“Monica è musica”, acrostico di Monica Fantaci con un commento di Lorenzo Spurio

Monica è musica

(Acrostico)

 di MONICA FANTACI

 

Mano che si muove

organza di gesti

nuovi sempre

inizio di brindisi d’amore

casereccio e antico

al profumo di olio che

 è al momento

maneggiato vicino

ulivi ricchi di un caldo

sapore siciliano

insediato e apprezzato da

culture diverse

amanti del paesaggio.

 

Palermo 25 agosto 2012

Monica Fantaci

Commento a cura di LORENZO SPURIO

Monica Fantaci, giovanissima poetessa palermitana, ha sempre espresso con le sue liriche una simbiosi di poesia e musica donando al lettore immagini armoniose, colorate e molto positive. In questo acrostico la poetessa si scopre agli occhi dell’attento lettore, come Musa incantatrice, emblema di Musica. Vari elementi in questo testo trasmettono l’ambientazione tipicamente quotidiana del suo poetare “brindisi d’amore/casareccio”, per sottolineare forse che è proprio nella semplicità, nei costumi e nella tradizione che si preservano ancor meglio i grandi valori, come l’amicizia appunto. Il brindisi è tradizionalmente un momento conviviale d’allegria, ma anche di affetto dato e ricambiato. L’impostazione modernista, la fascinazione per la cultura popolare e per la terra natia (“sapore siciliano”) è ben evidente in questa lirica che è sorretta, appunto, dalle lettere iniziali di ciascun verso che, presi tutti assieme, rendono il titolo della poesia: “Monica è musica”. E’ una poesia colorata e profumata, ricca e variegata, ma anche solidale, ottimistica e fraterna. Finché ci saranno persone con un animo talmente prelibato da scrivere poesie come questa e lettori attenti, critici ma costruttivamente, il compito della Cultura verrà portato a termine poiché le “culture diverse” non debbono essere pretesto per motivi di scontro, violenza, vendetta o recriminazione storica, ma solamente una realtà unanimamente riconosciuta come ricchezza.

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O DIFFONDERE I TESTI QUI PRESENTI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DEI RISPETTIVI AUTORI.

Emanuele Marcuccio aforista. Recensione a cura di Santina Russo a “Pensieri minimi e massime”

Pensieri minimi e massime
di Emanuele Marcuccio
PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47
ISBN: 978-88-6682-240-0
Genere: Saggistica/Aforismi
Prefazione, a cura di Luciano Domenighini
Postfazione, a cura di Lorenzo Spurio
Curatrice d’opera: Gioia Lomasti
Cover: Francesco Arena
Prezzo: 7,60 €

Recensione a cura di Santina Russo

Non si può leggere una raccolta di aforismi in un solo attimo, né in un solo giorno. Nella loro caratteristica brevità, gli aforismi necessitano di un certo periodo di tempo per essere accolti dalla mente del lettore e fatti propri, condivisi o smentiti. Così, Pensieri minimi e massime di Emanuele Marcuccio è una raccolta di aforismi che si presta a una lettura nel tempo, costante e quotidiana. Basterebbe ogni mattina aprire il libro e soffermarsi a leggere uno degli aforismi, magari mentre si sorseggia un caffè, per poi memorizzare quelle poche parole e ripeterle a sé stessi durante il giorno, esaminarle, provare a identificarsi in essi oppure, al contrario, sentirsene in qualche modo distanti. L’aforisma di Emanuele Marcuccio ha una caratteristica che lo contraddistingue dagli altri: lo definirei un aforisma poetico e non solo perché in molti di essi il concetto essenziale è la poesia, ma anche e soprattutto per la forma elegante, melodiosa di esprimere una pensiero contornandolo di lirismo. Negli ultimi anni la linea di demarcazione tra poesia e prosa diventa sempre meno netta, la prosa lirica e la poesia prosastica sono ormai tendenze in continua evoluzione ma gli scritti di Emanuele Marcuccio sono sempre propensi verso la classica melodiosità del verso lirico, siano essi poesie o pensieri in prosa. Emanuele Marcuccio è un poeta e, come tale, il suo pensiero non poteva non essere più volte rivolto alla poesia, alla figura del poeta e dell’artista, spesso in conflitto tra di loro con conseguenze disastrose per il bene della poesia stessa (N.67 Tra poeti, scrittori, drammaturghi, artisti in genere, è bene che si instauri un rapporto di rispetto e di stima reciproca, mai di concorrenza e senza nessuna presunzione di possedere la verità, purtroppo, oggigiorno è quasi un’utopia). Il poeta è colui che offre il suo sentire al prossimo, che dona agli altri i suoi versi e non esiste poeta se non attraverso i suoi lettori, così come una poesia rimane muta se non può parlare al cuore dell’uomo (N.49 Sono i suoi lettori che creano l’autore e, in particolare, il poeta; un poeta non esiste senza i suoi lettori, che si servono della sua poesia per emozionarsi ed emozionare altri lettori). “Pensieri minimi e massime” è un libro che non può mancare a chiunque si interroga ogni giorno sul significato della vita, sul valore dell’arte, sulla funzione sociale e culturale della letteratura. Dall’imprenditore all’artigiano, dall’impiegato alla casalinga, dallo studente allo sportivo tutti troveranno in questi pensieri uno spunto per una riflessione personale giornaliera, nutrendosi di arte e di saggezza. Un ultima osservazione: non è un libro da riporre sui vani polverosi di una libreria, ma un volume da tenere sempre a portata di mano per poter accogliere i pensieri dell’autore nei momenti più imprevedibili e impensabili della giornata di ognuno.

a cura di Santina Russo, 20 luglio 2012

 

Chi è l’autore?
EMANUELE MARCUCCIO è nato a Palermo nel 1974. Scrive poesie dal 1990, nell’agosto del 2000 sono state pubblicate sue poesie, presso l’Editrice Nuovi Autori di Milano, nel volume antologico di poesie e brevi racconti Spiragli ‘47. Partecipa a concorsi letterari di poesia ottenendo buone attestazioni e la segnalazione delle sue opere in varie antologie.
Nel marzo 2009 è uscita la sua raccolta di poesie Per una strada, SBC Edizioni, recensita da vari studiosi e critici tra cui Luciano Domenighini, Alessandro D’Angelo, Lorenzo Spurio, Nazario Pardini e Marzia Carocci.
Una sua poesia edita è stata pubblicata nell’agenda 2010 Le pagine del poeta. Mario Luzi, da Editrice Pagine di Roma.
Nel 2010 ha accettato la proposta di collaborare con una casa editrice per la scoperta di nuovi talenti poetici, tra giugno 2010 e luglio 2011 ha presentato tre autori, riuscendo così a far pubblicare tre libri di poesie e, dal 2011 è consigliere onorario del sito “poesiaevita.com”, che promuove anche una sezione editoriale ospitante le collane di opere da lui curate.
Dal 1990 sta scrivendo un dramma epico ambientato al tempo della colonizzazione dell’Islanda, di argomento storico-fantastico.
Ha inoltre scritto vari aforismi, ottantotto dei quali sono stati raccolti nella silloge Pensieri minimi e massime, Photocity Edizioni, edita nel giugno 2012.
Ha curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed emergenti su blog letterari. È collaboratore della rivista on-line di letteratura Euterpe. È stato membro di giuria nella prima edizione del concorso nazionale di poesia “L’arte in versi” (2012).
È presente su blog, siti e forum letterari, tra cui “Literary”, con una scheda bio-bibliografica nell’Atlante letterario italiano. Ha in programma la pubblicazione di una seconda silloge di poesie.

