Intervista a Donatella Calzari, a cura di Emanuele Marcuccio

“Petali d’acciaio” di Donatella Calzari

Rupe Mutevole Edizioni, 2011, collana “Sopra le righe”

intervista a cura del Direttore Editoriale Emanuele Marcuccio

EM: Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere poesie?Cos’è per te la poesia?

DC: Per me la poesia è una magnifica forma espressiva, che io amo e coltivo dall’età di sei anni, quindi dai tempi della scuola elementare, periodo in cui la mia insegnante ci dettava poesie di noti autori su un apposito quadernetto. Ho avuto così modo di avvicinarmi ai grandi poeti del passato e di amare le loro splendide opere. A casa, poi, mi divertivo a creare semplici componimenti poetici, che scrivevo su un quaderno “segreto”.

EM: Cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?

DC: In una poesia credo non debba mai mancare il cuore dell’autore, le emozioni e i sentimenti più profondi che, veicolati da un’oculata scelta di vocaboli, possono raggiungere il cuore del lettore.

EM: E cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?

Non deve mai mancare, secondo me, l’abilità di usare le parole come il prestigiatore fa con le carte da gioco, suscitando meraviglia, ammirazione e stupore nel lettore. È importante la struttura della vicenda narrata, ma lo è anche la forma, e questo gli scrittori classici lo sapevano bene.

EM: Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna delle due e perché?

DC: Dal punto di vista stilistico sono vicina all’intimismo: mediante le mie poesie tento di esprimere le situazioni intime e i moti profondi dell’anima. In passato ho studiato la rima e la metrica, ma scrivo in versi liberi per puro gusto personale.

EM: Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?

DC: L’idea di una poesia si annida nella mia mente e lì rimane per alcuni giorni, in gestazione. Successivamente, in momenti del tutto improvvisi, è pronta per venire alla luce e io sono costretta a procurarmi velocemente carta e penna per fissarla sul foglio. In questa fase esce di getto, però, impiego molto tempo (talvolta mesi) nella sua elaborazione e nella ricerca dei vocaboli più appropriati, rispetto a quanto intendo esprimere.

EM: Sì, la poesia, in fondo, è un cercare di esprimere quello che l’anima detta, personalmente dico che è anima che si fa parola, ma che rimane sempre un cercare di esprimere, un tentare di avvicinarci, come ci insegna Ungaretti in una famosa intervista televisiva del 1961, al punto che non potremmo mai arrivare all’espressione compiuta della propria anima.Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?

DC: È indubbiamente più semplice seguire una narrazione, che deve essere scritta secondo canoni precisi, che rispondono all’esigenza di essere compresa dal lettore. A mio parere, la poesia richiede un approccio differente, meno razionale e più emotivo. Chi si accosta alla poesia, infatti, dovrebbe lasciare in secondo piano l’esigenza di comprensione del testo, importante ma non così necessaria come per la prosa, e dare ampio spazio alle emozioni che le parole dell’autore fanno sgorgare nell’intimo. Come diceva T.S. Eliot “La vera poesia può comunicare anche prima di essere capita”. L’uomo di oggi è molto razionale e questo spiega il fatto che sia meno propenso a lasciarsi andare alle emozioni, accordando la sua preferenza, quindi, alla prosa, anziché alla poesia.

EM: Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di autrice?

DC: In passato, nel tempo libero organizzavo eventi culturali nella mia città, legati alla poesia e alla sua interazione con le altre forme d’arte. Ho anche fondato un’associazione di persone che si dilettavano a scrivere poesie. È stata un’esperienza veramente arricchente, sia dal punto di vista umano, che da quello artistico. Lo scambio di opinioni e commenti relativi ai propri e altrui testi, penso sia di fondamentale importanza.  Da due anni sono iscritta al social network “Facebook”, che permette, in termini più veloci e più ampi, il confronto fra gli autori, dilatandone le possibilità. Un’altra esperienza importante è stata la partecipazione all’Atelier delle Arti 2011, dove ho avuto la straordinaria possibilità di conoscere, ascoltare ed apprezzare, fra gli altri artisti intervenuti, scrittori e poeti di fama nazionale e internazionale: Umberto Piersanti (candidato al Nobel per la Letteratura nel 2005), Elisabetta Rasy, Alessandro Zaccuri, Isabella Leardini, Guido Conti, Milo De Angelis e molti altri…

EM: Perché proprio questo titolo Petali d’acciaio?

