“Pensieri minimi e massime” di Emanuele Marcuccio, recensione a cura di Annamaria Pecoraro

Pensieri minimi e massime

di Emanuele Marcuccio

PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47

ISBN: 978-88-6682-240-0

Genere: Saggistica/Aforismi

Prefazione a cura di Luciano Domenighini

Postfazione a cura di Lorenzo Spurio

Curatrice d’opera: Gioia Lomasti

Cover: Francesco Arena

Prezzo: 7,60 €

 

Recensione a cura di Annamaria Pecoraro

 

Emanuele è un poeta “ribelle” (59), che usa la poesia come strumento di dialogo intimo verso Dio (66), e come lama sottile per colpire la grettezza politica che usa lo “Stato”, impoverendolo (19,37, 72). La poesia è arma che disarma (41, 46, 51), che attraversa il dolore e diventa musica (36, 57), follia (45), ricerca (22, 27, 75), amore (24, 62), “trasfigurazione” ed “ispirazione” di sogni (64). Via che alimenta i progetto quotidiani, diventando memoria di ciò che realmente dovremmo essere. Riscoprendo archetipi classici, che vedono la donna, nelle vesti di Elettra e dell’ uomo giusto in Oreste, e non nei tanti Egisto, che purtroppo, ghettizzano e mortificano la condizione dell’ essere umano (39). Emanuele cammina trovando nel dialogo e nell’essere “fanciullo” (11, 30, 34), la forza di osare e dire al mondo quanto meraviglioso sia emozionarsi (27), e coltivare valori che testimoniano il dono della vita. La radice della cultura (18), sta nel non aver paura di essere sé stessi, senza pretese di giudizio (23) o di ottenere onori, ma di non essere stanchi di arricchirsi nella diversità che ci circonda, trovando anche nel silenzio (47), l’intesa e il vigore di scegliere difendendo anche la propria origine (20, 38). Ottantotto aforismi tutti da gustare e da portare come propositi attivi nel nostro status vivendi.  

 

a cura di Annamaria Pecoraro

 

6 agosto 2012

 

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA SU QUESTO SPAZIO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE E DELL’AUTORE DEL TESTO.

“Pensieri minimi e massime”, collezione di aforismi del palermitano Emanuele Marcuccio. Recensione a cura di Marzia Carocci.

Pensieri minimi e massime
di Emanuele Marcuccio
PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47
ISBN: 978-88-6682-240-0
Genere: Saggistica/Aforismi
Prefazione, a cura di Luciano Domenighini
Postfazione, a cura di Lorenzo Spurio
Curatrice d’opera: Gioia Lomasti
Cover: Francesco Arena
Prezzo: 7,60 €
 
Recensione a cura di Marzia Carocci

 

L’aforisma è l’immediatezza di un pensiero, di uno stato d’animo, di una constatazione che porta alla riflessione immediata  portando il lettore al senso compiuto di un’osservazione ricca di essenza. Emanuele Marcuccio, nella sua introduzione alla poesia, sottolinea proprio quanto sia importante questa forma letteraria che è la creazione di un’anima attenta, e da quanto tempo  la forma lirica abbia attirato l’uomo per bisogno di esternare e di celebrare le proprie interiorità.

Egli farà riferimento anche alle varie epoche e ai tanti poeti che ci hanno preceduto, al loro modo di esprimersi con quel desiderio di comunicare attraverso questa forma letteraria.

Gli aforismi di questo poeta ci portano in un caleidoscopio di riflessi, perlopiù rivolti all’importanza della poesia, attraverso le considerazioni che questa forma letteraria impone con musicalità, sentimento e stile, ma ci saranno annotazioni sul dolore, sull’amore, sulla felicità, sulla morte: “Solo al momento della morte, questo nostro orologio sconnesso della vita darà l’ora esatta”.

Il poeta, in questo contenitore di emozioni, sembra a volte meditare nella ricerca continua di quesiti  a volte  senza risposte, altre con ferma certezza.

L’autore si sofferma su cosa sia il poeta, la poesia, l’espressione lirica, il valore dell’amore, la negazione dell’offesa, l’importanza dell’incipit come padrone dell’apertura poetica che si chiude con l’explicit nella chiusa del verso emozionando il lettore .

“Il poeta modella le parole, le forma e le trasforma, le trasla nel significato e le trasfonde nel significante”.

Marcuccio appunta come in un diario tutte quelle constatazioni, annotazioni che lui concretizza  in massime per sottolineare quei pensieri che egli sente di esprimere.

“La felicità dura il tempo di un istante e, attimi di felicità si perdono nella nebbia del tempo”.

Il protagonista principale di questo viaggio, resta comunque la poesia, regina indiscussa di emozione e sentimento e il senso di questa, che Emanuele Marcuccio, esalta  attraverso la parola.

Un itinerario dove l’autore contrassegna con un numero i vari aforismi come per catalogare in “regole” quelle osservazioni ben delineate e portate in superficie per esaltare ed elogiare una delle forme letterarie più eccelse; attimi di riflessioni che allargano il campo  ad ampi ragionamenti su un argomento interessante: perché la poesia è presente fino a circa un millennio prima di Cristo, come giustamente annota nell’introduzione Marcuccio? Perché il bisogno di celebrare le proprie emozioni? Come si interpreta la poesia?

In questo libro di “Pensieri minimi e massime”, troverete vari spunti interessanti.

 

 

a cura di Marzia Carocci

21 luglio 2012

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA QUI SU QUESTO SPAZIO DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE DEL LIBRO E DELL’AUTRICE DELLA RECENSIONE. 

Intervista a Gaetano Cuffari, a cura di Gioia Lomasti

Intervista a Gaetano Cuffari

a cura di Gioia Lomasti

Come scrivi le tue opere, su carta o col computer?

Dipende dalle circostanze: è una questione di insight, di ispirazione, di raccolta di idee, anche. Mi affido alle percezioni del momento, per cui può risultare a me più convincente scrivere in un modo piuttosto che nell’altro.

I testi escono di getto o li elabori?

I testi rappresentano un’idea ed il significato che attribuisco ad essa; sovente può capitare che io senta il bisogno di ricercare la completezza di questo significato attraverso la scelta di parole più adatte a dare le giuste sfumature espressive.

A che età’ hai cominciato a scrivere?

Ho sempre scritto, da che ho memoria. Negli anni sono cambiate le formule, ma sono sempre stato attratto da questo esercizio.

Qual è la tua atmosfera ideale per la scrittura?

Sicuramente quella generata dallo stare in compagnia di me stesso; amo dedicare una parte del giorno o della notte soltanto ai miei pensieri ed è questo clima di ricercato isolamento che spesso facilita il mio scrivere.

In una parola, cos’è per te la scrittura?

Passionalità

Cosa traspare dalle tue poesie?

Le diverse sfumature di tutti i miei stati d’animo, le mie riflessioni, le mie attenzioni; ecco, direi che probabilmente dalle mie poesie traspare il senso del mio stare dentro la vita.

Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?

Credo che questa convinzione sia legata principalmente alla diversa percezione che si ha della poesia rispetto alla narrativa e al clima culturale dentro il quale tale percezione si determina. Non sempre la poesia e la narrativa accolgono la stessa tipologia di lettore e tale condizione è determinata, a mio modesto avviso, dal differente modo di “sentire” queste due forme comunicative, attribuendo ad esse una differente finalità.

Hai nuovi progetti in cantiere? Puoi svelarci in esclusiva delle news?

Ho nuove e vecchie idee ma preferisco svelare ciò che esiste e non ciò che potrebbe esistere …

Tra poesia e narrativa, cosa scegli e perché?

Sono legato sia alla poesia che alla narrativa; la scelta dell’una piuttosto che dell’altra nelle mie giornate è determinata dai momenti che attraverso, dai diversi stati emotivo/percettivi in cui mi trovo, quindi scelgo entrambe.

Cosa pensi del mondo virtuale riguardo alla promozione dell’arte?Ritieni che internet sia un buon strumento di visibilità’ ?

L’esistenza del mondo virtuale e di internet ha giocato un ruolo fondamentale per la trasmissione culturale in genere e di quella artistica nello specifico. Ritengo che “la Rete” sia un ottimo strumento di visibilità per chi vuole promuovere o conoscere.

A tuo parere, cosa occorre per diventare un bravo scrittore?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe innanzitutto determinare cosa intendiamo per bravo; Il bravo scrittore è colui che scrive bene oppure che vende bene? Il bravo scrittore è colui che viene riconosciuto tale dai più oppure no? Personalmente ritengo che lo scrittore comunichi emozioni e la buona riuscita di questa trasmissione spesso non è soltanto il risultato delle capacità dello stesso ma di vari fattori esterni altrettanto rilevanti. Essere appagati da ciò che si scrive nel momento in cui lo si fa e riscontrare possibili miglioramenti nel confronto con se stessi credo sia il miglior sentore di crescita per uno scrittore.

Quali sono i tuoi poeti preferiti?

Non ho poeti preferiti, piuttosto ho poesie predilette, ma se dovessi fare il nome di uno o più autori che gradisco faccio il nome di Stefano Benni, che non è esattamente un poeta ma è anche un poeta o di Pasquale Panella.

Con quale genere di poesia ti identifichi?

Sono molto attratto dalle poesie che dicono e non dicono, che non rilasciano significati molto chiari ma che preferiscono affidare il loro senso alla libera interpretazione del lettore. Definirei tali versi “quadri astratti o surrealisti di parole” un affascinante gioco ad incastro in cui esplorare se stessi attraverso la lettura.

Descrivi con una definizione il tuo lavoro, Spine d’arancio

Un colorato e armonioso impasto di emozioni.

Hai un sogno nel cassetto?

Forse uno solo o più di uno ma di certo c’è che ho tanta voglia di poter vivere il sogno più grande di tutti: la mia vita.

Gaetano Cuffari è nato a Catania nel 1976. I suoi interessi spaziano dal campo artistico e poetico all’impegno civile e sociale. Laureato in Scienze Socio-Psico-Pedagogiche presso l’Università degli Studi di Catania, ha pubblicato una raccolta di versi autoprodotta, intitolata “Versi Introversi” per La Nuova Copia edizioni nel 2009 e nello stesso anno ha partecipato con sue poesie alla raccolta “Essenza, Collana Poesia e Vita Vol.3 edito da Rupe Mutevole Edizioni. Ha inoltre realizzato nel 2010 un Saggio Sociologico intitolato “Il colore del Nero, Cultura e Comunicazione del crimine a Catania e in Sicilia”.

Ti ringrazio molto per questa intervista.

A cura di Gioia Lomasti per Vetrinadelleemozioni.com

GIOIA LOMASTI HA CONCESSO DI PUBBLICARE QUESTA INTERVISTA SU QUESTO BLOG. 


Intervista a Donatella Calzari, a cura di Emanuele Marcuccio

“Petali d’acciaio” di Donatella Calzari

Rupe Mutevole Edizioni, 2011, collana “Sopra le righe”

intervista a cura del Direttore Editoriale Emanuele Marcuccio

EM: Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere poesie?Cos’è per te la poesia?

DC: Per me la poesia è una magnifica forma espressiva, che io amo e coltivo dall’età di sei anni, quindi dai tempi della scuola elementare, periodo in cui la mia insegnante ci dettava poesie di noti autori su un apposito quadernetto. Ho avuto così modo di avvicinarmi ai grandi poeti del passato e di amare le loro splendide opere. A casa, poi, mi divertivo a creare semplici componimenti poetici, che scrivevo su un quaderno “segreto”.

EM: Cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?

DC: In una poesia credo non debba mai mancare il cuore dell’autore, le emozioni e i sentimenti più profondi che, veicolati da un’oculata scelta di vocaboli, possono raggiungere il cuore del lettore.

EM: E cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?

Non deve mai mancare, secondo me, l’abilità di usare le parole come il prestigiatore fa con le carte da gioco, suscitando meraviglia, ammirazione e stupore nel lettore. È importante la struttura della vicenda narrata, ma lo è anche la forma, e questo gli scrittori classici lo sapevano bene.

EM: Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna delle due e perché?

DC: Dal punto di vista stilistico sono vicina all’intimismo: mediante le mie poesie tento di esprimere le situazioni intime e i moti profondi dell’anima. In passato ho studiato la rima e la metrica, ma scrivo in versi liberi per puro gusto personale.

EM: Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?

DC: L’idea di una poesia si annida nella mia mente e lì rimane per alcuni giorni, in gestazione. Successivamente, in momenti del tutto improvvisi, è pronta per venire alla luce e io sono costretta a procurarmi velocemente carta e penna per fissarla sul foglio. In questa fase esce di getto, però, impiego molto tempo (talvolta mesi) nella sua elaborazione e nella ricerca dei vocaboli più appropriati, rispetto a quanto intendo esprimere.

EM: Sì, la poesia, in fondo, è un cercare di esprimere quello che l’anima detta, personalmente dico che è anima che si fa parola, ma che rimane sempre un cercare di esprimere, un tentare di avvicinarci, come ci insegna Ungaretti in una famosa intervista televisiva del 1961, al punto che non potremmo mai arrivare all’espressione compiuta della propria anima.Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?

DC: È indubbiamente più semplice seguire una narrazione, che deve essere scritta secondo canoni precisi, che rispondono all’esigenza di essere compresa dal lettore. A mio parere, la poesia richiede un approccio differente, meno razionale e più emotivo. Chi si accosta alla poesia, infatti, dovrebbe lasciare in secondo piano l’esigenza di comprensione del testo, importante ma non così necessaria come per la prosa, e dare ampio spazio alle emozioni che le parole dell’autore fanno sgorgare nell’intimo. Come diceva T.S. Eliot “La vera poesia può comunicare anche prima di essere capita”. L’uomo di oggi è molto razionale e questo spiega il fatto che sia meno propenso a lasciarsi andare alle emozioni, accordando la sua preferenza, quindi, alla prosa, anziché alla poesia.

EM: Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di autrice?

DC: In passato, nel tempo libero organizzavo eventi culturali nella mia città, legati alla poesia e alla sua interazione con le altre forme d’arte. Ho anche fondato un’associazione di persone che si dilettavano a scrivere poesie. È stata un’esperienza veramente arricchente, sia dal punto di vista umano, che da quello artistico. Lo scambio di opinioni e commenti relativi ai propri e altrui testi, penso sia di fondamentale importanza.  Da due anni sono iscritta al social network “Facebook”, che permette, in termini più veloci e più ampi, il confronto fra gli autori, dilatandone le possibilità. Un’altra esperienza importante è stata la partecipazione all’Atelier delle Arti 2011, dove ho avuto la straordinaria possibilità di conoscere, ascoltare ed apprezzare, fra gli altri artisti intervenuti, scrittori e poeti di fama nazionale e internazionale: Umberto Piersanti (candidato al Nobel per la Letteratura nel 2005), Elisabetta Rasy, Alessandro Zaccuri, Isabella Leardini, Guido Conti, Milo De Angelis e molti altri…

EM: Perché proprio questo titolo Petali d’acciaio?

