“Inghiottite” e “Accoglili nella tua pace, Signore”, dittico poetico di M. Fantaci e E. Marcuccio

Inghiottite

Dalla lavagna del presente

si legge un inconveniente,

errori umani,

errori tecnici,

che provocano dolore alla gente,

che provocano dolore all’ambiente,

ma anche morti e feriti…

e quanti i dispersi!

Errori ripetuti,

non si fa attenzione,

navi inghiottite dall’acqua…

…per dissetarle?

No, per affogarle!

… disastro ambientale,

disastro cercato,

tutti in allerta,

tutti preoccupati,

fino a quando non giace l’indifferenza

come sempre, come in ogni evento,

i fatti si ripetono e cadono

nell’oblio della mente,

ma non lo sa la gente

che così queste cose continueranno

a ripetersi negli abissi del mare

come negli abissi della psiche…

che ci vuole…

basta poco…

siamo in molti

e si cambia con poco.

Monica Fantaci, 15/1/2012

Accoglili nella tua pace, Signore!

Accoglili nella tua pace, Signore!

Dona loro un porto

e un sicuro rifugio:

povere anime di due poveri pescatori,

affogati in una notte di tempesta:

nel gorgo profondo,

nelle tremende onde,

nei rivolgenti rivoli burrascosi,

che si richiusero su di loro.

Accoglili nella tua pace, Signore!

Il padre, prevenendo la tempesta,

volle avvisare gl’ignari figli:

una telefonata arrivata troppo tardi,

i loro corpi inanimati

ormai giacevano

sul fondo del mare:

quel mare che fu la mia terra natia,

che sempre rallegra

i miei ricordi infantili,

da cui nascevano stelle,

che esplodevano in cielo:

adesso, sono certo, due stelle

sono nate dal mare

e s’innalzano verso il cielo.

Accoglile nella tua pace, Signore!

© Emanuele Marcuccio, 5/5/2000

(Emanuele Marcuccio, Per una strada, pag. 94, SBC Edizioni, 2009, pp. 100)

(Entrambe le poesie sono protette dai diritti d’autore. Pubblicate ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l’autorizzazione dei rispettivi Autori.

ENTRAMBI I TESTI VENGONO QUI PUBBLICATI PER GENTILE CONCESSIONE DEGLI AUTORI.

“Pensieri minimi e massime” di Emanuele Marcuccio, recensione di Natalia Di Bartolo

Pensieri minimi e massime
di Emanuele Marcuccio
Photocity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47
ISBN: 978-88-6682-240-0
Genere: Saggistica/Aforismi
Prefazione, a cura di Luciano Domenighini
Postfazione, a cura di Lorenzo Spurio
Curatrice d’opera: Gioia Lomasti
Cover: Francesco Arena
Prezzo: 7,60 €
 
Recensione a cura di Natalia Di Bartolo

Leggere un libro è sempre opera di scoperta e d’indagine, non solo nei confronti dei contenuti espressi dall’autore, ma anche nei confronti di se stessi.

Di fronte alla raccolta Pensieri minimi e massime (Photocity Edizioni, 2012), di Emanuele Marcuccio, poeta palermitano, classe 1974, è consigliabile avere avuto un approccio non solo con la sua prima silloge poetica Per una strada (SBC Edizioni, 2009), che cronologicamente la precede, ma possibilmente anche con i suoi “documenti biografici” personali, quelli che l’autore denomina “cronologia bio-bibliografica”.

Tale denominazione dimostra a chi si accosti successivamente alla lettura del suo secondo libro, come nell’opera letteraria in questione ci si trovi davanti comunque ad una sorta di agenda-diario, in cui la vita e lo scrivere si fondono e si integrano inscindibilmente ed il cui archetipo è plausibile che sia stato generato (piace immaginarne il seguito scritto a mano ancora oggi), nei tempi della prima adolescenza, giorno per giorno, avvenimento per avvenimento. Ogni più piccolo dato “cronologico bio-bibliografico”, infatti, è stato ed è ancora oggi curato e “repertato” privatamente dall’autore con la certosina pazienza dettata dalla costanza e dal perseguire coscienziosamente lo scrivere, che egli ha ritenuto essere la propria strada e che adesso si è concretizzato anche in questa seconda pubblicazione, corredata da una personale “Introduzione alla Poesia” a cura dell’autore stesso.

