“Persistenze. Parole, memorie, frammenti” di Stefania La Vita, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

La poesia ha bisogno di cose

è un fatto di respiro,

anche un rossetto usato

può bastare

al verso, dargli ossigeno.

La poetessa siciliana Stefania La Via, residente nell’affascinante comune di Erice nel Trapanese, ha recentemente dato alle stampe, dopo i precedenti lavori Fuori tema. Canti del silenzio (1998), e-mail (2002) e La fragilità difficile (2014), una nuova raccolta di versi. Il volume, dal titolo Persistenze. Parole, memorie, frammenti, è stato pubblicato da Màrgana Edizioni di Trapani in un’elegante veste grafica che al suo interno contempla delle raffigurazioni visive monocromatiche.

L’opera si mostra anticipata da un’affettuosa dedica ai suoi cari, a suo marito e ai figli e subito lascia il posto a un importante cameo di citazioni dell’alta tradizione letteraria nostrana e d’oltralpe. Ci si accorgerà poi, leggendo il volume e procedendo nel percorso voluto dalla poetessa, che i richiami alla tradizione, le voci di maestri e mostri sacri della poesia mondiale, non mancheranno e saranno, al contrario, rilevanti e simboliche pietre miliari, o una sorta di ancore, lungo il cammino.

In apertura alla sotto-sezione intitolata “Parole” incontriamo chiose tra cui una di Italo Calvino estratta da un’avvincente annotazione sulla poesia quale concetto indefinibile e realtà inconcreta, difficilmente contenibile e ascrivibile a canoni stringenti di chiusura e di Umberto Eco e di Paul Claudel incentrate, invece, sulla forza espressiva e il significato del linguaggio umano nelle forme del più antico canto, quello appunto poetico. La chiosa di Claudel richiama il motivo del margine e del frammento, l’aspetto di sopravvivenza e di residualità che contraddistingue la poesia che è, tanto sulla carta quanto nel disquisire, ciò che risulta da un procedimento di sintesi e lavaggio, di rimozione di orpelli estetici e di tecnicismi per giungere a una parola glabra, ossuta, scarnificata atta a rivelare con semplicità e pianezza di linguaggio, a svelare e denudare il corpo del superfluo.

Tra queste ampie linee propedeutiche prende piede l’opera poetica di Stefania La Via e subito ci imbattiamo in opere che fanno della poesia stessa l’oggetto privilegiato d’analisi come accade in “Di verso in verso” dove è possibile leggere: “Mi nutro di poesia a lunga scadenza. / La prendo a piccole dosi dallo scaffale/ […] / la rumino, la disfo, la rifaccio / nuova, la rimpasto con paure / e speranze che sento mie”. Interessante testimonianza di poetica in cui la poetessa non cela la sua reale dipendenza e “consustanziazione” con la poesia, di cui fa uno dei motivi più significativi del suo ordinario.

Una disamina attenta al sentimento che la lega al verbo lirico è contenuta nella poesia successiva, “Alla poesia”, una sorta di lode o invocazione in cui l’Autrice è in grado di rivelare l’attaccamento, la sintonia, il legame e l’effervescenza sperimentate nella scoperta della poesia, nel ricorrere ad essa, nel sentimento di esigenza e di recupero.  In “Fare una poesia” ci si domanda, in maniera indiretta, su come effettivamente sia possibile costruire una poesia e questo viene per lo più indagato in termini non tanto speculativi quanto fascinosi e allegorici; l’Autrice parla di “alcuni versi in lavorazione” e dice che “[ha] scolpito speranza e sofferenza”. La costruzione del verso è centellinata da azioni minute di grande abilità e competenza, come quella di un mastro comacino nell’intaglio e nella lavorazione della pietra. Il manufatto che alla fine vi si ottiene non è che il procedimento frastagliato di interventi continui, di una manualità cosciente ma soprattutto di una grande genialità che risiede nel recondito del singolo.

Nel volume di La Via si riflette sulla scrittura, sull’importanza del segno e si avanza l’idea che le parole abbiano una centralità indiscussa, tanto nel collettivo quanto nel consuetudinario del singolo. Si parla abbondantemente di questo, ascritto in una linea di nostalgica speranza e di tiepida insicurezza che si raggruma nel concetto indefinito e ondivago di transitorietà (alla quale dedica una lirica con un monito riflessivo sul passaggio delle generazioni).

Di particolare pregnanza risulta la poesia “Solo la parola”, che si riconnette alla nota incipitaria di Claudel richiamata come intertesto, che aderisce a una concezione di poesia esatta e pura, parca e necessaria, valevole, nella sua semplicità di linguaggi e stili, di far fronte a un magma interiore, a una ferita indicibile, al desiderio di esternare moti ondosi o burrascosi del proprio io, come pure di aderire, mediante la propria visuale, alla presenza cosciente e attiva nel contesto collettivo: “Poesia non è un’amena passeggiata”, dice la Nostra. Siamo senz’altro d’accordo su questo che, più che un verso, può apparire come un disincantato giudizio. Esso rappresenta un’evidenza palese, quella che nella consuetudine pregiudiziale odierna, vede la poesia come diversivo o banalità, quale artificio recondito o astrazione surreale, tendenzialmente inutile perché incapace di relazionarsi ai fatti concreti della vita. Inefficace e inattuale perché non duttile né respirabile, né tanto meno plasmabile dall’uomo. Eppure La Via evidenzia, secondo una logica di sottrazioni (definendo per mezzo di una serie di negazioni curiose), quel che effettivamente la poesia è (o rappresenta) per lei: “Non è galleggiare in superficie ma apnea / precipizio / sconquasso / che toglie la terra sotto i piedi / e capovolge prospettive, / energia che attraversa, / strappo che squarcia la trama del tessuto”. La poesia è uragano o radiografia. Impeto e scavo. Riflessione e denuncia. Eppure La Via intende sottolineare con nettezza quanto la sua origine primigenia e atavica risieda in una sorta di ambulacri personali, nelle cavità di un’esperienza di cui conosciamo forme e messaggi solo in forma limitata.

In questa sezione dedicata alle “parole” è contenuto anche un omaggio al giovane poeta romano Gabriele Galloni (1995-2020), deceduto nel fiore della sua “estate del mondo”. La poetessa annota nell’incipit: “Quando un poeta muore / si fa più oscuro il mondo, disperato” passando poi in rassegna alcuni degli squarci iconografici più tipici della sua poetica fortemente imbevuta di un sentimento e di un presentimento (forse) della morte: “Corteggiavi la morte / e a lei ti sei arreso, giovane poeta / […] / tu che volesti raccontare l’abisso, / l’Antartide nera”. È da pochi giorni trascorso il primo anniversario della morte del poeta e iniziative in sua memoria, riletture della sua opera, confronti, dibattiti e, forse, il lavoro a una prossima pubblicazione di inediti, ha contraddistinto tutto questo tempo, nel diorama vastissimo e in continua produzione di omaggi e sensi di affetto verso il poeta di In che luce cadranno (2018). Il componimento di La Via rientra, dunque, in questo ambito.

Nella seconda sezione del volume, “Memorie”, dopo le citazioni di Guy de Maupassant e di Bertolt Brecht (si noti la vastità e la varietà stilistica e contenutistica degli autori richiamati e, quindi, in qualche modo, fatti propri, riletti e riproposti nel contesto dei propri testi personali), ci si interroga in maniera più serrata sul transito irrefrenabile del tempo tramite la rievocazione di mesi, stagioni e momenti in essi diluite che hanno contraddistinto momenti inscindibili all’esperienza esistenziale della Nostra. Da “Ferite” leggiamo: “Si sfocano i ricordi dolorosi, / ne resta un’eco sorda / […] / Eppure si riaccende talvolta la ferita”.

La terza e ultima sezione, “Frammenti”, è anche quella più corposa dell’intero libro ed è interamente dedicata a far risaltare il tracciato umano ed emotivo nella drammatica circostanza dei tempi inclementi che ci sono stati dati da vivere, quelli dominati dalla pandemia e dalla sua minaccia mortale, dall’angoscia diffusa sino alla paranoia, alla desolazione e al tormento collettivo. Ci si è domandati spesso negli ultimi tempi su varie riviste di settore, sull’onda anche di iniziative antologiche a tema Covid e a seguito di una poesia di Mariangela Gualtieri (citata dall’autrice in esergo) che a molti è piaciuta ma ha fatto anche molto discutere, se effettivamente sia possibile definire l’età del momento, in termini di storiografia, nei termini di “letteratura della pandemia” e in molti hanno sostenuto di sì. Con ampi e necessari preamboli, note, distinguo, approfondimenti, limitazioni, etc.