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA QUI SU QUESTO SPAZIO DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE DEL LIBRO E DELL’AUTRICE DELLA RECENSIONE.

Anna Scarpetta: quando la poesia è testimonianza. Commento di Anna Maria Folchini-Stabile

Commento alle poesie di Anna Scarpetta

poesie contenute in “L’Universo degli Angeli” – Sentieri di Anime e Sogni – a cura di G. Ianuale per Accademia Internazionale Vesuviana – Marigliano (NA) – 2012

Commento critico a cura di Anna Maria Folchini-Stabile, poetessa

 

 

“L’Universo degli Angeli” è l’antologia curata da Gianni Ianuale e pubblicata nel mese di luglio 2012  dall’Accademia Internazionale Vesuviana per raccogliere le liriche dei poeti che si sono ritrovati attorno all’ideale morale che “poetare significa muoversi e operare nell’armonia cosmica in cui l’essere e il bene puntualmente coincidono” (dalla premessa di Bernardo Silvestri, pag. 6).

Tra gli Artisti selezionati figura la poetessa Anna Scarpetta che presenta le sue liriche intitolate:

– Porto in giro per il mondo

– Alzati anima

– Forse gli Angeli

– Ho salito i gradini del mondo

– Vivere per non morire

 Questi cinque componimenti sono il proclama di ideali e linee guida di una vita dedicata a difendere  l’identità, i principi e i valori che rendono l’individuo persona unica e irripetibile; la poesia è il veicolo, il modo per comunicare al mondo la propria visione della vita che ha radici profonde nella memoria, nella famiglia, nelle tradizioni e negli affetti che legano alla propria terra.

La poetessa che ha ben conscio il suo ruolo di guida, non può non confrontarsi con la vita e con gli altri e non può, quindi, non cantare le risorse collettive, il coraggio di vivere, la ripresa dell’Uomo che ha ideali e mete importanti da raggiungere:

   “Destati, anima, dal frastuono fragoroso

    Che stordisce solamente e nulla dice” …

(da Alzati anima, pag. 371)

 

E non può esservi certezza di perseguire il fine destinato, senza la sicurezza interiore di una Guida superiore (“Forse gli Angeli”, pag. 372) di cui la poetessa ha piena coscienza, tanto che può dire:

 

   “Ho salito, con grande affanno, i gradini del mondo

     Rasentando i pericoli, passando lenta nel mezzo…

   … Con la mente imbevuta di forti pulsioni…

   … Con grande magia…

( da “Ho salito i gradini del mondo”, pag.373)

 

Ardore, affanno, salita…non un cammino semplice, non una strada pianeggiante, perché l’esistenza di ogni essere umano è cosparsa di prove, di difficoltà che temprano, fortificano e confermano, a consapevolezza e maturità raggiunte, che il dolore è parte del vivere.

La scelta è univoca: “Vivere per non morire” (pag. 374).

La vita, secondo la poetessa Anna Scarpetta, è una prova di coraggio, perciò va vissuta coraggiosamente, superando le quasi continue prove iniziatiche e guardando sempre al domani, perché il nuovo giorno è resurrezione e, se la sofferenza ci abbatte, la speranza ci accompagna.

 

Come sempre, anche in queste sue forti liriche, la poetessa esprime i suoi profondi pensieri in modo lineare, chiaro, universale e se vede se stessa come metro del tutto, riconosce nella sua esperienza tutta l’Umanità che le cammina a fianco e proprio per questo sa riconoscerla, abbracciarla e comprenderla.

 

 

Chi è l’autrice?

ANNA SCARPETTA è nata a Pozzuoli nel 1948, formatasi culturalmente a Napoli dove ha anche frequentato la Scuola di recitazione e spettacolo, è erede della grande famiglia che molto ha contribuito alla storia Artistica Napoletana e Italiana.

Poetessa ben nota ai circoli culturali e letterari Napoletani, ha poi vissuto a Milano e risiede attualmente a Novara.

Si ė sempre dedicata alla poesia, alla narrativa e alla saggistica collaborando con numerose riviste culturali. 

Ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti ed è membro “Vitae et honoris causae”  del Centro divulgazione rete e Poesia.

Tra le sue opere pubblicate ricordiamo:

– Poesia (ed. Gabrielli, 1985)

– Frantumi di tempo (ed. Lo Faro, 1991)

– L’altra dimensione della vita (ed. Libroitaliano Word, 2004)

– Le voci della memoria ( ed. ismecalibri, 2011)

Molte sue poesie sono raccolte in numerose antologie.

 

 Anna Maria Folchini Stabile

 

Angera, 24 agosto 2012

 

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA SU QUESTO SPAZIO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. E’ VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE QUESTO TESTO IN FORMA INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

“Regalo di compleanno”, racconto di Massimo Acciai, con un commento di Lorenzo Spurio

Regalo di compleanno

di MASSIMO ACCIAI

 

Cristina D’Avena stava cantando la sigla di chiusura dell’ultimo cartone animato del pomeriggio quando Emanuele spense la tv e corse all’ingresso: aveva sentito la chiave nella serratura, segno che suo padre era tornato. Questo significava che avrebbe avuto subito il suo regalo di compleanno. Non aveva fatto nessuna festa in quanto la sua famiglia apparteneva alla congregazione dei Testimoni di Geova, e i festeggiamenti erano considerati frivolezze contrarie alla Bibbia. Anche il cartone animato che aveva appena finito di vedere non rientrava propriamente nelle prescrizioni scritturali, ma fino alle 18 suo padre non rientrava in casa e quindi era libero di vedere ciò che voleva in TV. Naturalmente avrebbe poi mentito: mentire era sopravvivenza in quella casa. Comunque il regalo che gli aveva portato suo padre non era da considerarsi un regalo di compleanno, anche se cadeva precisamente in quella data; era solo una coincidenza. Emanuele lo considerava tuttavia tale: perché gli altri bambini a scuola potevano avere un regalo per il loro compleanno e lui no? Non era giusto ovviamente.

Ma suo padre era categorico su questo punto, come su tanti altri. Questo non significava che Emanuele non avrebbe avuto regali, anzi forse ne avrebbe avuti persino di più dei suoi compagni di quinta elementare, ma non regali legati ad una ricorrenza particolare. Il bambino aveva sempre pensato che fosse una sorta di compensazione per la vita austera e morigerata a cui lo costringeva (anche se “costringere” era una parola che il genitore non avrebbe mai adoperato).

L’uomo entrò in casa con una voluminosa scatola di cartone, a cui erano stati praticati dei fori. Il fatto che traballasse lasciava intuire che il contenuto fosse qualcosa di vivo, ma d’altronde Emanuele sapeva già cosa conteneva perché era ciò che aveva chiesto al padre qualche giorno prima, quindi non fu affatto sorpreso quando, apertala in salotto, ne venne fuori un bulldog. L’animale balzo fuori dalla scatola, impaziente ed avido di aria fresca, quindi iniziò ad abbaiare furiosamente.

