“Pensieri in movimento” di Rosa Maria Chiarello, recensione di Gabriella Maggio

Recensione di Gabriella Maggio

Leggendo Pensieri in movimento, raccolta di poesie di Rosa Maria Chiarello recentemente pubblicata per il Convivio, ho prestato attenzione al titolo ed in particolare alla parola movimento, che mi ha suggerito due versi di Dante (Purgatorio, C. III, vv. 13-14): la mente mia, che prima era ristretta, / lo ‘ntento rallargò, sì come vaga. Vago, nel lessico dantesco,esprime un desiderio intenso e nello stesso tempo indeterminato, ma anche l’idea di un movimento dettato da un impulso interiore. È questo movimento interiore che si fa parola poetica, espressione di emozioni e sentimenti nel costante dialogo di Rosa Maria Chiarello con se stessa e con la natura.

Tra gli elementi naturali un posto centrale occupa il mare, sin dall’immagine di copertina costituita dal dipinto di Antonino Scarlata Di terra e di mare. È mare di sogno e di sirene, ma anche di vita, di dolore e di morte, quello immaginato dalla poetessa nei testi posti in maniera emblematica all’inizio della silloge, Di terra e di mare, e alla fine, Mediterraneo.

La poesia di Pensieri in movimento è fatta d’immagini che uniscono l’aleatorio con il tutto:  scendere le scale del firmamento;  l’amore che colora di rosso le mie notti; orme di sofferenza; corpi uniti nell’abbraccio / offrono anime.  Immagine è immaginazione, parola che si collega  al potere creatore del cuore secondo l’etimologia della parola  che  ha le sue origini nel temine sufi “himma”. Immaginazione rimanda, quindi, all’autenticità e alla ricchezza del sentimento che genera la poesia.

I temi dellamemoria, soprattutto della madre amatissima, del sentimento del tempo che scorre inesorabile, degli affetti familiari, dell’amore, dei sofferenti segnano la continuità con le raccolte poetiche precedenti. Cambia il modo di dirli poeticamente.

Lo scavo interiore appare più profondo e maturo e Pensieri in movimento sembra costituire un capitolo, il più recente, di un’opera unitaria in fieri. Più urgente rispetto alle altre raccolte poetiche si fa il desiderio di pace e innocenza di fronte alla violenza e alla falsità del mondo.

In Spogliati la metafora della pelle nuda si protende verso l’innocenza del primo vagito che illumina il buio delle menti. In rilevo anche la riflessione sulla poesia: Non chiedetemi da dove/ vengono le parole/ non ne ho la coscienza/…e il definirsi poeta errante che va verso l’infinito e non s’arrende/ ancora canterà d’amore e carità, l’affermazione della necessità della poesia: l’unico amico/è una penna e un foglio perché la poesia è canto di liberazione: confessione e analisi dell’io.

“Chi non comprende la voce della poesia, è un barbaro”, aveva detto Johann Wolfgang von Goethe. A queste parole fa eco la poesia Essere: Fino a quando l’ultimo uomo/ …si commuoverà al suono  di una poesia…si avrà ancora la certezza/ che l’umanità  non si è dissolta / al suono del potere e del vile denaro….

Per quanto Rosa Maria Chiarello appaia consapevole del male e del dolore della vita, non manca mai di trovare una speranza, nel dialogo con luna e stelle, rose e cielo, tradizionali contraltari della poesia lirica, nella cui tradizione s’inserisce con voce autonoma e una luce che illumina le tenebre attraverso la fede.

La versificazione è libera, il linguaggio piano e colloquiale.  Non si presta però a una lettura superficiale, ma richiede attenzione per coglierne le risonanze emotive.

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Lucia Bonanni: lettura critica a “Pensieri Minimi e Massime”, raccolta di aforismi del palermitano E. Marcuccio, già autore di “Per una strada” e “Anima di Poesia”

“Pensieri Minimi e Massime” di Emanuele Marcuccio

Saggio di Lucia Bonanni

 

L’anima del mondo ha ali

ad abbracciare il tutto.[2]

(Emanuele Marcuccio)

 

«L’aforisma è la sintetica risposta della prosa alla poesia». Ecco cos’è per me un aforisma, la prosa non è nelle mie corde di scrittura, preferisco leggerla, e l’anima dell’aforisma è la sintesi, così come lo è per la poesia ma in modi e caratteristiche differenti.[3]

 

Così afferma Emanuele Marcuccio, citando un aforisma scritto dopo la stesura di Pensieri Minimi e Massime, una silloge di aforismi e pensieri vari, scritti tra il 1991 e il 2012, a cui segue un’altra raccolta ancora inedita. Degli ottantotto aforismi già pubblicati, ben quarantotto hanno per tema la poesia ed alcuni si possono leggere anche nell’antologia del secondo premio internazionale per l’aforisma “Torino in Sintesi” del 2010. Nel 2013, una selezione di dieci aforismi dalla silloge edita, sono stati pubblicati nell’antologia della settima edizione del “Premio Nazionale di Filosofia”[4] dell’Associazione Nazionale Pratiche Filosofiche, in quanto l’autore è risultato finalista.

L’aforisma, dal latino aphorismum e dal greco antico φορισμός (aphorismòs), è una definizione, una massima, una sentenza filosofica o morale e può anche essere indicato come un ricordo, un pensiero, un assioma, un’antonomasia, una distinzione e un avvenimento. Alcuni autori del XX secolo ne diedero definizioni fantasiose come ad esempio: “frantumi”, “fosforescenze”, “barche capovolte”, “fuochi fatui”, “errori”, “schegge”, “minime”, “scorciatoie”, facendo coincidere il carattere metaforico dei pensieri con le caratteristiche strutturali degli enunciati e cioè i temi, i modelli e lo stile. Le tematiche più comuni degli aforismi sono: i vizi e le virtù degli uomini, l’etica, l’arte, il tempo, la filosofia; i modelli possono essere il dialogo, il racconto, la citazione, il saggio e l’uomo mentre lo stile si basa per lo più sulla brevità, sul poco e buono e su quel solo fiore che è da preferire alla moltitudine. La nozione di “aforisma cancrizzabile” appartiene ad Umberto Eco (1932 – 2016) che la fa derivare dal cancer latino, cioè “granchio”, ovvero che un certo tipo di aforisma può essere accettato sia nella sua forma usuale che in quella reversibile e rovesciata, come ad esempio possono essere il soggetto e il complemento; tale ottica, però, non prevede forme di conoscenza, ma soltanto espressioni sagaci.