DC: Il titolo Petali d’acciaio è un ossimoro, che è poi un accostamento di parole dal senso apparentemente contrastante. Quando ho inviato le poesie a te, in qualità di curatore dell’opera, per partecipare alla selezione per la pubblicazione, avevo già in mente questo titolo, che mi è venuto così, spontaneamente. Curioso è invece l’aneddoto riguardante l’immagine di copertina. Dapprima ho pensato a un fiore, poi a una rosa, infine a una rosa rossa, ma non riuscivo a trovare la rosa che rendesse l’ossimoro del titolo. Un  giorno su “Facebook” mi sono imbattuta in una rosa rossa con un’evidente cristallizzazione sul bordo dei petali: faceva proprio al caso mio! È risultata appartenere a un blogger turco, ma alla fine, grazie al tuo prezioso aiuto, come ricorderai, ho ottenuto l’autorizzazione all’utilizzo dell’immagine, ed ecco la splendida rosa che potete ammirare sulla copertina!

EM: Sì, una copertina davvero splendida, temevo proprio di non riuscire a mettermi in contatto con l’autore di quella foto, un blogger turco! La poesia di Petali d’acciaio che ti è più cara o che ritieni più significativa?

DC: Tutte le poesie contenute in Petali d’acciaio, prima di superare la selezione per la pubblicazione, hanno dovuto superare la mia selezione personale, quindi sono quelle a me più care per svariati motivi: alcune mi ricordano particolari momenti della mia vita, altre mi hanno dato molte soddisfazioni ottenendo riconoscimenti a concorsi, altre ancora sono piaciute molto a coloro che le hanno lette. Posso dire, però, che ce n’è una che si distingue per essere l’unica dalla tematica sociale: si tratta di “Clochard”. Ricordo che era l’inverno del 2007 e spesso, tra le notizie del telegiornale c’era, purtroppo, quella del decesso di un senzatetto a causa del freddo. Io mi sono posta la stessa domanda che probabilmente si è affacciata alla mente di molti: “Com’è possibile che ai giorni nostri si possa ancora morire di freddo e di stenti in città ricche di ogni comfort, quali sono le nostre?” Per me è uno scandalo! Così, all’ennesima notizia del genere, mi è sgorgata dalla mente e dal cuore questa poesia.

CLOCHARD

A chi importa

se porto a spasso

brandelli di vita

rattoppata alla meglio

e buchi di coscienza

vuoti di solitudine

rotonde eclissi di sole?

A chi importa

se il contapassi dell’esistenza

segna centinaia di vite vissute

in una sola

sotto cieli infranti di uragani?

A chi importa

se vivo randagio

sotto ponti illuminati

da lune mai sorte

su fiumi di parole

rotolate invano?

A te importa?

Tre anni dopo, grazie a un reportage televisivo, ho scoperto che esistevano squadre di volontari che si occupano proprio di individuare le persone in difficoltà nelle notti più rigide dell’inverno e di riscaldarle e rifocillarle. Si trattava di associati alla fondazione “Fratelli di San Francesco d’Assisi”. Ho cercato l’indirizzo su internet e ho scritto loro una lettera di plauso e ringraziamento per il loro prezioso operato, rammaricandomi di non potervi partecipare io stessa e allegando la mia poesia, come piccolo, piccolissimo contributo. Mi ha risposto il Direttore che, con mia grande sorpresa, mi ha ringraziata a sua volta, affermando che l’attenzione, l’incoraggiamento e il sostegno della gente li spronano a proseguire giorno dopo giorno nella loro opera di accoglienza, assistenza, integrazione e promozione umana delle persone in difficoltà e senza fissa dimora. Ha anche aggiunto apprezzamenti per la mia poesia, dicendo che l’avrebbero inserita in qualche loro pubblicazione. Quando si dice che le poesie arrivano dove neanche l’autore può immaginare…

EM: Cosa ti ha spinto a voler pubblicare il tuo libro?

DC: Per molto tempo non ne ho sentito l’esigenza, infatti, come ho raccontato prima, ero più interessata a organizzare eventi culturali relativi alla poesia e a confrontarmi con chi, come me, amava scrivere. Purtroppo, per gravi problemi familiari, sono stata costretta ad abbandonare questa attività. Non ho mai smesso, però, di coltivare l’interesse per la poesia così, grazie a “Facebook”, ho partecipato, più che altro per gioco, alla già citata selezione. Quando ho ricevuto la proposta di pubblicazione da parte di Rupe Mutevole Edizioni, ho riflettuto e ho scoperto di aver maturato alcune motivazioni, che si facevano sempre più urgenti: la poesia, la musica, l’arte in genere, secondo me, hanno il potere di contrastare, in qualche modo, l’indifferenza e la barbarie che purtroppo stiamo vivendo nella società di oggi, così anche un libro, nonostante sia una goccia nell’oceano, unita ad altre gocce, può contribuire a farci vivere in un mondo migliore, può tenere alta l’attenzione per la via della bellezza e “la bellezza”,  come disse Dostoevskij, “salverà il mondo”. Ed ecco Petali d’acciaio, che raccoglie poesie scritte dal 1992 al 2007, con l’aggiunta di alcune poesie più recenti.

EM: Quali sono i tuoi poeti preferiti, ce n’è uno in particolare?

DC: Ne amo moltissimi, ma la mia trilogia è composta da: Rabindranath Tagore, Federico Garcia Lorca e Pablo Neruda. Tra i poeti italiani prediligo Ungaretti e Alda Merini. Ci sono stati tempi in cui mi sono dedicata allo studio di alcuni poeti, ma attuato in modo, direi, singolare: di un autore volevo leggere tutte le composizioni poetiche che aveva scritto e, come potete immaginare, questo lavoro richiedeva una grande risorsa di tempo e di energie. Nella mia vita, quindi, posso dire di aver letto tutte le poesie di Ungaretti, Montale e Luzi, ad esempio.

EM: E qual è la tua poesia preferita?

DC: Ho nel cuore molte poesie e la scelta sarebbe davvero difficile. Forse potrei parlarvi della prima poesia a cui mi sono affezionata nella vita, una di quelle dettate dalla mia insegnante e scritte nel famoso quadernetto: si tratta di “Natale” di Ungaretti.

NATALE

di Giuseppe Ungaretti (1916)

 Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare

 Ero una bambina allegra, sorridente, solare ed è davvero curioso che abbia prediletto questa poesia tanto triste, in cui un uomo chiede, nonostante sia Natale, di essere lasciato “in un angolo come una cosa dimenticata”. Anche ora, però, nonostante le caratteristiche della mia personalità siano le stesse di allora, prediligo poesie malinconiche ed il motivo rimane oscuro e misterioso anche a me.

EM: Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?

DC: Per anni la lettura ha rivestito il ruolo di mio hobby preferito. Ricordo che leggevo opere impegnative come “I fratelli Karamazov”, “Delitto e castigo”, “Umiliati e offesi” di Dostoevskij, “Guerra e Pace” di Tolstoj. Amo da sempre i classici russi, ma ho letto opere di ogni genere: mi è sempre piaciuto spaziare. L’ultimo libro, anche se non di recente pubblicazione, che ho trovato affascinante e incantevole è stato “Le braci” di Sandor Marai.

EM: C’è un genere di libri che non leggeresti mai?

DC: Sì, c’è: il genere horror, sia relativo ai libri che ai film. Non sopporto emozioni di tensione e ansia crescenti, forse perché ritengo che la vita reale me ne riservi a sufficienza. Non sopporto neanche il genere aggressivo e violento, ne devo già assumere una buona dose, mio malgrado, nella realtà sociale odierna.

EM: Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?

DC: Amo la mia terra, la mia regione e, in modo viscerale, la mia città, a favore della quale investo da anni le mie energie dal punto di vista culturale e anche professionale, poiché esercito qui la professione di docente. Certo è un ambiente climatico umido, nebbioso e malsano, così mi piacerebbe, nel periodo estivo, “migrare” in località situate al mare o al lago, ma è soltanto un sogno.

EM: Tra poesia e prosa, cosa scegli e perché?

DC: Scelgo senza dubbio la poesia, ma non disdegno neppure la prosa. Ho scritto alcuni racconti brevi, pochi, per la verità, ma che mi hanno dato grandi soddisfazioni a livello di riconoscimenti nell’ambito di concorsi. La prosa richiede, però, tempi ed energie di cui attualmente, sono priva ma, in futuro, chissà, non si può mai dire.

EM: Hai un sogno nel cassetto?

DC: No, non ho un sogno nel cassetto, li conservo negli armadi perché sono moltissimi! Ogni tanto uno riesce a uscire fuori e allora sono rari momenti di straordinaria felicità!

EM: Come ti sei trovata con Rupe Mutevole Edizioni, perché l’hai scelta, la consiglieresti?

DC: Mi sono trovata molto bene a vari livelli.  Tu e Gioia Lomasti, i collaboratori coi quali ho avuto a che fare, siete persone straordinarie, dal punto di vista professionale e anche umano. La Casa Editrice ha pubblicato la raccolta proprio nella veste che io desideravo: attuale e di impatto visivo; cura molto i particolari, caratteristica che apprezzo particolarmente. Inoltre, ma non da ultimo, condivido pienamente le motivazioni di fondo del loro operato e la specifica attenzione alle problematiche sociali, che si traduce in forme di solidarietà.

EM: Grazie, svolgiamo il nostro lavoro con passione, anzi, io non riesco a considerarlo un lavoro, sarà perché siamo anche degli autori e la nostra casa editrice propone ai suoi autori di diventare anche collaboratori e curatori. Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?

Necessari no, ma importanti sì. È impossibile per un autore sapere a priori se una sua poesia toccherà o meno il cuore del lettore, a questo livello, ad esempio, i concorsi sono utili per capire dove l’obiettivo è stato centrato. Naturalmente essi non costituiscono l’unico parametro: esistono casi in cui poesie che non hanno ottenuto riconoscimenti ufficiali sono, invece, amate e ricordate da coloro che le hanno lette e, talvolta,  vale il viceversa.

EM: Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?

DC: Non sono nella posizione di dare consigli, ma in quella di riceverne. Ad ogni modo, penso che, prima di cimentarsi nella scrittura, sia bene diventare accaniti lettori e si debbano studiare le tecniche di scrittura.

EM: Qual è la tua opinione riguardo alla scrittura su commissione?

DC: Ci sono autori che riescono con facilità a scrivere su commissione; li ammiro molto in quanto hanno un dono di cui io sono del tutto priva. Le mie poesie nascono liberamente e mai in seguito a sollecitazioni di alcun tipo.

EM: Il grande poeta, scrittore e drammaturgo dell’ottocento francese, Victor Hugo, ha scritto che la poesia non appartiene al poeta: «Fino a che punto il canto appartiene alla voce e la poesia ai poeti? / La poesia non appartiene solo al poeta / perché non è lui a decidere il senso, / perché il poeta sa soltanto in parte, / ciò che la poesia finirà col dire»Sei d’accordo con questo assunto, se sì in che misura?

DC: Sì, sono pienamente d’accordo: la poesia assume, per ciascuno, significati anche differenti, talvolta, rispetto a quanto intendeva esprimere l’autore. Ho avuto prova di questo, leggendo i commenti alle mie poesie espressi su “Facebook” dai lettori: molti di essi hanno suggerito interpretazioni molto interessanti e assolutamente nuove per me, che ne ero l’autrice.

EM: Sì, è proprio vero, anche con le mie poesie ho avuto la stessa esperienza. Vuoi anticiparci qualcosa su una tua prossima pubblicazione o, su quello che stai scrivendo?

DC: La mia prima raccolta è stata pubblicata lo scorso novembre, quindi è prematuro parlarne. Un’idea l’avrei, ma non mi pronuncio, rimarrà un mistero, per ora…

A cura di Emanuele Marcuccio                                                   

6 gennaio 2012

QUESTA INTERVISTA VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DI EMANUELE MARCUCCIO.

Intervista a Mario Fiori a cura di Max Dakota

 Gioia Lomasti mi trasmette questa intervista al cantautore Mario Fiori “Suonatore Faber” fatta da Mak Dakota, permettendomi di pubblicarla e divulgarla:

-Quando hai scoperto di avere qualità artistiche?

Mah, in realtà sono gli altri ad attribuirmi tali qualità, diciamo che fin dalla prima adolescenza coltivai la passione di mettere parole in rima e poi giocare con esse. La grande svolta arrivò in seguito quando alle rime cominciai ad unire quei quattro accordi di chitarra come accompagnamento, quello fu il momento in cui realizzai che la canzone era la forma d’espressione che più mi si addiceva, per essere più pratici il mio primo brano fu scritto a dodici anni.

-C’è stato qualche motivo importante che ti ha mosso in questa direzione?


Sicuramente la voglia di dire, sono un inguaribile logorroico ed egocentrico, tutte qualità che servono a chi decide di intraprendere questa strada. Francesco Guccini in una sua canzone disse “…che sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio è uguale a morte”  quindi amo combattere l’ignoranza raccontando quel poco che so sul mondo e sulla vita non sono un professore anzi tutt’altro, sono dell’idea che un libro, un dipinto, una poesia o una canzone possano insegnare molto di più di un vecchio signore in camicia e cravatta seduto dietro una cattedra.
-Secondo te, che significato ha la musica?
La musica è il linguaggio più antico e universale del mondo, la musica è un filo di seta che unisce tutte le persone che in quel momento ascoltano quelle note, poi la musica sa accompagnare ogni nostro stato d’animo è camaleontica, cioè basta sposta una “terza ” di un semitono avanti o indietro per ottenere un accordo dalle sonorità allegre o totalmente tristi, la musica è come dicevo prima anche un grandissimo mezzo d’informazione tantissime sono le iniziative che hanno visto artisti musicali donare le proprie note per fini lodevoli, io non credo che la musica possa cambiare questo mondo, credo piuttosto che la musica possa smuovere le coscienze di chi può cambiarlo. Poi in termini molto più personali ed egoistici posso semplicemente dire che per me la musica è la mia vita.
-Immaginando di descrivere la tua arte in parole semplici, comprensibili a tutti, come la definiresti?