Tale costanza, alimentata dalla passione per la propria attività, ha contribuito a rendere la strada suddetta decisamente valida da percorrere e questa, sia pure “sentiero scosceso” (22), in salita come tutte le “strade artistiche”, è stata ed è supportata da documenti vergati con tale determinazione e puntiglio da far pensare che quello dell’autore sia un metodo ammirevole e potenzialmente vincente.

Ma, tornando all’opera letteraria di cui trattasi, occorre leggere i pensieri e le massime di Emanuele Marcuccio soprattutto tenendo conto della sua indole di Poeta. È un’indole innata, che si manifesta fin dal 1990, in giovanissima età, sui banchi di scuola, che si pone come impellente ed imprescindibile, facendo sì addirittura che il poeta scriva per la strada, per esempio, dove, non avendo altro supporto cartaceo, appunta i versi su uno scontrino, o si destreggi in piedi con carta e penna su un autobus affollato: la forza incontenibile dell’ispirazione.

Ci si può chiedere, allora, come mai, quale seconda opera letteraria, il Marcuccio pubblichi un libro di pensieri e massime e non di altre poesie. Ad avviso di chi scrive, alla luce di quanto sopra rilevato a proposito del suo tenere in archivio ogni particolare della propria vita letteraria, il suo carattere è permeato anche da una positivamente pervicace volontà di “memoria esplicativa”, che serva a rendere pure più agevole il percorso della sua poetica, per il lettore e per se stesso. Il Poeta fa chiarezza, nei pensieri e nelle massime, perché ne sente la necessità, ma anche perché farlo è utile a chi legga ciò che ha già scritto in poesia e ciò che scriverà in futuro. Nulla è lasciato al caso, anche se aforismi e massime si rincorrono apparentemente senza ordine d’argomento.

S’inizia a trattare di Dolore: l’autore lo mette in prima linea, lo paragona al mare, con il fluire incessante dell’acqua, memore del bagaglio poetico degli studi umanistici, ma Uomo già abbastanza addentro alla vita per poter aver provato, come tutti, l’umanissimo, cocente sentore di sofferenza a cui si attribuisce l’ampia accezione di “dolore”, contro il quale, a suo dire, può solo l’Amore (8). E di nuovo campeggia tale Dolore, illuminato da un lampo di speranza (2). E dal dolore alla Musica (3), felice cambio di registro.

Poi, transitando per la Felicità (5), passa al Tempo (6); e dal Tempo, finalmente, alla Poesia, tema fondante dell’intera opera. Poesia che nasce dall’Ispirazione (10), punto nodale della poetica del Marcuccio.

Nell’Ispirazione egli ritiene che l’inconscio si possa addirittura perdere, come in una strada spoglia, senza fronde, senza appigli. Tenendo sempre quale fulcro la Poesia, scrive dell’Ispirazione in diversi aforismi, incrociandola con la Cultura, ritenendola madre della riflessione e della scrittura (22), entità breve, fuggitiva e svelta: ai poeti saperla afferrare e trattenere stretta al cuore (27), ma capricciosa padrona che spesso tarda a far loro visita (28); caos nel quale solo i poeti riescono a mettere ordine (53). E da qui si dipartono ancora riflessioni calzanti sulla Cultura, si ritorna alla Musica, ritenuta espressione superiore anche alla Poesia nell’essere capace di far intuire l’Universo (36) e si aprono ulteriori ma non secondarie digressioni sulla Lingua, sulla traduzione in lingua straniera dei testi poetici da effettuarsi senza esitazione possibilmente da parte dell’autore stesso (il Marcuccio è pure un ottimo traduttore in Inglese), perché, anche se “l’abito è cambiato”, permanga ugualmente il suo spirito (38); così come prima egli aveva posto l’accento sull’importanza del non rinnegare mai il proprio dialetto (20).

