

Segno di grande maturità e autentica vocazione, voce limpida che sa giungere direttamente al cuore del lettore:

Facemmo un ombrello di carta e la sera
ci avvicinò con l’aria
seviziata dai guizzi del tramonto.
Restammo assieme a lungo
sotto il battito
di quella volta fragile.
Poi il silenzio
di me che non sapevo il giorno,
di te che ti affidavi a sera
delle parole al volo,
ci cullò quasi vestito
dei fremiti del mare.
Andare, andare era il tuo sogno.
 
Al semaforo un emigrante lavavetri
cercava tra i colori delle case
un qualcosa che portasse al suo paese.”

 

Anche il pensiero poetante illuminato dalla luce spirituale è un tratto distintivo di Nazario Pardini: i toni epico-lirici sono pervasi da una tensione orfica e di un trasfondere di coscienza che si evince e si individua come autentico e matamorfico coacervo di storia, che indaga il tempo e gli eventi, l’umanità e la divinità dell’universale che non si limitano a descrivere momenti solo alti, ma va al di là, oltre la ferita umana, oltre la fatica esistenziale per rivendicare un po’ d’infinito, quantomeno, la sensibilità di un “perdono” a qualche nota stonata, a qualche rievocazione di silenzio trafitto, che evidenzia e mette in luce il pianto e il dolore universali, tra i riconoscibili segni di questo ottimo poeta. Insomma un libro che c’è, è presente, si fa riconoscere, raggiunge note alte, armonizzandosi alla coscienza planetaria. Si presenta carismatico col segno preminente della pietas, tra gli aneliti estremi del perdono che si configura come immagine di un simbolismo misterico assoluto che pare redimere e del quale tutti ne costruiamo la spiritualità e i sentimenti, umanizzandone solitudini e assenze e aprendo il cuore alla bellezza del creato. Superlativi ad es. questi versi in memoria della madre:

Non di rado,
alla sera, il tramonto si gonfiava
per toccare coi suoi colori d’oro
la mota di quei solchi. E mia madre
si stupiva davanti a quei colori,
davanti a quella volta iridescente.
Con il falcino in mano, e il volto stanco,
ammirava, stupita,
quei giochi del tramonto sopra il campo.
 

La straordinarietà della poesia di Pardini consiste nel voler sottrarre la bellezza della natura, del sogno, del mito agli annichilenti artigli del tempo, alle incidenze delle scoloriture e recuperarle alla vita, limitandone l’entropia e la corruzione, prolungando fin dove possibile le accensioni sublimi delle sue cromature, dei suoi riverberi, fermandone le note essenziali in atmosfera d’anima, con la struggenza ineluttabile e tragica della partecipazione, attraverso il sortilegio del ricordo o di una parola intensa e metafisica che possa limitare i danni della sua autodistruzione nei correlativi analogici oggettivi di eliotiana memoria.  

 

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

 

 

“A volte non parlo” di Anna Maria Folchini Stabile, recensione di Lorenzo Spurio

A volte non parlo
di Anna Maria Folchini Stabile
con prefazione di Paola Surano
Liberia Editrice Urso, 2013
Numero di pagine: 55
ISBN: 9788898381104
Costo: 9,50 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

 