La caratteristica principale di questa sezione è quella di voler trasmettere il senso di disagio e di mancanza d’equilibrio dell’uomo contemporaneo, assieme alle sue nevrosi e al sentimento di sempre più convinta in-appartenenza agli spazi. Le poesie divengono, così, brani scheggiati, come annotazioni, perdono il loro senso di completezza e di unitarietà per apparire, appunto, frammenti, il prodotto di un momento di irrequietezza e frenesia e di dolore, di incapacità di rivelare la realtà in maniera pacificata. Ne nascono composizioni di diversa natura, brani in versi che s’avvicinano e si nutrono alla prosa con un alta intensità lirica, in cui l’Autrice ci parla di questo “dolore antico” che si amplifica nella stasi dolorosa (“Di questo tempo strano / ricorderemo la calma delle strade / […] / il silenzio che penetra / la terra”), nel distanziamento sociale, nella lontananza (“il condominio è un albergo / di solitudini”), nell’annullamento e nella sospensione dell’ordinario (“il ritmo si allenta / e l’ora si confonde”), dato per assodato e invece riscoperto in tale circostanza come qualcosa di assolutamente nevralgico e vitale: “Tutto è ovattato, distante / il pianto, il dolore, / il legno delle bare allineate. / Luce al neon che acceca / ma non scalda”, annota in “Frammento sesto”. Il ritorno alla normalità – ammesso che questo sia possibile – potrà avvenire non tanto con l’effettivo debellamento del virus (altri ce ne saranno, dicono gli studiosi) ma quando saremmo stati capaci di ritrovarci negli affetti, quando avremo riscoperto l’esigenza antica e banale, innata e legittima, del sentimento comune: “Dobbiamo reimparare ad abbracciarci” (incipit di “Frammento ventunesimo”).

Una risposta fiera e convinta alla barbarie di questi tempi originata dal maledetto virus è rappresentata dal “Frammento trentaduesimo” dove, dopo numerose immagini di morte, di asfissia, di desolazione collettiva, la poetessa ritorna a sperare, con una rinata coscienza memore dell’accaduto, una riflessione buona che dobbiamo accogliere e fare nostra per continuare a credere al mistero della vita e alla necessità di persistere in questo cammino sì frastagliato e minacciato dall’enigma ma, sempre e comunque, proiettato verso una meta di luce: “Il dolore che provoca l’assenza / si trasforma in canto, / perché solo ciò che manca / si può cantare / e per quanto dura il canto / ha tregua il male”.

Lorenzo Spurio

Note: La riproduzione del presente testo, sia in formato integrale che di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito se non ha ottenuto l’autorizzazione da parte dell’autore. E’ possibile, invece, citare da testo con l’apposizione, in nota, del relativo riferimento di pubblicazione in forma chiara e integrale.

“Ipostasi di buio” di Rossella Cerniglia: alcuni estratti dalla Prefazione di Enzo Concardi

Dietro segnalazione[1] della casa editrice Guido Miano Editore di Milano a continuazione viene pubblicato un estratto significativo della prefazione, stilata da Enzo Concardi, alla recente silloge poetica della siciliana Rossella Cerniglia, dal titolo Ipostasi di buio, edita sulle pagine della nota collana editoriale “Alcyone 2000”.

Cerniglia Rossella 2020 [AL] - Ipostasi di buio [fronte]Rossella Cerniglia è nata a Palermo e vive a Marsala. Laureata in Filosofia è stata a lungo docente di materia letterarie nei Licei di Palermo. Poetessa, narratrice, saggista, ha pubblicato i libri di poesie Allusioni del Tempo (1980), Io sono il Negativo (1983), Ypokeimenon (1991), Oscuro viaggio (1992), Fragmenta (1994), Sehnsucht (1995), Il Canto della Notte (1997), D’Amore e morte (2000), L’inarrivabile meta (2002), Tra luce ed ombra il canto si dispiega (2002), Mentre cadeva il giorno (2003), Aporia (2006), Penelope e altre poesie (2009), Antologia (2013), Mito ed Eros. Antenore e Teseo con altre poesie (2017), Il retaggio dell’ombra (2020); i romanzi Edonè…edonè (1999), Adolescenza infinita (2007); il libro di racconti Il tessuto dell’anima (2011) e il libro di saggistica Riflessioni, temi e autori (2018).

Quest’ultima fatica letteraria di Rossella Cerniglia prosegue il discorso della precedente pubblicazione Il retaggio dell’ombra (2020). Le tenebre che dominano il mondo contemporaneo si fanno, secondo la poetessa, ancora più fitte e giustificano etimologicamente il nuovo titolo: Ipostasi di buio. La sostanza e la personificazione dell’oscurità occupa tutta l’estensione della silloge: infatti, delle tre parti di cui si compone il libro, la prima porta il titolo dello stesso, la seconda quello eloquentissimo di Profondo inferno; la terza quello doloroso di Amore amaro. Culturalmente le prime due sezioni hanno diversi riferimenti nella storia del pensiero e della letteratura, mentre oggi rappresentano tematiche meno visitate; invece la terza sezione è universale, interculturale e metastorica. Nella prima parte si possono individuare alcune liriche più significative e chiare come immagini e lessico del “buio”. L’azzurro esiste ma è rinchiuso “…nel sarcofago ardente / dove una tenebra alta / si leva…” (poesia “Sono pronto”). Una creatura angelica appare in un’oscura dimora dove “…il respiro del tempo / una soglia spalanca / nel suo Nulla più nero” (poesia “Silenti trombe”). Uomini alla deriva con ponti tagliati alle spalle in una buia foresta erano soli, senza “…nessun rifugio / nessuna compagnia…” (poesia “Per elidere”). In “Barche” non si apre nessuna via d’uscita nel “Day After” l’Apocalisse che sembra essere intervenuta: “…barche / piene di buio // senza navigatori…” attraccarono a spiagge desolate dove “…nacque un vortice / che non era luce”. In una delle ultime poesie di questa parte appare l’immagine del Divino, ma è raffigurata come irraggiungibile e pare che siamo stati abbandonati a noi stessi: “…era il volto di Dio / oscuro // la sua Ombra / piantata / nella zolla” (poesia “Il giardino)”. Nasce infine nel suo animo un forte desiderio di speranza e di luce, ma tutto appare come un incubo, un atroce sogno e le è negato il “riveder le stelle” di dantesca memoria (si leggano le liriche “Vaporose ali” e “Sostanza di un sogno”). Viviamo quindi avvolti “Nella notte nera”. Qui il colore dominante della poesia è il “nero”: nere sono la notte, l’oscurità e la tenebra; neri sono il buio e il Nulla, quest’ultimo scritto con la “N” maiuscola, ad indicare il concetto filosofico. La simbologia di tutto ciò è chiara: la morte interiore e sociale regna sovrana nelle nostre anime e nelle nostre relazioni. La solitudine e l’incomunicabilità spadroneggiano in questa civiltà rantolante, anche se nei quadri lirici creati molto appare nel vago, nell’indefinitezza, nelle dimensioni oniriche e surreali: angosce e incubi si sovrappongono a momenti di lucidità e razionalità”.

 ENZO CONCARDI

 

[1] L’editore ha autorizzato il curatore del blog a pubblicare il presente testo senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. Eventuali riproduzioni del presente testo dovranno essere autorizzate dall’editore Miano di Milano e il curatore del blog, in nessun modo, sarà ritenuto responsabile per eventuali riproduzioni, parziali o integrali, su qualsiasi supporto avvenute, operate da parte di terzi. L’utilizzo del grassetto nel corpo del testo è del curatore del blog. Le note biografiche dell’autrice, esulano dal commento critico di Concardi e sono, invece, prodotte dalla casa editrice.

Alcuni testi di Liliana Manetti tratti da “Colore di donna”, la nuova silloge poetica

Segnalazione a cura di Lorenzo Spurio  

Liliana-foto

Liliana Manetti

Liliana Manetti (Roma, 1980) si è laureata in Filosofia all’Università “Tor Vergata” di Roma. Poetessa e scrittrice, ha pubblicato numerosi volumi. Per la poesia L’ultima romantica (2011), La mia arpa (2012), Il fiore di loto. Storia di una rinascita (2015) e Colore di donna. La forza di una nuova rinascita (2020) con acquerelli della quotata artista polacca Anna Novak[1]. Per la narrativa il romanzo fantasy Almond. Il fiore dei Mondi Paralleli (2013) scritto assieme a Selina Giomarelli e i romanzi Shabnam. La donna che venne da lontano (2016) e La nuova favola di Amore e Psiche (XXX).  Consulente radiofonico e responsabile colloqui nel format radiofonico in onda su Radio Roma Capitale 93 FM dal titolo “Live Social” e giornalista e opinionista in varie testate cartacee come l’inserto culturale di Gaetano Di Meglio “Il Dispari”, “PaeseRoma”, “Abitare a Roma” di Vincenzo Luciani, e nella rivista “La Sponda” di Benito Corradini. Collabora come volontaria nel salotto culturale Polmone Pulsante a Roma e organizza eventi. È Ambasciatrice della Regione Lazio dell’Associazione culturale Internazionale DILA di Bruno Mancini. Numerosi gli incontri con il pubblico tenuti nel corso degli ultimi anni in vari locali e contesti culturali della Capitale e non solo.

