“Sigarette”, racconto di Rita Barbieri
Tu eri tutto e io il tuo esatto contrario. Tu stavi sempre zitto e io, invece, parlavo troppo. Tu avevi i piedi ben saldi a terra, io preferivo stare per aria: a terra mi ci annoiavo troppo.
Tu eri serio e composto, io preda di emozioni che mi si disegnavano a macchie improvvise sul viso. Tu impenetrabile e solido come una roccia, io trasparente e fluida come l’acqua. Tu che non ti lasciavi mai intaccare da niente, corazzato dentro e dietro una solida armatura che non aveva nemmeno un misero tallone d’Achille. Io che viaggiavo leggera e abbandonavo sempre più protezioni e dispositivi di sicurezza. Tanto non mi servivano a niente.
Tu non ti emozionavi mai, io sempre: per le parole di una canzone, per una musica triste, per un film da riguardare, per un paesaggio così bello da togliere il fiato. Io vittima di stupore e meraviglia, tu anestetizzato per precauzione.
Ti dicevo che il tuo sorriso era speciale e non lo vedevo mai. Tu dicevi che il mio non era niente di che e ormai ti ci eri fin troppo abituato.
Ti ho dato tutto, anche quello che non mi apparteneva. Mi hai aspirato come una sigaretta, fino al filtro, fino a consumarmi interamente. E mi hai fumato come un fumatore stanco: senza piacere, senza gusto. Come un rito quotidiano, un modo per prendersi una pausa dal resto, un’abitudine perfino poco sana.
Avrei fatto qualunque cosa per renderti felice, ma non sono stata capace. Avrei voluto che tutto il mio amore bastasse a entrambi, ma era chiedere troppo.
Ero fumo e come tale mi sono dispersa. Tentare di imprigionarmi di nuovo, impossibile.
Hai guardato il mozzicone nella tua mano e ti sei chiesto dov’ero, come era possibile che fossi già finita: nel mentre, non te ne eri nemmeno accorto. Mi hai fumato distrattamente e troppo in fretta e di me non ti sono rimasti altro che pochi residui invisibili che, qualche volta, ti ricordano un sapore dimenticato, una dipendenza interrotta.
Hai preso il mozzicone e lo hai gettato nel portacenere, insieme agli altri. Non ero che l’ultima del pacchetto. Domani ne comprerai uno nuovo, promettendo a te stesso di fartelo durare un po’ di più. Il domani è sempre il giorno adatto per i buoni propositi: per tutte quelle cose che non si ha il coraggio di attuare nell’immediato e scivoloso presente.
Tu eri tutto e io il tuo esatto contrario. Avremmo dovuto combinarci, incastrarci, attirarci inevitabilmente. Invece siamo andati alla deriva, come strade senza sfondo, binari morti e linee parallele che, in quanto tali, non si incontrano mai. E se, per puro caso, dovessero incontrarsi di nuovo, allora è anche giusto che si separino e prendano le direzioni che gli competono.
Sono solitarie le linee parallele: hanno un cammino rettilineo e indipendente. Proseguono rigide e testarde nel loro tratto. Infinite le perpendicolari che possono tranciare il loro percorso.
Rita Barbieri
QUESTO RACCONTO VIENE QUI PUBBLICATO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE IL PRESENTE RACCONTO IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.
Considerazioni sul tempo a cura di Rita Barbieri
TEMPO
A CURA DI RITA BARBIERI
Attendere. Come al telefono quando la linea è occupata.
Come in fila dal medico, in attesa del proprio turno per la visita.
Come al bancone del bar, mentre aspetti che il barista ti elargisca la tua prima dose di caffeina quotidiana, necessaria per affrontare la giornata.
Aspettare un tempo che sembra scorrere all’indietro: oasi perduta di miraggi e ricordi che, invece di essere dimenticati, riscopri presenti e attuali come una notizia appena uscita sul giornale.
Attendere segnali, decisioni, mosse e contrattacchi. Come nelle partite, nelle guerre, nelle sfide. In amore.
Sentirsi in balia dell’altro, di un destino che a volte è amico e molte altre è invece crudele avversario.