DC: Il titolo Petali d’acciaio è un ossimoro, che è poi un accostamento di parole dal senso apparentemente contrastante. Quando ho inviato le poesie a te, in qualità di curatore dell’opera, per partecipare alla selezione per la pubblicazione, avevo già in mente questo titolo, che mi è venuto così, spontaneamente. Curioso è invece l’aneddoto riguardante l’immagine di copertina. Dapprima ho pensato a un fiore, poi a una rosa, infine a una rosa rossa, ma non riuscivo a trovare la rosa che rendesse l’ossimoro del titolo. Un  giorno su “Facebook” mi sono imbattuta in una rosa rossa con un’evidente cristallizzazione sul bordo dei petali: faceva proprio al caso mio! È risultata appartenere a un blogger turco, ma alla fine, grazie al tuo prezioso aiuto, come ricorderai, ho ottenuto l’autorizzazione all’utilizzo dell’immagine, ed ecco la splendida rosa che potete ammirare sulla copertina!

EM: Sì, una copertina davvero splendida, temevo proprio di non riuscire a mettermi in contatto con l’autore di quella foto, un blogger turco! La poesia di Petali d’acciaio che ti è più cara o che ritieni più significativa?

DC: Tutte le poesie contenute in Petali d’acciaio, prima di superare la selezione per la pubblicazione, hanno dovuto superare la mia selezione personale, quindi sono quelle a me più care per svariati motivi: alcune mi ricordano particolari momenti della mia vita, altre mi hanno dato molte soddisfazioni ottenendo riconoscimenti a concorsi, altre ancora sono piaciute molto a coloro che le hanno lette. Posso dire, però, che ce n’è una che si distingue per essere l’unica dalla tematica sociale: si tratta di “Clochard”. Ricordo che era l’inverno del 2007 e spesso, tra le notizie del telegiornale c’era, purtroppo, quella del decesso di un senzatetto a causa del freddo. Io mi sono posta la stessa domanda che probabilmente si è affacciata alla mente di molti: “Com’è possibile che ai giorni nostri si possa ancora morire di freddo e di stenti in città ricche di ogni comfort, quali sono le nostre?” Per me è uno scandalo! Così, all’ennesima notizia del genere, mi è sgorgata dalla mente e dal cuore questa poesia.

CLOCHARD

A chi importa

se porto a spasso

brandelli di vita

rattoppata alla meglio

e buchi di coscienza

vuoti di solitudine

rotonde eclissi di sole?

A chi importa

se il contapassi dell’esistenza

segna centinaia di vite vissute

in una sola

sotto cieli infranti di uragani?

A chi importa

se vivo randagio

sotto ponti illuminati

da lune mai sorte

su fiumi di parole

rotolate invano?

A te importa?

Tre anni dopo, grazie a un reportage televisivo, ho scoperto che esistevano squadre di volontari che si occupano proprio di individuare le persone in difficoltà nelle notti più rigide dell’inverno e di riscaldarle e rifocillarle. Si trattava di associati alla fondazione “Fratelli di San Francesco d’Assisi”. Ho cercato l’indirizzo su internet e ho scritto loro una lettera di plauso e ringraziamento per il loro prezioso operato, rammaricandomi di non potervi partecipare io stessa e allegando la mia poesia, come piccolo, piccolissimo contributo. Mi ha risposto il Direttore che, con mia grande sorpresa, mi ha ringraziata a sua volta, affermando che l’attenzione, l’incoraggiamento e il sostegno della gente li spronano a proseguire giorno dopo giorno nella loro opera di accoglienza, assistenza, integrazione e promozione umana delle persone in difficoltà e senza fissa dimora. Ha anche aggiunto apprezzamenti per la mia poesia, dicendo che l’avrebbero inserita in qualche loro pubblicazione. Quando si dice che le poesie arrivano dove neanche l’autore può immaginare…

EM: Cosa ti ha spinto a voler pubblicare il tuo libro?