Il volume Colore di donna (Santelli, Cosenza, 2020) si apre con una esaustiva presentazione della stessa autrice che fornisce alcuni parametri di lettura importanti da poter tenere in considerazione durante la lettura del volume in relazione all’approccio personale e biografico dell’autrice. In essa viene detto: “Le liriche sono ispirate al mio mondo interiore, sono quasi tutte introspettive ma anche e soprattutto celebrative: ossia esaltano l’importanza della poesia e dell’ispirazione poetica che è in me anche e soprattutto “catarsi” (purificazione) dal dolore e dai drammi che sono presenti nell’esistenza… una capacità che assomiglia, grazie alla sua forza immensa, al rinascere della natura nel periodo primaverile. […] Le liriche (come anche i romanzi) sono ispirati a delle mie situazioni esistenziali complicate, dove la soglia del dolore psicologico è stata ed è purtroppo molto alta per la mia persona, dovuta a esperienze limite ma anche alla mia spiccata sensibilità”. Ed è la stessa autrice, sempre in questa nota iniziale, a chiarirci le componenti tematiche che contraddistinguono le varie parti del nuovo libro, accompagnandoci come “per mano” in questo percorso: “La silloge inizia con il capitolo “Tra sogno e realtà. Nel limbo”: sono i primi cenni di riapertura al mondo, i sogni che rimangono nella nostra esistenza, nonostante il fatto che la realtà è molto più dura di quello che ci eravamo da sempre aspettati che accadesse nella nostra vita. […] La seconda parte si intitola “Approdo all’altro”: apro tematiche molto profonde, come quelle sull’amicizia e sulla pace, che mi sono sempre state a cuore, e che hanno segnato tante mie riflessioni, queste pubblicate sono le più mature. […] La terza e quarta parte della silloge, “La rinascita”, […] riprende la voglia e la capacità di andare avanti… una rinascita che è interiore, ma che avviene in particolare nel periodo primaverile. La quinta parte è quella in cui mi autodefinisco “Emersa nell’altro”, come il fiore di loto che “emerge dal profondo e sboccia”, a cui si arriva quando, avvenuta la rinascita ci si può aprire all’amore. La sesta e ultima parte “Essenza di donna” […] rappresenta una raccolta di poesie tutte dedicate alla donna”.

 

A continuazione quattro testi poetici selezionati dal volume:

 

Approdo all’altro

 

Viaggiatrice dell’anima

 

Scintilla di rugiada

sulle tue guance

scivola delicata

sulle fessure gentili del tuo volto

dove io scruto

attenta

la tua

ANIMA…

*

 

Rivoglio le mie ali

 

Vita restituiscimi i miei sogni!

Quella vita sempre immaginata…

quella storia che mi sono sempre raccontata

ancora aleggia nei miei desideri!

Speranza lotta contro i momenti bui

del mio vagare…

La meta porta in vetta,

la voglia di non arrendersi mai

mi trascina in percorsi mai

esplorati

ma da sempre impressi

nella mappa geografica

della mia vita…!

Striature colorate

vedo in lontananza…

il filo rosso che conduce

ai miei obiettivi più profondi

emerge dalle difficoltà…

Non voglio perdermi…

rivoglio le mie ali!

 

*

 

Figlia della luna

 

Figlia della luna

sorella delle stelle

con i sogni per vestiti

e le ali per volare

per raggiungere

le vette più alte delle mie fantasie…

io?

Una creatura fragile,

fragile e felice.

Ma la vita non perdona

invidiosa del mio volo e del mio canto

mi ha strappato le vesti,

le ali.

Son caduta in picchiata

in questa fredda realtà…

ora, nuda

scrivo versi

con la nostalgia di quel mondo tutto mio

un mondo silenzioso

disegnato dai colori della mia anima.

*

 

A Frida Kahlo (come bozzolo…)

 

Come bozzolo

incustodito

mi sforzo di custodire

il mio dolore…

contengo le mie ferite più profonde

ma le mie nell’anima,

le tue nel corpo e nell’anima

scalfisco lì dove fa male

dipingo,

io con parole,

scolpisco

ma senza sublimare

mi osservo

mi accetto

rifletto luce

dal profondo dell’oscurità

vivo l’attimo che scorre…

assaporo, degusto

il cibo più prelibato…

come te:

comunque vivo!

519s97YTBjL._SX317_BO1,204,203,200_Rilevanti anche i sostanziosi contributi critici che arricchiscono il testo, ovvero la prefazione a firma di Domenico Mazzullo[2] e la postfazione stilata da Franco Di Carlo. Cito da entrambi i testi riportando in superficie considerazioni interessanti e degni di una maggiore diffusione. Mazzullo, che è un affermato medico psichiatra, annota: “Ho trovato, scoperto, riconosciuto [nei suoi versi] la conferma di una sensazione, un’intuizione che è sempre stata una mia ferma convinzione, tanto da farne una ragione di vita. La sofferenza […] non sempre è, come spesso ci appare, inutile, insulsa e fine a se stessa, ma a volte, e questo dipende solo da noi, essa si trasforma, si trasmuta, si nobilita in una esperienza personale e collettiva che ci insegna, che ci fa, o ci obbliga, a crescere, a farci più maturi, a capire e comprendere noi stessi e gli altri che ci circondano, a trasformarci da esseri spontaneamente e naturalmente egoisti, in Persone capaci di soffrire, ma anche di gioire assieme agli Altri, per i Loro dolori e le Loro gioie. […] Le poesie sono tutte belle e ognuna diversa dalle altre, permettendo ad ogni Lettore, di scegliere tra queste quella che è stata maggiormente capace di penetrare il Suo animo, di sconvolgerlo, di travolgerlo, di commuoverlo, di emozionarlo”.

 

 

NOTE:

Franco Di Carlo[3], noto poeta e scrittore, autore di vari volumi di critica (su Tasso, Leopardi, Verga, Ungaretti, Poesia abruzzese del ‘900, l’Ermetismo, Calvino, Avanguardia e Sperimentalismo, il romanzo del secondo ‘900), invece, nella nota di chiusura al volume riporta: “[La sua] è una poesia esistenziale e affettiva, fatta di incontri (voluti o sognati): con la poesia stessa e con l’arte, con la Natura (sempre Mater benigna), con l’Amicizia e soprattutto con l’Amore, principio di tutte le cose, “Principio Vivificante”, come ci ricorda Giacomo Leopardi. […] [Essa è connotata dal] suo lirismo passionale ma luminoso, [dal]la vena autobiografica, [da]l diarismo esistenziale, [dal]l’afflato simbiotico e archetipico con i Principi fondanti della Vita (naturale e umana). […] L’Amore [è] inteso in tutte le sue varie declinazioni: ansia, sogno, desiderio; tema-guida”.

[1] Nella sua introduzione l’autrice scrive: “La pittrice Anna Novak è famosa per i suoi dipinti, che hanno come soggetto donne dai colori pastello sorprese in alcuni momenti particolari tutti al femminile. Il lavoro di questa silloge quindi rappresenta un connubio tra le arti, la poesia che si fa pittura e la pittura che si fa poesia: una modalità di espressione che mi è cara da sempre”.

[2] Domenico Mazzullo è nato a Roma, ove vive ed esercita; si è laureato in Medicina a Roma e successivamente specializzato in psichiatria a Pisa. Nei primi anni di professione è stato medico condotto e medico di bordo. Ha lavorato presso l’ospedale psichiatrico di Volterra ed in varie strutture specialistiche psichiatriche. È stato consulente psichiatra e poi Direttore medico di un istituto specialistico di riabilitazione psichiatrica. Ha curato i capitoli inerenti la Psichiatria e la Psicofarmacologia nella stesura di testi di medicina interna. Collabora, in qualità di psichiatra, con rubriche di medicina su Internet. Esercita la libera professione come psichiatra clinico e psicoterapeuta. Ha partecipato all’edizione 2003-2004 della trasmissione Domenica In di RAI UNO condotta da Paolo Bonolis.

[3] Franco Di Carlo (Genzano di Roma, 1952), oltre a diversi volumi di critica (su Tasso, Leopardi, Verga, Ungaretti, Poesia abruzzese del ‘900, l’Ermetismo, Calvino, D. Maffìa, V. M. Rippo, Avanguardia e Sperimentalismo, il romanzo del secondo ‘900), saggi d’arte e musicali, ha pubblicato varie opere poetiche: Nel sogno e nella vita (1979), Le stanze della memoria (1987), Il dono (1989); fra il 1990 e il 2001, numerose raccolte di poemetti: Tre poemetti; L’età della ragione; La Voce; Una Traccia; Interludi; L’invocazione; I suoni delle cose; I fantasmi; Il tramonto dell’essere; La luce discorde; nonché la silloge poetica Il nulla celeste (2002). Della sua attività letteraria si sono occupati molti critici, poeti e scrittori, tra cui: Bassani, Bigongiari, Luzi, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti, Spagnoletti, Ramat, Barberi Squarotti, Bevilacqua, Spaziani, Siciliano, Raboni, Sapegno, Anceschi, Binni, Macrì, Asor Rosa, Pedullà, Petrocchi, Starobinski, Risi, De Santi, Pomilio, Petrucciani, E. Severino. Traduce da poeti antichi e moderni e ha pubblicato inediti di Parronchi, E. Fracassi, V. M. Rippo, M. Landi. Tra il 2003 e il 2015 vengono alla luce altre raccolte di poemetti, tra cui: Il pensiero poetante, La pietà della luce, Carme lustrale, La mutazione, Poesie per amore, Il progetto, La persuasione, Figure del desiderio, Il sentiero, Fonè, Gli occhi di Turner, Divina Mimesis, nonché la silloge Della Rivelazione (2013).

 

La riproduzione del presente testo, e dei brani poetici riportati (dietro consenso dell’autore), sia in forma di stralcio che integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dei relativi autori.