198La nuova silloge poetica di Anna Maria Folchini Stabile, A volte non parlo (Libreria Editrice Urso, 2013), arricchisce il suo curriculum letterario che vanta altresì di varie pubblicazioni di narrativa breve. Chi conosce la poetica di Anna Maria, o ha avuto almeno il piacere di leggere qualche sua poesia (ricordo che la poetessa pubblica con regolarità le sue liriche sul sito Racconti Oltre gestito da Luca Coletta), sa bene che le suggestioni che ci trasmette fuoriescono direttamente dalla sua considerazione nei confronti della realtà quotidiana. Le sue poesie, infatti, sia quelle che hanno come tema l’amore, sia quelle che, invece, partono dall’indagine del tormento interiore motivato spesso da una riconsiderazione del passato, condividono tutte una essenzialità di linguaggio e una purezza semantica che incontra di certo il favore del lettore. La poetessa rifugge gli orpelli retorici, i tecnicismi e addirittura sembra mostrare una certa sofferenza nei confronti della metrica stantia, del verseggiare classico e chiuso e si offre, invece, in pensieri sciolti, che giungono diretti al cuore del lettore e poi alla mente. Troveremo, dunque, la poetessa a riflettere su un amore solido ed entusiasmante, duraturo nel tempo tanto che il lettore è certo che esso non conoscerà mutamento nel suo divenire, descrizioni più cupe che partono, invece, dall’analisi a tratti inquieta a tratti dubitativa dell’essere. Ci saranno, inoltre, liriche che presentano il sottofondo scenico caro alla poetessa, quello del suo luogo di residenza con vari e continui accenni al lago come avviene in “Lacustre”, dove la vista del lago al primo mattino, come fosse un saluto rinnovato ad un amico sempre presente, si veste di imperscrutabilità del futuro: «Niente/ turba/ questo inizio di giorno.// Tutto/ è possibile» (48).

Una lirica ricca di contenuti, di tematiche e di sfaccettature; si susseguono prospettive visuali diverse: a volte è come se la poetessa colloqui con se stessa, altre volte è evidente l’intento di voler annunciare il contenuto delle sue liriche al mondo; molte poesie si arrovellano sul Tempo sia dal punto di vista tematico che dal punto di vista strutturale: intere liriche in cui Anna Maria utilizza il condizionale, quella condizione ipotetica che si sarebbe sviluppata nel passato se avesse fatto/non fatto qualcosa («Avrei cambiato il mondo/ se avessi fatto…/ Ma sono rimasta alla finestra/ e avete fatto tutto voi», 12), altre, invece, si configurano come una sequela di domande, con un tono ascendente dove, però, i quesiti non trovano risposta. Ma è un po’ tutta la silloge ad essere investita da una sensibilità nuova; nell’opera precedente, Il nascondiglio dell’anima (Libreria Editrice Urso, 2012), che si apriva con una mia nota di prefazione, avevo osservato che le liriche si caratterizzavano per una eclatante fascinazione per il colore, il bello, gli elementi naturali nel loro felice divenire, tanto da definire la sua poetica modernista (con riferimento al modernismo spagnolo e sud-americano). Qui, nella nuova silloge, l’atmosfera è differente, si è stemperata, le primavere e i bagliori sembrano aver lasciato il posto a crepuscoli e folate di vento gelido. I colori si sono scuriti e a tratti anche la parola –pur sempre limpida e lineare- si è ispessita, in linea con una nuova concettualizzazione delle tematiche. E questo mutamento, questa metamorfosi “decadente” si esplica nei vari riferimenti al sé-poeta dubbioso, alla continua ricerca di risposte, di soluzione a quesiti, alla difficile liberazione da inquietudini che fanno dell’io lirico un animo scisso, apparentemente debole e tormentato, anche e soprattutto dalla difficoltà dei tempi contemporanei riscontrabili nei «Giorni pesanti/ Difficoltà nuove/ […] Ogni giorno/ ha il suo fardello» (18) di “Uomini e draghi”. E se è vero che la poetessa molto ci trasmette con le sue liriche, è altrettanto vero che si respira un certo sentimento omertoso, come se ci sia nel sottofondo qualcosa che, sino alla fine, non viene mai rivelato al lettore. Tutto questo è esemplificato dal titolo stesso della raccolta, A volte non parlo, lirica che apre il testo. La poetessa Anna Scarpetta tempo fa, parlandomi della nuova silloge dell’amica Anna Maria Folchini Stabile, mi disse: «Hai visto, Lorenzo? Anna ha scritto “A volte non parlo”… e, invece, dice tanto. Dice tutto!»; ed è di certo una considerazione valida e possibile anche se a mio avviso, come già detto, nella silloge si respira una nuova aria, insomma una diversa Anna Maria. E sulla mia stessa linea è anche la poetessa varesina Paola Surano che nella prefazione al testo osserva: «balza subito all’occhio e alla mente che questa raccolta è diversa dalle altre» (5). Vediamo il perché di quanto si sta dicendo in maniera più scientifica.