D’altra parte, come scrive il critico letterario Luciano Domenighini, negli aforismi di Marcuccio “[i]l tono è austero, lontano dall’ironia, dal gusto per il paradosso, dal compiacimento per il calembour. Gli enunciati sono sentenziosi e lapidari, eppure spesso pervasi da una mitezza d’animo, da una fede, da un candore, che in qualche modo ne temperano il taglio perentorio e apodittico”[5]. I temi trattati dal Nostro sono: il dolore, i sentimenti, l’amore, gli aspetti sociologici, il tempo, la felicità, le riflessioni filosofiche, la letteratura, l’arte in genere, la musica e la poesia che è il tema portante dell’intera raccolta; lo stile varia dalla brevità dell’enunciato alla forma dialogica, dalla citazione concisa alla struttura minimale del saggio oppure possono essere presenti “frantumi, schegge e scorciatoie” che l’autore adotta per fermare i pensieri come usa fare per la poesia la cui ispirazione è talmente inattesa e fuggitiva che necessita di essere fermata, appuntata, anche su uno scontrino della spesa ovvero su un qualsiasi foglio di carta oppure, sul biglietto del tram e la carta delle cartucce, come invece erano soliti fare rispettivamente Montale e Ungaretti.

«[L]’intento della poesia è sempre quello di celebrare, costruendo un’architettura di parole nei più vari registri, dai più intimistici e introspettivi ai più altisonanti»[6].

Quindi la poesia è per Marcuccio un canto dell’anima creato con le parole, una “architettura perfetta” che esprime il paesaggio interiore di quanti fanno dell’arte poetica non un freddo artificio, bensì una rappresentazione artistica che eleva, purifica e libera lo spirito dalle nebulose del vivere. Lo sguardo attento del Nostro si posa all’interno del sé e fuori dal sé, portando l’autore a guardare al di là della folla indistinta dei pensieri e “[…] lungo [i] vicoli antichi[7] dove ristagnano i mali del mondo. La cognizione etica, le continue riflessioni morali e la connaturata capacità di trasporsi nell’altro tengono Marcuccio, che “[…] non è solo un cultore di sogni[8], ben ancorato alla realtà, un filtro atto a vagliare emozioni e sentimenti per dire che “[i]l dolore è come il mare, nel suo indistinto ondeggiare e rifluire incessante[9].

L’attitudine empatica, il senso morale, il sentimento di misericordia e il rispetto per il prossimo nella sintesi dimostrativa di ciascun aforisma, sono rivolti a chi è vittima delle calamità naturali, delle azioni belliche come pure delle varie forme di violenza. Ecco allora che la vista dei “Corpi dispersi,/ corpi ritrovati/ vivi e feriti,/ che si perdono nella massa informe[10], le crude notizie della guerra che tutto distrugge e “Muta/ una nobile famiglia/ e rimane, muta/ divisa/ al presente…[11], e la consapevolezza che, allorché “[…] annotta la notte/ e profonda si inerpica/ su per le ore// [e in] quella nona vigilia/ che si perde[12] possono accadere tragedie come quelle avvenute negli ultimi tempi, provoca in Marcuccio profonda commozione. Per questo egli cerca di sublimare il dolore provocato da tali vicende, attraverso l’introspezione e la trasfigurazione degli eventi con la scrittura poetica, un’ispirazione che spesso si rivela “[…] breve, fuggitiva e svelta[13] per cui il compito che si dà come poeta, è quello di “[…] afferrarla e trattenerla stretta al proprio cuore[14].

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Il Nostro non è mai persona giudicante, mai si lascia condizionare dalle mode, dal consumismo oppure dal marketing. Nel pieno rispetto dell’unicità della persona sa bene che ciascun essere umano è “un mistero a se stesso[15] e, quando le avversità arroventano l’animo e impediscono l’andare e i pochi “[…] attimi di felicità si perdono nella nebbia del tempo[16], egli si rivolge alla “[…] poesia [che] è voce nel silenzio e visione nel buio[17] palesando così “le fondamenta cattolico-religiose del [suo] pensiero […] e il suo amore verso il radicamento regionale, la terra natia, esplicitato nell’aforisma dedicato ai dialetti”[18].

La linguistica indica per “dialetto” una varietà di una lingua dominante o “lingua tetto” come si definisce in sociolinguistica. Il dialetto è una lingua autonoma con caratteristiche territoriali, non subordinato alla lingua ufficiale, anche se possono verificarsi alcune somiglianze e, secondo alcuni linguisti, risulta essere il mezzo più antico di comunicazione da cui si è poi sviluppata la lingua madre. Seguendo tale logica formale, le lingue neolatine non sarebbero altro se non dialetti della lingua latina come il greco moderno dal greco antico, come le lingue creole sono derivazioni dall’inglese. Il criterio tassonomico usato per distinguere i vari dialetti di una lingua, è anche quello della suddivisione in rami secondari, maggiormente presenti nelle lingue neolatine come ad esempio l’italiano e lo spagnolo che presentano caratteristiche scambievoli che invece non possiede la lingua francese dove la trama evolutiva è stata più rapida. Come sinonimo della parola “dialetto”, è spesso usato il termine “lingua vernacolare”, una parlata circoscritta ad una realtà geografica e maggiormente usata dal popolo. Le minoranze linguistiche come il sardo, il friulano, il catalano, non sono invece definiti come dialetti ma come “varianti”. Sono vere e proprie varianti dell’italiano le parlate toscane e il romanesco oltre alle forme delle parlate regionali che nel lessico, nella sintassi, nell’intonazione, negli accenti e nel ritmo si conformano ai dialetti locali e alle lingue minoritarie.

Nel sistema linguistico dialettale si denota e si connota l’identità di un popolo che per la comunicazione interpersonale usa la medesima lingua. Marcuccio sa valorizzare in maniera assai pertinente sia il proprio dialetto sia il dialetto di altre regioni, logica esplicitata nell’aforisma che riguarda i dialetti: «Non rinneghiamo mai il nostro dialetto. Chi rinnega il proprio dialetto, ha rinnegato la terra che lo ha generato, ha rinnegato le proprie radici culturali»[19].

Nella silloge del Nostro trovano spazio anche aforismi riguardanti le tematiche sociali, come la vigorosa protesta contro le forme tentacolari della burocrazia e gli accadimenti allarmanti della quotidianità: «Cupo è il nostro tempo, cupa è la scena di questo mondo e il nostro sentire in una tempesta si inabissa»[20].

Amara è la constatazione di Marcuccio con la sensata presa di coscienza di quanto accade nel tempo e nella dimensione etico-sociale che talvolta risucchiano l’individuo tra le spire di una convulsa voragine. In un percorso à rebours, cioè a ritroso, all’interno dell’aforisma citato, si ritrova il germe corrotto della guerra civile spagnola che nell’agosto del ‘36 fu causa del crudo assassinio del poeta Federico García Lorca (1898 – 1936) al quale il Nostro dedica un ciclo di quattro omaggi poetici. “A strapiombo sul mare/ si staglia l’ombra/ d’un’alga rinsecchita,/ l’ombra d’un orizzonte/ chimerico[21]. Le immagini assai sintetiche ed essenziali evocano la realtà desolata della guerra dove tutto assume sembianze di precarietà e l’esistenza è relegata sul bordo spigoloso di uno strapiombo. In questo caso la contaminazione di senso può riguardare stati del sé psichico che cerca di ritrovare identità e quiete tra le trame di stati d’animo rinsecchiti, poggiati sul limitare dell’inquietudine.