E ancora riflessioni sull’essere umano, sulla sua ipocrisia nella falsa amicizia (16), ma anche e soprattutto sul suo ruolo fondamentale di fruitore della Poesia, motivo per cui costui compare, a questo punto, tra gli aforismi e le massime. L’autore lo ritiene addirittura “creatore” del Poeta, che senza di lui e la sua trasmissibile emozione non esisterebbe (49) e si inoltra poi nell’ambito puramente tecnico-filologico di quella Lingua che egli ritiene adatta alla Poesia, dall’incipit all’explicit (55).

Musicalità, fluidità e spontaneità, sintesi folgorante, ispirazione, senza mediazioni né di metrica, né di rima: tutto questo è vera Poesia” secondo il Marcuccio (58), poeta “ribelle come il fuoco” (torna in mente Cecco Angiolieri) anche ai canoni della Prosa, così come un autentico poeta, a suo dire, deve essere (59).

Le pause in poesia ed in prosa (59 e 60), la punteggiatura, il bagaglio letterario in generale vengono presi in considerazione, così come si accennava precedentemente, in una volontà finalizzata anche all’esplicazione della tecnica poetica dell’Autore.

E dagli argomenti più specifici, ecco di nuovo dispiegarsi la concezione di Poesia del Marcuccio nel senso più ampio del termine. Egli, dopo gli aforismi riguardanti il proprio giudizio sui fruitori della Poesia , il “mercato”, i gusti dell’ “illetteratura” che imperano nel nostro mondo (70), si apre nuovamente alla ricerca di quella “definizione” di Poesia” che egli stesso sa introvabile, perché la Poesia non ha confini e quindi non può essere definita (73), “rende l’ordinario straordinario” (74), non è al sevizio di nessuno e “quando vuole ci visita, basta rimanere in ascolto attento e attentamente osservare” (76).

Ma il Marcuccio non si definisce “Poeta”: la ritiene una parola troppo importante per attribuirsela da sé: “è sempre meglio essere chiamato poeta dai propri lettori” (78). E’ dal cuore che i poeti traggono tesori (83), ma cosa c’è fuori dal proprio cuore? “Che cos’è la folla se non apparenza?” (86) e gli uomini hanno “gli occhi foderati dalle nebbie del pregiudizio” perché si fermano alle apparenze (87). Allora forse è meglio stare lontani dal mondo, quando si può, e leggere, perché leggendo si riesce a frenare il tempo (12) e “si vivono innumerevoli vite sognando” (84). E, come si era constatato nell’aforisma quaranta, è proprio perdendosi nei sogni che, secondo il Marcuccio, si riesce ad ignorare la realtà, ovvero il crudo dolore di vivere, che pure serve per non annegare: ecco il ritorno all’inizio, all’acqua, al mare, “nel suo indistinto ondeggiare e rifluire incessante” (1); aggancio assolutamente velato, all’apparenza, ma che contribuisce a donare coerenza all’intera raccolta.

In essa il Marcuccio, intendendo mettere nero su bianco i suoi pensieri più pregnanti, invece di farlo in quella prosa ampia e stilisticamente coercitiva che non sente propria, lo fa in “pensieri minimi e massime”, come schivando la sua avversione verso la letteratura in prosa, ma servendosene ugualmente, con assunti sintatticamente spesso semplici, ma mai banali nei contenuti.

È riuscire a leggere il libro con la massima attenzione fin dall’inizio che ne dà il vero senso: al primo impatto, se quest’ultimo è superficiale, risulta possibile che l’opera non venga colta nella interezza della propria profondità e della propria utilità, perché potrebbe risultare un insieme apparentemente indistinto di riflessioni su argomenti svariati in ordine sparso. Se sviscerata con l’intento di penetrarne il significato fin dal primo pensiero, viene fuori, invece, il suddetto filo conduttore, tutto ciò che veramente l’autore ha sentito di esprimere, mediando pure tra Fede Cristiana ed amore per la Poesia Classica, in particolare per quella Tragica Greca (39) e per quella di Shakespeare, che traspare lampante da alcuni aforismi (non solo nel sessantanove, dove si opera palesemente una parafrasi della celebre frase de La Tempesta: “Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, che qui diventano “le stelle”, ma anche nel ventotto e poi nel settantasei, dove aleggia lieve la Queen Mab di Romeo and Juliet).