Amichevole, Familiare…
Quando ho tempo, minimo due volte al giorno prendo la chitarra e suono… canzoni mie cover… suono di tutto perché ne sento il bisogno,così come sento il bisogno di mettermi le cuffie e ascoltare musica minimo 5 volte al giorno. Fino ad ora il mio pubblico è composto da amici genitori e il mio gatto ma se un giorno avrò il piacere di vedere molti più visi davanti a me il mio rapporto con loro non cambierebbe, alla fine solo qua semplicemente a raccontare storie, con un ipotetico camino acceso e del buon vino rosso.
-Qualcuno pensa che fare il mestiere di artista sia una strada da “fannulloni”che non porta a nulla, secondo te?
Di fannulloni nel nostro paese ce ne sono tanti,il problema è che prendono migliaia di euro al mese per dormire in comode poltrone nei palazzi del centro di Roma. A parte gli scherzi, la vita di un artista non è semplice, sei spesso lontano da casa e dai tuoi cari ma alla fine questo passa quasi in secondo piano se comunque c’è la passione.  Ogni tanto penso che un poeta un cantautore ecc vendono parole e nulla più, quindi mi sembrerebbe quasi di rubare, ma poi ripenso a tutte le volte che le frasi alcuni grandissimi artisti mi hanno dato la forza di uscire da momenti neri e li capisco che i soldi per l’arte son soldi benedetti.
-Le conoscenze in questo campo sono indispensabili per emergere? 

Purtroppo si, la meritocrazia in questo paese ormai è svanita. Io sono nato nel 1990 quindi tardi, ma negli anni 70 a Roma c’èra il folk studio dal quale poi sono usciti artisti del calibro di Venditti De Gregori, Rino Gaetano ecc. Il folk studio riservava uno o due giorni a settimana all’ascolto dei nuovi artisti cosa che oggi non avviene più. Il problema è dovuto anche ai tantissimi “talent show” che spopolano in giro, prima il cantante cantautore ecc non era quasi considerato un mestiere serio, quindi solamente chi lo sentiva dentro provava a farlo. Oggi ci provano tutti quelli che vogliono avere visibilità, a loro non importa se le canzoni vengono scritte da altri o addirittura se cantano in playback. Purtroppo qui non si parla quasi più di arte ma di mercato. C’è tantissima offerta e la domanda è solo di un certo tipo e di conseguenza chi ha grandi qualità ma poca commerciabilità viene tagliato fuori. Mentre chi ha il simbolo del dollaro al posto delle pupille tramite conoscenze va a fare un mestiere che non è il suo, rubando all’artista il posto di lavoro.
-E’ cambiato qualcosa nel tuo mondo, interiormente?
E’ cambiato moltissimo, sono successe molte cose in questi mesi che mi hanno trattenuto nel fondo di un mare nero come il petrolio. Vivo una situazione molto difficile, la mia malattia, quella dei miei,il fatto di rischiare la casa, ma la botta più brutta che ho avuto è stata la morte di nonna. Ho vissuto con le per 18 anni circa, ed è stata la persona che sempre e comunque ha creduto in me. Sono diventato un po’ più forte forse, ma ho anche capito di quanto possa fare schifo a volte quella bestia che chiamiamo uomo… ho provato sulla mia pelle la pura cattiveria di un signore di 60 anni che si divertiva a farmi star male… è stata una cosa terrificante… li ho capito di quanto possano far schifo alcune persone.
-Che genere di pubblico ti segue?
Un pubblico di amici. Un pubblico che comunque si rispecchia nelle mie idee e nelle mie rime che con me sorride e piange, spero con le mie canzoni di esser “la voce di nessuno” ovvero di tutte quelle persone che non hanno la forza di urlare e farsi sentire, una sola cosa è certa, non sto con il più forte, sto con chi soffre con chi piange con chi però nonostante i momenti brutti sa imbracciare una chitarra e lasciarsi andare ad una canzone per citare Faber potrei dire che sto con tutta la gente che viaggia “In direzione Ostinata e Contraria”.
-Hai un esempio artistico che apprezzi maggiormente?
Assolutamente si. Ognuno di noi ha dei genitori, ovvero coloro che tramite rapporto sessuale lo hanno messo al mondo ma essere genitori non equivale a essere padri e madri. Io dico sempre che i miei genitori mi hanno dato la bicicletta, ma non mi hanno mai detto ne come pedalare ne che strada seguire, ecco per queste indicazioni ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada tre persone in particolare, Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber e Francesco Guccini. Tre persone simili ma allo stesso tempo differenti. Tre poeti che con le loro parole fuori dal tempo sono riusciti a darmi tanto. Io non ringrazio loro tre per avermi fatto diventare il cantautore che sono oggi li ringrazio invece per aver creato il carattere dell’uomo che sono.
-Faresti della tua arte una professione?
E’ il mio sogno. Come detto prima io amo stare su un palco, amo parlare, ma in questa vita oltre gli ideali ci vuole il pane. Vorrei davvero farlo per mestiere perché credo sia il mestiere più bello del mondo. Non voglio far successo, o meglio voglio fare il mio di successo. Vorrei poter guadagnare quel che mi basta per crearmi una famiglia, e far star bene anche la mia. Comprarmi una casa che sia tutta mia, se un giorno sarò riuscito a raggiungere questi obiettivi potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.
-Qual è la migliore qualità in un artista?
Sicuramente L’umiltà. L’artista deve essere umile e non sentirsi mai superiore a colui che osserva la propria arte. Non deve mai sentirsi arrivato,deve sempre cercare un punto più alto deve saper ascoltare, perché spesso il pubblico ha richieste che vanno soddisfatte, ma credo che un artista per definirsi tale debba saper sognare, poi lo dite a me che sono un anarchico… io sono 21 anni che sogno un mondo migliore.
Ti ringrazio Mario per questa intervista.
A cura di Max Dakota
Editing Gioia Lomasti

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI E NIENTE PUO ESSERE COPIATO E RIPORTATO IN ALTRE FONTI SENZA L’AUTORIZZAZIONE DA PARTE DEGLI AUTORI.
PROMOZIONE ARTISTI PROGETTO A CURA DIVETRINADELLEEMOZIONI.COM
profilo facebook :suonatore faber
Pagina facebook artista gruppo musicale : Mario Fiori
Canale youtube : cantautoremario

Intervista a Gianni Mauro, a cura di Emanuele Marcuccio

Intervista Gianni Mauro

a cura del Direttore Editoriale Emanuele Marcuccio

EM: Innanzitutto, io, tutto lo staff di Vetrina delle Emozioni e soprattutto la nostra cara presidente, Gioia Lomasti, ti ringraziamo per aver accettato di rilasciare questa intervista, in esclusiva per il nostro blog. Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere, quando hai scritto la tua prima poesia?

GM: Ho iniziato da ragazzo. Erano dei semplici esperimenti di come utilizzare le parole per dare immagini. Arthur Rimbaud diceva: «Le vocali sono colori, ed io disegnavo con le parole».

EM: Cos’è per te la poesia, cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?

GM: La poesia è musica. E l’elemento fondamentale della poesia è appunto il ritmo e la musicalità.

EM: Cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?

GM: Non deve mai mancare l’anima. 

EM: Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare? Utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna delle due e perché?

GM: Utilizzo entrambe le forme per fare versi. Ma ritorno al discorso di prima, ci vuole emozione, musicalità, armonia.

EM: Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?

GM: Da un minuto ad un anno. 

EM: Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia? E perché uno scrittore sceglie di scrivere poesie?

GM: Diceva William Faulkner che la poesia è la forma più elevata, ma nel contempo più complicata per esprimere sensazioni, emozioni. Condensare in pochi o parecchi versi il senso della vita è difficilissimo. Il romanzo lascia più possibilità di dire e forse di farsi capire. Il pubblico non vuole sforzarsi molto ad approfondire per capire. La poesia ti costringe a fare sforzi interpretativi non semplici. Uno scrittore non scrive poesie, ci prova! Il che è completamente diverso. Scrivere una poesia non vuol dire mettere insieme delle parole. Vuol dire mettere su un foglio con forza e autenticità la disperazione o l’allegra nostalgia della propria anima.

EM: Preferisci scrivere a penna o al PC?

GM: Io da sempre scrivo tutto prima a penna e poi man mano trasferisco sul computer.

EM: Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività artistica e letteraria?

GM: Ho un background spaventoso di collaborazioni e confronti con i massimi artisti italiani, sia a livello teatrale che musicale. Ho fatto con loro (Rascel, Bramieri, Gabriella Ferri, Oreste Lionello, Pippo Franco, Gigi Proietti, Detto Mariano, Franco Migliacci, Piero Pintucci, Dino Verde e tanti altri) palestre estreme ed avendo già innato in me il senso dell’arte, mi hanno dato il valore aggiunto. Per quanto riguarda la letteratura, io sono un lettore attentissimo da circa 40 anni. A 16 anni leggevo Pirandello, Kafka, Pavese, Sartre. Leggo tutti i giorni almeno ottanta pagine. Vado da Schopenhauer a Faulkner, da Dino Campana a Gaudapada, da Dostoevskij ad Esenin.

EM: Come nasce in te l’ispirazione? Come organizzi il tuo scrivere, ci sono delle fasi?

GM: Chiesero a Pirandello come avesse fatto a scrivere tanti straordinari capolavori. Il maestro rispose: «Io? I capolavori? Non ne so nulla. Io mi siedo alla scrivania, e mi limito ad appoggiare la penna su un foglio bianco, poi mi estraneo».

EM: Sei autore di due raccolte di poesie, ce ne vuoi parlare?

GM: Sono dei Divertissement. Io in realtà sono da trenta anni un autore di canzoni malinconiche od ironiche. Collaboro spesso come autore con Proietti, Arbore e tanti altri. Avevo nel cassetto tante cose scritte e mi hanno proposto di pubblicarle. Erano tante emozioni in versi. Le case editrici sanno che sono ritenuto un bravo autore e quindi sono contenti di mostrare una faccia più o meno inedita di me.

EM: Cosa ti ha spinto la prima volta a voler pubblicare?

GM: Lavoro con la discografia e quindi con gli editori discografici da una vita. Ho venduto milioni di canzoni nel mondo. Ho scritto e scrivo per il teatro. Mi hanno proposto di pubblicare romanzi, poesie, saggi. L’idea mi divertiva e l’ho fatto. Tutto qui.

EM: Ci parli della tua nascita come artista? Com’è iniziata la tua carriera di cantautore e attore teatrale?

Negli anni settanta studiavo Giurisprudenza a Napoli e mi dilettavo a suonare la chitarra e ad eseguire cover di De André, Guccini, Claudio Lolli. A volte scrivevo io delle canzoni, ma senza nessun tipo di velleità. Lo facevo per dire qualcosa di malinconico o di dissacrante sul momento storico che stavo vivendo, sui miei amori o non-amori e così via. Un giorno per caso conobbi un mio coetaneo di una ventina di anni, come me, che aveva suonato (era un musicista) e suonava come turnista (il turnista è un musicista che suona in sala discografica) alla R.C.A. di Roma (all’epoca la major della discografia mondiale, in America aveva Elvis Presley, Paul Anka e tanti altri grandissimi; in Italia aveva Battisti, Cocciante, Patty Pravo, Mia Martini e, i debuttanti, all’epoca, De Gregori, Rino Gaetano, Venditti, Baglioni e tanti altri). Ascoltò i miei brani, mi chiese una cassettina e la portò ad ascoltare ad alcuni dirigenti ed editori della R.C.A. Tempo due mesi (era il 1975), fui contattato dalla R.C.A. che mi fece firmare un contratto in esclusiva come autore e cantautore. L’anno dopo uscì Il 45 giri Lunedì. Gabriella Ferri se ne innamorò e lo inserì in un suo LP. E così iniziò il mio percorso di autore, che mi porta oggi ad aver scritto e pubblicato in Italia e nel mondo tantissime canzoni, e ad essere uno degli autori di Proietti. Il lavoro di attore teatrale iniziò in quegli anni. Fu notata la mia forte presenza di palco, la gestualità, la mimica e, nel 1978 lavorai con Proietti, poi con Rascel, poi con Bramieri, Pippo Franco, Oreste Lionello e tanti altri. Oggi continuo a farlo, con divertimento, anche se per poco tempo, perché le mie priorità sono il lavoro di autore e di scrittore e innanzi a tutto, la lettura, lo studio e la ricerca.

EM: Per il nostro blog è un grande onore che tu abbia accettato, con tutti gli impegni che avrai, di rilasciarmi questa intervista, a me che non sono un giornalista e, capirai, quasi non mi sembra vero! Ci parli del tuo sodalizio artistico col grande e compianto Rino Gaetano?

GM: Emanuele caro, è per me un grande piacere ed  un onore aver potuto parlarti di frammenti della mia vita, dei miei pensieri,dei miei vissuti, dei miei presenti, dei miei futuri progetti. Sei un bravissimo poeta ed un uomo squisito, intelligente, colto, attento. Ed io ho sempre amato comunicare con le belle menti, ormai, purtroppo, rarissime. Parlerò brevemente di Rino, perché ricordarlo è comunque il riaprire un’antica ferita, difficile da rimarginare. Il 2 Giugno di quest’anno la sorella Anna ed il nipote Alessandro mi hanno invitato a portare una mia testimonianza in occasione dei trenta anni dalla scomparsa di questo caro amico, giovane artista riservato e sensibile. È stato fatto un evento a Piazza Sempione(zona Montesacro) a Roma, a pochi metri da dove avvenne la terribile tragedia. C’erano parecchi artisti italiani. È stato molto toccante l’incontro con Claudio Santamaria (Il bravissimo attore che interpretava Rino, nel film televisivo). Per me perché è stato un po’ come rivedere Rino da ragazzo, per Claudio, perché ha incontrato me e cioè un amico reale e collega di Rino, che oltretutto è rimasto nella storia della musica anche per aver cantato con Rino la canzone Gianna nel ‘78 al Festival di Sanremo, nel coretto demenziale: “Ma dove vai vieni qua…il dottore non c’e’ mai…”. Con Rino siamo stati amici e colleghi alla R.C.A. italiana per anni. Stavamo spesso insieme. Conoscevo bene anche la dolce Amelia che sarebbe dovuta diventare la moglie. Quando convinsero Rino a partecipare a Sanremo(non era granché d’accordo), lui impose alla R.C.A. di portare un minigruppo di amici  sul palco a cantare con lui. E così scelse me, che ero molto vicino a lui per empatie di anima e di arte, Angelo perché ricordava un po’ Ninetto Davoli e due belle ragazze, Angela e Monica. Rino era un ragazzo straordinario, gentile, generoso ed un geniale artista. Rino vivrà per sempre grazie alla sua estrema sensibilità artistica ed umana.

EM: Caro Gianni, sono commosso, l’onore è anche mio ed è un grande piacere anche per me, commosso dalle tue parole e da questo ricordo del grande e indimenticabile Rino! Tra tutte le poesie che hai scritto finora ce n’è una che ti è più cara o che ritieni più significativa?