“Ebbrezze d’amore, dolcezze e furori” di Anna Manna Clementi, la nuova opera omnia della poetessa romana fondatrice del Premio “Rosse Pergamene”

Articolo di Lorenzo Spurio 

È uscito il nuovo libro di poesie della poetessa e scrittrice romana Anna Manna dal titolo “Ebbrezze d’amore, dolcezze e furori” per i tipi di Nemapress di Roma, Collana Poesie, che sarà presentato ufficialmente giovedì 12 dicembre a Roma presso l’Aula Magna di Palazzo Sora (Corso Vittorio Emanuele II n°217) in un evento tenuto presso il Sindacato Libero degli Scrittori Italiani.

79083015_2591622101066809_2234781216228245504_n.jpgAnna Manna Clementi ha pubblicato molti libri di poesia e racconti, tutti risultati pluripremiati in vari contesti letterari in numerose regioni italiane. Tra di essi i prestigiosi “Premio Teramo” e “Premio Alghero”, il “Premio Scrivere Donna” (Tracce Editore), il Premio “Sinite Parvulos” in Vaticano, Premio “Francesco Grisi”, “Calliope” e tanti altri ancora. Ha ideato, fondato e presiede il Premio Letterario “Le Rosse Pergamene” con sede a Roma, il cui nome è nato a partire da una delle sue numerose pubblicazioni. Per la poesia ha pubblicato Migranti (2016), Le poesie di Monteluco (2016), Maree amare mare e amare, Umili parole e grandi sogni. Cinque poesie per tre pontefici; per la narrativa ha pubblicato il romanzo A largo della polveriera (2002); per la saggistica Europa e cultura del Nuovo Umanesimo e L’Illimite . Incontro con il poeta Corrado Calabrò (2015). Sue poesie sono presenti in numerose antologie. È Presidente Fondatrice del Premio “Europa e Cultura” che si svolge presso il Centro di Documentazione europea “Altiero Spinelli” alla Facoltà di Economia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Pluripremiata anche a livello istituzionale per la sua attività di cultural promoter. I suoi saggi sono stati presentati anche presso la Biblioteca della Camera dei Deputati e presso Casa Menotti a Spoleto. Si sono occupati della sua scrittura e della sua instancabile attività di promozione culturale i maggiori critici letterari e giornalisti del nostro Paese.

Prenderanno parte alla presentazione, oltre all’autrice del libro, Francesco Mercadante (filosofo del diritto, saggista, Presidente del Sindacato Libero Scrittori italiani), con un saluto di indirizzo che aprirà poi agli interventi di Neria De Giovanni (Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari) e Daniela Fabrizi (poetessa, con la quale Anna Manna nel 2016 pubblicò il libro a quattro mani Migranti, con prefazione di Dante Maffia e postfazione di Lorenzo Spurio). Ospiti d’onore saranno Diana Cavorso Caronia, Sabino Caronia e Mario Narducci. Ad arricchire il pomeriggio poetico saranno lette e commentate le poesie di Anna Manna presenti nel volume da parte di Fabia Baldi, Luisa Bussi, Jole Chessa Olivares, Tiziana Marini, Ruggero Marino, Artemide Napolitano, Antonella Pagano ed Eugenia Serafini.

78896107_576314213183830_1613542187163713536_n.jpgMondadori-Store così presenta, in forma sintetica, i contenuti di questo volume: “Il libro raccoglie le poesie di oltre vent’anni, rappresentando quasi un’opera omnia di una scrittrice e poeta molto nota in campo nazionale. Ne è la prova, non soltanto le liriche antologizzate, ma soprattutto l’ultima parte del libro, in cui numerosissimi saggisti e critici letterari si cimentano nell’analisi di singole poesie, scelte per empatia e vicinanza di tematiche tra saggista e poeta. Il libro è la sintesi di poesie d’amore e anche d’amore per l’arte e la bellezza. Si chiude con un omaggio poetico alla città di Roma”.

La scrittrice Neria De Giovanni, che ha curato la prefazione, così parla della nuova opera di Anna Manna: “è il resoconto di una vita di riflessioni, emozioni, immagini letterarie e realtà vissute. [Il volume] è composito e ricchissimo, con una voce poetica che a volte diventa anche preludio e presentazione critica per guidare, all’interno del volume, tra versi e prose critiche, illuminando un percorso sempre più accattivante e misterioso insieme. Anna Manna è certamente poeta, ma anche critico letterario e ideatore-coordinatore di eventi di alto spessore culturale. Pertanto ha voluto racchiudere in questo volume non soltanto le sue poesie migliori con un ordito rigoroso e motivato, ma anche testi critici di approfondimento e lettura dei suoi versi, da parte di lettori d’eccezione, critici militanti”.

Tra di essi figurano gli scomparsi Giorgio Carpaneto, Vittoriano Esposito, Pasqualino Fortunato, Gilberto Mazzoleni, Raimondo Venturiello, Mauro Milesi, Nino Piccione e Mario Mazzantini e viventi quali i contemporanei Renato Minore, Luigi Tallarico, Marianna Bucchich, Mario Narducci, Ruggero Marino, Franco Campegiani, Giuseppe Nasca, Liliana Biondi, Diana e Sabino Caronia, Fabia Baldi, Lorenzo Spurio, Michela Zanarella, Daniela Fabrizi, Jole Chessa Olivares, Fausta Genziana Le Piane, Lidia Popa, Luisa Bussi, Tiziana Grassi, Elisabetta Bagli, Romano Maria Levante, Carmelita Randazzo, Antonella Pagano, Tiziana Marini, Anita Napolitano. Le conclusioni critiche sono di Carmelo Aliberti e Giuseppe Manitta mentre i rapporti tra la poesia della Manna e la pittura sono analizzati e sviluppati dalla scomparsa Mines Preda De Carolis e dai contemporanei Stefania Camilleri ed Eugenia Serafini.

LORENZO SPURIO

La riproduzione del presente testo, in forma di stralcio o integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dell’autore. 

 

79339918_528101324454872_685643094460203008_n.jpg

Il critico Cinzia Baldazzi su “Una vita in versi”, volume di ritratti poetici e testimonianze sulla copiosa attività letteraria di Anna Santoliquido

Intervento critico di Cinzia Baldazzi

Il 6 aprile scorso a Roma, nei locali di Lettere Caffè a Trastevere, ha avuto luogo la presentazione di Una vita in versi (LB Edizioni, 2018), omaggio del mondo intellettuale ad Anna Santoliquido. Il volume, curato da Francesca Amendola, contiene saggi critici, interventi, testimonianze, poesie dedicate, racconti, disegni, fotografie.

Dopo la proiezione del cortometraggio Ritratto di autrice di Letizia Lamartire, Anna è stata intervistata da Andrea Lepone, ha dialogato con la drammaturga Vincenza Renata Li Gioi, ha ascoltato una sintesi di poetica di Rosanna Sabatini e partecipato a un mini-dibattito sulla condizione della donna coordinato dal giornalista Fabrizio Federici con Salameh Ashour, Badia Rami, Umberto Puato, Michele Lofoco. Le poesie di Anna sono state declamate dagli attori Mario Focardi e Carmela La Rocca. Intermezzi musicali con Manuela Ciccotti, Mario Sista e Roberta Murzilli.

Qui di seguito riportiamo l’intervento critico di Cinzia Baldazzi.

 

Ho rivisto

dopo anni

la casa di pietra

avvolta dal sole

e dalla quiete.

Il tempo

nel silenzio

ha scolpito

la sua storia

sulla facciata esterna

per offrirla in dono

agli occhi curiosi

dei forestieri dell’estate.

Anche il vecchio platano

continua a dipingere

il suo quadro

con l’ombra fresca

che da lunghi anni

regala

alle pietre arroventate

e ai resti

di una porta

ormai consunta.

Il sedile

è ancora lì

testimone

nella sua dignità

di pietra.

Non c’è più colei

che dal volto bruno

e dai capelli bianchi

scrutava il cielo

a modo di preghiera…

Tutto aveva un sapore

di storia vissuta,

di rimpianto.

Ho rivisto la vita

in un ciuffo d’erba

cresciuto per miracolo

in una crepa.

Ho parlato con le pietre

della bellezza

della vita

e dell’amore.

 

foto cover libro.jpgLa poesia di Anna Santoliquido appena letta, intitolata La casa di pietra, è compresa nella raccolta I figli della terra pubblicata nel 1981. La sua poetica generale mi ricorda in qualche modo una tematica che a Wolfgang Goethe piaceva sottolineare: “Chi desidera capire la poesia deve recarsi nella terra della poesia, chi desidera capire il poeta deve andare nella terra del poeta”.

In una simile classe di riferimenti credo sia giusto inserire il quid creativo della nostra Anna – come sappiamo, poetessa, saggista, narratrice, traduttrice – della quale il volume Una vita in versi costituisce un segno di ossequio articolato e prezioso a lei riservato dal mondo intellettuale, anche internazionale. La sintesi narrativa-illustrativa del libro è raffinata, ricca delle tracce significative di un’esistenza alimentata dalla greca ποίησις-poíesis, nell’intimo di una “poetica” mutata in vita essa stessa (secondo i termini introdotti dal professor Walter Binni).