E’ di certo la lirica iniziale che contiene il manifesto di questa nuova venatura poetica di Anna Maria Folchini Stabile; qui si legge, infatti, di “pensieri masticati” (pensiamo si tratti di idee difficili da gestire, che ritornano a infastidire l’animo della poetessa, dure, ingestibili e che, dunque, necessitano una masticatura più prolungata e veemente) e di “labirinto di ipotesi” che evoca nella nostra mente una situazione fastidiosa di stallo e di tomento, di ricerca di una fuga con esiti già scritti e tutti abbastanza deludenti come osserva lei stessa nei versi che seguono: «non vi è alcuna uscita tra le siepi di bosso/ che costeggiano questo cammino…» (9). Vicolo cieco? Strada sbarrata? Vie tortuose che confluiscono con altre per poi depistare? E’ una possibilità con la quale l’autrice vuol intendere quella difficoltà insita nel senso stesso dell’esistenza da lei rappresentato enigmaticamente come un «rigioco sulla scacchiera invisibile» (9) che tanto mi fa pensare al gioco a dadi della Morte nella celebre ballata di T.S. Coleridge.

E come si diceva poc’anzi il tempo è oggetto della poetica della donna: esso è onnipresente, a tratti latente, a tratti esplicitato, la poetessa non lo teme né ha necessità di affrontarlo, non ci colloquia, evitando di considerarlo un degno interlocutore, ma lo tiene in considerazione, lo osserva da distante e ne tiene conto. Il passato è visto quale momento felice dell’esperienza personale che non è morto e in sé chiuso a comparti stagni con il presente liquido, ma si configura quale fattore esperenziale che si rinnova con la rimembranza e che nel momento in cui viene “rivissuto” giunge addirittura a eternizzarsi nell’istante che funziona nell’animo come rivelazione: «E le speranze promesse/ e i desideri accennati/ e i sogni sorridenti/ per un attimo/ riprendono vita./ Solo per un attimo» (20-21). Ma quel presente che si riappropria del passato a sprazzi, per immagini o ricordi singoli, è illusorio e fugace: il momento si esaurisce velocemente e la finitezza del ricordo “rivissuto” è, forse, ulteriore causa del disagio e del senso d’apatia dell’io lirico, conseguenza dell’incapacità di sapersi destreggiare nei vari piani temporali: «Non è dolore/ questo tempo andato,/ ma sabbia di clessidra/ che vorrei rivoltare» (14) scrive in “Grigio di cielo”.

In “Occhi innamorati” la poetessa si proietta verso il futuro cercando di ipotizzare come sarebbe stato se avesse fatto/fosse successo qualcosa sviluppando uno sguardo acronico nel quale cerca di vedersi dall’alto come si sarebbe comportata in certe situazioni per concludere lapalissianamente «Non lo sapremo mai/ come sarebbe stato» (17): la storia, tanto privata quanto pubblica, infatti, non si costruisce con i ‘se’ né con i ‘ma’; le ipotesi, lecite e curiose, di ciò che sarebbe successo “se” riflettono ancora una volta quel senso di continua ricerca della donna di giungere ad una più completa analisi delle sue “gesta” passate. Solo nel sogno il tempo si ferma e sembra congelarsi: esso non scorre e sembra annullarsi, semplicemente perché anche la ragione e dunque tutte le attività umane ritrovano pace e riposo: «Attimi sospesi, idee scintillanti/ tempo fermo» (26) ed anche Peloso, il cane della poetessa, sembra divertirsi di più nel sogno/ricordo piuttosto che nel presente ed infatti «rincorre farfalle/ di un’altra primavera» (27).

In “Incapace” la poetessa esprime nel suo “scoramento” il senso di desolazione che si mostra come miscela di paura, scoraggiamento e rabbia tacita per quella falsità endemica che, purtroppo, ci circonda, contenuta nei «pensieri doppi» (10) che, più che individuare strutture polisemiche, mi sembra di intendere come sinonimo di falsità, mediocrità, opportunismo e menzogna. In questo clima ripugnante il sensibile io lirico non può far altro che chiedere aiuto («Aiutami») e far appello affinché un valido sostegno morale sopraggiunga a rinfrancare la poetessa: «Ti prego/ sostienimi» (10).