– Non preoccuparti, vuol solo farti le feste – lo rassicurò suo padre. Emanuele abbracciò il cane che prese subito a leccargli la faccia.

– Grazie babbo!

L’uomo sorrise compiaciuto e posò una mano sulla testa ricciuta del figlio, scompigliandogli i capelli in un gesto affettuoso che suo padre aveva ripetuto a suo tempo con lui. Emanuele odiava quel gesto, ma non lo aveva mai dato a vedere.

– Hai finito i compiti? – domandò l’uomo.

– Sì – mentì.

– Hai letto i passi della Bibbia che ti avevo detto?

– Certo – mentì.

– Ti sei tenuto lontano dalle cattive compagnie, in modo che Dio sia contento di te?

– Sì, come al solito – mentì. A scuola per fortuna non avevano mai dato peso alla sua fede, o meglio quella di suo padre, anche se i bambini sanno essere crudeli con i diversi. Ma lui aveva fatto di tutto per non apparire “diverso” e aveva fatto amicizia con i cattolici e perfino con un paio di bambine africane musulmane.

– Bene, goditi pure il tuo regalo.

– Posso andare a portarlo a fare una passeggiata? – domandò Emanuele.

– Sì, però non ti allontanare troppo e ricordati di tornare per cena. E soprattutto, stai attento stavolta.

– Certo

– Stasera leggeremo insieme la storia di Abramo e Isacco.

Emanuele sospirò mentalmente. Odiava quella storia, fin da quando l’aveva sentita per la prima volta, anni prima. Quando era più piccolo aveva avuto gli incubi a causa di quella storia. Periodicamente padre e figlio rileggevano tutta la Bibbia, una mezz’oretta al giorno, dopodiché commentavano i brani letti. Nel giro di due anni l’avevano letta tutta, quindi ricominciavano daccapo. Erano alla terza rilettura.

– Allora vado, torno presto, ciao.

 

Il bambino uscì col cane al guinzaglio nella calda giornata di quasi estate. Il piccolo paese era quasi deserto a quell’ora; le brave massaie erano impegnate ai fornelli, l’emporio era chiuso e persino i pensionati che stazionavano sulle panchine davanti al bar erano tornati ciascuno a casa propria. Attraversarono la via principale, il bimbo e il cane, dirigendosi verso il posto segreto. Il cane scodinzolava e fiutava tutto ciò che incontrava, fermandosi un paio di volte a marcare il territorio di urina e lasciando un fumante ricordo marrone sul sagrato della chiesetta. Arrivati in piazza Emanuele scorse il suo amico Giorgio che bighellonava come suo solito. Giorgio era l’ubriacone e lo scemo del villaggio, proprio il tipo di persona da cui lo aveva messo in guardia suo padre. Un uomo così non sarebbe mai entrato nella terra paradisiaca successiva all’Armaghedon, ma certo non se ne curava. Era l’unico ateo che conosceva in quel paese bigotto; gli stava simpatico, anche se emanava un odore di cui era meglio non parlare.

– Hai un nuovo amico? – gli domandò dopo averlo salutato.

– Sì, si chiama Fido IV – rispose Emanuele accarezzando l’animale, che subito iniziò ad annusare i pantaloni sudici dell’uomo.

– Bravo bravo – disse l’uomo agitando la bottiglia mezza vuota di barolo che teneva in mano. Si salutarono, quindi presero strade opposte; Giorgio verso la taverna, che avrebbe aperto di lì a poco, ed Emanuele per il sentiero che scendeva dalla piazza verso il fiume.

Arrivarono al luogo segreto senza fare altri incontri. Il luogo segreto era ovviamente deserto, e altro non era che un vecchio ponte di pietra, in disuso, nei pressi della diga, semi nascosto dalla vegetazione che cresceva rigogliosa fuori dal paese. Il bambino si sedette su di un masso sotto al ponte dopo aver legato il guinzaglio ad un ferro arrugginito che sporgeva dalle pietre del ponte, residuo di un’antica armatura metallica con cui era stato riparato molti anni addietro, quando era ancora in uso. Il cane tirava la corda del guinzaglio, ringhiando insofferente: il bambino rimase a fissarlo in silenzio. Ad un certo punto pronunciò una specie di formula magica, una litania con molte consonanti e suoni gutturali. Tracciò quindi dei segni nell’aria con un bastoncino, raccolto per terra, e ricominciò con la litania. Dopo qualche minuto si alzò ed accarezzò il cane sulla testa, quindi slegò il guinzaglio dal ferro arrugginito e risalì il sentierino che portava dal ponte alla diga.

In cima alla diga tirava vento. Un vento gentile, serale, decisamente piacevole. La giornata era stato un caldo preludio all’estate che sarebbe cominciata ufficialmente di lì ad un mesetto. Il luogo era deserto. Emanuele guardò giù. Qualche metro più in basso la polla d’acqua, racchiusa da grandi cubi di cemento, in cui precipitava l’acqua che traboccava dal muro di calcestruzzo che formava la piccola diga. In quel punto, là in basso, la profondità dell’acqua era notevole, più di quanto si potesse supporre ad una prima occhiata. Era un’acqua torbida, verdastra, di cui non si vedeva il fondo.

Il bambino camminò col cane al guinzaglio sulla cornice di cemento, larga circa un metro, fino al punto in cui l’acqua traboccava e si precipitava dabbasso.

– Buono Fido, a cuccia.

Il cane lo guardò interrogativo, quindi incominciò ad abbaiare.

– Buono ho detto, cuccia!

La voce del bambino era gentile ma decisa. Il cane, come se avesse compreso il linguaggio umano, si accovacciò. Emanuele tornò indietro di qualche metro, fino al punto in cui il cemento si ricongiungeva alla roccia, quindi si inoltrò nel boschetto da cui riemerse qualche attimo dopo trasportando un grosso masso, di almeno cinque o sei chili. Fino a quel momento il volto del bambino era stato inespressivo, adesso la bocca si allargò in un piccolo sorriso che solo prestandovi attenzione si sarebbe potuto notare. Con estrema naturalezza prese il guinzaglio e lo legò strettamente al masso, chiudendo con un nodo sapiente i molti passaggi della cinghia. A quel punto sollevò il masso e lo lanciò giù, nella polla d’acqua sottostante. Il cane lo seguì con un guaito di dolore e sorpresa, quando si sentì tirare il collo con uno strappo secco. I due corpi, animato ed inanimato, legati strettamente da una cinghia di cuoio, piombarono in acqua dopo un volo di cinque metri producendo uno splash accompagnato da spruzzi d’acqua che arrivarono fino al volto di Emanuele, il quale si era sporto per guardare lo spettacolo; spettacolo che durò un attimo. Il cane andò a fondo e non riemerse più. Solo alcune bolle testimoniavano una cessata attività respiratoria.

Emanuele recitò altre parole in quella lingua sconosciuta, fece un segno in aria in direzione dell’acqua e tornò sui propri passi. “Per te, Marianna”, pensò. Anche con l’arsura estiva il livello dell’acqua non sarebbe calato che di pochi centimetri, e le alghe sul fondo della pozza avrebbero custodito per sempre il segreto.