Quasi liberatorio, poi, appare l’aderire dell’autore alla celebre poetica del Pascoli, in quell’“obliato proprio sé fanciullo” (da un verso della sua poesia “Sé e gli altri”, tratto dal volume Per una strada), condividendola ed esprimendone la condivisione senza alcuna remora né riserbo, senza alcun timore di ripetersi né di ripetere.

Il Marcuccio conduce il lettore tra le pagine di questa breve raccolta proprio con i pensieri che più lo rappresentano, che maggiormente danno l’idea della sua condizione di poeta che, pur nella sede specifica non poetando, sa trasmettere anche in tale contesto la profondità del proprio sentire, per se stesso e per chi legga. Quindi, ritornando all’inizio del presente commento, chi scrive, dopo aver condiviso tanti pensieri, dopo aver letto tante massime che a volte, proprio nella loro costruzione, esse stesse appaiono illuminate da un bagliore poetico, torna, chiudendo il personalissimo circuito del proprio sentire, a riflettere come sia vero che “leggere un libro è sempre opera di scoperta e d’indagine, non solo nei confronti dell’autore, ma anche nei confronti di se stessi”.

 

Natalia Di Bartolo

(Scrittrice, Poetessa, Critico Letterario-recensionista)

 

Catania, 19 novembre 2012

 

 

 

È SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE QUESTA RECENSIONE INTEGRALMENTE O IN FORMATO DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

E’ uscito “La riva in mezzo al mare” di Monica Fantaci

LA RIVA IN MEZZO AL MARE

DI MONICA FANTACI

 

 Comunicato Stampa

 

La riva in mezzo al mare è l’opera d’esordio della poetessa palermitana Monica Fantaci, grande amante della cultura letteraria e curatrice di un suo spazio internet, dedicato interamente alla poesia.

Nella nota finale che accompagna questa ricca silloge di poesia osserva: «La poesia non è una serie di versi messi su carta dal nulla, ma è la consapevolezza che esisti, che hai fatto qualcosa per la tua vita e nella tua vita, un’incisione che rimarrà indelebile nei cuori, nelle menti della gente, perché tutti siamo una catena fatta di condivisione, di lotta, di apertura verso sé, verso gli altri».

L’opera è edita da TraccePerLaMeta Edizioni, casa editrice dell’omonima Associazione Culturale nata nel Gennaio 2012 e all’interno della quale Monica Fantaci è socia. L’opera, la prima della collana di poesia Indaco-Butterfly, è introdotta da una prefazione a cura di Lorenzo Spurio nella quale il critico osserva: «La poesia di Monica, difficilmente catalogabile in una corrente ben definita, è un elogio

della Vita, un continuo canto d’amore, una lode al Creato, una presa di coscienza della bellezza del

semplice, del comune, delle piccole cose. È una poesia viva e pulsante, ricca di sfumature, colorazioni e tonalità che consegna al lettore un universo quanto mai piacevole ed eterogeneo. Ma è

anche una poesia romantica».

Il libro può essere ordinato e acquistato da subito mediante e-mail alla casa editrice TraccePerLaMeta (info@tracceperlameta.org) e a partire dalle prossime settimane su qualsiasi vetrina online di libri (Ibs, Dea Store, Librería Universitaria,..).