Lo scorso mese di novembre mi trovavo a Jesi, alla cerimonia di premiazione del concorso “L’arte in versi” organizzato dall’Associazione Culturale “Euterpe”. Una sorte favorevole, direi una τύχη, ha sortito il nostro incontro: in quell’occasione, infatti, Anna ha ricevuto il prestigioso Riconoscimento alla Carriera. La circostanza – in senso semiotico – per conoscersi meglio e comunicare era pertanto ottimale, anche quando, sedute accanto durante la cena, abbiamo sfogliato insieme l’antologia.

Il giudizio estetico trasmesso dalla sua figura globale è apparso subito chiaro: nutrire una visione esaustiva del successo dell’atto semico nell’affrontare l’evocazione di un τόπος-tòpos letterario.

La Santoliquido è stata infatti, sin dagli inizi, ben cosciente di quanto il ricevente, per comprendere quanto gli viene proposto, debba poter interpretarne, nei vari segni, i segnali lanciati, assieme alle relative circostanze.

In uno scambio dialettico maturo di indicatori e messaggi si sviluppa, ad esempio, la poesia Ritorni, pubblicata in Serbia nel 2007 e sviluppata in due coppie di quartine:

 

chissà come sarò

tra cent’anni

se le gote saranno

muschio o terra

 

non sentirò il trapasso

mi rapirà la luce

le labbra non emetteranno rantoli

ma versi

 

vorrei accanto i ragazzi

il mulo nella stalla

i pulcini sotto il letto

le viole nel bicchiere

 

ritornerò nei sogni

nei desideri delle madri

nella passione degli amanti

nelle nubi del mattino

Anna 2.jpg

Uno scatto durante la presentazione del volume a Roma il 6 Aprile 2019.

Nel microcosmo di questi componimenti, il posto principale per coglierne il significato spetta al destinatario. Che l’ultima parola sul senso di una frase spetti a chi la legge o a chi la ascolta, è una tesi ormai accettata da gran parte della linguistica moderna. Fra i tanti, lo ha spiegato il semiologo Jorge Luis Prieto, uno dei miei maestri: la comprensione di noi interlocutori sarà “buona” o “cattiva”, vale a dire, potremo aver compreso o meno una poetica del genere.

Ebbene, l’atteggiamento poetico di Anna di fronte a un simile stato di cose prevede innanzitutto di fissare l’obiettivo del processo concepito per divulgare i versi, rivelandosi in grado (secondo una Weltanschauung personalissima) di stabilirne lo scopo.

E lo strumento per raggiungere un tale obiettivo, pur nella sua radice dialettica, consiste nel proiettare un insieme referenziale assai ampio, capace di accogliere una vasta gamma di opinioni o interpretazioni.

Ad esempio, nelle strofe de La casa di pietra, ascoltate in apertura, suppongo si possa, da stranieri, in una calda estate, cercare un riparo in versi dalla calura dell’afa: l’autrice intende sgombrare lo sguardo dalle nebbie – ovvero dalle possibili interpretazioni devianti del testo – auspicando di andare al di là di ricordi ininfluenti, illusori.

Introduco ora alcuni versi celebri di Emily Dickinson, scritti nel 1873. Sono contenuti all’interno di una lettera, e originariamente pubblicati in una raccolta epistolare. Chiedo ad Anna di leggerli lei stessa, perché introducono un altro aspetto della sua poetica:  

 

There is no Frigate like a Book

To take us Lands away

Nor any Coursers like a Page

Of prancing Poetry

This Traverse may the poorest take

Without oppress of Toll

How frugal is the Chariot

That bears the Human Soul.

 

Non c’è Vascello che eguagli un Libro

Per portarci in Terre lontane

Né Corsieri che eguaglino una Pagina

Di scalpitante Poesia

È un Viaggio che anche il più povero può fare

Senza paura di Pedaggio

Tanto frugale è il Carro

Che porta l’Anima dell’Uomo

 

A lungo ha viaggiato la Santoliquido, quanto i suoi libri, tradotti in oltre venti lingue, conducendo un impegno operativo di storiografia letteraria o di letteratura storica orientato verso una natura e una società progressive.

E tuttavia, secondo quanto ripeteva il maestro della poetica-critica Walter Binni, non è opportuno valutare i poeti «come un dopo almeno ideale rispetto a strutture e tendenze di loro non bisognose», poiché la loro forza esegetica risulta originale «e di sollecitazione di moti spesso oscuri e fermentati di una situazione storica, sociale, politica, culturale».

Anna 1.JPG

Il critico letterario Cinzia Baldazzi assieme alla poetessa Anna Santoliquido durante la presentazione del suo volume tenutasi a Roma il 6 aprile 2019.

La poetessa di Forenza continua a viaggiare con la sua ispirazione letteraria imparando a illuminare luoghi della sensibilità, dell’anima. Nel brano La sposa agreste, in una raccolta pubblicata a Lubiana nel 2011, dalle parole di una giovane rimasta in patria ad attendere il marito emigrato negli Stati Uniti, apprendiamo:

 

Credeva che il firmamento si sfogliasse

invece lanciava fiamme

l’anima sull’incudine

i cavalli a briglie sciolte.

 

Vorrei ora citare lo studioso canadese Northrop Frye nel celebre lavoro Agghiacciante simmetria, dedicato a William Blake. Lo ricorderete, Blake è stato l’illustratore del Paradise Lost di John Milton: lo ricordo perché Una vita in versi contiene opere pittoriche ispirate proprio all’autrice. Dunque, Frye scriveva: “Coloro per i quali soggetto e oggetto, esistenza e percezione, attività e pensiero sono tutte parti di un’antitesi gigantesca, penseranno naturalmente che l’uomo sia diviso tra una volontà egocentrica e una ragione che stabilisce contatti con il non-Io”.

Con Anna Santoliquido, di sicuro noi donne, insieme agli uomini, non lo crediamo e, per dimostrarlo, giriamo il mondo per confrontarci con noi stessi, con gli altri.

Questa poesia è dedicata a Ernest Hemingway:

 

sono poeta

anche quando la lacrima si cristallizza

la nuvola si rovescia

il pescecane mi azzanna

 

nel mare dei sogni

gli squali fendono l’onda

il pescatore si accanisce

con le mani sanguinanti

 

getto l’amo sul foglio

mi acquatto nella barca

respiro a stento

il sangue tinge l’acqua

 

sono poeta

a Belgrado e a Zagabria

sotto il sole di Puglia

e nel covo dei briganti

 

un ragazzo vigila il mio sonno

con l’impetuosità dei vent’anni

la condanna del consumismo

e il profumo della pelle

 

sono poeta

anche quando le alghe mi ammorbano

l’aria è stagnante

e il treno mi sveglia

 

 

come Santiago

porto a riva la carcassa

forse pentita

di essermi spinta troppo al largo

 

la pesca nell’oceano

ha svelato le voragini

acuito la sete

e scolpito la solitudine

 

Il brano ha per titolo Sono poeta, ed è tratto da una raccolta edita in Serbia nel 2007.   

Al pari di molti artisti, anche Anna ha sviluppato un’ipotesi di risposta intorno al significato della vita nostra e degli altri. Emerge in questa poetica – ieri, oggi, chissà nel futuro – uno spiraglio di felicità, frutto del sapere non il perché di tutte le cose, ma il perché di tutte le cose come appaiono. La base di una simile convinzione è, ad esempio, nel Sensismo di leopardiana memoria: le reazioni emotive, con il bagaglio ideale, sono basate – nel soggettivismo lirico – su dati ben definiti, sensoriali, concreti, immediati, matrice di un contesto naturale, personalizzato in parallelo.

È dunque il caso di chiedersi, con Anna, dove – lontano nel mondo – si possa costruire un nostro nido, collocati però in un transfert con figli sempre cresciuti, un tempo trascorso e, dopo aver riposato pochi istanti, con l’eventualità di continuare il cammino, di riprendere il lavoro. Per ognuno: su differenti latitudini, per ogni popolo o civiltà, in qualsiasi religione.

CINZIA BALDAZZI

 

L’autrice del presente testo acconsente alla pubblicazione su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi pretesa o problematica possa nascere a seguito di riproduzioni e diffusioni non autorizzate, ricadendo sull’autore dello stesso ciascun tipo di responsabilità.

La catanzarese Maria Teresa Murgida esce con “Il filo quotidiano” (opera prima)

Impaginato_Teresa_visto_stampa (1) (1)-page-001.jpgÈ uscito da poco il libro di poesie Il filo quotidiano, opera prima della poetessa calabrese Maria Teresa Murgida per i tipi di Compact Edizioni (Divisione Editoriale di Phoenix – Associazione Culturale di Roma), curatrice di collana Francesca Bullo, con prefazione della poetessa Michela Zanarella.

Dalla quarta di copertina, atta a svelarci le principali pieghe di questo volume secondo una chiave sinottica che desta interesse nel lettore, per mezzo delle parole di Michela Zanarella veniamo a sapere che “questo libro è il riconoscimento ottenuto per essersi qualificata, con il suo componimento in versi ‘In un foglio di mare’ al primo posto al concorso “Metropoli in versi”, dedicato al tema della città e dei luoghi del vivere, ideato e promosso da Phoenix Associazione Culturale […]; il libro è un canto delicato e puro di intuizioni elevate. La scrittura si nutre di semplicità estrema: è proprio nella capacità di osservare il mondo e introiettare le emotività umane e divine, che la poetessa ci offre una parte di sé, delle sue emozioni più intime e vere”.