[Tra] ammassi/ informi/ tesi all’invero limite[22] di un mondo totalmente avverso, l’uomo è soltanto un robot che cerca di sottrarsi alla realtà dei fatti e ormai privo anche degli ultimi pensieri smette anche di lottare perché il suo “[…] sogno elettrico/ è morto per sempre[23].

L’estetismo del Nostro, che è simile ad un desiderio di “Eternità […] dove passato, presente e futuro si fondono in un eterno presente[24], non si mostra con un atteggiamento riconducibile a vuoti formalismi oppure ad un modo di essere che sente la vita come culto esclusivo del bello. Il suo pensiero si volge alla creazione artistica e al gusto del bello, però non si perde in preziosismi di maniera e neppure manifesta la tendenza alle suggestioni formali; la sua teoria estetica privilegia virtù e valori morali, giungendo ai principi di verità con forme di realismo che contemplano la vita, la natura e la bellezza. Nel proprio percorso il Nostro non rinuncia alla fantasia per dare maggior spazio al tangibile, ma la modella in un continuum di ordine ed equilibrio, propri dello spirito apollineo. Secondo il suo pensiero, come ben enuncia nell’aforisma diciotto della silloge a pagina dieci, la cultura non è semplice erudizione, bensì un’entità viva e vibrante, generata dalla riflessione e da buoni lettori. La parola “cultura” contiene tutto ciò che si può coltivare e raccogliere e i buoni libri sono i suoi frutti più dolci e nutrienti. Infatti, “Nelle arti, come nella vita, se c’è spontaneità, c’è anche personalità[25] e negli scritti di Marcuccio la spontaneità è frutto dell’ispirazione mentre la sua personalità umana e artistica deriva dall’educazione ricevuta, un dettato etico che sempre mira alla speranza, “[…] alla gioia, alla concordia e alla pace” così come si evince dall’aforisma numero sette a pagina otto, sia da un’ampia conoscenza che non è “sterile costruzione”, ma un sapere interiorizzato e lungimirante che riesce a dare “[…] voce ai sogni dell’umanità, ai suoi dolori, alle sue speranze [per] immergersi in un mondo lontano ma allo stesso tempo vicino ai nostri sogni, alle nostre speranze, ai nostri dolori[26].

Oltre che della poesia, Marcuccio si rivela attento cultore della musica, strumento culturale in grado di offrire la possibilità di intuire e comprendere la bellezza infinita dell’universo. La musica è una forma d’arte universale che muove le vibrazioni dell’anima e “nella sua grandezza e profondità” sa evocare sentimenti e ricordi. Neppure l’avanzata sordità poté impedire a Beethoven, “artista eroico” e geniale, di poter continuare a sentirla nelle profondità della propria anima. “Architettura perfetta/ note che si appaiano/ l’une per l’altre/ armonia infinita/ che nel basso si dilata/ e lontano/ la sua musica profonde[27]. Nei versi dedicati a Johann Sebastian Bach (1685 – 1750), un ruscello dalle infinite armonie, in modo conciso ed assai esplicativo Marcuccio evidenzia quelle che sono le caratteristiche dello stile musicale del compositore e musicista tedesco, uno dei più grandi geni della musica, che si distinse tra i contemporanei per la complessità armonica, l’invenzione del contrappunto e la sintesi tra lo stile tedesco e quello italiano. Per il Nostro la musica è un rincorrersi di note in “tersa armonia azzurra/ [e un] cantico in lontananza// [che] prorompono con impeto/ nella levità e nel sublime[28].

Se per Marcuccio “La poesia è anima che si fa parola”, come afferma nell’aforisma sessantatré a pagina diciannove, l’amore è l’unica arma che ciascun individuo ha a disposizione per combattere il dolore e la fragilità del cuore, incapace di perdono. Nell’intento di giustificare i propri fallimenti, l’uomo accusa sempre qualcun altro e nel suo “agire insensato” non considera che l’amore, come purtroppo spesso accade, non è soltanto fisicità, ma dialogo e “reciproco dono”: «Dolcezza, amore mio,/ hai avuto di me pietà!/ […]/ Come ho potuto essere/ così cieco,/ così sordo all’amore/ […]/ Come il vento soffia impetuoso/ e pieno d’ardore il sorriso d’aprile/ desta il tuo cuore all’amore,/ così, io voglio proclamare/ il mio nome a te:/ sorriso, incanto dolce e soave!/ […]/ Oh, amore mio, che gioia!/ Chi di me è più felice?»[29].

In riva al fiume tra il folto della selva, Sigurdh, il guerriero normanno, e Halldóra, la giovane indigena islandese, figlia del capovillaggio Ragnar, si promettono amore eterno, un sentimento che dopo ostacoli e preoccupazioni sarà benedetto da un prodigio inatteso di “[…] scie di nuvole/ luminose [che]/ scendono/ come sangue/ sulla terra…[30]

La speranza, la gioia, la concordia, la generosità e la pace sono sentimenti veraci che il Nostro coltiva con sincera spontaneità e in essi scopre e ravviva quel senso di empatia con l’altro dal sé e “[s]pesso il poeta raccoglie sogni che altri hanno disperso[31] e li fa rivivere in momenti diversi, ma non come fa un “ipocrita” (nell’accezione etimologica di “attore”) che si toglie la maschera e smette di recitare, come enuncia nell’aforisma sedici[32] di pagina nove: «Gli amici si mostrano tali nel momento del bisogno, gli ipocriti, invece, si tolgono la maschera e smettono di recitare».

Nella parte più recondita e profonda della propria anima, il Nostro trae veri tesori di poesia e nel movimento altalenante delle emozioni si comporta al pari di “[u]n fotografo [che] coglie un attimo di realtà imprimendolo nella pellicola[33].