GM: Io sono un uomo di grande solidarietà, un uomo di compassione (com-patire o meglio patire con, che vuol dire appunto essere presente nella sofferenza, nel dolore, vicino agli emarginati, agli umili, ai violati e violentati dall’esistere). La poesia che mi è molto cara è questa:

Le carezze

Amica mia,

se le mie carezze

riuscissero a lenire

le tue pene,

anche quelle dell’anima,

io carezzerei

il tuo viso delicato

fino a farmi sanguinare

le mie stupide mani.

E se ogni lacrima

del mio sangue

divenisse per te

linfa vitale

io continuerei

a carezzarti

fino a stracciarmele,

a dilaniarmele…

E se pure ne morissi,

morrei contento,

perché avrei comunque

trasfuso in te

un miracolo di resurrezione.

 

EM: Sei autore di una raccolta di racconti, ce ne vuoi parlare?

GM: Sono affascinato dal futurismo, dalla scrittura evocativa, dal simbolismo dal surreale. Ho raccolto ciò in Storie Disordinate di Straordinaria Ordinarietà.

EM: Ci parli del tuo romanzo Vite diverse?

GM: Vite Diverse è nato da una riflessione sul vuoto, come lo concepiva Kerouac e prima di lui Schopenhauer e molti altri filosofi. In realtà il vuoto è quel momento sublime, in cui rendendo la tua mente libera da sovrastrutture (tabula rasa), riesci a far entrare nell’anima, nel cuore il pieno riuscendo così a cogliere l’essenza del vivere.  

EM: A marzo 2011 hai presentato il tuo secondo romanzo Meno di niente Emilia alla storica Saletta rossa della Libreria Guida di Port’Alba a Napoli, sin dagli anni sessanta storico ritrovo di molti poeti e scrittori famosi, come Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia, Umberto Eco, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, autori stranieri come Kerouac, Ginsberg, Klossowski. Ci parli di questo romanzo e di questa importante esperienza?

GM: Meno di niente Emilia è un romanzo sul disagio dell’esistere. Dalla sceneggiatura, che sto finendo di scrivere, verrà tratto un film. La Storia è incentrata sull’enigmatica Emilia. A chi mi chiede (giornalisti, critici) “Chi è Emilia?” io dico di ricordare la scena finale del Così è se vi pare di Pirandello. Quando si chiede alla Signora Ponza: “Ma lei in realtà chi è?”, la Signora risponde, “Per me nessuna, nessuna! Per gli altri, quello che credono che io sia!”. Ebbi occasione di farlo leggere a Mary Attento, editore da anni della storica casa editrice Guida. Ne fu entusiasta e mi propose di pubblicarlo, appunto, con Guida. Ne fui molto lieto perché Guida è un editore famoso, in Italia e nel mondo, anche perché ha pubblicato letterati o drammaturghi del livello di Salvatore Di Giacomo, Eduardo De Filippo, Raffaele Viviani. Anche il mio prossimo romanzo sarà pubblicato da Guida. Alfredo Guida è il capostipite di questa importante casa editrice. A lui va inoltre il merito di essersi inventato, negli anni cinquanta, il più importante salotto letterario internazionale: La saletta rossa. Qui si incontravano Hemingway, Kerouac, Moravia, Ungaretti e tanti altri. Quando ho presentato il libro lì ero felice, ma molto inquieto ed emozionato. È stata una meravigliosa esperienza, che fra non molto ripeterò.

EM: Sei autore di testi teatrali, ce ne vuoi parlare?

GM: Ho scritto molti testi teatrali, soprattutto per I Pandemonium. In genere sono testi recitati e cantati. Quello di maggior successo è stato la parodia di Notre Dame de Paris di Cocciante. Il mio titolo in parodia è Il gobbo delle nostre dame.

EM: Quali sono i tuoi poeti e i tuoi scrittori preferiti?

GM: La lista sarebbe lunghissima. Escludo gli autori italiani viventi, non mi interessano, per i poeti il discorso è uguale. Sono molto attento e selettivo. Di quelli che amo dico qualche nome: Baudelaire, Rimbaud, Sandro Penna, Puskin, Majakovskij, Montale, Merini, Ungaretti. Per gli scrittori: Henry James, Jane Austin, Faulkner, Kerouac, Böll, Camus, Sandor Marai, Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj.

EM: E qual è la tua poesia preferita?

GM: Un viaggio a Citera, di Charles Baudelaire:

Come un uccello, gioioso, volteggiava il mio cuore, /

planando liberamente attorno al cordame; /

sotto un cielo limpido la nave scivolava, /

simile a un angelo inebriato da un sole radioso. /

Che isola è mai quella, così nera e triste? È Citera, /

qualcuno risponde, terra famosa nelle canzoni, /

banale Eldorado dei vecchi diversi. /

Ma guardata dappresso, è una ben povera terra. /

– Isola dei dolci segreti e delle feste del cuore! /

Dell’antica Venere il superbo fantasma /

si libra sui tuoi mari come un aroma, /

riempiendo gli animi d’amore e di languore. /

Bella isola di verdi mirti, ricca di fiori schiusi, /

venerata in eterno da tutte le nazioni, /

e in cui i sospiri dei cuori adoranti /

errano come l’incenso su un roseto /

O come il tubare infinito del colombo! /

– Citera non era più che una magra terra, /

un deserto roccioso turbato da stridule grida. /

Ma vi scorgevo un oggetto singolare! /

Oh, non un tempio dalle ombre silvestri, /

dove la giovane sacerdotessa, innamorata dei fiori, /

andava, il corpo bruciato da segreti ardori, /

dischiudendo la tunica alle brezze fuggitive… /

Ma ecco che, rasentando da vicino la costa, /

così da intimorire gli uccelli con le nostre bianche vele, /

ci apparve una forca a tre bracci, /

nera contro il cielo come un cipresso. /

Appollaiati sulla loro pastura feroci uccelli /

distruggevano rabbiosamente un impiccato, già sfatto: /

ciascuno piantando, come un attrezzo, il becco impuro /

in ogni angolo sanguinante di quel marciume, /

gli occhi due buchi, e dal ventre sfondato /

i grevi intestini colavano lungo le cosce; /

quei carnefici, satolli di orribili delizie, /

l’avevano, a colpi di becco, castrato completamente. /

Ai piedi, un branco di invidiosi quadrupedi, /

muso alzato, giravano e rigiravano: /

in mezzo s’agitava una bestia più grande, /

come un boia circondato dai suoi aiutanti. /

Abitatore di Citera, figlio d’un cielo così bello, /

in silenzio sopportavi tutti questi oltraggi /

in espiazione degli infami culti /

e dei peccati che t’hanno negato una tomba. /

Grottesco impiccato, i tuoi sono anche i miei dolori! /

Alla vista delle tue membra penzolanti sentivo, /

come un vomito, risalire ai miei denti /

il lungo fiume di fiele degli antichi dolori; /

Dinanzi a te, povero cristo così caro al ricordo, /

ho provato tutti i becchi e tutte le mascelle /

dei corvi lancinanti e delle nere pantere /

che un tempo amavano triturare la mia carne. /

– Il cielo era incantevole, il mare calmo; /

ma per me tutto era tenebre e sangue, ormai, /

e avevo, ahimè! come in uno spesso sudario /

il cuore sepolto in questa allegoria. /

Nella tua isola, o Venere! non ho trovato che una forca /

da cui pendeva la mia immagine… /
– Ah! Signore, dammi la forza e il coraggio /

di contemplare senza disgusto il mio corpo e il mio cuore! /

 

EM: Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?

GM: Guerra e Pace di Tolstoj.

EM: C’è un genere di libri che non leggeresti mai e perché?

GM: I libri fantasy e quelli di Liala e consimili.

EM: Nella tua vita ti è mai capitato qualcosa che ha rischiato di allontanarti dalla poesia o, che ti ha allontanato per un periodo dalla poesia o dalla scrittura in genere?

GM: Non potrebbe capitarmi. Vivo di poesia e scrittura e per la poesia e la scrittura. È la priorità della mia esistenza. Vivo per questo ed il resto è tutto molto secondario.

 EM: Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?

GM: Io sono nato a Salerno, ma sono andato via più di trent’anni fa e mi sono trasferito a Roma. In realtà ho vissuto più a Roma che a Salerno. Di Salerno ho lontani ricordi. Roma è un meraviglioso presente.

EM: Tra poesia e narrativa, cosa scegli e perché?

GM: Amo entrambi i tipi di scrittura. Non scelgo nulla. Evito ciò che non mi emoziona.

EM: Hai un sogno nel cassetto?

GM: Fra due o tre anni andrò a vivere in Thailandia. Devo capire perché Gauguin l’ha amata tantissimo.

EM: Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano?

GM: Fanno operazioni squallide, puntando su Barzellette dei calciatori, o sul tale personaggio del Grande Fratello e similari. E la cultura?

EM: Già, cosa pensi dell’attuale panorama culturale italiano?

GM: Idem.

EM: Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?

GM: Sono avvilenti operazioni di marketing, in cui si sa già chi ha vinto.

EM: Lo scorso agosto ho letto un articolo di Cesare Segre sul Corriere della Sera, riguardo all’irresistibile declino della critica letteraria agli autori contemporanei, con la conseguente perdita di prestigio della letteratura. Cosa pensi a riguardo, è davvero in declino la critica letteraria?

GM: I critici non sono più obiettivi, scrivono bene per chi paga di più.

EM: Quanto è importante per te il confronto con altri autori?

GM: Tantissimo. È un do ut des.

EM: Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?

GM: Voglio dire che scrivere non è un gioco e se non si ha un background culturale fortissimo è inutile tentare di mettersi in gioco.

EM: Cosa pensi delle scuole di scrittura?

GM: Niente!

EM: E qual è la tua opinione riguardo alla scrittura su commissione?

GM: Pessima!

EM: Vuoi anticiparci qualcosa su quello che stai scrivendo, prossime pubblicazioni?

GM: Nel 2013 con Guida Editore uscirà un nuovo romanzo sul disagio dell’esistere: La quadratura del cerchio.

EM: Grazie infinite per la tua disponibilità e tanti auguri per le tue prossime pubblicazioni e per la tua strabiliante carriera!

 

 A cura di Emanuele Marcuccio                                                  

Intervista a Gioia Lomasti

Intervista a Gioia Lomasti

Autrice di Dolce al soffio di De André


a cura di Lorenzo Spurio

LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua opera?

GL: L’Opera Dolce al Soffio di De Andrè è un accorato omaggio al “cantautorpoeta” Fabrizio De Andrè. Ne ho riscritto i brani di Ostinata e Contraria con emozione reinterpretandole in poesia e carpendo l’essenza all’ascolto di un Viaggio rendendolo mio.

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro?

GL: Nei miei testi c’e’ tanto di me, c’e’ il mio mondo che si riflette e si confronta con le immagini e le parole di un uomo, che più di ogni altra persona, forse fatta eccezione per i miei cari, ha cesellato la mia poetica.

LS: Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

GL: E’ vero, la letteratura in generale si e’ sempre prefissata questo scopo e cioè di trasmettere i propri stati emotivi, ma prediligo la poesia in quanto e’ quel ramo della letteratura che maggiormente riesce in questo arduo compito anche perché a differenza della narrativa e’ ermetica e chiusa in se stessa come fondamentalmente lo e’ l’anima umana.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti?

GL: Tutti coloro che mi fanno respirare emozione me compresa.

LS: Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

GL: I generi letterari che più mi affascinano sono la poesia specialmente di autori emergenti, in quanto io stessa mi ritengo tale, c’è gente che merita menzione e che spesso resta in ombra, l’ arte poetica per quanto definita argomento di nicchia la possiamo trovare nelle canzoni e resta quel respiro di espressione che amo maggiormente, non seguo le tendenze ma do valore ad un genere che a parer mio lascia un segno tangibile ai cuori di chi sa ascoltarne la sua essenza.

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

GL: Passaggio. E’ il primo libro che ho scritto, un frammento di me e dedica d’amore in ricordo dei miei nonni. Parte della mia vita avvolta ad un cuore di carta chiamato poesia.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

GL: La mia poetica non e’ costruita sullo stile di qualcuno o qualcosa ma su una forza che e’ parte di me, o comunque mi accompagna sin dalla giovane età e che porta il mio nome, gli autori che amo di più sono gli amici che con me hanno portato avanti le loro pubblicazioni.

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura?

GL: Il mio riaffiorare dopo un periodo di stasi di molti anni, pregiudicando l’assenza dell’ascolto e della mia percezione interiore, è riemerso con  3 pubblicazioni. Fu allora che grazie ai miei sogni conobbi persone d’oro che diedero slancio alle mie idee con il piacere di coordinare collane di varie entità editoriali, nate in pochi anni e cresciute grazie al supporto degli stessi, ma soprattutto alla grande vitalità degli autori, gli uni a rispetto degli altri, collocandomi sempre come autrice quale io sono per i contesti che ci accomunano.

LS: Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

GL: Un gioco complicato che può anche avere lati positivi e testi davvero meravigliosi, ma resto sul singolo autore che non costruisce, ma percepisce e imprime su carta le proprie emozioni.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

GL: Sicuramente agli amanti di Fabrizio, ma penso sia alla portata di tutti, anche chi solitamente non legge poesia.

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana?

GL: A parer mio un contratto  editoriale deve soprattutto dare promozione e distribuzione, anche se nel novanta percento dei casi resta premessa e non la promessa di ciò che l’autore si reputa. Comunque la maggior parte degli scrittori non considerano che un contratto di edizione non e’ fonte di promozione, ma sarebbe buona norma farlo. La distribuzione e’ sicuramente una buona manna per la promozione dell’autore. Anche presentazioni curate e realizzate dagli editori  in strutture come librerie, quantificano la promozione. Stampare poche copie non da modo ne di distribuire, ne di supportare l’autore. Molto spesso gli stessi scrittori nemmeno sanno chi distribuisce, ne se realmente sono distribuiti, e ne tantomeno indirizzare acquirenti agli acquisti perché quel libro non lo reperiranno mai, questa e’ la cosa più triste che molte volte non dipende neanche dagli editori ma dal libraio che consente di proporre certi articoli più che altri in quanto poco reperibili se non addirittura sconosciuti. Accade spesso, che per il supporto non sempre fornito, l’autore è costretto ad agire da solo con tutti i pro e contro del caso. Molto spesso l’autore e’ lasciato a se stesso, con la realtà di sentirsi preso in giro. L’editore altresì deve muoversi per troppi autori, e questo non semplifica il suo compito.