L’ambientazione cupa chiaramente intimistica si ravvisa anche nei «pensieri inespressi» (12), nel «sorriso bello/ di anni e luoghi/ sepolti/ nel passato,/ tempo di sogni/ e di incertezze certe» (23), nella solitudine dalla quale la poetessa cerca di distanziarsi in “Pausa” (30), nel desiderio di sentirsi  priva di tomenti: «Vorrei essere libera e senza pensieri» (39) e nelle «domande/ senza voce,/ sospese/ nella timidezza/ della mente» (53). A stemperare la gravità delle divagazioni esistenzialistiche che Anna Maria fa mi sento di osservare almeno due elementi: 1) il sentimento di giovinezza che la poetessa nutre e 2) la vita intesa come percorso, come un cammino a tappe e rivolto a una meta. In relazione alla giovinezza d’animo, nella lirica “Spuma di mare”, infatti, leggiamo «Mi guardo/ nello specchio della vita/ e ritrovo/ la ragazzina/ che mi sento» (43); si osservi che la poetessa non dice “la ragazzina che ero” né “la ragazzina che vorrei essere”, ma “la ragazzina che mi sento” in un verso che traspira grande carattere e forza di volontà e di certo smorza l’inquietudine che pervade l’opera. Quanto al cammino, poi, vorrei segnalare la bellissima lirica “I giorni a venire” –a mio modesto parere la migliore della silloge- dove è chiaro e continuo il riferimento all’universo itinerante: ‘incontri’, ‘strada’, ‘cammino’, ‘percorso’, ‘sosta’ che, più che delineare un componimento on the road, concretizza sulla carta il suo fervido convincimento nell’idea che il percorso formativo, culturale, morale dell’uomo nella realtà terrena sia una semplice ma non banale metafora dell’esistenza. Non è un caso che l’Associazione Culturale da lei fondata assieme a me, Sandra Carresi, Laura Dalzini e Paola Surano e della quale è Presidente, abbia come nome TraccePerLaMeta e che l’ultimo concorso organizzato abbia avuto come tema “il cammino”. In questo percorso fisico dell’uomo verso una meta, un luogo ambito o sconosciuto, da raggiungere mediante un percorso accidentato o progettato, più o meno lungo, l’uomo è continuamente minacciato, osteggiato e macchiato dall’errore che potrà porlo nell’infelice situazione di «inveire/ [o] maledire la vita» (24). La silloge rifugge il pessimismo, ma è chiaro l’intento di fondo: l’uomo deve rimboccarsi le maniche e non lasciarsi scoraggiare dalla desolazione che può investirlo e demoralizzarlo sempre più per riscoprire, invece, la ricchezza insita nella sua genuinità:

 

Usciamo
dalle nostre solitudini
riscopriamoci persone
quali siamo
in questi egoismi di realtà divise
con muri invalicabili e invisibili. (36)

 

 

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico letterario)

 

Jesi, 27 Maggio 2013

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

 

 

ANNA MARIA FOLCHINI STABILE è nata a Milano nel 1948. Attualmente vive tra la Brianza e il Lago Maggiore. Ha alle spalle una lunga carriera nel mondo dell’insegnamento. E’ poetessa, scrittrice e presidente dell’Associazione Culturale TraccePerLaMeta. Per la poesia ha pubblicato Spuma di mare (Lulu Edizioni, 2009), Il nascondiglio dell’anima (Libreria Editrice Urso, 2012). Per la narrativa ha pubblicato le raccolte di racconti L’estate del ’65 (Lulu Edizioni, 2008), Un topolino di nome Anna (Lulu Edizioni, 2010) e Noccioline (Lulu Edizioni, 2010). Ha curato, inoltre, per il sito Racconti Oltre dove scrive regolarmente, il manuale Come si scrive? – piccolo prontuario per l’autocorrezione dei più comuni errori ortografici, assieme a Luca Coletta. Partecipa a concorsi letterari ottenendo buone attestazioni ed è membro di giuria nei concorsi organizzati dall’Associazione di cui è Presidente.