 

 

 SCHEDA DEL LIBRO

 

 

Titolo: La riva in mezzo al mare

Autore: Monica Fantaci

Prefazione: a cura di Lorenzo Spurio

Quarta di copertina: a cura di Salvuccio Barravecchia

Casa Editrice: TraccePerLaMeta Edizioni, 2012

Collana: Indaco – Butterfly (poesia)

ISBN: 978-88-907190-2-8

Pagine: 49

Costo: 9 €

 

“L’essenziale curvatura del cielo” di Adriana Gloria Marigo, recensione di Lorenzo Spurio

L’essenziale curvatura del cielo

di Adriana Gloria Marigo

postfazione di Eros Olivotto

La Vita Felice Editrice, Milano, 2012

ISBN: 9788877994615

Pagine: 72

Costo: 10 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Del dicembre conosco le lune

il ritorno lento della luce

dentro il cristallo dell’aria

(Da “21 Dicembre 2010, p.30)

 

Dopo la fortunata e introspettiva silloge di poesie Un biancore lontano (Lieto Colle Edizioni, 2011), Adriana Gloria Marigo torna con un nuovo lavoro dal titolo quasi criptico, L’essenziale curvatura del cielo, edito dalla casa editrice milanese La Vita Felice. L’attenzione che la poetessa padovana pone nei confronti del cielo –richiamato anche nell’esergo, una citazione di Pierluigi Cappello- come elemento fisico e simbolico era già stata evidenziata nella mia recensione al suo precedente libro dove avevo avuto modo di sottolineare come l’elemento “celestiale” era sempre connesso a qualcosa di meraviglioso, ma al tempo stesso di non completamente raggiungibile, un qualcosa cioè di sfumato e sfuggente. La centralità del suo poetare si localizza nell’isotopia della luce, del colore, dei bagliori e di un universo che già ebbi a definire come “un percorso aereo, sospeso tra il cielo e l’atmosfera”. E di quel “biancore” evocato nella prima silloge si ritrovano tracce anche in questo nuovo libro in quel “silenzio bianco” (p. 36) e nel “gioco di chiaro” (p. 35) della bianca luce lunare anche se in una lirica il bianco, l’assenza di tinta, viene sopraffatto dal colore: “Del bianco non seppi/ poiché m’insidiò il blu” (p. 54).

Dalla presa di coscienza di un tempo che giunge all’anticipo della fine, l’autunno, nella lirica d’apertura dal titolo “Tutto si consuma nell’autunno” si passa a una serie di liriche dolci, sussurrate, quasi che il lettore sia chiamato a leggerle facendo delle lunghe pause tra un verso e l’altro per riuscire ad assaporarne il vero contenuto: “Non seppi dirti novella/ neppure accennare a un’aria di/ adagio o l’ovvia domanda,/ trapassata io a stalattite” in “3-4 Gennaio 2011” (p.11). In “Quando la materia della luce” (p. 13) Adriana Gloria Marigo ci consegna una sorta di soffice inno all’operosità e al tempo stesso alla ciclicità della natura che sempre si ripete nel suo “contrasto apparente del rigore”. E questo panismo lirico lo si ritrova in numerose altre liriche in cui la poetessa si abbiglia direttamente con gli elementi naturali, “m’assesto i pensieri/ come un cappello di fiori” (p.15); “pampini vestivano/ la tua nudità ammirata” (p.22); “il roseto in fiamme/ del mio pensiero” (p. 48). In “Rimbalzi specchiati” (p. 14) la poetessa sottolinea una realtà che è concretezza nella vita dello scrittore: chi scrive è anche un gran lettore e chi legge spesso ama anche scrivere perché le due cose, pur coinvolgendo due attività tra loro diverse, sono strettamente connesse quasi come un rimando di riflessi allo specchio.

La poesia di Adriana Gloria Marigo potrebbe sembrare criptica e a tratti addirittura ermetica perché attribuisce alle parole un valore, un significato, più ampio -perché interiorizzato- di quello che noi nella vita di tutti i giorni siamo soliti dargli. E’ una poesia riccamente elaborata che utilizza molti elementi della natura per “agghindarsi” e risplendere così come ci viene offerta. La luce, il sole, l’ombra o la mancanza di luce sono, oltre che caratterizzazioni visibili e temporali, fasi di un’anima sensibile stese sulla carta, momenti, sensazioni, colorazioni di episodi vissuti: “Se amore si fa quarto/ come la Luna, d’uno sguardo/ abbracci l’ombra e nel/ gioco di chiaro, di scuro/ avvampa il cambiamento” (p. 35).