In appendice è situata anche una parte in prosa accompagnata da suggestive foto rese in scala di grigi. Significativa la sezione dedicata ai ringraziamenti nei quali l’autrice così scrive: “Agli alberi e ai cieli senza i quali non vedrei le cose come realmente sono. Agli occhi dei bambini dove trovo parole senza polvere che fanno luminoso anche il fitto del bosco. A Gianni a Mario a mia madre che aggiungono una piuma sempre nuova alle mie ali di parole, A chi trova nel proprio petto una noce piccola, la apre e la offre attraverso la poesia” (p. 75).

 

Di seguito tre liriche della poetessa tratte dal volume

 

“Le parole che non dico”

 

Le parole che non dico a nessuno

lievitano in una spiga.

 

Nell’ampia piazza del campo di grano

si gonfiano dello scroscio nella pozza sulla strada.

 

Diventano cervo e volpe nei cirri sospesi.

 

Poi sentono un vento arrivare

che sposta i rami.

 

Montano di tramontana nella gola,

plasmano piume,

e urlano nei becchi delle aquile.

 

*

 

“Occorre guardare il cielo”

 

Occorre guardare il cielo,

spiarlo tra le foglie dell’edera,

seguire la fine dei tetti,

strizzare gli occhi dietro ai vetri.

 

Ci si accorge allora delle speranze di una lucciola,

dei covoni fermi dove dorme il sole

e qualche lume di luna.

 

Si esce così dalle prigioni,

si scavalcano le siepi.

 

Il ferro delle gabbie diviene elastico

e vibra di suoni il silenzio.

 

Occorre attaccare le ali agli occhi

più che alle scapole.

 

Nascono favole

più in là

oltre le tegole.

 

*

 

“Le cose da niente”

 

Celebro le piccole cose:

la crepa, lo spacco,

gli occhielli slabbrati.

 

Onoro l’ora di ieri

quella ultima e spaiata

dove fa la casa il ragno

e danza la polvere.

 

Mi sale impetuosa una quiete,

una specie di morte

che sparpaglia l’ordine

tra l’ordito e la trama.

 

Chi è l’autrice?

46090295_123748235299049_896633286112871022_n.jpgMaria Teresa Murgida (Catanzaro, 1976) vive a Vallefiorita, un piccolo paese in provincia di Catanzaro. Lavora e gestisce un centro per la prima infanzia. La scrittura è da sempre il punto fermo del suo quotidiano. Si è avvicinata alla poesia da poco tempo, ottenendo lusinghieri consensi da parte dei lettori. All’interno di alcuni concorsi letterari ha ottenuto riconoscimenti e attestazioni di merito tra i quali il 1° Premio al Premio Nazionale “Città di Latina” (2017) con la lirica intitolata “in un foglio di mare” che, nello stesso anno, si è aggiudicata il primo posto anche al Concorso Nazionale “Metropoli in versi” a Roma. Nella città in cui vive ha ottenuto una Menzione Speciale alla VII edizione del Premio “Versi d’agosto” (2017), questa volta con la poesia “un seme di soffione”. Altri suoi testi compaiono in antologie.

 

L’autrice delle poesie qui riportate e della prefazione, riportata in forma di stralcio in questo articolo, acconsentono alla pubblicazione su questo spazio online senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi problematica possa nascere a seguito di riproduzioni e diffusioni non autorizzate.

“Cerchi ascensionali” di Francesca Luzzio, recensione di Lorenzo Spurio

Cerchi-ascensionali-220x300.jpgLa nuova opera della poetessa palermitana Francesca Luzzio è stata recentemente pubblicata per i tipi di Il Convivio Editore di Castiglione di Sicilia e porta il titolo di Cerchi ascensionali.  Le motivazioni e le finalità della tetra-ripartizione dell’ampia opera poetica – che raccoglie gli inediti della più recente produzione, compresi alcuni testi apparsi su riviste e antologie – sono ben chiarite negli apparati critici introduttivi al volume a firma, rispettivamente, del professore Elio Giunta e di Angelo Manitta, critico letterario e responsabile della casa editrice Il Convivio. Nella progressione di questo percorso per “cerchi” che, come Manitta rivela, ricordano i canti di dantesca memoria,l’animo poetico della Nostra è tratteggiato a trecentosessanta gradi, esponendosi la poetessa tanto su questioni di carattere etico-sociale[1] (“La mia terra è piena di crepe,/ sofferente, come tanta gente che nulla ha”, 39), quanto su riflessioni personali ricollegati alla rievocazioni di memorie felici e veri e propri flussi di coscienza.

 

La recensione completa è stata pubblicata su “Oubliette Magazine” il 22-02-2019. Per poterla leggere cliccare qui. 

 

“Le pagine del travaso” (e altri inediti) di Claudia Ruggeri, esce il volume a cura di Annalucia Cudazzo

Giovedì 13 dicembre 2018 alle ore 19:30 presso la Sala “Giuseppe Bertolucci” del Cineporto di Lecce (Via Vecchia Frigole) si terrà la presentazione al pubblico dell’opera “Poesie. Inferno minore. )e pagine del travaso” di Claudia Ruggeri. L’iniziativa è promossa dalla Musicaos Editore in collaborazione con il Centro di Ricerca Pens-Poesia Contemporanea e Nuove Scritture del Dipartimento degli Studi Umanistici dell’Università del Salento.  Il volume inaugura la collana “Fogli di Via”, curata da Simone Giorgino e Fabio Moliterni.

All’evento interverranno Antonio Lucio Giannone (Ordinario di Letteratura Italiana Contemporanea presso l’Università del Salento), Simone Giorgino (Coordinatore del Centro di Ricerca PENS dell’Università del Salento), Annalucia Cudazzo (curatrice del volume), Luciano Pagano (editore).

47426024_342296583019584_4113196364408553472_n.jpgIl volume è il risultato di un paziente lavoro di natura filologica volto a ripristinare i testi delle due opere licenziate in vita da Claudia Ruggeri, inferno minore e )e pagine del travaso, nel rispetto della versione riportata dai testimoni disponibili, sottoposti a un’accurata collazione e vagliati criticamente. Questa edizione si propone, inoltre, di avanzare una prima interpretazione dei componimenti, corredandoli di un commento che mira a facilitarne la comprensione.

La curatrice, la dott.ssa Annalucia Cudazzo, si è laureata in Lettere Moderne con una tesi su Claudia Ruggeri e per il suo percorso di studi ha ricevuto il titolo di «professionista accreditato» dalla Fondazione Italia-USA. È nella redazione del Centro di ricerca PENS-Poesia contemporanea E Nuove Scritture del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Salento.

Durante la serata le letture saranno a cura di Simone Franco. Durante l’evento si potrà avere visione delle istallazioni di Orodè Deoro.

 

L’autrice

 Claudia Ruggeri (Napoli, 1967 – Lecce, 1996) nel capoluogo salentino compì i suoi studi e si dedicò alla poesia, mettendosi subito in contatto con l’ambiente letterario e culturale del suo ambiente, dal quale si aprirà alla conoscenza e relazione con autori del panorama poetico nazionale, come Franco Fortini e Dario Bellezza. Il 27 ottobre 1996, all’età di ventinove anni, pone tragicamente fine alla sua vita. All’età di ventinove anni decise di porre fine alla sua esistenza. Tra le opere della Ruggeri (in volume, tutte postume) si ricordano “Inferno minore” (pubblicato prima su “L’Incantiere”, Laboratorio di poesia dell’università di Lecce nel 1996 e poi dall’editore peQuod, Ancona, 2007 – attualmente fuori catalogo); “Canto senza voce” (Terra d’Ulivi, Lecce, 2013); “Uovo in versi” (Terra d’Ulivi, Lecce, 2015). Alcuni studi critici sulla sua attività sono stati pubblicati su alcune riviste tra cui “Nuovi Argomenti” (V serie, n°28, 2004) e “Il Fiacre” (n°9), nel volume collettaneo “La sposa barocca. Sette saggi su Claudia Ruggeri” (LietoColle, Faloppio, 2010). Elio Scarciglia gli ha dedicato il dvd-documento “Claudia Ruggeri” (Terra d’Ulivi, Lecce, 2013).

 

Informazioni:

www.musicaos.org – info@musicaos.it

Tel. 0836.618232

13dicembre2018-claudiaruggeri-cineporto.png

Il n°27 della rivista di letteratura “Euterpe” dedicato a “profili ed esperienze femminili nella storia, letteratura e arte”

Dopo la recente pubblicazione del n°26 della rivista di letteratura online “Euterpe” che proponeva quale tematica “Emigrazione: sradicamento e disadattamento”, contenente pregevoli contributi critici e non solo tra cui brani di Mario Vassalle, Asmae Dachan, Rosa Elisa Giangoia, Maria Grazia Ferraris, Paolo Saggese e Valtero Curzi. 