 

– Non ti preoccupare, vedrai che lo ritroveremo – lo rassicurò suo padre. Emanuele si asciugò le lacrime che aveva imparato a simulare fin da quando aveva memoria, e annuì.

– E’ scappato all’improvviso – si lagnò il bambino, ripetendo la storia per l’ennesima volta – mi è sfuggito il guinzaglio e non l’ho più ripreso!

– Stasera diremo una preghiera per Fido – disse l’uomo – e domani metteremo degli annunci promettendo una ricompensa, vedrai che ce lo riporteranno.

– Non è vero! – urlò il bambino, simulando un attacco isterico – Come non abbiamo più ritrovato gli altri cani!

L’uomo si accigliò e guardò brutto il figlio.

– Non dire così, devi avere Fede figlio mio!

Lo abbracciò. Il bambino si lasciò abbracciare, rimanendo però inerte.

– Abbracciami – lo incitò suo padre.

Il bambino ricambiò l’abbraccio.

– Facciamo così – disse l’uomo – se non lo ritroviamo ti porterò io stesso al canile per prenderne un altro.

Il viso del bambino si illuminò e si aprì in un leggero sorriso che l’uomo, che lo stava abbracciando, non poté vedere.

 

 

Firenze, 6-7 fruttidoro dell’anno CCXX (23-24 agosto 2012)

 

 

Commento di Lorenzo Spurio

Dietro al “regalo di compleanno” sul quale è incentrato questo recentissimo racconto di Massimo Acciai si cela un mondo domestico torbido e indecifrabile nella sua interezza dove noia, insofferenza, mancanza d’affetto e bigottismo dominano imperscrutate. Il racconto ci fornisce uno squarcio di vita contemporanea di un’anonima famiglia che potrebbe essere quella di qualsiasi persona. Sono alcuni elementi, però, a caratterizzare il giovane protagonista in maniera poco positiva: suo padre l’ha improntato allo studio e all’interpretazione della religione dei Testimoni di Geova, elemento che in ambito scolastico, porta il ragazzo ad essere in un qualche modo “diverso” dagli altri. Essere diverso non significa essere migliore o peggiore, non esprime mai quindi un commento di tipo valutativo o qualitativo, ma rimarca la non omologazione alla norma in un dato luogo o tempo. Ma non è solo il bigottismo del padre che è praticamente assente dalla vita del ragazzo se non nei momenti in cui gli chiede di leggere brani della Bibbia con lui che “segnano” l’esistenza del ragazzo, presentato come un tipo solitario, silenzioso, razionale, come un tipo del tutto a posto.

L’intero racconto si dispiega con la narrazione di episodi quotidiani di un padre e un figlio. Non si parla mai della madre del ragazzo e anche quando appare un terzo personaggio, l’amico del ragazzo, ci troviamo di fronte ad un essere maschile.

E’ solamente verso la fine del racconto, quando il narratore apre gli occhi e digerisce l’impetuosa svolta nella storia che Acciai ha previsto, che compare un personaggio femminile, una certa Marianna. L’autore, però, sembra voler giocare con il lettore e non dà una chiara chiave interpretativa che ci consenta di spiegare chi sia questa donna: è la madre? è una ragazza della quale si è invaghito a scuola? è una parente? o piuttosto è un artificio narrativo dello stesso autore per far sì che il lettore si scervelli per capire? Ogni risposta è plausibile.

Ciò che emerge nel racconto, sulla scia di un fortunatissimo adattamento cinematografico di una sceneggiatura di Ian McEwan (The Good Son, tradotto in Italia con L’innocenza del diavolo) è come la malvagità possa convivere celata nei panni di un ragazzo tranquillo con se stesso e con il mondo. L’autore fa riflettere su come la violenza, la perversione e il disturbo psichiatrico siano realtà dalle quali non si può eludere per poter capire a tutto tondo la personalità umana. Il protagonista, così, andrà collezionando regali, uno dietro all’altro incrementando, forse, il suo sadismo nei confronti degli altri, mentre l’assente genitore –forse ancor più pericoloso dello stesso ragazzo per il suo fondamentalismo, rigorismo e settarismo- continuerà a credere nell’innocenza di suo figlio. Intanto là fuori continueranno a perpetuarsi violenze, inutili massacri, annegamenti inspiegabili di bestioline inermi, divenute così semplici oggetti con i quali dar sfogo alle proprie ossessioni.

Ma il racconto di Acciai va letto anche più a fondo: come un riflesso amaro del nostro oggi tormentato e spersonalizzante dove le cose importanti sono sempre demandate ad altre od esplicate secondo una logica materiale – come il regalo appunto- e dove allo stesso tempo menzogne, bugie, “posti segreti” diventano l’unica morale imperante e osservata, benché si continui a professare altri “credo” che diventano semplicemente noiosissimi brani da leggere.

 

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I libri di Vitina Maioriello

I libri di Vitina Maioriello

 

TRAMONTO, BUIO, LUCE

Nasce come biografia di Vitina, ragazza divenuta paraplegica in seguito ad un incidente stradale: un pirata della strada la investe e in un secondo la sua vita di bambina spensierata (il tramonto) si trasforma in una lotta contro il dolore ed il destino (il buio) per poi trasformarsi in una nuova esistenza, ricostruita da zero ma ugualmente piena di gioia, di sentimenti, di amore (la luce).  

Ma questo romanzo autobiografico è molto di più. È la descrizione di una traiettoria imprevedibile che si abbassa nella cupa disperazione e ritrova le altezze dell’amicizia e dell’amore.

Vitina riesce a parlare con semplicità e freschezza di quante le è accaduto, facendo della sua esperienza il simbolo della forza dell’ottimismo. La positività che traspare dalla sua prosa riesce nel difficile intento di parlare di tragedie e dolore col sorriso sulle labbra, regalando al lettore una carezza che è conforto e sostegno.

Tramonto, buio, luce è una poesia, un inno, un canto alla vita che tanti giovani oggi non apprezzano e distruggono. Un libro che ti prende sin dalle prime pagine, ti travolge, non ti consente di interromperne la lettura, t’insegna il valore della vita che va vissuta sempre positivamente, senza cedimenti alle infinite difficoltà che la costellano. Lo stile è scorrevole, piacevole, poetico. Dal tramonto temuto dopo l’incidente automobilistico si passa al buio delle dolorose esperienze. Infine ritrova la luce, più intensa, più viva, più calda di quella che aveva preceduto il tramonto, la luce che ora la illumina, la mette a fuoco, la esalta e la rende una donna straordinariamente capace di affrontare le difficoltà della vita, di gioire, di godere.

Fine osservatrice, sa riflettere sulle sue esperienze personali, le analizza, ne trae stimolo a continuare a vivere facendo in modo che il tramonto ed il buio alimentino sempre più laluce che ora l’avvolge, la esalta nelle sue qualità umane, la proietta in un futuro che non sai immaginare se non nel segno del successo che da sola si è costruita e che tutti avvertiamo come emblema di una persona che dal dolore ha saputo trarre l’insegnamento a vivere la vita nelle sue mille sfaccettature di un poliedro. Un poliedro le cui facce aspettano di illuminarsi tutte di luce intensa, senza ombre e senza tramonti.