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

11/11/2012

Chi è l’autrice?

Adriana Gloria Marigo è nata a Padova nel 1951. Gli studi umanistici l’hanno condotta prima all’insegnamento, poi ad occuparsi di eventi di danza moderna e contemporanea, seguendo un talento versatile, sensibile all’arte, alla bellezza che trova dimora pure “dove l’ombra si gioca della luce”. Ha pubblicato L’essenziale curvatura del cielo (La Vita Felice Editrice, 2012) e Quel biancore lontano (Lieto Colle Edizioni, 2011).

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

 

“Giravolta colorata”, poesia di Monica Fantaci

Giravolta colorata

DI MONICA FANTACI

Sull’ombra di un fiore
c’è qualche colore,
gioco di luci
in un chiaro-scuro
che disegna a matita
quel che si riflette dalla vita,
il colore si sparge…
anzi… si vuol spargere
nel bianco muro.
Allora trabocca
spinto dal suo movimento
che striscia sul pavimento,
colora il suo stesso cammino.
Chiari-scuri in riflessione
all’ombra di un giardino
che ancora…una volta..
danno spazio alla loro giravolta
per lasciarsi afferrare
dai colori di una fioritura raccolta.

Monica Fantaci

QUESTA POESIA VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

“L’Amazzone”, poesia di Liliana Manetti

L’Amazzone

poesia di LILIANA MANETTI

 

Amazzone dai capelli corvini

il tuo cavallo

impazzito

scalpita

pieno di dolore,

corre selvaggio

ti trascina

verso luoghi scuri

dove nero e’ l’orizzonte…

 

Ma tu

tieni le redini,

costringilo,domalo

e in questa lotta

sarai come sempre

la vincitrice :

non ti arrendere

doma,

donna coraggiosa,

doma

la tua vita.

“Sulla soglia”, poesia di Fiorella Carcereri

 Sulla soglia

 di FIORELLA CARCERERI 

 

Va, resta, va, resta….

un’indecisione che ci consuma,

un’attesa che ci logora.

 

Sei sulla soglia del mio cuore,

ma non posso lasciarti entrare.

 

Sei sulla soglia del mio cuore,

ma non posso lasciarti andare.

 

Un limbo infinito.

Noi.

 

“Inversi panici – (foglie del terzo millennio)” di Maurizio Alberto Molinari, recensione di Lorenzo Spurio

Inversi panici (foglie del terzo millennio)

di Maurizio Alberto Molinari

con prefazione di Cristina Balzaretti

traduzione in inglese di Lucia Gazzino

La Vita Felice Editrice, Milano, 2012

ISBN: 978-88-7799-459-2

Costo: 12 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

Che Maurizio Alberto Molinari sia un vero poeta non ce ne vuole molto ad accorgersene. Non è solo il suo profilo letterario che è andato ispessendosi negli ultimi anni a seguito di varie pubblicazioni che mi porta a questa conclusione, ma una serie di componenti che cercherò di mettere in luce qui, per quanto mi è possibile.

La grandezza delle arti sta nella loro capacità di colloquiare, sapersi rapportare, servirsi l’un l’altra e Maurizio Alberto Molinari ne dà prova in maniera tangibile, non solo inframmezzando –anzi, anticipando- ciascuna lirica con un’immagine, un suo scatto, ma nella sua volontà di sperimentare realtà più vaste da quella che quotidianamente lo circonda. L’utilizzo della lingua straniera, l’inglese in particolare, serve al poeta per aprirsi verso nuove dimensioni, sebbene è chiaro che la vena poetica e l’istinto lirico nascano nella sua lingua originale e che la traduzione –qui curata con meticolosità da Lucia Gazzino, già traduttrice di Pasolini in lingua inglese- è per sua natura sempre un po’ una “macchinazione”, più che un qualcosa d’istintivo. Ma la volontà che sta dietro a questo desiderio dell’autore, di voler travalicare qualsiasi limite e frontiera, è senz’altro encomiabile. Lo è non solo perché l’opera finale ne risulta ampiamente arricchita, ma perché per Maurizio Alberto Molinari l’intersecazione di stili, linguaggi e forme è –probabilmente- l’essenza stessa dell’animo poetico, della parola che dice un qualcosa, ma che evoca anche qualcos’altro.