La Redazione della Rivista ha diffuso nelle ultime settimane il comunicato relativo alla raccolta di materiali per il prossimo numero della rivista. Il nuovo numero monografico sarà aperto a contributi appartenente ai vari generi (aforismi, poesia, haiku, narrativa, saggistica, critica, recensioni, interviste) che abbiano relazione con il tema di riferimento: “Il coraggio delle donne: profili ed esperienze femminili nella storia, letteratura e arte”. Sarà l’occasione per approfondire le esperienze umane e gli itinerari culturali di poetesse, scrittrici, donne di scienza, eroine e di altre donne che, a loro modo e nei relativi campi d’appartenenza, si sono distinte in maniera rimarchevole. Nel banner che identifica l’invito a prendere parte al nuovo numero figurano i volti di alcune celeberrime donne della letteratura: la poetessa lombarda Antonia Pozzi (1912-1938), suicida giovanissima, la scrittrice sarda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926 Grazia Deledda (1871-1936), la romanziera modernista Virginia Woolf (1882-1941), punta di diamante della letteratura contemporanea e la pacificante poetessa americana Emily Dickinson (1830-1886).

20374473_2001482220104200_8411701107194873181_n (1).jpg

I materiali dovranno essere inviati entro e non oltre il 15 Luglio 2018 alla mail rivistaeuterpe@gmail.com attenendosi alle “Norme redazionali” della rivista che sono consultabili cliccando qui.  Su Facebook è già presente il relativo evento Facebook che si può seguire, anche per rimanere aggiornati sullo svolgimento della selezione, per raggiungerlo, cliccare qui.

Per consultare i vecchi numeri della rivista è possibile cliccare qui, mentre per chi voglia prendere visione dell’archivio storico contenente la lista sintetica di tutte le apparizioni in rivista, ordinate in ordine alfabetico dei rispettivi autori è possibile cliccare qui.

Lorenzo Spurio intervista la poetessa albanese Irma Kurti

Intervista a Irma Kurti

A cura di Lorenzo Spurio 

L.S.: In quale città/zona dell’Albania sei nata e vissuta? Puoi raccontarci qualche episodio della tua infanzia?

I.K.:  Sono nata a Tirana ma ho passato l’infanzia a Elbasan, una città situata nella zona centrale del paese. I ricordi dell’infanzia, anche se priva di tanti giochi e gioie, sono sempre coperti da un velo di nostalgia. Ricordo gli attimi in cui salivo sul palcoscenico a cantare, le domeniche quando le donne pulivano il cortile e la polvere copriva tutto, anche i nostri pensieri, le passeggiate nella via principale costeggiata dagli alberi vicino ai marciapiedi. Provo ancora una specie di ansia quando mi vengono in mente le corse che facevamo per rifugiarci nel tunnel sotterraneo davanti al palazzo per proteggerci “dall’attacco nemico”. Erano simulazioni che venivano fatte per simulare un’eventuale invasione: momenti difficili che incutevano angoscia e paura. Sentivamo la sirena dell’allarme a qualsiasi ora della notte. Ci alzavamo di fretta, i nostri genitori ci preparavano, ci vestivano come delle bambole. Eravamo addormentati e terrorizzati, ma non c’era tempo di fare domande perché dovevamo scendere velocemente. Il volume della sirena era forte ed era minacciosa, come se appartenesse a un’altra epoca. Sento ancora oggi il velocizzarsi dei battiti cardiaci di quella bambina spaventata che ero, che fissava con occhi spalancati scene reali e irreali al tempo stesso, che la circondavano.

L.S.: Che ricordo hai del tuo paese?

I.K.: Ricordi vividi e altri sfocati. Non dimentico ore e giorni interi passati al buio per la mancanza dell’energia elettrica. Il festeggiamento del Capodanno al freddo, sotto la tenue luce della candela, il terrore di vedere per strada persone armate con kalashnikov che sparavano all’impazzata, le notti passate in bianco a causa dagli spari che mi uccidevano la serenità, la preoccupazione e la tristezza negli occhi dei miei genitori mentre invecchiavo anch’io con loro.

Foto Pa atdhe.jpg

Irma Kurti

L.S.: Come era la vita durante la dittatura comunista di Hoxha?

I.K.: Una vita non vissuta direttamente, in prima linea, ma dettata dagli altri che ti infondevano perfino i pensieri. Eravamo soltanto degli automi in un sistema che ci aveva rubato l’anima. Giorni colmi di demagogia. L’arte e la letteratura erano completamente politicizzate. Nei festival, per esempio, c’era l’obbligo di presentare canzoni dedicate al partito del lavoro e al suo leader. Ciò succedeva anche con le opere poetiche. Qualche anno fa ho trovato un block notes con delle poesie scritte per un pubblico infantile durante gli anni 1986-1990. In un verso c’era scritto: “Quando ci chiama la patria/siamo tutti i suoi soldati”. E in un altro: “Ogni giorno cresciamo felici/sotto il sole del Partito”.

L.S.: Quali restrizioni e negazioni hai sofferto principalmente?

I.K.: Ho fatto la scuola media superiore a Tirana perché nella città natale non c’era la scuola delle lingue straniere. Il primo anno ho vissuto al convitto, ma ho dovuto abbandonarlo perché le condizioni sanitarie erano scarse: non c’era acqua calda e la qualità del cibo era scadente. Mi ha ospitato mio zio. Dormivo poco, mi svegliavo alle tre o alle quattro di notte dalle voci della gente in coda per comprare latte, uova e yoghurt. A volte chiacchieravano semplicemente, altre discutevano a chi toccava per primo il turno. Quelle voci le sento ancora. Nella camera dove studiavo e mi svegliavo senza più riuscire a dormire, si è plasmato il mio carattere. Da ragazza vivace, alla quale piaceva scherzare, imitare amici o insegnanti davanti alla classe, che prendeva l’iniziativa, recitava e cantava sul palcoscenico, sono diventata timida, riservata e malinconica.

L.S.: Quando e perché sei giunta in Italia?

I.K.: Sono arrivata in Italia nel 2006. La procedura per ricevere il permesso di soggiorno sarebbe terminata l’anno dopo. In quel periodo a mia madre, che nel frattempo soggiornava a Bergamo, venne diagnosticata una malattia grave e così decisi di raggiungerla per starle vicino.

L.S.: Quali sono le immagini che più ti legano al tuo paese natale?

I.K.: L’immagine più cara è il nostro piccolo appartamento a Tirana. Lì respirano i ricordi e i sogni di quando eravamo una famiglia. Non c’erano luce, acqua, riscaldamento, ma avevamo l’uno e l’altra e quel grande affetto che ci aiutava a sopravvivere nelle situazioni difficili. Penso a quell’appartamento come a un essere umano. Quando piove, nevica o in un giorno normale il mio pensiero corre lì: “Si bagneranno i vetri, il balcone cadrà a pezzi dalla nostra mancanza?”. 

al-areaL.S.: Quali spazi (mare, collina, etc.) hanno contraddistinto la tua infanzia/adolescenza e quale ricordo hai di essi?

I.K.:  Un palazzo a forma di L mi suscita sempre una nostalgia indescrivibile.  Lì, nell’angolo, dove si incontravano le due ali della L, si trovava il mio appartamento. Dietro l’edificio si estendeva un parco immenso dove giocavamo o passeggiavo con i miei. A volte provo il desiderio irrefrenabile di andare e bussare in tutte le porte dei vicini, ma temo l’assenza di quelli che non troverò: persone care che non potrò mai più riabbracciare, perché se ne sono andate per sempre. Non avevo giocattoli, non avevo una camera tutta mia, non avevamo televisore e quando l’abbiamo comprato guardavamo un solo canale; abbiamo vissuto con poche cose, con tante carenze, ma tenevamo le porte spalancate nel vero senso della parola. Entravamo senza bussare a casa dei vicini. Quella sensazione di farne parte di una grande famiglia non l’ho più provata e credo che non la proverò mai più nella vita.

L.S.: Torneresti a vivere in Albania?

I.K.: No.  Solo le situazioni della vita dovessero riportarmi lì per qualche ragione.

L.S.: L’Albania di oggi è un paese vivibile? Che futuro intravedi?

I.K.: Conosco emigrati che sono tornati o che vogliono tornare al loro paese d’origine. Conosco italiani che amano l’Albania e hanno programmato di andare a vivere lì. Tante cose sono cambiate, ma altre sono ferme o si trascinano com’erano. Anche se sono passati ventisette anni dall’apertura delle frontiere, l’economia non si è sviluppata granché, c’è tanta povertà e il sogno di tante persone resta ancora quello di emigrare. Intravedo un’Albania invasa dai turisti, a ragione delle sue bellezze naturali e genuine ma anche per l’ospitalità e la cordialità della gente.

L.S.: Cosa c’è, nell’anima del popolo albanese, nel suo modo di fare, nel suo atteggiamento che ti manca e che non c’è nel popolo italiano?

I.K.: In Albania non esistono gli orari e, di conseguenza, neanche l’ansia perché si è in ritardo. La gente sta seduta per ore davanti a una tazza di caffè, il tempo non ha il valore che gli diamo in Italia e i giorni non sono così frenetici.

L.S.: Quando scrivesti la prima poesia e perché? Ricordi di quale testo si tratta?

I.K.: Avevo dieci anni quando scrissi la prima poesia. Quel giorno semplicemente “mi sono espressa” diversamente. La poesia era dentro di me. Mio papà faceva il medico ma era un amante della letteratura ed è stato lui a svegliare e coltivare in me la passione per la scrittura. Si trattava di una poesia dedicata ai bambini felici, come noi pensavamo di essere.