DC: Per molto tempo non ne ho sentito l’esigenza, infatti, come ho raccontato prima, ero più interessata a organizzare eventi culturali relativi alla poesia e a confrontarmi con chi, come me, amava scrivere. Purtroppo, per gravi problemi familiari, sono stata costretta ad abbandonare questa attività. Non ho mai smesso, però, di coltivare l’interesse per la poesia così, grazie a “Facebook”, ho partecipato, più che altro per gioco, alla già citata selezione. Quando ho ricevuto la proposta di pubblicazione da parte di Rupe Mutevole Edizioni, ho riflettuto e ho scoperto di aver maturato alcune motivazioni, che si facevano sempre più urgenti: la poesia, la musica, l’arte in genere, secondo me, hanno il potere di contrastare, in qualche modo, l’indifferenza e la barbarie che purtroppo stiamo vivendo nella società di oggi, così anche un libro, nonostante sia una goccia nell’oceano, unita ad altre gocce, può contribuire a farci vivere in un mondo migliore, può tenere alta l’attenzione per la via della bellezza e “la bellezza”,  come disse Dostoevskij, “salverà il mondo”. Ed ecco Petali d’acciaio, che raccoglie poesie scritte dal 1992 al 2007, con l’aggiunta di alcune poesie più recenti.

EM: Quali sono i tuoi poeti preferiti, ce n’è uno in particolare?

DC: Ne amo moltissimi, ma la mia trilogia è composta da: Rabindranath Tagore, Federico Garcia Lorca e Pablo Neruda. Tra i poeti italiani prediligo Ungaretti e Alda Merini. Ci sono stati tempi in cui mi sono dedicata allo studio di alcuni poeti, ma attuato in modo, direi, singolare: di un autore volevo leggere tutte le composizioni poetiche che aveva scritto e, come potete immaginare, questo lavoro richiedeva una grande risorsa di tempo e di energie. Nella mia vita, quindi, posso dire di aver letto tutte le poesie di Ungaretti, Montale e Luzi, ad esempio.

EM: E qual è la tua poesia preferita?

DC: Ho nel cuore molte poesie e la scelta sarebbe davvero difficile. Forse potrei parlarvi della prima poesia a cui mi sono affezionata nella vita, una di quelle dettate dalla mia insegnante e scritte nel famoso quadernetto: si tratta di “Natale” di Ungaretti.

NATALE

di Giuseppe Ungaretti (1916)

 Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare

 Ero una bambina allegra, sorridente, solare ed è davvero curioso che abbia prediletto questa poesia tanto triste, in cui un uomo chiede, nonostante sia Natale, di essere lasciato “in un angolo come una cosa dimenticata”. Anche ora, però, nonostante le caratteristiche della mia personalità siano le stesse di allora, prediligo poesie malinconiche ed il motivo rimane oscuro e misterioso anche a me.

EM: Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?

DC: Per anni la lettura ha rivestito il ruolo di mio hobby preferito. Ricordo che leggevo opere impegnative come “I fratelli Karamazov”, “Delitto e castigo”, “Umiliati e offesi” di Dostoevskij, “Guerra e Pace” di Tolstoj. Amo da sempre i classici russi, ma ho letto opere di ogni genere: mi è sempre piaciuto spaziare. L’ultimo libro, anche se non di recente pubblicazione, che ho trovato affascinante e incantevole è stato “Le braci” di Sandor Marai.

EM: C’è un genere di libri che non leggeresti mai?

DC: Sì, c’è: il genere horror, sia relativo ai libri che ai film. Non sopporto emozioni di tensione e ansia crescenti, forse perché ritengo che la vita reale me ne riservi a sufficienza. Non sopporto neanche il genere aggressivo e violento, ne devo già assumere una buona dose, mio malgrado, nella realtà sociale odierna.

EM: Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?

DC: Amo la mia terra, la mia regione e, in modo viscerale, la mia città, a favore della quale investo da anni le mie energie dal punto di vista culturale e anche professionale, poiché esercito qui la professione di docente. Certo è un ambiente climatico umido, nebbioso e malsano, così mi piacerebbe, nel periodo estivo, “migrare” in località situate al mare o al lago, ma è soltanto un sogno.