Dall’idea di affinità elettiva e condivisione artistica, Marcuccio fa scaturire e promuove “Dipthycha”, un fortunato ed innovativo progetto culturale, iniziato con dittici “a due voci”[34] e continuato anche con trittici “a tre voci”; corrispondenze empatiche dove gli autori sono accomunati da “affratellamento, […] poetica consanguineità [e] l’impiego del metodo induttivo (dal particolare al generale) permette al Nostro di analizzare con onestà intellettuale i testi, nella loro individualità, e al contempo di introiettarli nello sterminato prato della sua mente poetica intuendo una scintilla, un richiamo, accogliendo il potere illuminante di un’epifania, assodando il pensiero di una effettiva carica empatica che si instaura tra testi diversi”[35]. Il progetto “Dipthycha”, avviato nel 2013, vede la pubblicazione di ben tre volumi di antologie poetiche e si appresta alla pubblicazione del quarto mentre è già avviata la raccolta di materiale per un quinto volume, sempre tenendo conto delle varie relazioni emozionali in una comunicazione empatica di significanti e poetiche affinità elettive. “Odo voci/ con volti/ senza volti/ che cercano/ esplorano[36], “Questa corrispondenza/ d’amorosi sensi,/ questa corrispondenza/ d’umano sentire,/ senza reale presenza,/ in questa telepresenza”[37]. Ed è proprio tale corrispondenza emozionale, il fulcro di ciascun dittico dove non esiste nessuna pratica imitativa di scrittura in quanto ciascun autore resta aderente al proprio modo di essere e al proprio modo di intendere e di fare poesia. Però, come scrive Marcuccio in nota alla Introduzione a Dipthycha 3, “[i]l tema comune, da solo, non fa un dittico a due voci, ci vuole altro, sarebbe troppo facile[38]; occorre, invece che si instauri una «“dittica” corrispondenza/comunicazione, anche se in toni diversi, anche se in tempi diversi, dando così vita a un dittico a due voci»[39].

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Emanuele Marcuccio, autore della raccolta di aforismi “Pensieri Minimi e Massime” oggetto di studio di questa lettura critica a cura di Lucia Bonanni

Forte di variegate competenze culturali e sensibilità umana e artistica, il Nostro si attiva affinché la voce della sua poesia non sia mai isolata e dipendente da schemi precostituiti, ma cerchi sempre di emozionare il lettore in modo che possa richiamare “l’obliato proprio sé fanciullo[40] e sia in grado di strutturare uno spazio comunicativo con l’autore, un momento che sia ascolto e non silenziosa lettura. Nei propri versi Marcuccio ricrea atmosfere classiche con archetipi di donne oltraggiate e uomini che le proteggono dagli abusi, definendo negli aforismi l’istruzione e la cultura come mezzi per sfuggire ad ogni forma di violenza. Nelle sue poesie sono presenti personaggi della classicità e dei vari ambiti culturali, riferimenti ai corpi celesti e ai fenomeni naturali, alle fasi del giorno, agli ambienti e agli animali e non ultimi gli affetti più cari. L’autore non inizia a scrivere, se non a seguito di un’ispirazione che lo raggiunge improvvisa, altrimenti preferisce lasciare il foglio bianco e attendere il momento magico che vede giungere la “capricciosa padrona”, che gli fornirà quel “primo fuoco d’ispirazione” su cui andrà a creare.

In un recente aforisma, Marcuccio rivolge la sua attenzione al rapporto controverso tra l’io lettore e l’io autore, un pensiero denso di significati: «Un autore non è mai completamente soddisfatto di ciò che ha scritto. Chissà, forse il lettore vorrebbe prendere il sopravvento sull’autore, ma alla fine quest’ultimo gli fa capire chi governa la “baracca”. Se ogni volta fossimo completamente soddisfatti, smetteremmo di scrivere» (aforisma inedito sessantasei). “Un poeta soddisfatto non soddisfa”, dichiara Mário Quintana (1906 – 1994), abile poeta di lingua spagnola; in qualche modo è necessaria questa insoddisfazione che sfocia nel desiderio di migliorarsi e fare sempre meglio, di contro ci sarebbe soltanto boria e presunzione.

Secondo Marcuccio la cultura è un divenire continuo perché essa è un’entità viva e i suoi frutti più succosi, oltre ai buoni libri, sono l’autonomia di pensiero, la libertà nel saper esprimere le proprie opinioni, lasciando da parte i vari casi di condizionamento ed essere parte attiva del tessuto sociale, tutto nel rispetto di se stessi e degli altri. Quindi, anche a supporto delle altre arti, è “[l]a letteratura [che] dà voce ai sogni dell’umanità, ai suoi dolori, alle sue speranze e, leggere un classico significa immergersi in un mondo lontano ma allo stesso tempo vicino ai nostri sogni, alle nostre speranze, ai nostri dolori[41].

Con la scrittura del dramma epico in versi liberi, Ingólf Arnarson, Marcuccio esprime un ideale allegorico di libertà con rimandi all’argomento storico-fantastico e all’ambiente fascinoso dell’antica Thule, l’attuale terra d’Islanda. Il viaggio compiuto dal “gran drakàr” verso la “baia del fumo”, la moderna Reykjavík, può essere interpretato come un viaggio all’interno di se stessi in un percorso di redenzione, attuato con l’esplorazione del proprio essere in una dimensione parallela alla realtà e completata alla luce della fede. Infatti, così scrive Marcuccio nei suoi aforismi: «Ognuno, per sua natura, è viandante, alla continua ricerca del proprio sé, alla continua ricerca della felicità [mentre] il cuore […] è sede degli affetti [e] da questo profondo abisso, i poeti traggono tesori e, a questo dolce vento affidano ogni loro pena»[42].

È dal proprio cuore che il Nostro trae la scrittura dei 2380 versi che compongono il dramma epico, inteso quale sintesi di un messaggio di speranza che l’autore ha voluto lanciare per “[…] commuovere cuori di pietra in un’alba d’amore, di pace e libertà[43].

In questo nostro tempo distorto e travagliato, saper riconoscere le proprie mancanze, le proprie debolezze e i propri errori e riuscire a superare disagi e incomprensioni, conduce alla riflessione individuale che porta al superamento del dolore e allontana dalla disperazione. Tale atteggiamento definisce un modo di comunicare tra individui che si denota quale espressione di umana solidarietà e, pur restando sempre se stessi, permette di procedere fianco a fianco e condividere i problemi e le insoddisfazioni derivati dalla non linearità delle Istituzioni in quanto “Lo stato non fa altro che importunarci con la sua fastidiosa e puntigliosa burocrazia che, non fa altro che pungerci e importunarci come uno sciame d’insetti[44]. Pertanto, come suggerisce Marcuccio, sarebbe auspicabile ed opportuno che gli artisti, e con essi anche gli insegnanti, riuscissero a costruire una corrispondenza relazionale di “stima reciproca” ed essere ribelli come lo è il fuoco nel contrastare i canoni velleitari dei burocrati, tracciando ben definiti confini culturali entro i quali muoversi in piena autonomia – “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” recita l’articolo 33 della Costituzione italiana – distinguendosi dalla massa che è solo apparenza, facendo dissolvere anche “le nebbie del pregiudizio” legati all’istruzione, evitando di essere risucchiati dalla “cupa […] scena di questo mondo”. “La libertà, per sua definizione, si oppone ad ogni azione o sentimento di intolleranza o prevaricazione sull’altro, come quello del razzismo, della xenofobia, dell’omofobia, dell’offesa contro ogni fede, perché non si giunga al suo contrario: la schiavitù” enuncia Marcuccio nell’aforisma inedito sessantaquattro.