Alti e bassi, mareggiate e risacche. Distanze che si allungano e si accorciano come ombre, a seconda dei punti di vista. Si dilatano sotto l’effetto ottico di luci mutevoli e intermittenti.
Il tempo è denaro e, come tale, si guadagna, si investe, si spende, si spreca. E talvolta si perde. Come per i soldi, recuperarlo è difficile: finisce subito e lascia debiti e creditori che non saranno mai risarciti.
Ogni cosa a suo tempo. Un’affermazione che riempie di fiducia, di speranze, di illusioni… Aspettiamo che i tempi cambino, maturino come frutti su un albero. Che si adattino a noi, alle nostre volontà, ai nostri desideri.
Quasi mai succede.
E noi siamo ancora lì a aspettare che, invece di raccoglierli, i frutti cadano da soli.
Non ci sono tempi giusti o tempi sbagliati. Ci sono solo situazioni, realtà provvisorie e passeggere: il tempo scorre. Una clessidra che qualcuno ha già rovesciato per noi: ogni granellino che scivola via è un pezzo di vita che smette di essere un enigmatico mistero.
Il tempo, per fortuna, lascia segni e tracce. Cauterizza benevolo anche le peggiori ferite e riabilita dai danni più gravi. Regala un po’ di buonsenso a chi può permetterselo e agli altri lascia la sensazione di aver assistito a una lezione di cui non si è capito bene il senso. Forse qualcuno lo rispiegherà prima o poi.
Il tempo è un ben strano maestro di cui fidarsi. Non bisogna fargli troppe domande, né mettergli fretta: lui ha il suo programma da seguire e a noi, allievi inesperti, non resta che provare a seguirlo ciecamente tentando, nel mentre, di imparare il più possibile…
Rita Barbieri
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Firenze, ieri pomeriggio letterario con la presentazione dei libri di Lorenzo Spurio e Massimo Acciai
Ieri ala Cabina Teatrale di Saverio Tommasi a Firenze (zona Rifredi) si è parlato di letteratura e scrittura presentando i libri “Flyte e Tallis. Ritorno a Brideshead ed Espiazione. Una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese”, un saggio di critica letteraria scritto da Lorenzo Spurio e “Un fiorentino a Sappada”, raccolta di racconti di Massimo Acciai.
Relatori della serata sono stati: Iuri Lombardi (poeta e scrittore), Sandra Carresi (poetessa, scrittrice e vice-presidente dell’Ass. Culturale TraccePerLaMeta), Rita Barbieri (docente di lingua cinese), Paolo Ragni (poeta e scrittore), Lorenzo Spurio (scrittore, critico-recensionista e direttore rivista Euterpe) e Massimo Acciai (poeta, scrittore e direttore rivista Segreti di Pulcinella).
Guarda il video della presentazione.
Grazie a tutti coloro che sono intervenuti e hanno condiviso questo pomeriggio letterario con noi.
Gli eventi da noi promossi a Firenze e provincia continuano secondo questo calendario:
“K L’arte dell’amore” di Hong Ying, recensione di Rita Barbieri
K, L’arte dell’amore
di Hong Ying
Traduzione di B. Bagliano
Garzanti, Milano, 2007
Pagine: 222
Recensione di RITA BARBIERI
“Nella creazione di un romanzo credo si debba seguire un unico criterio di base: un romanzo dovrebbe essere ‘una buona storia ben raccontata’ (…)” (1)
Questo romanzo dell’autrice cinese Hong Ying, pubblicato in Italia per la prima volta nel 2005, prende spunto da una storia realmente accaduta. La scrittrice, nella postfazione al libro, che negli anni ’80, periodo in cui in Cina si svilupparono numerose correnti letterarie, avanguardie e nuove tendenze stilistiche sull’onda anche dell’influenza della letteratura occidentale, aveva iniziato per curiosità a frequentare numerosi circoli letterari clandestini e ufficiali.