LS: Come ti sei trovato/a con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

GL: Con un sogno in più nel cuore. Ciò che penso e’ che il lavoro va fatto assieme all’editore trovando un punto d’incontro che possa dare sia agli uni che agli altri manforte nella stesura di un lavoro conciliante. Abbastanza bene quindi, premettendo sempre che forse un folto pubblico di lettori predilige la lettura di un romanzo che e’ sicuramente più interpretabile rispetto alla poetica che molto spesso è maschera di noi stessi ed artefice di viaggi emozionali solo per coloro che sanno realmente interpretarne l’ascolto. Limitandomi a questo non ho alcuna pretesa in merito al mio manoscritto se non quella di proseguire in ciò che mi sono prefissata e cioè in una raccolta fondi a scopo benefico, che già e’ stata assolta con i ricavati precedentemente raccolti nell’anno 2010.

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

GL: Sicuramente per i concorsi e’ un canale in più di promozione per l’autore che emerge, ma da valutare sempre molto bene almeno per quanto riguarda me e i miei autori, ho anche partecipato a corsi di scrittura creativa, direi interessanti ma non essenziali.

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

GL: Fondamentale.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

GL: Poiché noi tutti siamo immersi nell’universo e recepiamo il “TUTTO” dal “TUTTO”, accade anche che chi scrive lo fa avendo alle spalle un bagaglio culturale e di sensibilità…il processo di scrittura può essere inteso in senso involutivo ed evolutivo. Involutivo perché ripercorre i vissuti le emozioni, i sentimenti, la poetica tutta dello scrittore che se ne serve, riproponendo tematiche del passato ma pur sempre attuali. Evolutivo perché anticipa avvenimenti e situazioni future una proiezione insomma dei contenuti emotivi e cognitivi dello scrittore stesso una elaborazione di tematiche antiche alla luce del nuovo
è l’occhio umano che dopo aver visto ritrova e rielabora probabilmente tra il primo momento ed il secondo non ci sarà mai un interruzione.

LS: Hai in cantiere nuovi lavori e progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?

GL: In meno di tre anni sono riuscita assieme ai miei collaboratori a dar vita a trentacinque opere come direttore di collana con grandi apprezzamenti da parte dei nostri lettori, dalla rassegna stampa e da presenze di un certo calibro. Con lo staff Vetrina delle emozioni portiamo avanti questo impegno con supporto giornalistico e di promozione, ed anche attraverso il sito poesiaevita.com (dove è possibile trovare le pubblicazioni al seguente indirizzo http://www.poesiaevita.com/poesiaevita.php) che ormai da tempo è un luogo di incontro e di collaborazione con tutti gli autori, non solo della collana stessa, permettendo di visualizzare tutte le informazioni: la rassegna stampa dedicata agli autori, affiliazione a portali di scrittura e musica, anche per il progetto Almax nella sezione cantapoeti e cantartisti (www.progettoalmax.it), ed un laboratorio creativo ideato e curato da me come volontaria su Radio Sonora web in Poesia e Vita con la sezione Una Goccia Di Splendore implementata nelle puntate e dedicata a  Fabrizio De Andrè (http://www.poesiaevita.com/radio_sonora.php) in virtù di una sintonia fra arte, musica e parole che ci accomuna e di grande interesse ed ascolto non solo ad un pubblico mirato in quanto è varia e da modo a tutti gli autori e cantautori che vogliono prenderne parte di avere visibilità anche tramite questo spazio. Per il futuro e’ sicuramente mia premura portare avanti ciò che poi si sta’ facendo tutt’ora, darci manforte gli uni a riguardo degli altri, grazie alla visibilità comune, partiranno sezioni e diverse collaborazioni editoriali, giornalistiche e portali web autogestiti per arte e scrittura. E’ forse abbastanza semplice creare gruppi nei quali di tanto in tanto ci si affaccia per dire ci siamo, ma più difficile sicuramente esserci sempre, questa sono io nel possibile e i ragazzi che con me collaborano, quella goccia di splendore difficile da trovare, ma noi <<Ci siamo>>.

 Ti ringrazio per avermi concesso questa intervista che verrà pubblicata sul mio spazio blog, Blogletteratura e Cultura, sulle riviste on-line Parliamone, Segreti di Pulcinella e Euterpe con tempi e modalità che le verranno in seguito fornite.

A CURA DI Lorenzo Spurio

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA PUBBLICAZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERA INTERVISTA SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE. 

“Dolce al soffio di De André” di Gioia Lomasti

Dolce al soffio di De André   di GIOIA LOMASTI

Rupe Mutevole Edizioni, 2009, pp. 143

ISBN: 9788896418321

Recensione di LORENZO SPURIO

Il libro della Lomasti non è solamente una silloge di poesia arricchita da una grande ispirazione cantautoriale, è molto di più. E’ un mosaico di frammenti tessuti assieme, è un riuscitissimo esperimento letterario che coniuga la parola alla nota, la poesia con la musica. Perché, come si evidenzia già dal titolo, la raccolta è fortemente influenzata, anzi addirittura ispirata da un grande della musica italiana, un cantautore la cui fama, come spesso succede per uomini pubblici troppo lungimiranti o fastidiosi, viene riconosciuta solo dopo la morte. Il cantautore è il genovese Fabrizio De André, voce di temi sociali, ingiustizie, guerre. E’ curioso come molti dei titoli delle liriche della Lomasti non siano altro che i titoli di alcune canzoni dell’anarchico cantautore (Cantico dei drogati, Ballata degli impiccati, Bocca di rosa, La guerra di Piero, Preghiera in gennaio,…). Come nelle canzoni del grande Faber, nelle poesie della Lomasti si respira un’atmosfera di malinconia e di velata tristezza associata però a una grande consapevolezza di se stessi e di ciò che ci circonda e a una grande voglia di dire le cose come stanno, senza tanti fronzoli. La mia lettura e analisi delle poesie della Lomasti però ha il difetto di non poter essere troppo approfondita e accurata, come spesso mi piace fare, proprio per la mia scarsa conoscenza del grande cantante, delle sue canzoni e dei suoi temi. Ciò che colpisce dell’intera silloge non è solo come la Lomasti riesca ad omaggiare Faber di un preziosissimo tributo ma a coniugare arti diverse, la poesia e la canzone. Molti testi di canzoni, se ci prendessimo la briga di sviscerarli dalle colonne sonore, dagli arrangiamenti musicali, spesso non sono altro che delle poesie, dei componimenti condensati, allegorici e altamente evocativi, altre volte criptici, chiusi e di difficile comprensione. Ma è vero anche il contrario. La poesia potrebbe essere accompagnata da una melodia più o meno cadenzata, da un arpeggio o qualcosa del genere e gli effetti delle due arti non striderebbero ma creerebbero un connubio sorprendente. E’ ciò che accade con le liriche della Lomasti che scivolano via veloci nella lettura, sfuggenti, come un andamento musicale di alti e bassi mentre altre ondeggiano lievemente, sono più morbide e si adagiano su musiche lente e dall’andamento pressoché uniforme. Le poesie della Lomasti ci fanno danzare, correre, ondulare, muoverci a ritmo. Al termine di ogni lirica si cambia musica, così come Faber cambiava arpeggio a conclusione di ogni canzone.

 Recensione a cura di Lorenzo Spurio

29 Agosto 2011

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONI DI STRALCI O DELL’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE

“Palazzo”, poesia di Tomas Gösta Tranströmer, premio Nobel per la Letteratura 2011

“Palazzo” di Tomas Gösta Tranströmer

a cura di Emanuele Marcuccio, Direttore Editoriale di Vetrina delle Emozioni

 

In omaggio al grande poeta svedese Tomas Gösta Tranströmer (nato a Stoccolma nel 1931), insignito lo scorso 6 ottobre del premio Nobel per la letteratura, il più prestigioso riconoscimento letterario mondiale, presento alla vostra lettura la sua “Palazzo”, nella traduzione italiana di Franco Buffoni, poeta, scrittore, traduttore e professore ordinario di Critica Letteraria e Letterature Comparate presso l’Università degli studi di Cassino.

Io, tutto lo staff di Vetrina delle Emozioni e, soprattutto la nostra cara presidente Gioia Lomasti, ringraziano il prof. Buffoni per la gentile concessione.

 

PALAZZO

(di Tomas Gösta Tranströmer,

Nobel per la letteratura 2011)

Entrammo. Un’unica enorme sala,

Silenziosa e vuota, dal pavimento

Come ghiaccio per pattinare. Abbandonato.

Tutte le porte chiuse. L’aria grigia.


Alle pareti dai quadri si affollavano

Immagini senza vita: scudi,

Bilance, pesci e figure di combattenti

In un mondo sordomuto sull’altro lato.


Una scultura era esposta nel vuoto:

Da solo in mezzo alla sala un cavallo.

Dapprima non lo notammo

Presi da tutto quel vuoto.


Più debole di un sospiro in una conchiglia

Era il suono, e le voci dalla città

Salivano in quella stanza deserta,

Mormorando e cercando un potere.


Ma anche altro, qualcosa di oscuro

Si installò sulla soglia dei nostri sensi

Senza oltrepassarla.

Scorreva la sabbia nelle clessidre mute.


Era ora di muoversi.

Ci avvicinammo al cavallo. Era gigantesco,

Nero come un ferro. Un’immagine del potere stesso

Rimasta dopo che i principi se ne erano andati.


Il cavallo parlò: “Io sono l’Unico.

Ho disarcionato il vuoto che mi cavalcava.

Questa è la mia stalla. Cresco lentamente.

E mangio il silenzio che regna qui dentro”.

(Tratta da Songs of Spring. Quaderno di traduzioni, Marcos y Marcos, 1999 – Traduzione dallo svedese, di Franco Buffoni)

Una profondissima metafora, anzi una profondissima allegoria del potere e dei potenti insieme. Come se il poeta voglia farci entrare nell’anima di ogni potente della terra, “Silenziosa e vuota”; entriamo in questo “Palazzo” dal pavimento lucido come ghiaccio, quasi una leggera vertigine si percepisce alla lettura, immagini forti e altamente evocative, come nel distico “Ci avvicinammo al cavallo. Era gigantesco, / Nero come un ferro. Un’immagine del potere stesso”. Infine, una chiusa, quell’ultima quartina, straordinaria, in cui i punti fermi alla fine di ogni verso conferiscono un andamento ostinato, perentorio, come una spada che incombe ad ogni “a capo”.

Devo essere sincero, non avevo mai sentito nominare questo poeta, solo dopo la notizia del Nobel e, questo è quello che ho percepito dopo attenta lettura, ma già a prima lettura mi ha fortemente colpito per la sua profondità e, solo apparente semplicità.

Purtroppo, attualmente abbiamo pochissimo di questo poeta in traduzione italiana: dieci poesie, tradotte dal prof. Buffoni e, una sola raccolta delle undici, difficilmente reperibile, Poesia dal silenzio, edita da Crocetti.

Auspico che, con il meritatissimo premio, si proceda al più presto alla traduzione in italiano e all’analisi critica dell’intero suo corpus poetico.

A cura di Emanuele Marcuccio

9 ottobre 2011


E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE DI STRALCI O DELL’INTERO ARTICOLO SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

“Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso” di Marco Nuzzo, intervista a cura di Emanuele Marcuccio

Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso di Marco Nuzzo

Rupe Mutevole Edizioni, 2011, collana “Sopra le righe”

opera e nota di commento a cura di Emanuele Marcuccio, cocuratori: Gioia Lomasti e Marcello Lombardo.

Intervista a cura di Emanuele Marcuccio

Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere poesie?

Scrivo da sempre, ho sempre amato esprimere su carta le mie sensazioni, penso di esser stato affascinato dalla lettura e dalla scrittura sin dalla più giovane età, ma non solo; ho amato anche l’arte in ogni sua forma, come la musica, le arti marziali e la pittura, forse anche come metodi per esorcizzare la paura, i demoni o le incomprensioni di un mondo che sapevo esser troppo grande, ho messo in atto una ricerca dedita all’esplorazione dell’anima altrui quale specchio per la propria introspezione. Ho cominciato a scrivere poesie solo da qualche anno, dapprima come mero desiderio di provarmi su qualcosa di nuovo e dunque come scavo verso l’Es, la parte primordiale e più naturale del nostro cervello, quello antico e rettile.

Ci potresti spiegare meglio quest’ultimo punto, in che senso “quello antico e rettile”?