I concetti espressi dal Nostro si allacciano ad altri enunciati aforistici in una circolarità logica e formale per cui “la raccolta in questione rifugge nella maggior parte dei casi un sentimento cupo o crepuscolare per manifestarsi, invece, come un vigoroso proclama che celebra il potere della parola”[45]. Una parola che può diventare di seta, se il poeta nella sua visione sa cogliere l’attimo fuggente dell’ispirazione e promuovere immagini di levità e suggestione armonica: «Di seta/ la parola// di poesia/ l’anima mia// investe il verso/ e para/ i colpi// verga/ veloce il rigo/ leggero// pieno»[46]. Un componimento, questo, in cui l’essenza delle immagini è la parola nel suo fluire simbolico, mentre l’elegante musicalità dei versi, lo stile edotto e originale, sono elementi che danno voce all’ampia gamma di stati d’animo e riflessioni profonde come più volte accade nelle “scorciatoie” ben orchestrate dei suoi aforismi.

LUCIA BONANNI

San Piero a Sieve (FI), 10 agosto 2018

 

NOTE

[1] Emanuele Marcuccio, Pensieri Minime e Massime, Prefazione di Luciano Domenighini, Postfazione di Lorenzo Spurio, con una nota di “Introduzione alla Poesia” dell’Autore, Photocity, 2012, pp. 47.

[2] Op. cit., aforisma n. 32, p. 12. Già edito, in AA.VV., Antologia del premio internazionale per l’aforisma “Torino in Sintesi”. II edizione – 2010, Joker, 2010, p. 85.

[3] Emanuele Marcuccio, in “Intervista ad Emanuele Marcuccio”, in Lorenzo Spurio, La parola di seta. Interviste ai poeti d’oggi, PoetiKanten, 2015, p. 254.

[4] AA.VV., Le figure del pensiero. Aforismi, haiku, paradossi, epitaffi, Sillabe di Sale, 2013.

[5] Luciano Domenighini, Prefazione a Emanuele Marcuccio, Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, p. 1.

[6] Emanuele Marcuccio, Introduzione alla poesia, in Op. cit., p. 31.

[7] Id., da “Emanuele Marcuccio (Acrostico)”, in Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, 2014, p. 22.

[8] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, da aforisma n. 40, p. 14.

[9] Ivi, aforisma n. 1, p. 7.

[10] Id., da “Per i terremotati d’Abruzzo”, in Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, 2014, p. 18.

[11] Ivi, da “Muro, che ti discosti…”, p. 36. Già edita, in AA.VV., L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990-2012), a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo, Kairòs, 2013, p. 585.

[12] Emanuele Marcuccio, da “A notte”, in AA.VV., Nelle ferite del tempo. Poesia e Racconti per l’Italia, a cura di Gioia Lomasti e Emanuele Marcuccio, Photocity, 2016, p. 74.

[13] Id., Pensieri Minimi e Massime, da aforisma n. 27, p. 11.

[14] Ibidem.

[15] Ivi, da aforisma n. 23, p. 11.

[16] Ivi, da aforisma n. 26, p. 11.

[17] Ivi, da aforisma n. 65, p. 19. Ri-edito, in AA.VV., Le figure del pensiero, Sillabe di Sale, 2013, p. 26.

[18] Lorenzo Spurio, Postfazione a Emanuele Marcuccio, Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, p. 27.

[19] Op. cit., aforisma n. 20, p. 10.

[20] Ivi, aforisma n. 42, p. 15.

[21] Id., “Distanza: Quarto omaggio a García Lorca”, in Visione, in AA.VV., I grilli del Parnaso, PoetiKanten, 2016, p. 82. Già edita, in Id., Per una strada, SBC, 2009, p. 91.

[22] Id., da “Carpe”, in Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, 2014, p. 42.

[23] Id., da “Ultimi pensieri di un robot”, in Per una strada, SBC, p. 71.

[24] Id., Lo stupore e la meraviglia. Aforismi e pensieri (silloge inedita), da aforisma n. 23, già pubblicato sul sito dell’autore al link “www.emanuele-marcuccio.com/antologia-aforismi”.

[25] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, aforisma n. 14, p. 9.

[26] Ivi, da aforisma n. 4, p. 7.

[27] Id., “Bach”, in Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, 2014, p. 32.

[28] Id., da “Musica lontana”, in Per una strada, SBC, 2009, p. 83.

[29] Id., Ingólf Arnarson. Dramma epico in versi liberi. Un Prologo e cinque atti, Le Mezzelane, 2017, atto II, scena II, vv. 171-172, 183-185, p. 78; vv. 197-202, p. 79; vv. 227-228, p. 80.

[30] Ivi, atto V, scena unica, vv 104-108, p. 159.

[31] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, da aforisma n. 31, p. 12.

[32] Come scrive l’autore in nota all’aforisma, “il termine ipocrita è […] usato in senso etimologico, dal greco ποκριτής (iupokrithés) ossia attore”.

[33] Op. cit., da aforisma n. 88, p. 24.

[34] Con felice accezione, per distinguerlo dal dittico poetico classico, che invece è scritto da un solo autore, così ha definito il dittico a due voci il nostro autore: “Una composizione di due poesie di due diversi autori, scritte indipendentemente, anche in tempi diversi, e accomunate dal medesimo tema in una sorta di corrispondenza empatica”.

[35] Lorenzo Spurio, Postfazione. Risonanze empatiche, lʼesperienza del “dittico poetico” di Emanuele Marcuccio a AA.VV., Dipthycha 3. Affinità elettive in poesia, su quel foglio di vetro impazzito…, a cura di Emanuele Marcuccio, PoetiKanten, 2016, p. 143.

[36] Silvia Calzolari, da “Vita parallela”, in Op. cit., p. 16.

[37] Emanuele Marcuccio, da “Telepresenza”, in Op. cit., p. 18. Già edita, in Id., Anima di Poesia, TraccePerLaMeta, 2014, p. 26.

[38] Id., Introduzione a AA.VV., Dipthycha 3, nota n. 2, p. 7.

[39] Op. cit., p. 7.

[40] Id., da “Sé e gli altri”, in Per una strada, SBC, 2009, p. 68.

[41] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, aforisma n. 4, p. 7.

[42] Op. cit., da aforisma n. 77, p. 22; da n. 83, p. 23.

[43] Id., Introduzione a Ingólf Arnarson. Dramma epico in versi liberi, Le Mezzelane, 2017, p. 22.

[44] Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, 2012, aforisma n. 37, p. 13.

[45] Lorenzo Spurio, Postfazione a Op. cit., p. 28.

[46] Emanuele Marcuccio, “Di seta”, in AA.VV., Soglie, Limina Mentis, 2016, p. 124. Ri-edita, in AA.VV., Dipthycha 3, PoetiKanten, 2016, p. 54.