“Flyte & Tallis”: il nuovo saggio di letteratura inglese di Lorenzo Spurio recensito da Rita Barbieri
FLYTE & TALLIS
Ritorno a Brideshead ed Espiazione
una analisi ravvicinata di due grandi romanzi della letteratura inglese
di LORENZO SPURIO
ISBN: 978-88-6682-300-1
Numero di pagine: 143
Costo: 10 €
Link diretto all’acquisto
Recensione a cura di Rita Barbieri
Il saggio di Lorenzo Spurio analizza, in maniera precisa e sintetica, due dei più importanti capolavori della letteratura inglese del ‘900: “Atonement” (Espiazione) di Ian McEwan e “Brideshead Revisited” ( Ritorno a Brideshead) di Evelyn Waugh.
Inizialmente l’autore affronta in maniera separata le due opere, dedicando loro una sezione ciascuno del suo libro. Per ogni romanzo traccia un riassunto puntuale e accurato, spendendosi anche in una descrizione mirata degli ambienti e dei personaggi principali. Si tratta delle fondamenta necessarie poi per affrontare, nelle parti successive del saggio, l’analisi più propriamente critica e letteraria.
Lorenzo Spurio ricerca nei due romanzi delle tematiche comuni (la religione, il senso di colpa e altri…) e spiega, inserendo anche citazioni letterarie in corso d’opera e informazioni biografiche sulla vita degli autori, analogie e differenze. Tutto questo è sostenuto da un solido impianto critico-bibliografico, come si può ben notare dalla bibliografia finale.
I temi scelti non sono casuali né semplicistici, quanto piuttosto temi articolati e complessi che vengono sciolti ed esposti in maniera chiara e comprensibile. Non si cade mai nell’errore di uniformare, appianare i due romanzi o di voler ritrovare obbligatoriamente delle linee e dei tratti comuni. Anzi, si dedica particolare attenzione alla descrizione delle differenze esistenti e si cerca di spiegarne le possibili motivazioni, sia attraverso un approfondimento sul contesto storico-sociale del momento, sia ricorrendo al vissuto dei due autori.
La terza parte del saggio riporta una traduzione a cura dell’autore di un articolo di un importante critico: Brian Finney, che fornisce un inquadramento globale e conclusivo alle osservazioni e alle analisi precedentemente delineate.
Completano l’opera i profili biografici dei due autori e la bibliografia.
Si tratta di un saggio estremamente accurato e curato, perfino negli apparati critici (quali note e rimandi bibliografici), completo e esaustivo dal punto di vista dei contenuti. Inoltre il linguaggio chiaro, non eccessivamente pieno di inutili tecnicismi e la relativa brevità dello scritto, lo rendono uno strumento di facile accesso e rapido utilizzo anche per coloro che non sono troppo abituati ad avere a che fare con testi di critica letteraria.
Per i più esperti invece, il libro offre interessanti spunti di riflessione e scorci nuovi, oltre a mettere a disposizione titoli e materiali di approfondimento per ricerche successive.
Si tratta dunque di un libro che permette, in maniera semplice ma non semplicistica, di addentrarsi nelle trame dense della letteratura inglese del ‘900, fornendo una possibile linea interpretativa e trasmettendo, allo stesso tempo, tutto il fascino misterioso, elegante e decadente dei due più importanti romanzi inglesi del tempo, attraverso la descrizione sentita dell’ambientazione, del plot e del mondo psicologico dei personaggi.
Rita Barbieri
QUESTA RECENSIONE VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.
“Sorgo rosso” di Mo Yan, recensione di Rita Barbieri
Sorgo rosso
di Mo Yan
Torino, Einaudi, 2005
ISBN: 8806178520
Costo: 13,50 €
Recensione di RITA BARBIERI
“-Il sorgo è diventato rosso…i giapponesi sono arrivati… compatrioti preparatevi a combattere… con fucili e cannoni-“
Recentissima la notizia dell’attribuzione del Nobel per la letteratura a Mo Yan, uno dei più importanti scrittori cinesi contemporanei. In realtà giàGao Xingjian, autore di origine cinese ma con cittadinanza francese, aveva vinto lo stesso premio nel 2000.