 

COMUNICARE: DIALOGO CITTADINO – ISTITUZIONE

Un testo che potrebbe sembrare un qualcosa di tecnico, indirizzato a chi si trova ad avere, magari per motivi di lavoro o personali, contatti con determinati enti, in particolare con la pubblica amministrazione. In realtà non è così perché leggendo il titolo, si può ben capire che è indirizzato a tutti i cittadini poiché tutti, per svariati motivi, quotidianamente, si trovano a dover entrare a contatto con la pubblica amministrazione.

Quando si parla di pubblica amministrazione ci si riferisce a quell’insieme di enti e soggetti pubblici quali comuniprovinciaregionestatoministeri che svolgono in qualche modo la funzione amministrativa nell’interesse della collettività e quindi nell’interesse pubblico. Lo scopo del  testo è di far conoscere alcuni importanti strumenti quali la carta dei servizi, la comunicazione, il marketing, l’Urp ufficio relazioni con il pubblico, strumenti  adottati per sopperire ad esigenze sempre più impellenti per tutte le organizzazioni, in modo particolare la pubblica amministrazione.

Il libro è diviso in quattro parti, ciascuna delle quali è stata curata personalmente dal suo autore. La sottoscritta ha curato l’ultima parte del testo trattando l’Urp, Ufficio Relazioni con il Pubblico, perchè nell’ambito delle amministrazioni pubbliche è fondamentale informare gli utenti, comunicare ai cittadini informazioni complete, chiare, circa le modalità di erogazione di un servizio, le condizioni di accesso, le finalità del servizio stesso. 

 

IL NULLA E IL SUICIDIO GIOVANILE

E’ una sorta di avventura fra le nebbie della società contemporanea. Come Diogene, l’antico filosofo greco sempre alla ricerca di qualcosa di veramente umano ed autentico, l’autrice ha avuto il coraggio di prendere in mano la lanterna e di seguire fino in fondo l’io disperato, fino a scovare nel nulla l’inquietante verità che si nasconde dietro il rifiuto della vita in età giovanile. Il libro di Vitina non si ferma all’analisi sociologica del problema, ma resta sempre attento alla persona che si cela fra le statistiche, spesso definitivamente inghiottita dalla fredda analisi dei fenomeni e dei dati.

Fedele a questo approccio tipicamente umano il libro procede con determinazione, fino ad individuare nella desolazione del nichilismo il dramma principale della società contemporanea. L’autrice si spinge così nei luoghi disperati dell’animo umano, dove regna l’assenza di speranza e l’angoscia di vivere, ponendosi domande sul ruolo dei media e sull’apporto importante e delicato della prevenzione, guardando all’educazione morale e all’educazione ai valori come strategia fondamentale per ritrovare il senso della vita.

Dunque Il libro scava nella disperazione dell’uomo contemporaneo, nell’assenza di speranza, nell’angoscia di vivere, nel ruolo esercitato dai mass media, per poi proiettarsi nella proposta di prevenzione, nella prospettiva da me fortemente voluta e condivisa dell’educazione morale e dell’educazione ai valori, per ritrovare il senso della vita.

Insomma un libro autentico, che non si limita al tentativo di comprendere meglio le dinamiche di un fenomeno così drammaticamente attuale, ma che si sforza davvero di guardare alle profondità dell’animo umano, alla sua solitudine e soprattutto alla sua disperazione, proprio quando questa diventa senza più speranza…

 

 

per contattare Vitina Maioriello, scrivere a: maioriello@inwind.it 

“Acrostico” di Emanuele Marcuccio, con un commento di Lorenzo Spurio

EMANUELE MARCUCCIO

(ACROSTICO)

 

 

Elegante mi aggiro pensoso

mentre la luna in ciel compare,

avanzando per una strada,

non comprendo il mondo:

uno è il solo pensiero

e l’orizzonte mi rapisce

la mente turbando

e l’amore m’invita.

Marcando la terra

arrivo fino in fondo

riuscendo nell’impresa,

comprendo la vuota cultura

urbana imperante,

comprendo il flebile vento

che corre lungo vicoli antichi,

introducono i nostri passi

obliando i passati mali.

 

(20/1/2010)

Commento di LUCIANO DOMENIGHINI

Diciassette versi, undici indicativi presenti (tutti al singolare, al plurale, di terza, solo l’ultimo al 16°), e ben cinque gerundi, a tessere e siglare questo acrostico in due sorsate ma di un solo respiro. Come detto, il tempo gerundio lega e cuce la composizione ma la prima persona presente “comprendo” è reiterata tre volte (versi 4°, 12°, 14°) in linea con il gusto per l’anafora del poeta palermitano. Nato come gioco enigmistico, è in realtà un autoritratto poetico di bell’acqua, che rimarca la vaghezza, l’indeterminatezza, il ruolo insieme storico e metastorico del poeta, quasi fosse la sua vita una quotidiana, perdurante consacrazione, a un tempo vocazione e progetto, volontà e destino.

 Luciano Domenighini

Travagliato (Bs), 20 agosto 2012

COMMENTO DI LORENZO SPURIO 

Nell’acrostico qui presente del poeta palermitano Emanuele Marcuccio scritto nel 2010 ma solo ora “tolto dal cassetto”, si respira un senso di sfiducia e di criticità nei confronti della società contemporanea di cui il poeta ci fornisce uno squarcio mentre si trova “per strada”. E’ questa una visuale particolare e molto cara all’autore il quale ha dedicato una intera silloge di poesie nel 2009 raccogliendole appunto sotto il titolo di Per una strada. Non solo. In varie interviste Marcuccio ha avuto modo di parlare dell’ispirazione come qualcosa di fuggevole, impetuoso, che necessita di esser messo subito sulla carta per evitare di perdere quell’analisi del mondo. L’impressione che ho avuto con questa lirica è stata proprio questa: di un uomo in giro per strada che analizza il mondo con un occhio forse un po’ stanco e illanguidito, nostalgico del passato che fu, tanto diverso a quel presente narcisista e morboso che gli è toccato vivere. Ecco perché predominano nella lirica aggettivi che fanno riferimento a un poeta nel suo stato di creazione “pensoso”, quasi a meditare in maniera onnisciente ciò che sfila davanti ai suoi occhi. Il messaggio è chiaro: l’uomo è alla continua ricerca di un senso, di un significato ontologico ed epistemologico che però gli sfugge continuamente: “non comprendo il mondo”. Il senso di desolazione e di aridità che la lirica trasmette deriva direttamente dalla vuotezza e dalla mancanza di cultura che il poeta marca come elemento di caratterizzazione dell’oggi: “la vuota cultura/ urbana imperante”. La poesia, però, può anche essere letta come una sorta di esortazione, un vivido invito all’uomo d’oggi  a rimboccarsi le maniche e a far a meno di vizi e vanità per riscoprire il vero senso delle cose.

Lorenzo Spurio

Jesi, 24 agosto 2012

(Nella foto una delle famose “Piazze d’Italia” di Giorgio De Chirico).

LA POESIA VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE.