E’ per questo che la nota di prefazione fa riferimento a un certo “ermetismo” nella poesia di Maurizio Alberto Molinari. E’ una posizione che condivido anche se non pienamente, soprattutto per il fatto che risulta semplicistico se non azzardato cercare nell’attualità di ricondurre certi autori a grandi correnti della storia della letteratura italiana. Perché in fondo la letteratura che si fa oggi è fortemente sperimentale, istintiva, se non priva di un chiaro modello a-priori, sicuramente molto più svincolata da scuole di pensiero, da dettami precostituiti. E’ senz’altro ermetica nella sua chiusura –a volte- di significato, nel non voler permettere al lettore di comprendere a pieno quanto lo scrittore ha impresso sulla carta, quasi che per ogni verso, l’autore abbia deciso di camuffarsi, nascondendosi, permettendoci di svelare solo una parte di quello che lui aveva nella testa al momento della scrittura.

I versi cortissimi, serrati, quasi freddi e strozzati, l’assenza di punteggiatura (“Profumo/ lucida/ memorie/ aprendo/ al tempo”, p. 13) e spesso del sistema di articolazione (“Pasta di natura/ riceve inchiostro”, p. 33), fa della poetica di Maurizio Alberto Molinari una scrittura poliedrica e priva di una chiara identità, dall’andamento talvolta veloce e sfuggente, altre volte lento quasi che la lirica appena letta ad alta voce si concretizzi per restare lì, nell’aria, in forma plastica.

Ma uno dei chiari motivi per cui la sua poetica è e al contempo non è ermetica –accezione che spesso è stata associata a un certo pessimismo cosmico o, comunque, a una visione profondamente critica, se non allucinata sul mondo- è la sua piacevolezza nel colore. Nelle liriche si susseguono riferimenti a tinte e sfumature che addolciscono e stemperano questo versificare asciutto: “Colori/ confusi/ su soffi di trasparenza./ Verde/marrone/giallo/rosso” (p. 25). Il colore è l’aggettivazione fisica e visiva che più utilizziamo nella nostra vita quotidiana e allo stesso tempo è il mezzo espressivo degli artisti, come pure dei poeti, di coloro, cioè, che sono in grado di assorbire la realtà e di trasporla secondo il proprio sentire. E’ per questo che nella poetica di Maurizio Alberto Molinari da semplice tinte essi arrivano ad “animarsi”: “Ascolto il rosso/ sento il suo stanco giallo/ accarezzo il bianco/ abbraccio il nero”, scrive in “Ascoltando il rosso” (p. 29). L’autore utilizza l’isotopia del colore per alludere ad immagini altre che al lettore non è dato riconoscere, ma che può vagheggiare o interpretare come desidera. In questo la sua poesia è ermetica, nel fatto che non dona al lettore una completezza, un’unicità di significato, ma che si appella al lettore in un certo modo per completare l’essenza del testo. Avevo già individuato questa doppia caratterizzazione della poetica di Maurizio Alberto Molinari un anno fa recensendo il suo New Yorker’s Breaths (LietoColle, 2011) dove ho avuto modo di sostenere: «Credo che la scrittura di Molinari, pur non essendo dichiaratamente criptica e oscura, è sempre alla ricerca, come l’autore ha riconosciuto nella prefazione, di un dialogo con il lettore, una sorta di negoziazione sui significati». Questa nuova raccolta mi convince ulteriormente su quanto giù un anno fa avevo dichiarato.