Mo Yan, pseudonimo che significa “senza parole/colui che non parla”, è il nome d’arte di Guan Moye, nato 57 anni fa nel villaggio rurale di Gaomi:
“Ho amato profondamente la zona a nord-est di Gaomi, e l’ho odiata profondamente. Divenuto adulto mi sono immerso nello studio del marxismo e ho capito che è senza dubbio il posto più bello e più orribile del mondo, il più insolito e il più comune, il più puro e il più corrotto, il più eroico e il più vile, il paese dei più grandi bevitori e dei migliori amanti.” (1)
È proprio a Gaomi che Mo Yan ambienta il suo romanzo più intenso e famoso: “Sorgo Rosso” (Hong gaoliang), storia epica e al contempo realistica di una famiglia e di un paese in un periodo storico sanguinoso e violento che va dagli anni ’20 agli anni ’70, passando attraverso la fase cruenta dell’invasione giapponese.
Per continuare a leggere la recensione, clicca qui: http://blog.chinaitaly.info/consigli/sorgo-rosso-di-mo-yan/
“Cadute”, racconto di Rita Barbieri
CADUTE
racconto di Rita Barbieri
-Signorinaaaaa!!! Si è fatta male?-
-No, non è niente, non si preoccupi. Passerà.- (Tanto passa sempre tutto prima o poi e la dignità, almeno quella, vediamo di riportarla a casa tutta intera possibilmente…)
-Ma non ha visto la buca??!!-
-No, mi pare evidente… Lei che dice??-
-Beh, la prossima volta stia più attenta…-
-Si ha ragione, lo farò di certo. Grazie tante per il consiglio, effettivamente da sola non ci avevo proprio pensato! Utilissimo.-
“Stia più attenta”. A cosa? A chi? E da cosa mi devo guardare di preciso? Di cosa devo avere più paura? Di inciampare, del buio, dell’orco cattivo, della peste bubbonica o piuttosto degli effetti della crisi? O meglio ancora di quello che non vedo, di quello che non conosco? Di quello che incrocio sul mio percorso e che non mi aspetto? Come se uno sapesse sempre esattamente a cosa va incontro.
Mi spieghi lei allora, signor Passante, esperto di marciapiedi e di vita, a cosa devo fare attenzione. Mi dica per favore dove sono i cartelli, i segnali di pericolo perché io francamente non li vedo. O se li vedo non li so leggere, il che fa esattamente lo stesso. E quindi mi perdoni se cado e se spetta proprio a lei l’arduo compito di aiutarmi a rimettermi in piedi e assicurarsi che non mi sia fatta niente di grave. Si consoli però: così potrà sentirsi migliore di questa giovane distratta che ha qui davanti a sé e, già che c’è, potrà dispensare pure qualche buon consiglio utile di cui proprio non si può fare a meno.
Ma sono sicura che anche a lei qualche volta è capitato di cadere. E sono altrettanto sicura che qualcuno le ha poi fatto tutte le raccomandazioni di rito, magari aggiungendo: “…Sa alla sua età… Bisogna fare più attenzione: è così facile farsi male sul serio!” con il tatto degno di un cobra. Ma non è vero niente, mi creda. Non c’è un’età in cui le cadute sono più pericolose o dolorose e a volte non c’è attenzione, cartello, prudenza o cautela che tenga. Si cade e basta, come le mele di Newton. Solo che lui ha scoperto la legge di gravitazione universale ed è passato alla storia mentre noi, povere menti tutt’altro che geniali, al massimo ci becchiamo un’escoriazione in più e avanti tutta. Il tempo per soffermarci a indagare le possibili complicazioni di una caduta non ce l’abbiamo: c’è il cartellino da timbrare, la spesa da fare prima che i negozi chiudano e l’amica da incontrare prima che cominci a farti trillare quel meraviglioso apparecchio chiamato cellulare che, proprio come gli uomini, ha la capacità di farsi sentire solo quando meno te l’aspetti.