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“Paradiso riassunto” di Eliza Macadan, recensione di Lorenzo Spurio

Paradiso riassunto

di Eliza Macadan

con prefazione di Marco Conti

Edizioni Joker, Novi Ligure (AL), 2012

ISBN: 9788875363024

Numero di pagine: 64

Costo: 10,50 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

 

La mia vecchiaia

aspetta nello specchio

una mattina

rimarrò

con l’amore (p. 35)

 

Approssimandoci alla lettura di questo libro respiriamo una volontà di estetica minimalista che si esprime già nella copertina, semplice e sobria, una poco nota Composizione di Daniel Divrician, e nel titolo stesso di questa silloge di poesie. Il titolo, Paradiso riassunto, può in un primo momento echeggiare il grande poema filosofico dell’inglese Milton, ma in realtà non dobbiamo intraprendere questo tipo di lettura perché la silloge qui presente non ha molto di esistenzialistico, di chiaramente enigmatico frutto di una ricerca incessante e tormentata dell’autrice. Il “paradiso” che Eliza Macadan tratteggia in questa serie di liriche è un universo semplice, comune, quasi crepuscolare. Soprattutto, ed è forse questa la sua più grande ricchezza, è una qualcosa di reale, concreto, ossia non ha niente di utopistico. Questo paradiso che la scrittrice ci fa conoscere è però solo una porzione di esso, è solamente una delle sue interpretazioni poiché non è dato all’essere umano cogliere l’interezza e la complessità del creato. La silloge è pertanto una analisi attenta e interessante ma parziale –e non potrebbe essere diversamente-, ecco svelato il motivo di “paradiso riassunto”.

Il libro si apre con una scheda critica ben congegnata e particolarmente pertinente al contenuto della silloge nella quale il prefatore, Marco Conti, va individuando la concretezza delle immagini che la poetessa mette in scena e la loro validità come riflesso del quotidiano. Le liriche presenti nel testo sono tutte molto brevi e il linguaggio utilizzato, scarno e condensato, ci immette direttamente all’interno della materia che la poetessa tratta. Potremmo stare ad analizzare e a disquisire ore intere su ciascuna poesia, ad esempio in quella che apre la raccolta leggiamo: “ogni giorno/ premo il pedale/ del perdere o vincere/ per sapere/ dove mi trovo/ la mia identità di plastica/ arriva con un treno/ di notte” (p. 11). La poetica semplice e contemporanea, quasi di marca gozzoniana, descrive le piccole cose che la circonda, sviscerando però anche i suoi pensieri, le sue considerazioni. L’identità della poetessa –sempre alla ricerca di un “perdere o vincere”, ossia di una decisione finale ben definita, è “di plastica” cioè falsa, illusoria, sostitutiva e solo di notte, con il buio, la tranquillità che infonde pace riesce a mostrarsi per quel che realmente è. Non solo. Giunge “con un treno”, ossia velocemente, senza guardare ostacoli, perentoriamente. In “Gli alberi” ritorna il tema dell’identità: niente di definito e di chiaro, qualcosa di torbido e di indecifrabile: “stai girando/ da tutte le parti/ i documenti d’identità/ dei morti” (p. 44).

In “La vita” la poetessa affronta il tema della felicità e della difficoltà del suo raggiungimento, chiudendo la poesia con un animo di esemplare fraternità verso persone indigenti: “tendo un biscotto/ a una mendicante bosniaca” (p. 26). In alcune liriche Eliza Macadan non manca di far riferimento a una sessualità individuale, una meta-sessualità priva di un senso compiuto: pornografia, masturbazione, prostituzione che fornisce al lettore un panorama si vivido e realistico pur nella sua tristezza.

In “Scrivi” è enunciata la poetica di Eliza Macadan: non perdere momenti, idee, ispirazioni… buttale giù per iscritto. Lettura e scrittura rappresentano per la poetessa due attività centrali del suo esistere ed è lei stessa a sfatare una falsa credenza che i poeti, superbi per il loro genio, non leggano i propri colleghi: “una poetessa legge/ i versi di un’altra poetessa” (p. 50) segnale positivo e di speranza: finché c’è gente che legge/ascolta/dialoga con altra gente, allora si preserva il senso di comunità dal quale tutto nasce. In “In fondo all’Europa” la poetessa si mostra un’attenta reporter di crimini di guerra, fautrice di una poesia civile ed impegnata in difesa della memoria storica: “io continuo a scrivere poesia/ come se nulla fosse successo” (p. 64). In “Qualsivoglia” è contenuta, invece, una brevissima esortazione che fa seguito allo scoraggiamento della poetessa di non essere ascoltata degnamente dal suo interlocutore.

Non manca neppure una velata denuncia sociale a quelli che sono i “meccanismi dell’oggi” incentrati su logiche di mercato, sistemi di compra-vendita, rendite, affitti ossia tutto basato sull’economia e il denaro, come ben si evince nella lirica “Non c’è casa” dove, appunto, la casa (sinonimo di proprietà, sicurezza e famiglia) è stata sostituita (a seguito di una crisi, di una decadenza, intuiamo) da un affitto, termine che invece denota la dipendenza da qualcun altro.

Un aspetto che mi ha molto interessato della silloge in questione è l’attenzione della poetessa per la parzialità della materia; si riferisce spesso a parti, porzioni, componenti di un qualcosa – spesso di qualcosa non concreto, utilizzando dunque in senso metaforico- come le “briciole di pensieri” (p. 20), i “pezzi di incubo” (p. 15), un “pezzo di cielo” (p. 60). Tutto questo, in effetti, trasmette un senso di residualità, di mancanza, d’incompletezza –di tendenza, mi ripeto, gozzaniana e più ampiamente crepuscolare- che fa concludere la poetessa in una lirica in questo modo: “il paradiso è rimasto senza foglie/ e senza di noi” (p. 30). Per questo il paradiso non può esser “raccontato” e reso in immagini che in maniera sommaria, imprecisa, parziale. Il “riassunto” che Eliza Macadan ci fornisce è senz’altro degno e lodevole nel dar voce a questa parzialità del tutto.

 

 

 

Chi è l’autrice?

Eliza Macadan è nata a Bacau (Romania) nel 1967 e risiede a Bucarest e a Roma. Ha esordito nel 1988 sulla rivista mensile di cultura romena “Ateneu”. Bilingue fin dalla sua prima raccolta, Spatiu auster (Edizioni Plum, Bacau, 1994), Eliza Macadan ha scritto e pubblicato in romeno e in italiano. L’edizione italiana della silloge del 1994, Frammenti di spazio austero (Libro Italiano, Ragusa, 2001) ha ottenuto il premio romano “Le rosse pergamene” nel 2002. Hanno fatto seguito In Autoscap (Edizioni Vinea, Bucarest, 2009); La Nord de cuvant (A Nord della parola, Edizioni Tracus Arte, Bucarest, 2010) e transcripturi din constient (trascrizioni del cosciente, Edizioni Eikon, Cluj Napoca, 2011).

In Romani ha ottenuto i seguenti premi “Mihai Eminescu”, Botosani 1991, “Lucian Blaga”, Sebes 1992; in Francia: “Mitteleuropa”, Strasbourg, 1993; in Italia: “Etnie Poesie”, Trieste, 1999, “Marguerite Yourcenar”, Milano, 1999 (inclusa nell’antologia del suddetto premio, Montedit, 2000; distinzione per la poesia dell’Accademia della Cultura Europea, Roma, 1999).