 

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“Il mare”, poesia del palermitano E. Marcuccio

IL MARE[1]

DI EMANUELE MARCUCCIO 

per_Il Mare, foto di Edoardo Pisani.jpg

Come i nostri pensieri è il mare,

scroscianti acque,

ondeggianti flutti,

onde che vanno senza ritorno

e i nostri pensieri così,

vanno, vanno…

in questo ondeggiar,

in questo scolorar

d’acqua salata…

Così, in un mare

d’immenso

il cor s’inabissa

e dolce mi viene all’anima

una suprema quiete.

[1] Scritta il 27 gennaio 1991, poi edita in Emanuele Marcuccio, Per una strada, SBC, 2009, viene qui presentata in una seconda versione da me rivista il 7 settembre 2016. [N.d.A.]

“Pensieri di una mente pigra” di Maria Francesca Consiglio

Pensieri di una mente pigra: Diario di bordo di un’anima inquieta 

di Maria  Francesca Consiglio

Editore:CreateSpace Independent Publishing Platform (2014)

ISBN:978-1505401110

downloadSinossi: “Sigaretta in bocca, un bel film alla TV, il giorno che si consuma velocemente per sfornarne un altro uguale al precedente; solito copione prematuramente ingiallito. Cosa succede però quando ogni emozione repressa esplode senza preavviso cambiando la sceneggiatura? Standing ovation d’istinti, desideri e passioni tamburellata su cuore e mente. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato! Rabbia, abbandono, amore, paura; questi i quattro ingredienti principali che, mescolati in dosi casuali, danno vita a Pensieri di una Mente Pigra. Un vero diario di bordo, senza segreti o restrizioni, nel quale l’autrice affronta, attraverso pensieri ed immagini, diverse tematiche; panico, disagio sociale, crisi d’abbandono, sfumature di alcuni disturbi di personalità, rifiuto della crescita, l’amore in ogni sua fase.”

L’autrice: Maria Francesca Consiglio

Ribelle ed insofferente per natura si riavvicina alla scrittura nel 2012 usandola come terapia d’urto contro il silenzio e l’ovvietà di una dimensione troppo vacua. Alcune delle sue poesie ( e aforismi) vengono inserite al’interno di raccolte ed antologie. “Pensieri di una mente pigra” è il suo primo libro; oltre a tutti i contenuti ne cura impaginazione, fotografia e grafica.

“L’impronta del pensiero” di Vincenzo Lubrano

L’impronta del pensiero

di Vincenzo Lubrano

Esserre Press, 2013

 

“L’impronta del pensiero” è il nuovo libro di Vincenzo Lubrano edito da Esserre Press.

copertina impronta del pensieroUna raccolta di pensieri, poesie e riflessioni di grande intensità. Scritto in ogni attimo di pace ritrovato nelle poche ore di riposo da lavoro dell’autore, il libro vuole essere una rivelazione autentica di emozioni e sentimenti, un consapevole viaggio interiore nei tanti perché della vita. Osservare il mondo, affrontare limiti, gioie, paure è un percorso di crescita indispensabile per un giovane uomo che trova nella scrittura una vera e propria ancora di salvezza. “Mi ritrovo davanti ad un foglio bianco come mio migliore amico, esso mi permette di esprimere, sbagliare, correggere e cancellare, ma soprattutto di dare forma ai miei pensieri e far si che ogni mio sogno diventi realtà consigliando con le parole di chi mi conosce di più…me stesso”. Vincenzo Lubrano è nato a Napoli e vive a Pozzuoli. “L’impronta del pensiero” rappresenta il suo esordio nel mondo dei libri.

 

Vincenzo Lubrano è nato a Napoli il 30/04/1988. Vive a Pozzuoli, una provincia al sud di Napoli, una terra caratterizzata dal bellissimo litorale flegreo che si estende tra mare, sole e pescherecci. L’autore è diplomato in “tecnico dei servizi ristorativi di cucina” ha intrapreso la sua attività lavorativa all’età di quindici anni in contemporanea con la scuola, acquistando così indipendenza per se e un aiuto di cuore alla sua famiglia. Lo stesso senso di responsabilità lo porta negli ultimi tempi verso la scoperta di sé, lavorando all’Isola d’elba come aiuto cuoco. La passione per ogni forma d’arte è sempre stata la sua “dote” e ciò gli permette di esprimere il suo pensiero con la scrittura che egli definisce come migliore amica : “Mi ritrovo davanti ad un foglio bianco come mio migliore amico, esso mi permette di esprimere, sbagliare, correggere e cancellare.. ma soprattutto di dare forma ai miei pensieri e far si che ogni mio sogno diventi realtà consigliando con le parole di chi mi conosce di più.. me stesso”.. Nasce così la sua prima raccolta di pensieri, poesie e riflessioni “L’impronta del pensiero” scritta in ogni attimo di pace ritrovato nelle poche ore di riposo del lavoro dove semplicemente osservando apprezza ogni elemento a se circostante ma in primo piano il RISVEGLIO al mattino che l’autore definisce “Il vero senso della vita”.

“Quel plenilunio perenne”, poesia di Lorenzo Spurio

QUEL PLENILUNIO PERENNE
POESIA DI LORENZO SPURIO
 
1111111111111Quel plenilunio perenne                                                              
 si rispecchiava
 in abbracci di plastica
 mentre il mondo ruggiva.
 
 Fumavo paure ricorrenti,
 nel cielo zigzagante
 i miei pensieri di creta
 correvano.
 
  
LORENZO SPURIO (c)
Jesi, 13-02-2013
 
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“Condomini e cattivi pensieri”, racconto di Franca Berardi