Reading poetico “Disagio psichico e sociale” a Palermo il 14 giugno 2013

Reading poetico

“Disagio psichico e sociale”

organizzato dalla rivista Euterpe

PALERMO

Venerdì 14 giugno, ore 16:00 

Saranno presenti i poeti/scrittori: Franca Alaimo, Anna Maria Bonfiglio, Alfonsina Campisano, Luigi Pio Carmina, Mariella Caruso, Francesco Paolo Catanzaro, Antonino Causi, Rossella Cerniglia, Palma Civello, Franco Concetta, Giusi Contrafatto, Valentina D’Agosta, Miriana Di Paola, Giovanni Dino, Monica Fantaci, Emanuele Insinna, Gaetano Interlandi, Serena Lao, Nicola Lo Bianco, Rosalia Lombardo, Francesca Luzzio, Emanuele Marcuccio, Vincenzo Nicolao, Maria Rita Orlando, Giuseppe Palermo, Guglielmo Peralta, Teresa Riccobono, Margherita Rimi, Michela Rinaudo La Mattina, Nicola Romano, Giovanni Sollima, Lorenzo Spurio.

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Presentazione de “L’evoluzione delle forme poetiche” curata da Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo

L’evoluzione delle forme poetiche

antologia curata da Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo

Kairos Edizioni, 2012

PRESENTAZIONE DELL’ANTOLOGIA A ROMA

Pseudo cronaca di un evento letterario

articolo di EUGENIO NASTASI

  

imagesLa presentazione del volume “L’evoluzione delle forme poetiche – La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990-2012)” Kairòs Edizioni, Napoli, 2013, a cura di Antonio Spagnuolo e Ninnj Di Stefano Busà, ha offerto, lunedì 13 maggio u.s. presso la Libreria Ready Cavour a Roma, davanti a un amalgamato pubblico di poeti e curiosi, l’occasione di guardare alla poesia contemporanea in modo diretto, senza filtri critici interessati e/o comunque di parte. Nel compito portato a termine dai due curatori si scorgono i problemi concreti del “fare poesia”, si fa strada insomma la necessità di cogliere anche “nei periodi bui di stagnazione e regressione” come l’evoluzione delle forme poetiche “ha mantenuto (per fortuna) alcune categorie  universalizzanti che fanno della parola poetica una realtà necessaria” (dall’introduzione della Di Stefano Busà).

In soldoni spiccioli, come hanno argomentato Corrado Calabrò, Plinio Perilli e Franco Campegiani, moderati da Claudio Fiorentini, questa antologia possiede lo statuto di “archivio storico” inaugurando una stagione di accurato impegno di ricerca e disamina dell’evoluzione delle forme poetiche italiane ad ampio spettro, ovvero sintonizzando l’attenzione speculativa anche attorno alla produzione scritta della periferia. La presenza di ben 287 poeti, censiti e vagliati in anticipo, descrive esaustivamente il “periodo poetico” dell’ultimo ventennio, anche se le assenze non mancano ma non certo per miopia dei curatori se è vero, come scrive Spagnuolo nella postfazione, che “diversi autori (bontà loro !) hanno declinato l’invito, adducendo scuse a volte puerilmente banali, a volte prive di quella necessaria cultura umanistica che distingue lo scrittore autentico”.

“La pluralità delle voci” ha detto Franco Campegiani nella sua relazione, “è testimone senz’altro di un desidero documentaristico, di oggettività storica pertanto, più che di tendenza artistico-culturale. Tuttavia un’ indicazione critica emerge per il fatto che i direttori d’orchestra riescono a fare della pluralità polifonica, un coro a più voci intorno al leitmotiv della ricerca dell’umano in un mondo vieppiù dominato dalle macchine e dalle tecniche, come quello attuale; in una situazione di “ crescente isolamento e depauperamento della poesia, quando invece più forte se ne avverte il bisogno”, come è detto nella nota divulgata dalla Kairòs. In questa nota si specifica che “scopo dell’opera è affiancare e stimolare una più ampia conoscenza dei fenomeni linguistici sollecitando la voglia di aprirsi al sogno che, sempre, da un’epoca all’altra, rimane immutato e risulta vincolato al desiderio di proporsi alla Poesia”. Non meravigli l’ampio spazio dato ad alcuni passi dell’intervento di Campegiani vista la sagacia con cui l’autore coglie l’animus dell’intera operazione editoriale, accentuando il peso della scelta della Kairòs “che supporta la presente operazione antologica e sceglie di fare fino in fondo il proprio ruolo di editore, finalizzando l’aspetto commerciale a quello prettamente culturale e artistico. Occorre scardinare il pregiudizio che i cosiddetti bisogni dello spirito possano, o addirittura debbano, essere trascurati sul piano della vita pratica”.