Giornalista professionista è stata corrispondente in Italia per varie testate romene. E’ membro dell’USR (Unione Scrittori della Romania).

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Blog Letteratura e Cultura

Jesi, 23-08-2012

 

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“Un continuo principio”, poesia di Monica Fantaci, con un commento di Lorenzo Spurio

Un continuo principio

di MONICA FANTACI

 

 

La musica attraversa il tempo
e lo ferma nell’amore
in un’eterna simbiosi
di palpiti di scale
e ritmi cardiaci
mossi dalle arterie
di un vino buono
bevuto vicino
agli stessi rampicanti di uva
che lo hanno generato.

Palermo, 23 agosto 2012

Monica Fantaci

 

 

Commento a cura di Lorenzo Spurio

 

La palermitana Monica Fantaci, com’è nella sua poetica asciutta e tipicamente descrittiva, ci consegna con “Un continuo principio” dei versi che sono da leggere tutti d’un fiato per non perdere il senso di vigore –e insieme di freschezza- che li caratterizzano.

La musica e la poesia sono ambiti della cultura umana, espressioni artistiche e manifestazioni del genio umano che la poetessa spesso utilizza contemporaneamente nelle sue liriche perché in fondo la poesia non è altro che una musica leggera che ci accompagna e che lambisce i nostri sentimenti, come pure la musica è una lirica pregna di drammatismo, emozioni e tant’altro.

Questa lirica – della quale si potrebbe sottolineare la componente “elettrica”, quasi futurista in quei “palpiti di scale/ e ritmi cardiaci/ mossi dalle arterie” – è senz’atro espressione di un dinamismo sempre presente, di una meccanicità che si rinnova in maniera continuativa, senza per questo denotare semplicità, banalità o ridondanza.

Il senso della Vita sta proprio nelle piccole cose che troppo spesso gli occhi umani –sempre mossi dalle grandi filosofie/morali utilitaristiche dell’oggi- non vedono. I tralci di uva, fini, rigogliosi, arricciati e protesi ad aggrapparsi ad un qualcosa per poter meglio sostenersi e dar vita all’irrobustimento della pianta, ne sono un chiaro esempio.

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O PUBBLICARE IL TESTO DELLA POESIA E IL COMMENTO SENZA IL PERMESSO DEI RISPETTIVI AUTORI. IL TESTO DELLA POESIA VIENE QUI PUBBLICATO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

Selezione dei racconti per l’antologia “OBSESSION”

Carissimi amici,

Sto organizzando un volume antologico tematico di racconti dal titolo “Obsession”, concessomi dalla direzione della Limina Mentis, che verrà da me curato e pubblicato nel 2013.

Il tema della raccolta di racconti è “Fobie, manie e perversioni”. Il volume sarà dedicato principalmente a scritti nei quali la componente intimistica e psicologica – biografica o inventata- ricopra un interesse particolare ai fini del racconto.

Il volume sarà composto da una determinato numero di racconti che risulteranno selezionati.

Chi fosse interessato a partecipare a questa iniziativa, di seguito si riportano tutte le informazioni:

 1. La partecipazione alla selezione dei materiali per l’antologia di racconti è totalmente gratuita. Agli autori presenti in antologia non verranno date copie omaggio, né verrà obbligato l’acquisto del volume che, comunque, è consigliato.

 2.Verranno accettati solamente testi nella forma del racconto e questi dovranno avere una lunghezza non superiore ai 50.000 caratteri (spazi inclusi).

3.Ogni autore può presentare un solo racconto.

4. I materiali devono essere inviati rigorosamente in formato Word, con il sistema di pagine numerate e dovranno essere dotati di un titolo. Invii di materiali con altri formati diversi da Word non saranno presi in considerazione. Si richiede di non inserire nel file immagini né di adottare caratteri colorati, grassetto o corsivo e si consiglia di utilizzare il carattere Times New Roman, punti 12, interlinea 1,5 paragrafo giustificato.

5. Si richiede di inviare, insieme al testo, un file contenente i dati personali (nome, cognome, indirizzo di residenza, e-mail, telefono, cellulare) e un curriculum bibliografico (facoltativo).

6. L’invio dei materiali deve essere fatto esclusivamente per e-mail a questo indirizzo:  lorenzo.spurio@alice.it riportando nell’oggetto “Obsession” entro e non oltre il 20 Dicembre 2012.

 7.Limina Mentis comunicherà a tutti i partecipanti -selezionati o no- l’esito della selezione e le informazioni circa la pubblicazione/acquisto del volume.

 Si richiede, inoltre, la gentilezza di far circolare questa notizia tra scrittori, esordienti e amanti della scrittura in modo da allargare al massimo il range di collaborazione, fino a includere tutt’Italia (o l’estero di lingua italiana).

 Sperando di fare cosa gradita, invio i miei

Cordiali saluti

 

Lorenzo Spurio

Collaboratore Limina Mentis Editore 

Recensione di “Tacchi a spillo”, a cura di Lorenzo Spurio

Tacchi a spillo

Titolo originale: Tacones lejanos (1991)

Regia di Pedro Almodóvar

Paese: Spagna

RECENSIONE DI LORENZO SPURIO 

Un film di Almodóvar di una ventina di anni fa e poco conosciuto in Italia, Tacones lejanos venne tradotto con Tacchi a spillo. La storia in esso contenuta è particolarmente intricata com’è nella migliore tradizione del regista spagnolo.

Rebecca (Victoria Abril) è una giornalista che lavora nell’edizione serale di un telegiornale del quale suo marito, Manuel (Féodor Atkine)  è il proprietario. La loro relazione matrimoniale è oramai giunta ad un punto morto; a Madrid giunge la madre di Rebecca, Becky del Páramo (Marisa Paredes), famosissima cantante. Becky del Páramo scopre così che il marito di sua figlia non è altro che una sua vecchia fiamma e, proprio con l’arrivo della donna, Manuel decide di chiedere il divorzio a Rebecca.  La sera dell’arrivo della madre Rebecca, Manuel e Becky del Páramo vanno in un locale ad assistere ad uno spettacolo del trasformista Femme Letal, un uomo che sul palco, vestito da donna intona una canzone in onore a Becky del Páramo.

Nei camerini l’insoddisfatta Rebecca si abbandona a un rapporto sessuale con l’uomo. Intanto Manuel è intenzionato a riprendere il vecchio rapporto con Becky del Páramo ma quest’ultima non accetta.

Una sera Manuel viene trovato assassinato nel suo chalet e il giudice Domínguez (Miguel Bosé) si occupa del caso. Tra gli assassini sospetti ci sono Rebecca, la madre e un’altra donna che aveva ricevuto un posto come giornalista dietro un rapporto sessuale con Manuel. Durante un telegiornale Manuela, dopo aver riportato dei fatti del giorno, parla della morte di suo marito riconoscendosi la colpevole dell’assassinio. Il giudice la fa arrestare ma non è convinto della sua colpevolezza e comincia ad indagare anche sulla madre. Veniamo a sapere che il giudice ha una doppia vita e, una volta calati gli abiti formali dell’ispettore di giustizia, non è altro che lo stesso Letal che si traveste di notte.