Ma una caduta è anche un’occasione. Di capire qualcosa in più su una strada che non è mai dritta né appianata e, per quanto strano possa sembrare, sono proprio quei punti pericolosi a insegnarti di più e a rendere più ferma la tua andatura. Per cui, mi scusi tanto se me ne sto qui per un po’ a cercare il perché e i per come: non è detto che li trovi e non è detto neanche che non inciampi di nuovo, ma intanto il mio l’ho fatto. E questa resta pur sempre una consolazione, per quanto magra.
E allora eccomi di nuovo affondare nelle mie mille buche non segnalate, sbattere contro tralicci e cartelli e girare a destra quando era evidente agli occhi del mondo che bisognava andare a sinistra. Eccomi perdere la bussola, il tom tom, il navigatore satellitare e anche tutto il resto perché tanto è il senso dell’orientamento la cosa che manca di più. Perderlo e poi riacquistarlo, come il senno di poi. Trovare nuove mete, nuovi percorsi, nuovi traguardi e arrancare a piccoli passi come un cucciolo ancora malfermo sulle zampine.
Ma anche stavolta mi sono alzata, raddrizzata e rattoppata. Ripartita non da zero, per fortuna. E proseguo: testarda forse, sicura mai, convinta sempre. Aspettando il prossimo impedimento, ostacolo, dissesto e consapevole che una legge ci deve pur essere da qualche parte, non scritta forse e nemmeno scoperta ancora. Ma se le mele cadono non sempre è solo colpa del vento d’autunno.
Chissà se quando sarò inclinata dal peso degli anni come i rami di un salice, con la faccia avvizzita da mille e una ruga e con le mani da pianista deformate dall’artrite e dai nodi del tempo, chissà se allora, guardandomi indietro, sarò ancora in grado di riconoscere i punti in cui ho traballato, esitato e inciampato. Chissà se per quel momento mi sarò finalmente formulata la ‘mia’ legge di gravitazione, personale stavolta e non universale. Chissà se avrò trovato un’equazione, un’espressione che tutto risolve e tutto giustifica e che dà sempre il risultato sperato. Chissà che alla fine non abbia imparato anch’io a leggere i cartelli, interpretare i segnali e a scansare i dossi e che, raggiunta una veneranda età da signora rispettabile, non mi sia finalmente convinta a portare scarpe più comode, fatte solo per camminare.
Però per adesso, sprovvista di insegnanti, insegnamenti e regole auree, lasciatemi libera di mettere i piedi in fallo, di sbagliare e di smarrirmi nel mezzo del cammin della mia vita, perché la retta via per me è piena di curve e deviazioni. E se, nel frattempo, mi prendo qualche storta o faccio qualche figuraccia, sorridete pure ma fatelo con la stessa tenerezza che si riserva a un bambino maldestro che, goffamente, cerca il suo baricentro per restare dritto in piedi. In fondo ci siamo passati tutti, perfino lei signor Passante… ma forse non se ne ricorda.
Così recupero un equilibrio che molti prima di me hanno definito precario e instabile, ma che io chiamo mutevole, perché quando tutto intorno cambia, a noi non resta che cambiare insieme al resto. O cambiare noi per primi. Allora, davvero, non si preoccupi per le mie cadute: s’impara a cadere e s’impara a rialzarsi. Con stile, anche.
L’orientamento si sviluppa per tentativi, fallimenti, discese, salite e vicoli ciechi che guidano ovunque e in nessun luogo. Un intricato labirinto in fase di costruzione e revisione continua, dove neanche avere il filo rosso funziona più come guida. La ringrazio quindi per i preziosi consigli, ma per trovare le proprie leggi, si sa, niente è meglio dell’esperienza diretta: la prova del nove di ogni teorema. La mia la sperimento anche così: a passi a volte piccoli, incerti, perfino incespicati o sbagliati, ma altre ancora invece sicuri e testardi, ostentati su scarpe potenzialmente pericolose e terreni sempre più sconnessi.
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“Segnaletica cinese lungo la strada verso Roma” di Rita Barbieri
Tre città, tre decenni e una ragazza che diventa donna. Lanbo ha poco più di vent’anni quando lascia la Cina per trasferirsi a Parigi. L’Europa ai suoi occhi di orientale ha mille colori (e alcune ombre). Sarà un nuovo amore che la porterà fino a Roma, dove tutt’ora vive e lavora. Per l’integrazione.