Ponendosi in una condizione di avanscoperta rispetto ad altri tentativi pubblicati in questi anni, l’antologia porta in superficie, nelle due parti che la compongono, quel carattere peculiare che è proprio del poeta in rapporto col suo tempo e col suo spazio socio-culturale. Si tratta dei decenni che immediatamente ci precedono 1990-2012, dentro ai quali si è manifestata la prosecuzione di una sopravvivenza della poesia pur negli sbandamenti dell’omologazione e nell’assalto dei media stigmatizzati nel flusso perenne tipico della rete, ovvero nelle varie fasi della stagione dei dissensi avanguardistici e, comunque, degli sperimentalismi spontaneistici, per lo più avviati a esaurirsi nel tempo.

Anni certamente complessi, durante i quali poeti noti e comunque degni di collocazione storiografica e poeti meno noti ma di provata fisionomia, diversa rispetto al passato e dunque riconoscibili nel segno scritturale, mettono in cifra un profilo stilistico e versificatorio denso portando l’espansione poetica oltre il mediocre confine del poetichese. Confine riconducibile a quel mondo esterno che non ha più il sapore, l’odore, il colore, la stessa finitudine della realtà o del suo ricordo e sogno, ma l’imbalsamato perimetro della clausura minimalista, cioè dell’ovvio, dell’artificiale, dell’oleografico. Si sviluppa, insomma, con questo impegnativo lavoro di ricerca, un progetto per la poesia, in grado di reggere quanto meno per l’autenticità delle voci, la perdita di terreno se non proprio di pubblico della poesia in vetrina, scorgendo dentro lo steccato di una più vasta crisi esistenziale e morale, elementi di provata attitudine, convinti che ogni forma di arroccamento sulle proprie posizioni vada individuata e risolta, ma non occultata. E’, per dirla con i termini correnti della più avvertita critica, la frequentazione dell’infinita riserva dei dialoghi attraverso cui è auspicabile la ripresa di contatto tra le sfere in qualche modo sublimi della produzione poetica e la popolazione dei lettori, in una dimensione di scambio capace di parlare al pubblico, offrendo in una sorta di osmosi intellettuale, un punto di riferimento e un luogo di discussione.

Rilevando la pluralità di esperienze poetiche che partono da lontano e prendono forma nel recente periodo di particolare fermento, gli autori in definitiva intendono qualificare questi anni caratterizzati dallo slancio della ricerca e degli esiti come occasioni di coinvolgimento e di apertura, anche se, come riporta Spagnuolo, “ la fruizione del testo poetico non si esaurisce con la comprensione”. L’importante, ed è bene sottolinearlo, che la poesia divenga luogo di immersione con caratteristiche di condivisione di una certa ritualità del qui, ma anche dell’oltre.

Va da sé che il testo restituendo al panorama editoriale un tassello che mancava, è tutto da leggere e consultare per la sua riuscita consistenza di almanacco se non proprio di annuario.

Mi piace, infine, segnalare altri nomi di amici, in qualche modo assimilabili a quelli proposti da Campegiani nel suo intervento, inseriti nel testo insieme allo scrivente: il compianto Mario Specchio,  Franca Alaimo, Leopoldo Attolico, Nicola Romano, Luca Benassi, Roberto Maggiani, Antonio De Marchi-Gherini, Domenico Cipriano Franco Buffoni, Mariella Bettarini, Nadia Cavalera, Pietro Civitareale, Liliana Ugolini, Guglielmo Peralta, ed altri.