In carcere Manuela scopre di essere incinta ma dopo alcuni mesi viene concessa la sua liberazione per la mancanza di prove nell’omicidio di suo marito. A questo modo comincia ad essere indagata la madre che, proprio durante una sua performance, ha un attacco di cuore e viene trasferita in ospedale.

Lì, a sole, la madre pur sapendo che è stata veramente la figlia ad uccidere Manuel decide di attribuirsi tutte le colpe. Becky del Páramo si fa raccontare dalla figlia tutti i dettagli dell’assassinio in modo che possa dirli al giudice e possano inchiodarla e si fa portare la pistola in modo che possa lasciare su di essa le sue impronte. Il film si conclude con la Becky del Páramo le cui condizioni si sono aggravate e la figlia, attorno a lei che parla ricordando di quando da piccola non aspettava altro che sentire i suoi tacchi. Quando sentiva i tacchi sapeva del suo arrivo a casa ed era felice. La madre muore e il film si conclude con il pianto di Rebecca.

Amore e morte, tradimenti e pistole si fondono in questo dramma in piena regola che, se pensiamo alla produzione successiva di Almodóvar non possono non richiamare il film Carne trémula dove, benché la storia sia completamente diversa, anche lì le pistole e gli spari fanno da protagonisti. Qui è disponibile la mia recensione a questo altro film.

La famosissima Becky del Páramo, inizialmente presentata come una persona austera ed algida solo attenta al suo lavoro di cantante, nel corso del film viene mostrata nella sua debolezza fino all’ultima scena in cui un infarto la colpisce proprio mentre sta recitando. Alla fine deciderà di salvare sua figlia, alla quale da bambina aveva sempre promesso più tempo e più attenzioni senza poi mai riservargliele. Decide di salvare la figlia in punto di morte pur sapendo della sua colpevolezza nell’omicidio. Non le importa del fatto che quando la notizia si diffonderà il suo nome aureo verrà irrimediabilmente macchiato. Il prendersi la colpa è la normale “pena” che deve pagare per una vita effimera e lontana dalla figlia che invece avrebbe avuto bisogno di lei. Dall’altra parte il povero Manuel non avrà giustizia perché il colpevole, Rebecca, non verrà incarcerato e, la giustizia rappresentata per mezzo del giudice si mostrerà clamorosamente incapace nel gestire il caso e nel distinguere il falso dal vero.

Una storia che di continuo va alla ricerca della verità, l’unica vera e che invece si imbatte in vari intoppi e menzogne che non permettono di giungere ad essa. Almodóvar vuole suggerire, credo, come la mente umana sia capace di raggiungere i suoi scopi, sovvertendo le leggi dell’animo e quelle della giustizia. Potrebbe essere un film dal quale si potrebbe costruire un singolare sequel ma la compattezza e il dramma psicologico dei personaggi verrebbe perso. La morte di Becky del Páramo suggella l’intera storia.

LORENZO SPURIO

23-04-2011

 

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“Pensieri minimi e massime” di Emanuele Marcuccio, recensione a cura di Antonio Colosimo

Questa recensione è stata già pubblicata nella rivista on-line internazionale italo-venezuelana “Suroeste”, agosto-settembre 2012, pp. 64-65

 

Pensieri minimi e massime

di Emanuele Marcuccio

PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47

ISBN: 978-88-6682-240-0

Genere: Saggistica/Aforismi

Prefazione, a cura di Luciano Domenighini – Postfazione, a cura di Lorenzo Spurio

Curatrice d’opera: Gioia Lomasti – Cover: Francesco Arena

Prezzo: 7,60 €

 

Recensione a cura di Antonio Colosimo

 

Aprendo a caso la raccolta di aforismi del nostro Autore, ciò che più colpisce è lo svelamento dell’interiorità di un poeta sensibile proteso a esaminare, con occhio critico ma benevolo, tutte le sfaccettature dell’animo umano. Tutti gli aspetti della vita, perciò, sono trattati con uguale delicatezza in questa breve opera. Ma al centro di tutto Emanuele Marcuccio pone lei, la poesia.
N. 63: “La poesia è anima che si fa parola.”.
Ecco, credo che in questo pensiero si racchiuda l’origine e lo scopo essenziale di questo libro. L’autore cerca di indagare da dove proviene quel lampo della mente e del cuore che poi, espresso a parole si trasforma in versi e s’indirizza ad altre anime e cuori pronti ad accoglierli con identica passione, assimilando e facendo proprie immagini e metafore, con l’unico scopo di godere del prezioso frutto della condivisione tra anime elette.
Il volume è composto di ottantotto pensieri da leggere anche senza un ordine preciso, perché ognuno di essi ha bisogno di un particolare raccoglimento per assimilare fino in fondo il vero pensiero che l’ha generato ed entrare in sintonia col poeta e conoscerlo non solo dal punto di vista artistico ma anche umano.
Appunto per questo, a mio parere, sintetizza molto bene tutta l’opera di Marcuccio il pensiero N.65: “La poesia è voce nel silenzio e visione nel buio.”.

 

a cura di Antonio Colosimo

19 luglio 2012

Chi è l’autore?

EMANUELE MARCUCCIO è nato a Palermo nel 1974.  Scrive poesie dal 1990, nell’agosto del 2000 sono state pubblicate sue poesie, presso l’Editrice Nuovi Autori di Milano, nel volume antologico di poesie e brevi racconti Spiragli ‘47. Partecipa a concorsi letterari di poesia ottenendo buone attestazioni e la segnalazione delle sue opere in varie antologie. Nel marzo 2009 è uscita la sua raccolta di poesie Per una strada, SBC Edizioni, recensita da vari studiosi e critici tra cui Luciano Domenighini, Alessandro D’Angelo, Lorenzo Spurio, Nazario Pardini e Marzia Carocci. Una sua poesia edita è stata pubblicata nell’agenda 2010 Le pagine del poeta. Mario Luzi, da Editrice Pagine di Roma. Nel 2010 ha accettato la proposta di collaborare con una casa editrice per la scoperta di nuovi talenti poetici, tra giugno 2010 e luglio 2011 ha presentato tre autori, riuscendo così a far pubblicare tre libri di poesie e, dal 2011 è consigliere onorario del sito “poesiaevita.com”, che promuove anche una sezione editoriale ospitante le collane di opere da lui curate. Dal 1990 sta scrivendo un dramma epico ambientato al tempo della colonizzazione dell’Islanda, di argomento storico-fantastico. Ha inoltre scritto vari aforismi, ottantotto dei quali sono stati raccolti nella silloge Pensieri minimi e massime, Photocity Edizioni, edita nel giugno 2012. Ha curato prefazioni a sillogi poetiche e varie interviste ad autori esordienti ed emergenti su blog letterari. È collaboratore della rivista on-line di letteratura Euterpe. È stato membro di giuria nella prima edizione del concorso nazionale di poesia “L’arte in versi” (2012). È presente su blog, siti e forum letterari, tra cui “Literary”, con una scheda bio-bibliografica nell’Atlante letterario italiano. Ha in programma la pubblicazione di una seconda silloge di poesie.

 

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA QUI SU QUESTO SPAZIO DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE DEL LIBRO E PER GENTILE CONCESSIONE DI APHORISM.IT

 

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