Ci aveva già provato con “La strada verso Roma“. Se l’era pubblicato con i pochi mezzi che aveva e oggi esce per un editore un po’ più conosciuto (Barbera) e con un altro titolo. In ogni caso è il primo romanzo scritto direttamente in italiano da un’autrice cinese. Si tratta di un romanzo autobiografico che ripercorre, in maniera intensa e commovente, le tappe più significative della vita dell’autrice, Hu Lanbo.
“Oggi la parola ‘successo’ ha assunto per me un altro significato: penso che il fatto di vivere secondo le mie idee, e di poter rappresentare una nuova immagine della donna cinese all’estero, un’immagine di donna coraggiosa, indipendente e cosmopolita, costituisca per me un grande successo.”
Continua a leggere questo articolo qui: http://china-files.com/it/link/21800/segnaletica-in-cinese-lungo-la-strada-verso-roma
“Macchie”, racconto di Rita Barbieri
MACCHIE
di Rita Barbieri
Mettimi via. Nascondimi, come si fa con la polvere sotto il tappeto, come le macchie d’umidità sotto i quadri alle pareti. Depositami in un angolino, lasciami lì dove non avrò voce né consistenza alcuna. Perché se sarò così ben nascosta, allora potrà darsi che piano piano scolorisca fino a svanire o che, più semplicemente, mi succeda di essere dimenticata.
Certe macchie sono più dure di altre da mandar via: resta l’alone. Impresso sul muro, sulla stoffa, sulle pagine di un libro: una macchia lascia tracce, più o meno visibili.
Anche le persone lasciano tracce. E macchie e depositi e strati e strati di polvere che, per quanto si tenti di pulire via, si riformano sempre. La polvere è nell’aria e certe persone anche. Si respirano involontariamente, assimilando ad ogni boccata il loro personalissimo mix di ossigeno e smog.
Quelle sono le persone in cui si inciampa per caso, camminando sicuri per la propria strada, con lo sguardo alto e le difese abbassate: come buche non segnalate ci fanno vacillare, cadere, perdere l’equilibrio e, prima ancora di capire bene come sia successo, ci si trova impantanati e arresi. Ci piovono addosso, gocce di pioggia improvvisa in una calda giornata estiva.
Inopportuna e rinfrescante insieme: ancor prima di aver trovato un ombrello o un provvidenziale portico sotto cui ripararci, ci siamo già bagnati almeno un po’ e siamo anche scocciati per l’accaduto. Una stretta di mano, una frase, uno sguardo e tutto cambia: se ne stanno lì e la loro presenza già da sola basta a interrogarti.
E di domande se ne fanno sempre troppe e sempre alla persona sbagliata: l’unica che le risposte non le sa e non le può sapere. Gli incontri sono giochi a premi: un azzardo in cui bisogna essere fortunati prima e furbi poi. E in cui bisogna anche sapere quando fermarsi in tempo prima di perdere tutto.
Perché quello è il rischio grosso, la vera posta in gioco: il problema vero non è vincere quanto PERDERE. Perdere un’occasione, perdere la credibilità, perdere la bussola, perdere il controllo. Infinite varianti e possibilità del verbo perdere. Si può perdere tutto, praticamente. Dalle chiavi al tempo che non torna più indietro, da una partita amichevole finita a pacche sulle spalle, alle opportunità che capitano sempre una sola volta nella vita. Dai ricordi alle speranze.
“Ho paura di perderti”. Quante volte diciamo questa frase. Il gioco del fare e non fare, del dire e non dire, perché poi perdi tutto, comprese le mosche che pensavi di tenere ben strette nel pugno della mano. Anche quelle volano via, se vogliono. Non serve a niente stringere le dita per impedirlo, certe volte è più semplice aprirle.
Aprirle come si fa con una porta, una finestra, uno spiraglio. Aprire per lasciare uscire e per far entrare. Per portar fuori e per accogliere dentro. Stare un po’ sempre sulla soglia, appoggiati alla maniglia: guardare per strada e osservare chi passa. Perché tante persone passano e poche, invece, restano. E, se restano, chissà poi per quanto.