Il più affettuoso saluto ad antologizzati eccellenti: ai due ottimi curatori Ninnj Di Stefano Busà  e Antonio Spagnuolo, al solerte Plinio Perilli, a Corrado Calabrò e a Franco Campegiani, che ha permesso col suo contributo scritto di rendere meno lacunosa questa pseudo-cronaca.

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Da sinistra: tre poetesse intervenute, Plinio Perilli, Franco Campegiani, Claudio Fiorentini e Ninnj Di Sfefano Busà.

A Roma reading poetico “L’abero delle nostre parole” a cura di Eugenia Serafini

“L’ALBERO DELLE NOSTRE PAROLE”

 

READING

a cura di EUGENIA SERAFINI

 

8 MAGGIO 2013

ore 17

SALONE BORROMINI

BIBLIOTECA VALLICELLIANA

piazza della Chiesa Nuova, 18, Roma

GENERAZIONI DI POETI SI INCONTRANO

 “ …C’è un cataclisma generale e molti poeti suonano l’arpa mentre Roma brucia. Sembra che i poeti dormano.”(Lawrence Ferlinghetti, Roma 1996)

 

L’ITALIA E’ ANCORA UN PAESE PER GIOVANI?

Mentre Roma brucia i poeti NON dormono.

 

 

GIUBBA PIACENTINI e FRANCESCA FARINA

 

 MARIKA TRAPANI e FORTUNA DELLA PORTA  

 

DONATELLA MEI e GABRIELLA DI TRANI  

 

CARLA GUIDI e DOMENICO SACCO

 

ENOMIS (Simone Carunchio) e EUGENIA SERAFINI

 

Biblioteca Vallicelliana tel. 06.688026671  –  ARTECOM-onlus tel. 06.4462438

“Dietro lo sguardo” di Elisabetta Bagli

Dietro lo sguardo
di Elisabetta Bagli
con prefazione di Andrea Leonelli
ArteMuse Editrice, 2013

“La silloge poetica “Dietro lo sguardo” di Elisabetta Bagli si presenta come uno spaccato di momenti di vita vissuta, come un collage di istantanee scattate rubando l’attimo al tempo e messe insieme a formare un puzzle bicolore, senza sfumature né mezze tinte. Solo gli assoluti incontrovertibili di un vissuto estremo. ” ( Dalla prefazione di Andrea Leonelli )

 

COMUNICATO STAMPA

Dietro lo sguardo-04-04 (1)ArteMuse Editrice presenta l’uscita ufficiale di Dietro lo sguardo, raccolta di poesie di Elisabetta Bagli pubblicata sotto la collana Castalide.

La silloge poetica Dietro lo sguardo di Elisabetta Bagli si presenta come uno spaccato di momenti di vita vissuta, come un collage di istantanee scattate rubando l’attimo al tempo e messe insieme a formare un puzzle bicolore, senza sfumature né mezze tinte. La raccolta, per quanto omogenea nell’intensità del sentire, è divisa in due sezioni: Luce e Buio. Ognuno dei due, inevitabilmente, portatore dello stato d’animo legato al positivo e al negativo. Questa dualità, questa contrapposizione, si evince in ognuna delle composizioni: ogni scritto ha in sé l’assenza del suo opposto, ogni bianco ha dentro e attorno il nero e viceversa, ne è circondato e delimitato e nel contempo esaltato nel suo essere. (Dalla prefazione del poeta Andrea Leonelli)