L’argomento è molto lungo, tenterò di sintetizzarlo affinché possa render meglio l’idea. Tra il 1960 e il 1970, la conoscenza del cervello umano fece più progressi che nel corso degli ultimi millenni e ciò grazie agli studi dei neurologi Sperry, MacLean e Laborit. Già precedentemente, verso il 1875, Darwin aveva dissacrato l’uomo con la sua teoria evoluzionistica. Vent’anni dopo nel 1895, S. Freud constatava che la maggior parte dei problemi fisici dell’uomo proveniva da pulsioni primitive inconsce. In seguito tali teorie progredirono poco e si restava nel campo delle ipotesi. Quella di Darwin si affinò nel neo-darwinismo e quella di Freud fu malmenata tra i suoi discepoli, quali Jung, Reich, Adler ecc… Nel 1965 R. Sperry ebbe il coraggio di separare i due emisferi cerebrali di un paziente, sperando di porre fine alla sua epilessia. Tale separazione rivelò, con sorpresa di Sperry, che i due emisferi si comportavano da fratelli nemici, restando d’accordo su alcuni compiti, ma in disaccordo sulla risoluzione di altri. Il sinistro era a favore delle ostilità, e si opponeva al destro, che invece era pacifico. Nel 1968 P.D. MacLean, constatò, attraverso l’uso di nuove invenzioni che permettevano di osservare l’attività cerebrale, che l’uomo non aveva un solo cervello, bensì tre cervelli sovrapposti, ognuno di essi comparso e rimasto nel corso dell’evoluzione, passando da quello rettile, a quello mammifero per arrivare a quello ominide. Lo chiamò cervello triunico. Il neurologo Laborit, nello stesso periodo, fornì una spiegazione di alcuni comportamenti umani, conducendo esperimenti sui ratti, tra i mammiferi più vicini all’uomo dal punto di vista comportamentale. Su tali scoperte, che coincisero con la guerra nel Vietnam (dal 1961 al 1975), negli USA sorsero alcune tecniche di saggezza ancestrale (che ormai vengono capite meglio dal punto di vista scientifico), dando vita alla New Age. Questo movimento, ostile allo sviluppo industriale, aspirante alla libertà individuale e alla non violenza, si estese a tutto l’Occidente. Non tutti divennero hippie e andarono a cantare a Woodstock o all’Isola di Wight, molti si interessarono alla meditazione, alla contemplazione e al bio-feedback (utilizzo di apparecchi per il controllo elettrico per la modifica dello stato di coscienza). Come si poteva prevedere, questo paradiso incontrò l’ostilità della società dei consumi da una parte, mentre dall’altra i giovani caddero nella trappola dell’illusione creata dall’uso di droghe, funghi allucinogeni, hashish, il cui effetto era quello di un accesso più rapido rispetto alle antiche modificazioni dello stato di coscienza (yoga, zen, buddhismo, arti marziali “dolci”). Eccetto casi sporadici, questi cercatori di libertà, abbandonarono il movimento New Age e si reintegrarono nel sistema. Ma esaminiamo con maggior cura il cervello triunico: Cervello rettile o rettiliano: È così chiamato perché fu il primo ad apparire, circa trecento milioni di anni fa. È piccolo ma essenziale perché contiene tutto ciò che è vitale, regolando esso la nutrizione, il sonno, l’istinto, i movimenti, la produzione ormonale, l’istinto di riproduzione, ecc. Quindi se siete fieri del vostro grande cervello pensante-parlante, ricordate che non è questo il più importante, ma quello rettiliano, minuscolo, ma che contiene le ghiandole più vitali, come l’ipofisi, l’epifisi, il talamo e l’ipotalamo. È nel nostro interesse conservarlo in buono stato, con una vita sana, con lo sport. Al contrario il sonno irregolare, l’uso di droghe o alcool e una vita sregolata lo danneggiano irreversibilmente. Il cervello rettile ha una memoria a breve termine, impara poco e solo dopo un lungo periodo di addestramento, ed è una fortuna, perché se si lasciasse influenzare dall’uomo, o da certe fantasie intellettuali, non sopravvivremmo per molto. Cervello mammifero o paleo-mammario: Sotto il cervello rettile nasce il cervello mammifero, circa centosessanta milioni di anni fa. Si sarebbe fatto a meno di questo cervello per vivere, ma esso ha dato modo alla nostra specie di migliorarsi. Questo cervello è incredibilmente emotivo e cocciuto. Si è preso una parte talmente grande della nostra vita che ormai funzioniamo su una base emotiva per ritrovare il piacere provato dai nostri cinque sensi. Siccome è anche il centro dei rituali e dei mammiferi (intimidazione, affronto), l’uomo segue queste leggi senza rendersi conto che si comporta come ogni mammifero sano di mente. Il cervello mammifero è molto duro d’orecchi e finisce per credere a quel che viene ripetuto a lungo con tonalità particolari. Capiamo dunque come le religioni, le sette o la politica usino particolari rituali, come canti, litanie o preghiere per imprimere ciò che si intende radicare nelle menti. Potete dunque capire perché sia difficile modificare il cervello mammifero di una persona con altro credo, o perché, dopo una conversazione in cui ciascuno cerca di convincere l’altro con argomenti intelligenti, senza che nessuno dei due ascolti, alla fine se ne vanno pensando “quello non capisce nulla”, non è così? Forse ora che avete capito come funziona questo cervello, smetterete di parlare per convincere, ricollegandovi alla saggezza di Lao Tse: «L’uomo che sa (di non essere ascoltato) non parla, l’uomo che parla (prova la sua ignoranza poiché…) non sa.»Cervello neo-mammifero: Si sovrappone agli altri due all’incirca cinquanta milioni di anni fa. Non lo possiamo chiamare cervello umano perché anche gli altri mammiferi ne hanno uno anche se più piccolo. Questo nuovo cervello è utile ma crede che comandi lui. Le sue capacità sono stupefacenti, è capace del meglio o del peggio; nell’uomo dominato dall’ego, la proporzione del peggio è del 75-80%, contro il 10% del meglio. Ma da dove vengono i lampi di genio? Da dove viene l’introspezione, l’immaginazione fervida, il sapersi guardare nel profondo? Gli psicologi pensano che quest’ultimo cervello non valga molto, in quanto i lampi di genio arrivano quando è a riposo, ad esempio durante la meditazione o la siesta. Ecco dunque spiegato il segreto. Nel cervello antico o rettiliano risiede l’epifisi, la ghiandola pineale, il terzo occhio che già molte culture dell’antichità rappresentavano iconograficamente sia in forma di pigna (vedi lo scettro papale o quello di Osiride, il Bacco dei romani, il dio Tamus), che sotto forma di occhio (Buddha, Shiva, l’occhio di Horus). Le culture del passato associavano quella che noi oggi chiamiamo epifisi ad un organo preposto alla maggior chiarezza mentale ed alla visione interiore. Per Cartesio la ghiandola pineale è il punto privilegiato dove mente (res cogitans) e corpo (res extensa) interagiscono.

Grazie per questo excursus molto interessante che, penso sortirà anche l’interesse dei lettori e che ora mi fa comprendere il perché spesso preferisci essere criptico, emetico nei tuoi scritti… ma continuiamo con l’intervista. Cos’è per te la poesia, cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?

Poetare vuol dire utilizzare la semantica per trasmettere un messaggio. La poesia differisce molto dal racconto che, invece, utilizza una moltitudine di parole per esprimere un concetto. In una poesia, credo, non debba mai mancare la capacità di trasmettere emozioni, prescindendo da significato e significante stessi, elementi che passano dunque in secondo piano per far posto alla musicalità. Per questo, nel mio poetare non deve mai mancare questo elemento che io ritengo essenziale. Esasperare un concetto, sia esso tragico, comico o fantastico affinché il cervello elabori sensazioni, secerna adrenalina che sia tremore latente, un possente gremire di sentimenti tangibili, che siano trascinamento dall’alto all’abisso.

E cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?

La fantasia e lo spirito di osservazione. Vedo troppi sedicenti “scrittori” o “poeti” che mancano di idee, come se l’arte stessa in senso lato fosse morta, spersa nel circolo vizioso delle solite tautologie, in un trittico “sole – cuore – amore”. Si ha davvero bisogno di esser definiti scrittori o poeti o artisti o giornalisti per poter scrivere?  Altro non sono che dei titoli, presi troppo spesso per dare importanza ad una figura oggi divenuta di moda, null’altro. L’archetipo dello scrittore è quello del saggio, di colui che sa, che è spinto alla ricerca, che scrive menzogne per esprimere delle verità. Se tale stereotipo poteva andar bene per i tempi andati, ora scrivere è diventata una moda. Tutti scrivono, tutti pubblicano, pochi leggono. Io penso che chiunque possa scrivere dei buoni testi se utilizza l’inventiva, se si auto-insegna a guardarsi intorno.

Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna dei due e perché?

Ogni anima ha un proprio percorso, così deve essere anche per la poesia. La base di partenza, comunque, deve essere il comune studio della metrica, di modo che si possa partire dalla forma per ricercare una libertà di stile proprio. È come per la musica o le arti marziali. Si parte dalla forma, dallo stile, verso la ricerca di un proprio stile che si addica alla propria persona, al carattere, al tutto. Solitamente, nelle mie poesie, non utilizzo la metrica o le rime ma seguo a briglia sciolta un mio “stile privo di stile”, avendo però ben presenti le regole prime che devono comporre un testo poetico. Seguire forzatamente metrica e rime per me vuol dire limitare la libertà della scrittura.

Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?

Molto dipende dal momento. Ci sono momenti in cui scrivere è semplice come lo scorrere di un fiume in piena, altri momenti in cui si abbisogna di tempo, forse ore o giorni; allora mi siedo sulla riva e attendo.

Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?
Senza tanti fronzoli, credo che la poesia non riscuota molto interesse se non in certi ambienti culturali e scolastici quale oggetto di studio. Un romanzo è letto da tutti, giovani e meno giovani, la poesia è vista spesso come sintomo di debolezza per chi la legge e per chi la scrive. Poi bisogna considerare il contenuto. Un romanzo lo si legge con più interesse, genera apprensione sino alle ultime pagine, viene pubblicizzato in modo differente dalle case editrici e dalle edicole. Molto spesso le case editrici pubblicano gratuitamente il genere narrativo e a pagamento i libri di poesia, proprio perché sanno che con un romanzo rientreranno dalle spese di pubblicazione, con la poesia se ti va bene rientri tu dalle spese della pubblicazione.

Preferisci scrivere a penna o al PC?

Al PC, per l’unico motivo che, quando sono davanti al PC sono tranquillo e rilassato, il momento migliore per scrivere. Porto però sempre al seguito un foglio e una penna per prendere appunti quando arriva l’ispirazione.

Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di autore?

Sicuramente l’incontro con Gioia Lomasti, Marcello Lombardo, Matteo Montieri, Emanuele Marcuccio (lo stesso che mi sta adesso intervistando) e la collaborazione per la casa editrice Rupe Mutevole. Ho trovato persone fantastiche con le quali ho avuto il piacere e l’onore di collaborare, gente che ama il lavoro che fa e che dedica anima e cuore per tutto questo. Altra esperienza significativa l’ho avuta collaborando con la poetessa Noris Roberts, Ambasciatrice Universale di Pace in Venezuela e ancora con il Dinanimismo di Zairo Ferrante e Roberta Murroni. Significativi sono stati anche i concorsi nazionali di poesia “Wilde” e “Mario Luzi”, sulle quali antologie sono presente. Detto ciò, la parte più significativa consiste nell’aver scoperto un lato di me che non avevo considerato.

Ti ringrazio, sei troppo gentile, sono stato ben felice di presentarti alla casa editrice per la pubblicazione di Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso, grazie anche a nome dei colleghi assenti ma che leggeranno. Sarà perché prima di essere curatori, siamo soprattutto autori. Come nasce in te l’ispirazione, come organizzi il tuo scrivere, ci sono delle fasi?

Non ho un metodo preciso e sicuro per lasciarmi ispirare… tutto ciò che faccio è rilassarmi e far scorrere i pensieri, divenendo quanto meno cerebrale io possa; il resto consta nella fase di raccoglimento dei pensieri, farne un amalgama e infine trasporli su carta o schermo. Il tutto, come dicevo precedentemente, deve essere condito dall’estremizzazione del dire, dagli ossimori e quanto più mente m’enunci.

Quali libri hai pubblicato oltre a Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso?

Ho pubblicato un libro edito da Aletti Editore dal titolo Ultime Frontiere, uscito quasi in contemporanea nel 2011 con il mio libro edito da Rupe Mutevole, appunto, Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso.

Perché proprio questo titolo Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso?

Siamo un viaggio, un continuo mutare pensieri e sensazioni e spesso siamo soliti guardarci per come ci siamo lasciati indietro la pesantezza dei nostri inverni, spesso incompresi ai più. Avviene di conseguenza che questo nostro atteggiamento segue una via non più naturale e sincera, ma un atteggiarsi aberrante, composto, per come gli altri ci desiderano. Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso parte da qui, parte dallo spogliarsi dell’inverno al quale siamo stati diseducati e camminare sulle proprie sensazioni, sulle proprie canzoni, sul proprio, naturale stile, senza dover per forza accondiscendere al forzato piacere altrui.

La poesia di Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso che ti è più cara o che ritieni più significativa?

È certamente “Apnea n.2”, una simulazione del proprio immergersi dentro, del guardare oltre all’abissale sconforto, è un lasciarsi andare per ritrovarsi perdendosi.

Apnea N°2

Estensione,

placida infusione

in sensi

d’oltreoceano colato,

giochi di luce

trafiggono onde

navigatrici

d’eterno…

– introspezione –

è riconoscermi acqua

nel tacito richiamo

d’assenze passate;

stilla nella nebbia

traccio l’ultima eco,

allontanando

i cerchi nel mare,

confusi

nell’oro del sole

che cauto

spegne l’orizzonte

sul freddo ponente.

E perché non la poesia da cui hai attinto il titolo della raccolta?

Sebbene mi piaccia molto anche quella, credo che in questa poesia si dia una maggiore enfasi alla meditazione che è intenzione del mio dire.

Cosa ti ha spinto la prima volta a voler pubblicare il tuo primo libro?

Sarò sincero. La curiosità e la voglia di veder pubblicato un mio lavoro; penso sia stato questo il motivo principale.

Quali sono i tuoi poeti preferiti, ce n’è uno in particolare?

Su tutti Montale col quale condivido l’ermetismo e poi Dante, W.B Yeats, E.Allan Poe che tutti conoscono come scrittore horror ma non come poeta, Coleridge, Baudelaire, Penna; ma anche Hikmet, la poetessa Claudia Ruggeri, Ungaretti.

E qual è la tua poesia preferita?

Due tra tutte:

Egli desidera il tessuto del cielo

(di W.B Yeats)

Se avessi il drappo ricamato del cielo,

Intessuto dell’oro e dell’argento e della luce,

i drappi dai colori chiari e scuri del giorno e della notte

dai mezzi colori dell’alba e del tramonto,

stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi:

invece, essendo povero, ho soltanto sogni e i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi;

cammina leggera perché cammini sopra i miei sogni.

Lamento della sposa barocca

(di Claudia Ruggeri)

T’avrei lavato i piedi

oppure mi sarei fatta altissima

come i soffitti scavalcati di cieli

come voce in voce si sconquassa

tornando folle ed organando a schiere

come si leva assalto e candore demente

alla colonna che porta la corolla e la maledizione

di Gabriele, che porta un canto ed un profilo

che cade, se scattano vele in mille luoghi

– sentite ruvide come cadono -; anche solo

un Luglio, un insetto che infesta la sala,

solo un assetto, un raduno di teste

e di cosce (la manovra, si sa, della balera),

e la sorte di sapere che creatura va a mollare che nuca che capelli

va a impigliare, la sorte di ricevere;

amore

ti avrei dato la sorte di sorreggere,

perché alla scadenza delle venti

due danze avrei adorato trenta

tre fuochi,

perché esiste una Veste

di Pace se su questi soffitti si segna

il decoro invidiato:

poi che mossa un’impronta si smodi

ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.

Hai detto che Montale è il tuo poeta preferito ma, perché non compare tra le tue poesie preferite?

Sebbene sia molto legato alla poesia di Montale quale poeta ermetico, effettivamente la forza che viene trasmessa da alcune poesie di altri poeti supera, a mio modesto parere lo stile che si sente proprio. È il caso di questi due poeti, Yeats e Ruggeri. Con Yeats pare di essere in una marea di forza contrapposta, la poesia in sé è in chiave semplicistica, ma la chiusa sconvolge, travia. Con la poesia di Claudia Ruggeri avverto molta affinità sul piano emozionale, stilistico e di significato intrinseco della parola: “Poesia”.

Perché hai scelto Claudia Ruggeri, una poetessa poco conosciuta, le cui poesie sono state pubblicate solo postume?

La prima volta che mi è capitato di leggere una poesia di Claudia Ruggeri sono rimasto senza parole. È proprio ciò che una poesia deve fare. Il suo ruolo è sbattere il tuo cervello come uragani che tracimano gli oceani, oppure deve poterti far naufragare in una dolce musica. Un poeta può essere poco conosciuto, può non diventare mai famoso o diventarlo solo dopo la propria morte, ma se riesce a trasportarti in quel mondo onirico, nel suo linguaggio barocco, se riesce ad evocare ciò che hai dentro, allora diventa il Poeta con la “P” maiuscola. Sta di fatto che mi sarebbe piaciuto conoscere Claudia di persona, purtroppo scomparsa prematuramente nel suo “folle volo”.

Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?

Amo molto la letteratura horror e di fantascienza, ma leggo anche saggi e ogni cosa che possa suscitare il mio interesse. Il libro che preferisco è “Io sono leggenda” di Richard Matheson.

Ecco, perché la scelta del genere horror?

Molti amano questo genere, scelta rispettabilissima, ma che non mi ha mai attratto, c’è forse qualche motivo in particolare per cui si sceglie di leggere un horror, piuttosto ché un classico, un romanzo storico, un thriller o un libro di poesie?

Penso sia una questione di interessi e di sensazioni che riescono ad evocare una qualche sorta di sinestesia. In effetti, è un mio parere che la scelta del genere horror possa esser ricollegata ad un modo di percepire la realtà. Molti vanno alla ricerca di sensazioni forti, legate alla paura, forse il sentimento più ancestrale dell’uomo o pure la non accettazione di un mondo sin troppo realistico per uno onirico e fantastico. La paura ha sempre fatto parte del nostro essere e, essendo noi uomini, possiamo dire solo “grazie” ad essa se ora siamo qui. L’uomo, la storia lo insegna, ha dovuto difendersi dagli animali, dalle catastrofi e dai propri simili. L’ingegno dell’uomo nasce dalla paura e dallo sviluppo dei pollici opponibili che gli hanno permesso di costruire ripari, fortificazioni, città.

Il termine “Monstrum” inizialmente stava ad indicare un evento fantastico, meraviglioso e divino, atto ad ammonire (dal latino monere), avvisare (l’uomo). Penso si possa definire un sistema premi-punizioni adottato nell’antichità per incutere paura, ma a fin di bene. Con lo sviluppo della letteratura, il termine ha assunto significati sempre maggiormente legati alle paure dell’abisso, di ciò che non si conosce ma che è insito nell’inconscio, quello stesso inconscio di cui parlavo prima, circa la ghiandola pineale, quell’inconscio che ha fatto nascere gli universi di Lovecraft il quale, trascrivendo i propri sogni, dava vita al “ciclo di Cthulhu”.

 Infatti, una tua poesia del tuo Non ti piacerei… ha proprio questo titolo “Cthulhu”.

E citando un passo della recensione di L. M. Cortese al tuo libro “Sorprende, in mezzo a questi paesaggi interiori, la poesia “Cthulhu”, pervasa dell’atmosfera paurosa e decadente del ciclo di miti creato da H.P. Lovecraft (che obbedì, a sua volta, a chissà quali fantasie trasfiguranti).”.

Cthulhu

(di Marco Nuzzo)

Forgia di universi

e placide attese

nei mari più oscuri

e tra le rive di sabbia,

smascherate

da eoni inconsapevoli

di strati di fondo;

tremano,

tra le piaghe socchiuse

le umane miserie,

strappando dal cielo

oceani di sogni,

soffiati in superficie,

velati

da tangibile inconsistenza

che offusca la vista…

nebbia

su acque di porti

socchiusi

da fragili corazze,

il destino si compie

contando al contrario,

resta sveglio,

stanotte

e contempla la fine.

Esattamente. È una poesia che a primo acchito può sembrare fuori luogo, ma a tutto c’è un perché. A parte l’omaggio ad uno dei miei scrittori preferiti, la poesia vuole essere innanzitutto un modo per far comprendere ciò che il sogno e la meditazione siano in grado di partorire.

C’è un genere di libri che non leggeresti mai?

Romanzi rosa

Sì, mi trovo d’accordo con te. Nella tua vita ti è mai capitato qualcosa che ha rischiato di allontanarti dalla poesia, o che ti ha allontanato per un periodo dalla poesia o dalla scrittura in genere?

Capitano periodi in cui si avverte la necessità di allontanarsi dalla scrittura, ma solitamente questo accade solo per le occasioni in cui si avverta di dover riorganizzare le proprie idee. Non penso esista una vera e propria “crisi dello scrittore”, ci sono soltanto momenti in cui si avverte il bisogno di respirare nuove sensazioni per poter ripartire, il bisogno di osservare nuovamente e in silenzio, in completa apatia, mettendo in funzione le onde Alfa del cervello, per meditare. Confucio diceva: «Non importa quanto vai piano, l’importante è che non ti fermi.».

Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?
Amo moltissimo la mia terra, amo gli usi e i suoi costumi. La Puglia è una terra aspra e dolce alla stessa stregua, ma ci sono moltissime cose che potrebbero migliorare.

Tra poesia e prosa, cosa scegli e perché?

Non riesco a fare una scelta ponderata. A volte preferisco la poesia, altre la prosa, sono due generi troppo differenti. Amo scrivere in poesia, ma vorrei scrivere anche in prosa, stessa cosa per la lettura, anche se la prosa, come un po’ tutti, attira maggiormente anche me.

Hai un sogno nel cassetto?

Tanti, ma al momento mi ritengo abbastanza soddisfatto.

Come ti sei trovato con Rupe Mutevole Edizioni, perché l’hai scelta, la consiglieresti?

Con Rupe Mutevole mi sono trovato abbastanza bene, hanno mantenuto le promesse riguardo alla pubblicazione, sempre gentili e onesti. L’ho scelta in quanto mi è stato possibile vedere in anteprima il modo di lavorare che ha pienamente soddisfatto ciò che mi ero prefissato di raggiungere.

Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano?

Oramai, più che editori, la maggior parte sono stampatori, mi spiace dirlo, ma molti di questi signori non lavorano come dovrebbero, spesso promettono la promozione su canali internet, biblioteche e librerie, ti firmano un contratto col quale si pappano i tuoi soldi e del tuo libro non trovi più traccia, se non in qualche canale disperso di internet.

Cosa pensi dell’attuale panorama culturale italiano?

La mente è come un paracadute, funziona solo se si apre. Partendo da questo concetto si evince come l’attuale panorama culturale nel nostro Paese sia effettivamente in declino. Si legge poco, i libri sono stati sostituiti dalla TV che, a guardare il palinsesto, non ha molto da offrire a parte i soliti, urticanti programmi che promuovono il culto del fisico. Questo è l’ideale col quale vengono tartassati i nostri giovani la cui mente è ancora malleabile e suscettibile e che divengono adepti di vestiti firmati, di calciatori e veline, figli di un troppo benessere che non accetta compromessi. Non voglio generalizzare, c’è sempre colui che si distingue, ma di questo passo saranno sempre meno.

Recentemente ho letto un articolo di Cesare Segre sul “Corriere della Sera”, riguardo all’irresistibile declino della critica letteraria agli autori contemporanei, con la conseguente perdita di prestigio della letteratura. E cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?

I premi letterari sono fini a sé stessi. Non penso siano necessari per un autore, tuttavia fanno volume ed enfiano di certo la stima da parte dei più. Però un premio non è sinonimo di grandezza per uno scrittore. Chi scrive lo fa per se stesso e non per vincere dei premi. Riguardo alla perdita di interesse della letteratura, mi trovo altamente d’accordo con Segre, la critica letteraria, come di conseguenza la letteratura, soffrono una profonda crisi e perdita di interesse presso la popolazione.

Davvero chi scrive lo fa per se stesso? E allora perché decide di pubblicare, non hai detto che, in una poesia non deve mai mancare la capacità di trasmettere emozioni?

Chi scrive lo fa principalmente per se stesso, la decisione di pubblicare i propri lavori può esser dettata da vari fattori. Molti sognano di diventare famosi con la scrittura, altri pubblicano per avere il proprio libro nella loro biblioteca personale o altri motivi ma, se non c’è passione, se manca quell’attitudine a scrivere per se stessi, corroborando l’anima e il proprio sentire, allora lo sforzo risulterà vano. Scrivere è un lavoro di concetto, significa buttare su un foglio tutto lo sfogo internato nell’anima. Se dovessimo scrivere solo ed esclusivamente per diventare famosi, allora penso sia meglio orientarsi sulla palestra, scolpendosi un fisico “da urlo” e andare ad urlare in uno di quei programmi vespertini per teenager, non faccio nomi, ove saremmo indubbiamente tutti ricchi e famosi.

Certamente, se alla base manca quella passione per la scrittura, tutto risulta vano e, citando un mio aforisma “Il poeta sogna, si emoziona, si meraviglia; in caso contrario, tutto sarebbe puro artificio, sterile e fredda creazione, come voler scrivere su di un foglio di vetro.”. Il critico letterario Matteo Leombruno, a proposito della tua poesia ha scritto: «La poesia di Marco Nuzzo è una poesia trincerata in se stessa, chiusa all’esterno e abitata da un “io” segreto e nascosto.»Concordi su questo giudizio e, in che misura?

Assolutamente. È ciò che mi pongo quando scrivo. L’ermetismo è parte del mio scrivere e voglio che sia così. Per questo paragono la mia poesia a quella di Montale, senza pretesa d’essere alla stregua del mio mentore. Il mio non è solo un modo di mascherare parole fini a se stesse, ma vuol essere innanzitutto un modo per svegliare dal torpore i dormienti, esagitarne la mente al fine di farne fluire l’assenzio che può corroborare il loro spirito.

Come ho scritto sulla nota di commento a pag. 7 di Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso, le quattro liriche in progressione intitolate “Apnea” sono davvero significative. Ce ne vuoi parlare?

Le “Apnee” sono una sorta di racconto e divise in parti, racconto fatto di sensazioni durante le immersioni nei sensi, che, come placide acque permettono la discesa nei più intimi segreti, sino a ritrovare quell’Oniria, quell’Atlantide che è significante del proprio Es che emerge, scaturita dal rivangare nella conoscenza e nei sogni. È necessario lasciarsi andare, lo dicevo prima, è necessario perdersi per ritrovarsi. Ogni giorno si nasce, ogni giorno si muore, ma lo si può fare vedendo sprecati i propri desideri o ardendo i fuochi della propria essenza.

Quanto è importante per te il confronto con altri autori?

È essenziale. Siamo specchi e il confronto diviene mezzo per guardarsi dentro. Noi esploriamo l’essenza degli altri, la viviamo, ci immedesimiamo in essi, mimandone la luce. Solo agendo in questo modo possiamo dire di trovare noi stessi.

Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?

Leggete, leggete e ancora leggete. Poi dimenticate tutto, uscite fuori a divertirvi, ma osservate. Osservate il comportamento degli esseri umani, osservate gli animali e il movimento dei pini marittimi, guardate la scia delle formiche. Adesso avete il mondo nell’inchiostro della vostra penna, dovete solo scriverlo.

Concordo, la poesia è “rappresentazione”, nel senso di interpretazione soggettiva della realtà e, quindi, nel senso di sua ri-creazione e trasfigurazione. Picasso, a proposito della pittura ha scritto: «La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto.». E un poeta non è mai mero cronista di ciò che attentamente osserva, non è mai impersonale messaggero, bensì è interprete soggettivo, che ri-crea, trasforma, trasfigura sogni, storie, emozioni, in sintesi, un poeta scrive ciò che sente. Vuoi anticiparci qualcosa su una tua prossima pubblicazione o, su quello che stai scrivendo?

Vorrei dedicarmi alla scrittura di un horror, ho già cominciato, in effetti. L’idea è buona e penso sarà un qualcosa di mai tentato. Il tempo ci dirà il resto.

Grazie tante per la tua disponibilità e tanti auguri per la tua attività di scrittore!

Grazie infinite a te, Emanuele, è stato un piacere!

A cura di Emanuele Marcuccio


TESTO PUBBLICATO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’INTERVISTATORE, EMANUELE MARCUCCIO.