Ci sono giorni torti, difficili in cui mi rendo conto che ancora non ho cancellato proprio un bel niente. Ho accantonato, separato, fatto il cambio dell’armadio forse…ma non dimenticato. Certe cose, eventi, persone semplicemente non sono pensati per essere dimenticati. Non si può: torneranno in mente all’improvviso, attraverseranno la mente come proverbiali fulmini in un cielo apparentemente sereno, faranno sorridere o piangere. O anche tutti e due insieme. Perché se tutte le storie felici sono simili tra loro, ogni storia infelice è infelice a modo suo: Anna Karenina insegna.
Ci sono storie che nemmeno un menestrello stonato potrebbe cantare, fiabe che non conciliano affatto il sonno ma semmai evocano la compagnia informe dei pensieri. Racconti che non finiscono con un punto ma sfumano in infiniti e inediti punti di sospensione. Aspettano che si tiri una linea, che si tirino le somme, senza scarti e senza resti.
Come certe macchie anche certe cose sono indelebili: perfino se vengono strofinate via con cura, riappaiono.
Rita Barbieri
QUESTO RACCONTO VIENE PUBBLICATO QUI PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE IL PRESENTE RACCONTO IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.
“Mille anni di preghiere” di Yiyun Li, recensione di Rita Barbieri
Il fatto che ci siamo incontrati e chiacchieriamo… sicuramente ci è voluto parecchio tempo di fervide preghiere per farci arrivare fin qui.”
“Mille Anni di Preghiere” è una raccolta di dieci racconti brevi della scrittrice cinese Yiyun Li, che ha vinto nel 2005 il premio Frank O’Connor International Story Award.
Yiyun Li nasce a Pechino nel 1972 e risiede in Cina fino al 1996, anno in cui si trasferisce in America per specializzarsi in medicina. Della Cina di quegli anni ha vissuto e sperimentato tutto: come l’esperienza di un corso di rieducazione politica per tutti coloro che volevano iscriversi all’Università di Pechino, dopo i fatti di Piazza Tian’an men. Una volta laureata, emigra negli Stati Uniti ed è in questo nuovo contesto, padrona di una nuova lingua che sente come sua, che finalmente riesce a raccontare le storie del suo Paese di origine, scrivendole direttamente in inglese.
Per leggere l’intera recensione, vai qui: http://blog.chinaitaly.info/consigli/mille-anni-di-preghiere-di-yiyun-li/
“Vita di donne” di Su Tong, recensione di Rita Barbieri
“Vita di donne”
di Su Tong
Recensione a cura di Rita Barbieri
Quando esordisce, a metà degli anni ’80, Su Tong è inserito nella corrente letteraria dell’avanguardia, che sostiene l’autonomia della letteratura dalla realtà e dà la massima importanza alla libertà creativa dello scrittore e alle infinite possibilità dell’artificio. Non c’è più l’obbligo di rappresentare la realtà secondo i canoni del realismo socialista e, inoltre, gli scrittori avanguardisti sono anche biograficamente e psicologicamente svincolati dal peso della Rivoluzione Culturale.
Nonostante questo, Su Tong ambienta la maggior parte delle sue opere nel passato, definito come il ‘luogo principe dell’immaginario’. Infatti è indubbio che il passato gli conceda maggiore libertà espressiva, non costringendolo al confronto con il reale. Ed è anche indubbio che il passato possa fornire la chiave per la ricostruzione di un’identità culturale comune dopo il trauma della Rivoluzione Culturale e che serva anche a riscrivere la Storia, raddrizzandone i torti.
[…] L’edizione italiana di Vite di donnecomprende due racconti: Vite di donne(Funü Shenghuo) e Altre Vite di donne(Lingyi Zhong Funü Shenghuo).
Per leggere l’intera recensione vai a questo link:
http://blog.chinaitaly.info/consigli/vite-di-donne-di-su-tong/
Recensione a cura di RITA BARBIERI