Elisabetta Bagli è nata a Roma nel 1970 e vive a Madrid dal 2002. È sposata e ha due figli. È laureata in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. Attualmente lavora per il Gruppo Editoriale D and M nel quale è la direttrice della collana di poesia “Castalide” ed è autrice per la stessa casa editrice. Dopo aver lavorato come insegnante di italiano per stranieri presso l’Accademia di lingue Booklane di Madrid, ora impartisce lezioni private di italiano ed è anche traduttrice dall’italiano allo spagnolo e all’inglese. Ha iniziato a scrivere poesie e racconti brevi nel 2009 e a settembre del 2011 ha pubblicato il suo primo libro, Voce, per partecipare a un concorso di poesia. Ha poi partecipato a numerosi altri concorsi, tra cui quello indetto dal blog “Occhio della Dea” nel 2012 con la sua poesia inedita Piccola Luce con la quale è arrivata al terzo posto. Sempre nel 2012 ha vinto il concorso dello Zikkurat International Business con la poesia Amore e Psiche, presente nel libro Voce. Ad aprile 2013 ha ricevuto una targa con attestato di merito per la lirica L’addio presente in questa silloge al Premio Alda Merini di Poesia. È inoltre presente in sei antologie, Sussurri dal cuore… e dalle tenebre, Libera Espressione 2012, Le poesie che nascono dal cuore, Mille voci per Alda, I Ragunanza di POESIA del III millennio e nell’antologia bilingue Camminanti, gitani e nomadi: la cultura itinerante (Tracce per la meta) con la poesia Vago sola in lingua spagnola. Oltre ad aver partecipato come giurata a diversi concorsi di poesia di rilevanza nazionale, fa parte del Gruppo Liber@rte, dedito alla promozione di autori emergenti e a concorsi di poesia, del progetto “Poesia Viva, la tua poesia su YouTube”, e della “Prima Ragunanza di letture poetiche” che si svolgerà il 28 aprile 2013 a Villa Pamphilj a Roma. Ha un suo blog personale (www.elisabettabagli.blogspot.com.es) e collabora attivamente scrivendo recensioni e interviste per diversi blog. Da dicembre 2012 è entrata a far parte dello staff del Gruppo Editoriale D and M, per cui ha pubblicato, nella divisione Edizioni Il Villaggio Ribelle, Mina, la fatina del Lago di Cristallo. Nell’aprile 2013 pubblica con ArteMuse Editrice, sotto la collana Castalide, la silloge poetica Dietro lo sguardo.

 

http://artemuse.altervista.org/artemuse-editrice-presenta-luscita-ufficiale-di-dietro-lo-sguardo/

Laura Honoris Apollinaris a Maffia, Pecora, Pardini, Di Stefano Busà e De Luca

L’Università Pontificia Conferisce Laurea ad Honorem a Ninnj Di Stefano Busà, Nazario Pardini, Elio Pecora, Dante Maffia e Liana De Luca

LAUREA APOLLINARIS CONFERITA SOLO A 5 tra i più grandi poeti contemporanei

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17/04/13 – Notizie dalla FSC
Laurea Apollinaris Poetica 2013: conferimento presso COMUNICATO-STAMPA l’Ups il 9 maggio
Categoria: News Fsc  UNIVERSITA’ PONTIFICIA Pubblicato Mercoledì, 10 Aprile 2013.

Il 9 maggio 2013 presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’UPS verrà conferita la Laurea Apollinaris Poetica 2013 a cinque tra i massimi Poeti italiani contemporanei. Il prestigioso riconoscimento, nato nel 2010 dal Circolo Premio Streghetta ad opera di Serena Siniscalco, poetessa e promotrice culturale, sarà conferito dal Rettore Magnifico dell’UPS, prof. Carlo Nanni, ai poeti :Liana De Luca, Ninnj Di Stefano Busà, Dante Maffia, Nazario Pardini ed Elio Pecora.
La celebrazione di Laurea avrà luogo nell’Aula CS1 alle ore 17.30 alla presenza della Giuria, costituita dal prof. Orazio Antonio Bologna, Presidente di Giuria (UPS, Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche), dalla prof.ssa Neria De Giovanni (Università degli Studi di Sassari) Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari, dalla prof.ssa Cristiana Freni (UPS, Facoltà di Filosofia), dalla prof.ssa Giusi Saija (UPS, Facoltà di Scienze di Comunicazione sociale. La denominazione latina Laurea Apollinaris Poetica intende rievocare l’antico rito, in terminologia oraziana, detto Laurea donandus Apollinari (“meritevole dell’alloro di Apollo”. Horat. Carmina IV,II,9) con la quale il sommo poeta latino Orazio riconosceva i meriti di Pindaro. Oggi, detta Laurea rappresenta il massimo livello conferito a Poeti italiani di alto merito. Pertanto si propone come pista di lancio per un auspicabile Premio Nobel per la Letteratura.

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