EM: Tra poesia e prosa, cosa scegli e perché?

DC: Scelgo senza dubbio la poesia, ma non disdegno neppure la prosa. Ho scritto alcuni racconti brevi, pochi, per la verità, ma che mi hanno dato grandi soddisfazioni a livello di riconoscimenti nell’ambito di concorsi. La prosa richiede, però, tempi ed energie di cui attualmente, sono priva ma, in futuro, chissà, non si può mai dire.

EM: Hai un sogno nel cassetto?

DC: No, non ho un sogno nel cassetto, li conservo negli armadi perché sono moltissimi! Ogni tanto uno riesce a uscire fuori e allora sono rari momenti di straordinaria felicità!

EM: Come ti sei trovata con Rupe Mutevole Edizioni, perché l’hai scelta, la consiglieresti?

DC: Mi sono trovata molto bene a vari livelli.  Tu e Gioia Lomasti, i collaboratori coi quali ho avuto a che fare, siete persone straordinarie, dal punto di vista professionale e anche umano. La Casa Editrice ha pubblicato la raccolta proprio nella veste che io desideravo: attuale e di impatto visivo; cura molto i particolari, caratteristica che apprezzo particolarmente. Inoltre, ma non da ultimo, condivido pienamente le motivazioni di fondo del loro operato e la specifica attenzione alle problematiche sociali, che si traduce in forme di solidarietà.

EM: Grazie, svolgiamo il nostro lavoro con passione, anzi, io non riesco a considerarlo un lavoro, sarà perché siamo anche degli autori e la nostra casa editrice propone ai suoi autori di diventare anche collaboratori e curatori. Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?

Necessari no, ma importanti sì. È impossibile per un autore sapere a priori se una sua poesia toccherà o meno il cuore del lettore, a questo livello, ad esempio, i concorsi sono utili per capire dove l’obiettivo è stato centrato. Naturalmente essi non costituiscono l’unico parametro: esistono casi in cui poesie che non hanno ottenuto riconoscimenti ufficiali sono, invece, amate e ricordate da coloro che le hanno lette e, talvolta,  vale il viceversa.

EM: Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?

DC: Non sono nella posizione di dare consigli, ma in quella di riceverne. Ad ogni modo, penso che, prima di cimentarsi nella scrittura, sia bene diventare accaniti lettori e si debbano studiare le tecniche di scrittura.

EM: Qual è la tua opinione riguardo alla scrittura su commissione?

DC: Ci sono autori che riescono con facilità a scrivere su commissione; li ammiro molto in quanto hanno un dono di cui io sono del tutto priva. Le mie poesie nascono liberamente e mai in seguito a sollecitazioni di alcun tipo.

EM: Il grande poeta, scrittore e drammaturgo dell’ottocento francese, Victor Hugo, ha scritto che la poesia non appartiene al poeta: «Fino a che punto il canto appartiene alla voce e la poesia ai poeti? / La poesia non appartiene solo al poeta / perché non è lui a decidere il senso, / perché il poeta sa soltanto in parte, / ciò che la poesia finirà col dire»Sei d’accordo con questo assunto, se sì in che misura?

DC: Sì, sono pienamente d’accordo: la poesia assume, per ciascuno, significati anche differenti, talvolta, rispetto a quanto intendeva esprimere l’autore. Ho avuto prova di questo, leggendo i commenti alle mie poesie espressi su “Facebook” dai lettori: molti di essi hanno suggerito interpretazioni molto interessanti e assolutamente nuove per me, che ne ero l’autrice.

EM: Sì, è proprio vero, anche con le mie poesie ho avuto la stessa esperienza. Vuoi anticiparci qualcosa su una tua prossima pubblicazione o, su quello che stai scrivendo?

DC: La mia prima raccolta è stata pubblicata lo scorso novembre, quindi è prematuro parlarne. Un’idea l’avrei, ma non mi pronuncio, rimarrà un mistero, per ora…

A cura di Emanuele Marcuccio                                                   

6 gennaio 2012

QUESTA INTERVISTA VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DI EMANUELE MARCUCCIO.

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