Intervista a Maristella Angeli, a cura di Emanuele Marcuccio

Su invito di Gioia Lomasti per il blog Vetrina delle Emozioni, ho deciso di intervistare gli autori dei libri di poesie, pubblicati a mia cura, in seguito intervisterò altri autori, anche inediti, tra cui il critico letterario e poeta Luciano Domenighini. Iniziamo con Maristella Angeli, autrice de Il mondo sottosopra, la sua quinta raccolta di poesie, che è stata ben lieta di rispondere alle mie domande.
Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere?
Scrivo da quando ero bambina. Scrivevo favole e a circa nove anni scrissi il mio primo copione teatrale. Poi vennero le poesie, che ho tenuto per molti anni chiuse in un cassetto.
Il desiderio di scrivere credo sia innato: già nei temi scolastici si evidenziava una fervida fantasia ed una propensione allo scrivere.
Cos’è per te la poesia, cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?
Una frase di Luciano Innocenzi mi ha colpito: “Quando arriva al cuore della gente, è poesia”. Per me è essenza di vita, l’espressione più elevata, è condivisione, ciò che va “oltre” la parola, il non detto, il sottaciuto, l’inesprimibile.
E cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?
Il talento innato, la purezza d’animo, l’assenza di ambizione, l’umiltà, la capacità di percepire l’essenza del mondo, cioè di tutto ciò che è vita, dimensioni atemporali, creatività, originalità, ascolto e amore.
Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna dei due e perché?
Molti sono preoccupati di inserire in schemi predisposti un poeta, ma già Leopardi avevacreato il Canto Libero, cioè poesia senza uno schema di rime fisse e senza un numero di strofe predisposte. Ungaretti invece rivoluziona completamente la poesia; con lui nasce il verso libero in Italia. Ho studiato e continuo a procedere nei mie studi poetici, ma un artista non può essere legato a nessuna briglia, deve potersi sentire libero di utilizzare la forma espressiva che maggiormente esprime il proprio “sentire”.
Lascio ai critici letterari analizzare le mie sillogi poetiche:
“La Angeli costruisce di solito i propri componimenti, servendosi di quartine e terzine, formate da versi di lunghezza diseguale, giocando spesso sull’alternanza tra un verso lungo ed uno corto, composto da un’unica parola, di solito un aggettivo che viene posto così in una posizione di rilievo che serve a definire meglio la parola, con cui si era concluso il verso precedente.
A volte, per non interrompere il flusso dei ricordi e delle sensazioni, l’autrice si affida anche a strofe più lunghe, formate da sei-otto versi, arrivando a costruire dei brevi poemetti”.
(Critico letterario Cristina Contilli)
Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?
A volte è immediata, quindi rileggendola è già pronta, mentre più spesso lavoro a lungo sui versi, per creare l’armonia e l’atmosfera che mi soddisfi. Un lungo lavoro di rilettura, selezione, correzione e revisione conclusiva.
Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?
Su questo si è molto discusso. Credo che fondamentalmente si abbia il timore che la poesia risvegli il pensiero, permetta di stimolare sentimenti, speranze, sogni, ribellioni.
Non per niente nei regimi dittatoriali, e fin dai tempi lontani, essa veniva proibita. “Platone diffida delle innovazioni ludiche, censura le favole raccontate da madri e nutrici, mette al bando Omero ed Esiodo perché “il mondo dell’immaginazione… era pericolosissimo fin dalla prima infanzia per la sua capacità di suggestionare e porre le premesse di una mentalità non razionale, ma passionale”(da”Animazione e città” a cura di Gian Renzo Morteo e Loredana Perissinotto, Musolini Editore).
Ricordiamo che La salute di una società si riflette nella sua attività artistica e viceversa”(da “Arteterapia in educazione e riabilitazione” di Bernie Warren, Erickson).
La poesia dovrebbe essere valorizzata come merita, quindi smontiamo questa visione che ne limita i fruitori: la poesia è la più limpida espressione comunicativa che si conosca, e può arrivare a toccare le corde del sentimento di ogni lettore.
Preferisci scrivere a penna o al PC?
Scrivo sempre con carta e penna, mai direttamente al computer. Il contatto percettivo, sonoro e prossimale è per me indispensabile.
Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di autrice?
Ogni esperienza di vita è significativa, fa parte del nostro bagaglio culturale. Certamente l’approfondimento è fondamentale, ed il mio percorso di studi, compresi i sedici anni di esperienza teatrale, sono stati importanti.
Le sofferenze hanno purtroppo contribuito a formarmi ed hanno inciso molto. La morte di mio padre prima e quella di mia madre poi, l’asma di cui soffrivo, l’allontanamento forzato dalla città in cui sono nata, l’impossibilità di scegliere la strada artistica e teatrale, i pesanti problemi economici della mia famiglia, il dover lasciare la mia disciplina d’insegnamento, il divorzio. Anche il mio aspetto fisico (fino ai sedici anni ho avuto degli enormi denti in fuori) ha contribuito a maturare la convinzione che l’importante è “essere” e non “apparire”. Le gioie e le soddisfazioni sono state comunque molte, tra queste soprattutto l’aver finalmente incontrato, sebbene a tarda età, un nuovo grande amore, a cui ha fatto seguito la pubblicazione di poesie e la scrittura di un romanzo fantasy.
Ritengo che sia stato molto importante anche lo studio costante, la visita a mostre e musei per allargare gli orizzonti culturali, la molteplicità di esperienze, la pittura, i viaggi, il confronto e l’incontro con persone significative.
Come nasce in te l’ispirazione, come organizzi il tuo scrivere, ci sono delle fasi?
L’ispirazione nasce nei momenti più impensabili e imprevedibili, suscitata da una “scintilla”, cioè da qualcosa d’indefinibile che scuote il mio animo.
Molto spesso di sera e durante i viaggi.
Quali libri hai pubblicato oltre a “Il mondo sottosopra”?
La mia prima pubblicazione è stata la mia tesi sperimentale presentata all’ISEF di Perugia, sintetizzata in “«Alla ricerca del proprio corpo: animazione e ricerca gestuale nell’Educazione fisica» (Lo Faro Editore, Roma 1982, didattica). Poi sono iniziate le raccolte poetiche: “Gocce di vita” (Albatros Il Filo ‘08), “Tocchi di pennello”e “In ascolto” (MEF L’Autore Libri Firenze ‘09), “Specchi dell’anima” (Progetto Cultura Editore ‘09) e la mia quinta silloge “Il mondo sottosopra” (Rupe Mutevole Edizioni Bedonia PR, ‘10).
Perché proprio questo titolo “Il mondo sottosopra”?
Lo spiego nella presentazione: “Il mondo sottosopra, titolo che indica il desiderio di poter sconvolgere, invertire i canoni, il tempo, il passato e il presente, ciò che è razionale in contrapposizione con l’irrazionale: il non tempo, lo spazio infinito, il sogno, l’immaginario, la fantasia”.
La poesia de “Il mondo sottosopra” che ti è più cara o che ritieni più significativa?
Come sempre rispondo che ogni poesia è unica e racchiude qualcosa che l’altra non ha, ognuna è un piccolo scrigno da aprire per poter entrare nella magia della poesia.
Cosa ti ha spinto la prima volta a voler pubblicare il tuo primo libro?
Ho pubblicato solo nel 2007, quindi ad un’età matura per poter valutare oggettivamente ciò che può essere condiviso con i lettori. Ad incitarmi è stata la valutazione di una nota scrittrice, di mia madre che ha sempre apprezzato i miei scritti da elevata poetessa qual’era e, in particolare, ha inciso l’appoggio e il sostegno continuo del mio compagno. Significativo è stato anche il riscontro positivo che ho avuto attraverso premi e riconoscimenti.
Quali sono i tuoi poeti preferiti?
Come autori prediligo Montale, Quasimodo, Ungaretti, Neruda, Tagore, Hikmet, Jimenéz e, vivendo nelle Marche, Giacomo Leopardi. L’autrice che prediligo è Emily Dickinson. Di lei mi ha affascinato la sua diversità, il ritmo dei salmi, il suo saper cogliere le infinite sfumature della vita l’assenza di vanità, di presunzione e di ambizione.
Ammiro i grandi autori teatrali, che hanno scritto anche poesie; li ho potuti conoscere attraverso le loro opere, interpretando i personaggi a cui hanno dato vita. Tra tutti Shakespeare, Garcia Lorca, Pirandello, Tennessee Williams.
Ho letto un bellissimo libro dedicato agli indiani d’America e sono rimasta incantata dalle poesie che scrivevano e dalla loro profonda saggezza.
E qual è la tua poesia preferita?
Dei grandi autori? Ce ne sono molte, ma ora mi viene in mente questa:
Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.

1942 – Nazim Hickmet
Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?
Dickinson Poesie, Oscar Mondadori
Lo rileggo spesso, riporto l’ultima strofa 348
Ciascuno mi saluta, passando,
ed io, le mie piume infantili
sollevo, in dolente risposta
ai loro tamburi sbadati
Emily Dickinson
E c’è un genere di libri che non leggeresti mai?
Il genere Horror e tutto ciò che presenta violenza estrema!
Rispetto chi lo ama, ma per me è inconcepibile tutto ciò che presenta violenza, omicidi, serial killer. Ritengo, come insegnante, che possa suscitare, nei ragazzi che non hanno ancora maturato una capacità valutativa, lo stimolo ad una possibile imitazione. Valori come la vittoria intesa come supremazia sul più debole, la vendetta, lo sterminio come se ogni vita umana non avesse valore. Anche se i super eroi combattono per la giustizia, procedono uccidendo, senza neanche avere un minimo pensiero per la vita umana che hanno distrutto.
Nella tua vita ti è mai capitato qualcosa che ha rischiato di allontanarti dalla poesia, o che ti ha allontanato per un periodo dalla poesia o dalla scrittura in genere?
Da giovane avevo una bassa autostima. La figura di grande artista e il carisma di mia madre, maestra di vita e d’arte, non mi permettevano di credere nelle mie potenzialità artistiche: il confronto sembrava impossibile!
Poi ho compreso che dentro di me l’arte non poteva essere repressa e, nonostante tutto e tutti, ho preservato in me i valori e l’essenza, la sensibilità, la purezza d’animo, la percezione del mondo e delle problematiche sociali.
Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?
Amo la mia terra d’origine, l’Umbria, di cui sento nostalgia, ma apprezzo la regione Marche per lo splendido paesaggio, le attività culturali ed i rapporti umani.
Macerata è una città in cui mi sento bene: è a misura d’uomo, sede universitaria ed è fervida l’Arte nelle sue diverse espressioni. La poesia poi è particolarmente sentita, grazie a numerose iniziative che si svolgono nel corso dell’intero anno.
Vivere altrove? Non so se possa esistere un altro luogo dove si valorizzi l’Arte, la letteratura, in particolare la poesia, come fondamentale espressione dell’uomo e della sua originale capacità creativa.
Tra poesia e narrativa, cosa scegli e perché?
Scelgo la poesia!
È la forma espressiva che prediligo, poiché è l’essenza della parola che eleva il valore di una raccolta di poesie, che spesso racchiude l’intero mondo poetico dell’autore.
La narrativa mi affascina, e ho concluso da poco di revisionare il mio romanzo fantasy. Sicuramente in questo genere mi ritrovo e riesco a sfruttare appieno la mia infinita creatività e fantasia.
Hai un sogno nel cassetto?
Pubblicare con una Casa Editrice non a pagamento.
Un sogno è che la poesia possa ritrovare le sue antiche vestigia, l’importanza che aveva un tempo, e che in libreria ci siano, in primo piano, le raccolte degli emergenti che abbiano un effettivo talento.
Certamente desidero che il mio romanzo fantasy abbia un riscontro positivo e venga letto da tantissimi lettori che ne possano cogliere la giusta morale.
Come ti sei trovata con Rupe Mutevole Edizioni, perché l’hai scelta, la consiglieresti?
Mi sono trovata bene. Il rapporto è stato cordiale e, ogni qual volta ho contattato la redazione, ho avuto subito una risposta opportuna. L’ho scelta perché ho letto i criteri con cui i fondatori, hanno impostato la loro attività.
Lascio ad ognuno il confronto con altre Case Editrici, che è necessario.
Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano?
Se si continua a stampare una quantità eccessiva di libri, senza l’opportuna severa selezione qualitativa, direi che si va verso una strada che può illudere alcuni a discapito di altri che effettivamente meritano. Il lettore, tra tanti testi di scarso livello, non sarà più invogliato a leggere.
Un giro di denaro notevole tra associazioni, concorsi e Case Editrici a pagamento, un giro in cui il nuovo autore deve sapersi destreggiare.  
Ma alla fine in vetrina ci sono sempre le grandi Case Editrici!
E dell’attuale panorama culturale italiano?
Il panorama culturale offre validi autori, ma non sempre testi originali.
Vedo che, anche nell’ambiente conosciuto, contano molto i contatti, le conoscenze, il colpo di fortuna, le agenzie letterarie, i premi cosiddetti importanti, a cui accedono esclusivamente le grandi Case Editrici.
Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?
Credo che occorra avere maggiore consapevolezza su ciò che può arrivare al lettore, di positivo o negativo, e che la poesia sia più viva che mai.
La poesia resta impressa in chi la legge. La si rilegge, si tiene a portata di mano sul comodino, si ricopia e si tiene con sé: ha una “potenza” unica!
Finché uomo vivrà, vivranno
questi versi, e a te vita daranno!
(William Shakespeare, da “Shakespeare Sonetti” Editori Laterza)
Quanto è importante per te il confronto con altri autori?
Il confronto è fondamentale!
Ho intervistato una quarantina di autori, essendo moderatrice di forum e collaboratrice dell’Associazione “Infiniti Sogni”, e ritengo che l’esperienza mi abbia permesso d’indagare, di conoscere e di aiutare, in qualche modo, autori molto pieni di sé.

Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?
Ho diversi autori che mi contattano a cui do consigli personalizzati. A tutti direi di leggere molto, di essere umili, di ascoltare chi è in grado di valutare poesie, di accettare le critiche, purché siano costruttive, di percorrere un “viaggio poetico” ascoltando se stessi, gli altri e il mondo che ci circonda.

Vuoi anticiparci qualcosa su una tua prossima pubblicazione?
Sto concludendo la sesta raccolta poetica, la settima e un’altra di poesie d’amore.
Ho tante poesie accumulate negli anni!
Ho revisionato il mio romanzo fantasy, sperando che venga pubblicato, ed ho già improntato il suo seguito.

Grazie per la tua disponibilità, complimenti per la tua cultura letteraria e non lasciamo che il mercato sia deciso dai vari lettori di illetteratura che, purtroppo, sono la maggioranza, bisogna che ci siano dei lettori colti e critici, capaci di fare delle scelte di cultura nelle proprie letture.
La figura dell’autore, che prima di tutto deve essere un lettore critico e colto, è l’ideale!
Grazie a te!

INTERVISTA A CURA DI Emanuele Marcuccio 

TESTO PUBBLICATO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’INTERVISTATORE, EMANUELE MARCUCCIO.

Premio “Vivarium”, riconoscimento alla poetessa Gioia Lomasti

A cura di Alessandro D’Angelo

Sin da bambina  Gioia Lomasti (foto a destra) ha riversato nella scrittura la sua più grande passione, attraverso la composizione di opere sia in poesia che in prosa,  riscuotendo  numerosi riconoscimenti . Scrittrice di diverse Opere tra le quali  “Passaggio”  edizioni il Filo 2008 , “Dolce al Soffio di de Andrè”  2009 edizioni Rupe Mutevole e coautrice della pubblicazione “Mixando la mia vita”, Fabrizio  Fattori, 2010 a cura del giornalista Alessandro Spadoni, Gioia Lomasti e Marcello Lombardo edita dalla stessa casa editrice. E’ alla direzione di sezioni e collane  editoriali quale promotrice di scrittura, e cura un laboratorio creativo per Radio Sonora web nella sezione poesia e vita come volontaria per la promozione di autori e cantautori emergenti, la cui radio e’ gestita dai comuni della bassa Romagna.Si è distinta lo scorso anno  per il premio Merini con attestato di merito e targa d’argento per la prima edizione dell’antologia “Cara Alda ti scrivo” edita da Ursini ed indetta dall’Accademia dei Bronzi di Catanzaro con l’inserimento della sua opera dal titolo “Verso Compianto”, dedicata alla grande poetessa Alda Merini. Nel 2011 per la “3ª edizione del Premio “Vivarium”, edizioni Ursini, dedicato alla poesia e a Giovanni Paolo II si e’ classificata tra i posti d’onore con la poesia “Santità”. La premiazione si terrà nella sala del Benny Hotel di Catanzaro, giovedì 28 luglio, a partire dalle ore 17,30.

“Per la suddetta Sezione riservata alle poesie inedite sulla figura e l’opera di Giovanni Paolo II, il 1° premio (medaglia del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano) è stato assegnato alla poetessa Maria Pia Furina, per la lirica “Donaci la mano ancora, Padre Santo” nella quale la poetessa “respira l’alito della speranza e della fede attraverso un intimo conversare con Karol Wojtyla”. Ai posti d’onore si sono classificati: Maria Bertilla Franchetti con la lirica “Cometa dell’Amore”, Gioia Lomasti con la lirica “Santità”, Rocco Pedatella (secondo lo scorso anno nella sezione narrativa inedita con il romanzo “Puzzle”) con la lirica “Tre immagini” e Ilaria Celestini con la lirica “A Te”.”Anche con questo premio, Gioia Lomasti si pone fra quelle pedine scintillanti capaci di continuare a dar vita alla poesia dell’anima.

A cura di Alessandro D’Angelo

link utili per visitare i siti dell’autrice

Un sito WordPress.com.

Su ↑