La poesia di M.A. Molinari è una poesia profonda al punto da rasentare l’onirico (“Il sogno/ svuota/ un’alba/ senza segnali né madrigali”, p. 21), sebbene non ci sia niente di puramente surreale. L’indagine che il poeta ci invita a fare seguendo la lettura di questo prezioso libricino è tortuosa, a tratti pericolosa perché senza via di ritorno. Sono moli i cul de sac che il lettore incontrerà, i bivi che sarà chiamato a prendere dei quali forse solo al termine si capaciterà di aver imboccato la strada sbagliata. La vera essenza di questa ricca raccolta di poesie è nel suo “non dire”, nella sua evidente scarnificazione, nella sua volontà di lasciare al lettore la comprensione, l’interpretazione, quasi come se l’autore fornisse una traccia, un pensiero sul quale riflettere. Non c’è niente di strano in tutto ciò, perché la poesia è un universo sospeso, che non ha regole e dove tutto può accadere, come in una favola con la sola differenza che quest’ultima sappiamo essere fantastica. E allora non c’è un modo migliore per concludere con questi versi dell’autore: “Forse/ le gocce cadranno./ Forse/il grigio sarà”.

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

Pamplona, 31 Ottobre 2012

 

Chi è l’autore?

Maurizio Alberto Molinari (n. 1961) vive a Milano e lavora nel settore pubblicità. Suoi testi sono pubblicati in rete, su riviste specializzate e in numerose antologie. Ha ricevuto importanti riconoscimenti a premi e concorsi. Prima di questa opera ha pubblicato New Yorker’s Breath (LietoColle, 2011), Poemantikha nova – La poesia si racconta… (Aletti, 2010), Bottoms & Joystick (Ibiskos-Ulivieri, 2009), Il Passeggero (Il Filo, 2008), Poemanthika – sulle tracce delle emozioni (Maremmi Editori, 2005).

 

La recensione è stata pubblicata anche sul sito della casa editrice, e disponibile qui: http://www.lavitafelice.it/news-recensioni-l-spurio-per-molinari-789.html

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE E/O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Solo 15 anni”, poesia di Liliana Manetti

Solo 15 anni
poesia di LILIANA MANETTI

31/05/2004

Solo 15 anni
racchiusi in una piccola immagine,
solo l’immagine e’ invecchiata,
e’ ingiallita
tu sei sempre bella,
giovane, forte, piena di vigore
nei miei pensieri t’immagino così
nei miei ricordi trovo solo l’amore
un amore così forte
che ha vinto persino la morte
perché dopo tanti anni
io ti sento sempre così vicina
perché quei pochi anni
che ti ho avuto accanto
sono bastati a donarmi
un concentrato di te
che ancora mi porto dentro
l’intensità di un sentimento
un abbraccio che mi accompagna
da ogni alba a ogni tramonto..

e ogni traguardo ti assomiglia
ogni gioia ti assomiglia
ed io ti dedico tutti i miei passi
fatti verso un futuro migliore
perché tu ci sei sempre
ci sarai sempre nel mio piccolo cuore
e non ci sono leggi fisiche
ne’ leggi di natura
la morte non ci ha separate
non aver paura…

Con tutto l’amore del mondo alla mia dolce nonnina..

QUESTA POESIA VIENE QUI PUBBLICATA SU QUESTO SPAZIO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA POESIA IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

E’ uscito “Némesis” di Marzia Carocci

Titolo: “Némesis”
Autore: Marzia Carocci
Prefazione a cura di Fulvio Castellani
Casa editrice: Carta e Penna
ISBN: 978-88-97902-16-4
Pagine: 96
Prezzo: 12,00 euro

Estratto della prefazione:

Ecco perciò che in Némesis la parola diventa un atto di apertura emotiva, di aggancio con la storia (la propria storia), di rimozione di elementi aleatori, superficiali. La poesia acquista così una profondità esemplare, diventa pensiero intersecante, mutevole al punto giusto, mai illusorio, inefficace, improvviso…

La poesia di Marzia Carocci finisce per scavalcare ogni recinto emotivo raggiungendo con convincente nitore, un compendio di spazi e di iridescenze che non può non scuotere l’animo di chi legge, riempiendo così con fremiti, che si rinnovano via via, quei vuoti di luce che assai spesso, purtroppo, accompagnano le stagioni del nostro percorso terreno.

Fulvio Castellani

Per acquistarne una copia, scrivi all’autrice a: apollinaire.mc@libero.it

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