racconto di Franca Berardi

L’aveva notata già da diverso tempo ormai.
Lei arrivava sempre alla stessa ora, si sedeva allo stesso bar e sempre al solito tavolino di fronte al lungolago…beveva un caffè , fumava una sigaretta e poi andava via in tutta fretta senza scambiare mai una parola con alcuno.
Così, lui, decise di seguirla…; l’aveva già fatto altre volte ma non era mai riuscito a vederla bene in viso; lei era sempre di schiena, mentre fumava in silenzio e camminava a passo sostenuto.
Né mai lui avrebbe osato avvicinarsi a lei visto che era timidissimo ed impacciato oltremodo.
In un freddo mattino di dicembre, dunque, lui la seguì mentre lei ,quasi subito dopo, sparì tra un dedalo di stradine strette, per poi finire nel portone di una elegante palazzina, in stile liberty, posta nel centro storico della città…
Anche lui entrò ed iniziò a salire su per le scale dietro di lei…
La donna si fermò sentendo i passi di lui e si voltò a guardarlo. 
Era bellissima! Lui rimase senza fiato.
Per giorni e giorni ,ancora, aveva tentato di immaginare quel suo volto, ma ora che l’aveva finalmente visto, appariva ancor più sublime di quel che si aspettava, anzi più di quanto egli stesso potesse immaginare e sperare.
Lei lo osservò…, indugiò con lo sguardo che pareva avesse assunto un tono interrogatorio, visto che lui, non riusciva a smettere di fissarla.
Rosso in viso , dapprima, si scusò e aggiunse, con voce tremante, che stava cercando un signore ma non ricordava più a quale piano si trovasse poi, gli venne in mente un cognome che aveva letto frettolosamente sul citofono della palazzina quando per l’appunto , l’aveva più volte, pedinata nei giorni precedenti.
“Ah! –rispose lei- cerca il professor Milo? È sopra di me, secondo piano”…e, detto ciò, continuò a salire le scale senza aggiungere altro.
Lui ringraziò e riprese, come se nulla fosse, a seguirla, mentre il suo cuore pareva dovesse scoppiargli in petto da un momento all’altro.
Continuò così altre volte: la incontrava per le scale mentre fingeva di andare a prendere lezioni di matematica dal dottor Milo…e , finalmente, un giorno trovò il coraggio di chiederle se poteva offrirle un caffé, magari proprio in quel bar che lei ogni dì frequentava con assidua costanza.
Lei sorrise con estrema grazia…sembrava una donna d’altri tempi; così imbarazzata, timida e schiva , chiusa nel suo paltò grigio…ma anche compiaciuta dalle attenzioni di lui.
E così, iniziarono a frequentarsi con il fermo intento, però, di rimanere, comunque sia, amici e solo amici.
Ma si sa che ogni migliore proposito, chissà perché, poi …prende sempre un’altra piega e ,quindi, lei , dopo mille titubanze, lo invitò a salire a casa sua ma , giusto per bere un tè; non di più.
Ed, invece, così non fu forse perché la vita non va mai come si vorrebbe o forse perché si era venuta a creare un’intensa complicità tra loro due. 
Lei così timida e riservata, lui ormai un fiume in piena…
Iniziò una storia d’amore, ma prima di approdare a questa decisione, così a lungo elaborata e sofferta, ella gli dovette confessare che condivideva la casa con una sorella dispotica ed ostile che, con lei viveva non tanto per affetto quanto per pura convenienza visto che l’appartamento era intestato, ahimè, ad entrambe.
Dunque la sorella mal sopportava la presenza di quel ragazzo che si vedeva così costretto, ad incontrarsi con il suo grande amore in momenti fugaci e soprattutto lontano da certi occhi indiscreti ed impietosi…
Ma anche il loro vicino del piano di sopra ,tal professor Milo ,non se la passava bene…
Da diversi anni era separato dalla moglie che era andata a vivere in una città molto lontana , portandosi via i tre figli. 
Lui , colto dalla disperazione, aveva iniziato a bere poiché si sentiva fallito come marito , ma ancor più come padre poiché impossibilitato a vedere le proprie creature.
Aveva tentato più volte di contattarli, ma i parenti di lei non gliel’avevano mai concesso e così il poveretto, solo e sconfitto , iniziò a fare mille strane congetture…
Intanto, non disdegnava di andare a consolarsi dalle due sorelle che abitavano sotto di lui… 
In particolare, aveva fatto presa su quella più anziana che si sentiva molto attratta sia dalla sua penosa storia, sia dalla sua fisicità…a tal punto, che sognava di poterlo incontrare nel proprio appartamento, in separata sede, senza la presenza ingombrante della “sorellina” e del suo scomodo fidanzato.
A ben pensarci, le due donne avrebbero potuto trovare una soluzione alternativa e pacifica o qualche espediente più sensato, per dirimere la questione.
Ma, si sa ,che i parenti non sono mai molto propensi ad andar d’accordo; semmai più proclivi a complicarsi la vita per il gusto e il piacere acclarato di farsi del male.
E così, le due sprovvedute, continuarono a farsi mille dispetti e ritorsioni.
Ma, anche l’inquilina del primo piano aveva le sue gatte da pelare, visto che doveva badare alla anziana madre affetta da una incipiente forma di demenza senile…
La giovane donna, nel prosieguo del tempo, vedeva sfiorire sempre di più il suo grande sogno e cioè quello di andare a studiare all’estero.
Talora , nei momenti di maggiore crisi, veniva assalita da pensieri che non le facevano onore, mentre imboccava l’esagitata mamma o le cambiava il pannolone.
Il padre, nel frattempo, se la spassava con una ragazza della sua stessa età.
Anzi ,spesso e volentieri, il “tenero” papà rimaneva fuori a cenare, se così si può dire,…con la sua nuova compagna, incurante della tragedia familiare che lo circondava.
Forse egli voleva sfuggire al dolore…oppure non era pronto ad affrontare una situazione così difficile ma, comunque sia ed ipotesi a parte, egli continuava a fare il ragazzino di sessant’anni, lasciando così alla figlia ogni onere; a scapito anche della sua stessa salute mentale. 
La figlia, del resto,più volte si era ribellata a questa forzata prigionia; più volte aveva scongiurato il padre di ritornare alla ragione, ma senza esito alcuno…
E così, ella ormai si sentiva in preda alla disperazione ,in virtù del fatto che non vedeva più un futuro per sé.
Peraltro, intorno a lei, c’era la solitudine e solo quella, poiché, al momento, nessuno poteva sostenerla nel suo arduo compito.
Quindi, per quanto tempo ancora la giovane sfortunata avrebbe potuto reggere ad una situazione così pesante?
Intanto che badava alla madre, sempre più confusa, agitata e delirante, pensava che doveva passare al contrattacco con ogni mezzo e,…se prima pregava, ora iniziava a preparare inquietanti rappresaglie.
Del resto visto che, i suoi sogni non gli avrebbe mai potuti esaudire, sperava ,almeno, di patteggiarli con il consenso e la benedizione di qualche entità superiore che dall’alto dirigeva quella sua vita così tormentata e sfortunata.
All’ultimo piano della stessa palazzina, abitava una sciccosissima ed appariscente signora che spesso e volentieri soleva litigare con la figlia. 
C’è da dire che la matura donna, si era separata da molti anni ormai ed aveva iniziato una convivenza, alquanto discutibile, con un bellimbusto che sfruttava la sua ricchezza e non più la sua bellezza quasi del tutto sfiorita.
La figlia era ,ovviamente, preoccupata poiché sapeva che prima o poi, la madre avrebbe dilapidato ogni suo bene in quanto in preda ormai ad una folle storia d’amore che pareva più che altro molto simile ad una follia pura ove l’amore non c’entrava nulla.
Ormai, la povera donna, non riusciva più a gestire nulla in modo razionale.
Preponderante era per lei l’intento di accontentare le esose esigenze dell’amante che non disdegnava ,di certo, di essere trattato al pari di un principino.
La ragazza , invece, si era messa con un giovane di belle speranze ma che apparteneva , suo malgrado, ad uno status sociale molto basso, anzi quasi scadente. Anche lei, folle d’amore, come sua madre del resto, voleva aiutarlo a studiare, visto che egli era privo di mezzo alcuno per farlo. 
Ma la madre, obnubilata irrimediabilmente dalla passione, era troppo intenta a coccolare il bell’”Antonio” per potersi curare di lei… 
Talora, la povera ragazza, in preda alla disperazione, si rifugiava a piangere in cucina dopo l’ennesimo rifiuto della mamma di concederle un aiuto finanziario. Anzi vi è da dire che , oltre ciò , la sciamannata spendacciona, contestava in malo modo il fatto che la figlia frequentasse un plebeo.
Probabilmente agiva in tal modo, per giustificare il proprio operato e non sentirsi così in colpa…
Comunque sia , perseverava in questo suo atteggiamento ostile ed impietoso.
Intanto …al terzo piano dello stesso stabile, abitava una nobildonna decaduta da molto tempo ormai, sia nel corpo che nelle sostanze economiche e così , dopo anni di fasti, di lussi condivisi con il marito ed i figli, si era improvvisamente trovata in cattive acque.
Aveva ,dunque, deciso , suo malgrado ,di vendere la nuda proprietà di quello immobile tanto amato e pieno di ricordi…
Allorquando, per l’appunto, viveva felice ed orgogliosa del suo status sociale molto invidiato, peraltro, dal resto dei condomini, che spesso si lasciavano andare a commenti sgradevoli e discutibili.
Morto il marito, però, tutto era cambiato improvvisamente; i figli avevano sperperato oltre modo ogni loro bene senza che ella avesse trovato il tempo di rendersene conto…forse distratta da una vita fin troppo agiata e facile.
Pertanto, qualcosa era sfuggito al suo controllo, ebbra com’era , di una felicità che ,ormai ,era finita prima del previsto.
E così, la improvvida anziana, si vide costretta a vendere in primis i gioielli di famiglia ed alla fine, su consiglio di molti, anche la nuda proprietà.
L’acquirente , manco a farla apposta, era uno dei condomini , quello più ostile per il vero, che l’aveva sempre detestata ed invidiata.
Ora il suo rovinoso crollo economico, era per lui una rivincita morale di non poco conto, visto che, la signora , negli anni migliori, non si era mai neanche lontanamente degnata di prenderlo in considerazione.
Giusto , talora, gli elargiva un saluto frettoloso che suonava come un rifiuto cortese ma, al contempo, raggelante.
L’uomo, ormai, sapeva di averla in pugno e non vedeva l’ora di contraccambiarle la cortesia; ed , intanto, che assaporava il piacere della vendetta, aspettava il suo trapasso per occupare l’agognato appartamento.
Ma la signora, a dispetto di tutti, godeva di ottima salute ,nonostante i suoi ottant’anni suonati…
Invero, se li portava male, era vecchieggiante sì …ma con una invidiabilissima salute di ferro. 
Il suo sguardo si era spento , così come la sua alterigia, ma il cuore reggeva con ostinato orgoglio. 
E così, va da sé che il suo vicino le faceva mille dispetti e le lanciava maledizioni di ogni tipo e che , per il loro contenuto, avrebbero spaventato anche il più consumato esperto di magia nera.
E, intanto, un’altra piccola tragedia familiare si stava consumando al primo piano dello stesso stabile, ove alloggiava una vecchietta in totale solitudine.
Aveva ,però con sé, un cagnolino che pareva persino più vecchio di lei, tant’era secco, rugoso e spellacchiato…
In compenso possedeva delle corde vocali possenti ,a tal punto, che , appena percepiva i passi di qualcuno, iniziava a latrare al pari di un alano.
Ma, quella piccola creatura, rappresentava da anni ormai l’unico conforto per quella sfortunata signora dimenticata dai figli e dalla vita.
Sullo stesso pianerottolo abitava , invece, una coppietta che mal sopportava l’anziana donna; eppure c’era da notare che, gli spocchiosi inquilini , giovani e con figli, si erano sempre dichiarati di sinistra e peroravano la causa dei più deboli, degli emarginati…
Ma ,tra le mura domestiche, palesavano le loro bassezze interiori più autentiche…
L’anziana signora, non li commuoveva per niente, anzi la consideravano antipatica e maleodorante alla stessa stregua del suo povero cagnolino. 
E , come se non bastasse gli incongruenti sinistroidi…, incoerenti anche nell’animo e nella mente, si lasciavano andare a liti furiose che riguardavano l’educazione dei figli preludio questo , ad una separazione imminente.
E, sempre , in questo condominio così variegato ed animato, abitava un giovane che
soleva litigare spesso e volentieri con la madre poiché non accettava la presenza del nuovo convivente di lei…egli la minacciava continuamente di andar via alfine di raggiungere il padre che tanto vagheggiava ed idealizzava.
Forse perché quell’uomo, più non era con lui a condividere il quotidiano…
Ed un altro giovane del piano di sotto , non dava di sé un bello spettacolo.
Reclamava a viva voce i propri diritti e, le sue parole accese ,venivano udite da quasi tutti i condomini.
Si accendevano furiose diatribe poiché egli pretendeva di sposarsi e di aprire un negozio… dimentico però del fatto, che i genitori non potevano fronteggiare le sue richieste.
Ma lui non voleva aspettare né addivenire a più miti consigli…accecato tra l’altro, da una gelosia morbosa nei confronti del fratello maggiore che in effetti aveva ottenuto ciò che gli spettava…
L’altro, rancoroso più che mai, aveva totalmente tralasciato un piccolo particolare e cioè che il suo congiunto , tanto detestato, aveva risparmiato a lungo per consentirsi alfine una vita più agiata… mentre lui, aveva vissuto al di sopra delle sue possibilità.
Ed una giovane donna che, viveva in un bilocale da qualche anno , era in preda alla disperazione più assoluta poiché abbandonata dal marito.
Ella ,dunque, non poteva più onorare le spese condominiali, tra lo sconcerto e lo sdegno degli altri inquilini, che speravano che ella venisse sfrattata al più presto…
Nel frattempo, però, aveva accolto in casa sua, il fidanzato della figlia che, nel tempo, cercava di aiutarla con il suo lavoro molto precario.
Ma, intanto , il giovane si sentiva molto attratto dalla bellezza di quella donna tanto sfortunata e non lo nascondeva, né cauto si mostrava agli occhi della fidanzata che iniziava così a manifestare, in modo acceso , il suo disappunto…
Da quella palazzina, or dunque quasi tutti i giorni, si sentivano echeggiare le voci concitate di persone infelici, che sognavano di fuggire da situazioni dolorose e spiacevoli ed intanto, più in là, di fronte al lungolago s’intravedevano due giovani seduti al tavolo di un bar.
Si baciavano e sognavano un futuro migliore, tra un caffé ed una sigaretta, mentre l’acqua del lago, sotto un’algida luna, sembrava ancor più piatta, grigia ed indifferente.

 

Franca Berardi

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