Gj. Senza patriaL.S.: Quando iniziasti a scrivere poesie e poi a pubblicarle, nel tuo paese natale, come vennero accolte?

I.K.: Le prime poesie vennero pubblicate sulla rivista “Pionieri” e ciò era già considerato un successo. Negli anni dell’adolescenza e dell’università iniziai a scrivere i testi musicali che vennero poi accolti molto bene: premiati dalla critica, ma soprattutto dalle persone semplici che tuttora conoscono a memoria tutti i miei versi, forse anche meglio di me.

L.S.: Quali sono i poeti della tradizione classica che preferisci? Perché?

I.K.: Sono cresciuta con i poeti russi: Aleksander Puskin, Sergej Esenin, Vladimir Majakovskij e altri come Adam Mickiewicz, Heinrich Heine, Mihai Eminiescu. Li ho adorati. Anche adesso mi vengono in mente i loro componimenti. I poeti letti durante l’adolescenza non si dimenticano mai perché sono legati a quel periodo in cui la vita ti sembra magica e piena di infinite possibilità. Ammiro anche le poesie di Pablo Neruda, Nazim Hikmet, Raymond Carver e Herman Hesse perché rispecchiamo il mio stato d’animo e quella malinconia che m’insegue.

L.S.: Come consideri lo stato della letteratura e della poesia albanese contemporanea? Vi sono intellettuali di spicco? Parlaci di alcuni poeti e scrittori del tuo paese che hai letto e/o conosciuto.

I.K.: La letteratura di oggi è un vero caos. Ci sono migliaia di persone che scrivono, non esiste la critica professionale e tutti si credono scrittori e poeti; questa forma è divenuta una specie di nebbia che spesso copre il valore delle opere qualitative. Le opere di Ismail Kadare, Dritero Agolli, Fatos Arapi, Fatos Kongoli sono tradotte anche in altre lingue e rimangono all’apice della classifica.

L.S.: Sei in contatto, qui in Italia, con poeti albanesi che continuano a vivere lì?

I.K.: No. Ci sono dei poeti che conosco di nome che mi contattano per avere più che altro informazioni riguardo la pubblicazione di un loro libro in italiano, ma … niente di più.

DSC00298 - Copia.JPG

Irma Kurti

L.S.: Alcuni poeti stranieri che sono emigrati in Italia hanno deciso di continuare a esprimersi solo nella propria lingua d’origine e scrivono e pubblicano nel loro idioma, non sentendo necessità di essere tradotti in italiano. Che cosa ne pensi di questa cosa?

I.K.: Scrivono solo in madrelingua perché si sentono più sicuri. Ma spesso non hanno altra scelta: non è facile tradurre le proprie opere in italiano o trovare qualcuno che lo può fare per te; tutto ciò ha un costo.

L.S.: Per quali ragioni, invece, tu hai deciso di pubblicare anche in italiano?

I.K.: Scrivere solo in madrelingua per me era un’esistenza a metà. Non mi sentivo integra. Avevo una marea di sensazioni e di sentimenti da condividere con la gente del paese che mi ha ospitato.

L.S.: Nel caso delle poesie che compongono l’ultimo libro “Senza patria” (Kimerik, 2016) queste sono nate direttamente in italiano o prima in albanese e le hai tradotte?

I.K.: Le bozze delle poesie nascono sempre in lingua albanese. Più volte mi capita di pubblicare per primo il libro in italiano. È successo così anche con la raccolta di poesie Senza patria. Ho tradotto le bozze preliminari in italiano e poi ho iniziato a elaborare le poesie. Il libro in albanese è stato pubblicato nel corso di quest’anno. Ho dovuto tradurlo dall’italiano perché le poesie erano ormai realizzate. Un po’ complicato, no?

L.S.: Ti avvali di traduttori professionisti oppure preferisci, pur con qualche aiuto e supporto, dedicarti tu alla traduzione delle tue poesie?

I.K.: Non ho trovato nessuno che mi potesse aiutare con la traduzione del primo libro, Tra le due rive. Sono stata obbligata a farlo da sola. Continuo a tradurre le mie opere; ora ho più dimestichezza con la lingua e non mi sembra così difficile come nei primi anni.

L.S.: Che cosa rappresenta per te la poesia?

I.K.: Voglio citare il poeta e il filosofo libanese Khalil Gibran: “La poesia è il salvagente/cui mi aggrappo/ quando tutto sembra svanire”. Ed è così anche per me.

L.S.: Quando, invece, ricorri alla narrativa?

I.K.: La narrativa è un’esigenza che sorge quando la poesia non basta.

 L.S.: Se dovessi descrivere l’Albania con tre parole quali useresti?

I.K.: L’Albania è ostaggio dei politici senza scrupoli e di un popolo inerme che guarda come spettatore lo spettacolo vergognoso di interessi e avidità che si ripete continuamente.

L.S.: E l’Italia, invece?

I.K.: L’Italia, paese di rara bellezza, ha bisogno di una classe politica onesta e di persone che lo amino di più.  

 

Bergamo, 3 Settembre 2017

 

Questa intervista è stata precedentemente pubblicata sulla rivista di letteratura “Euterpe”, n° 25, Novembre 2017.

La riproduzione del presente testo, in forma di stralcio o integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dell’autore.

 

A QUESTO LINK E’ POSSIBILE LEGGERE IL MIO SAGGIO SULLA POETICA DI IRMA KURTI DAL TITOLO “QUANDO SI SPEGNE UNA STORIA: LA POETICA DI IRMA KURTI” PUBBLICATO IL 02-01-2018 SUL PROFILO PERSONALE DI ACADEMIA.EDU, DISPONIBILE CLICCANDO QUI. 

In ricordo di Giusi Verbaro. A Firenze un evento dedicato alla poetessa calabrese


 

LOCANDINA-GIUSI-PER-INVIO-MAIL (1)-page-001

Programma dell’evento

 

SALUTI 

Eugenio Giani, Presidente del Consiglio Regionale

INTRODUCE

Rosalba de Filippis, insegnante e scrittrice

INTERVENTI E TESTIMONIANZE

Mariella Bettarini, scrittrice ed editrice

Luigi Lombardi Satriani, antropolgo

Giuseppe Panella, poeta e scrittore

Ottavio Rossani, giornalista, saggista e poeta

LETTURE

Fabio Baronti e Rosalda de Filippis

PRESIEDE

Severino Saccardi, direttore di “Testimonianze”

IMMAGINI DELLA VIDEO-INTERVISTA A GIUSI VERBARO A CURA DI GABRIELLA MALETI

 

LOCANDINA-GIUSI-PER-INVIO-MAIL (1)-page-002

La poetessa Lucia Bonanni svela il suo connubio intimo con la poesia

IL MIO MODO DI INTENDERE LA POESIA

A CURA DI LUCIA BONANNI 

“Quale virtù si ammira in un poeta? L’abilità di consigliare: noi li rendiamo migliori gli abitanti della Città.

Per il bambino c’è il maestro che spiega, per i giovani i poeti.”

Aristofane, “Le rane”

Carissimi amici poeti,

ho letto con tutta l’attenzione possibile, almeno così spero, il saggio “La mia poetica” di Emanuele Marcuccio. Come ho già avuto modo di dire, molti sono i punti del suo scrivere che trovo in sintonia e in armonia col mio modo di intendere il dettato poetico. In questa breve trattazione cercherò di evidenziare le uguaglianze e le differenze che sono a sostegno delle tesi su ciò che per me e Marcuccio è “ideale poetico”. Sento di poter affermare che pratico poesia fin da sempre, che devo tanto a mio padre che a mia nonna paterna, insegnante elementare per ben quarantacinque anni, l’amore per la lettura e per la scrittura. Ricordo che le prime conte, le prime filastrocche, le prime poesie ed anche le preghiere mandate a mente mi furono insegnate da mio padre nelle fredde sere invernali, trascorse nel tepore domestico. Da mia nonna, fervida lettrice e scrittrice, ho ereditato la passione per le lettere e quella per l’insegnamento. Devo anche ai mie insegnanti fin dai primi anni di scuola, lo sviluppo a questa attitudine, a questo dono che mi è stato offerto non solo come dilettevole nota, ma anche come forza evocativa per essere della vita e con la vita. Ricordo che i primi riconoscimenti giunsero fin dalle scuole elementari ed io stessa in veste di insegnante ho sempre cercato di avvicinare gli alunni al mondo magico della poesia. Non so neanche io quanti fogli accartocciati e gettati via e quanti quelli che sono ancora da rivedere e considerare come scritti degni di nota. Poi pian piano, anche attraverso corsi qualificati di scrittura creativa, ho iniziato a porre mente in maniera sistematica a questo tipo di scrittura fino a giungere alla partecipazione a vari concorsi letterari e alla pubblicazione delle mie raccolte poetiche. Anch’io come Marcuccio non amo scrivere in rima, mi piace leggerla in altri autori. Nei miei componimenti mi sembra quasi banale. Non la uso perché secondo me assoggetta la fluidità del pensiero a schemi già stabiliti in precedenza mentre il pensiero deve scorrere libero sulla pagina bianca in una cascata crescente di emozioni. Per dare musicalità al testo poetico preferisco usare quelle che vengono definite rime imperfette, cioè assonanze e consonanze, rima interna o rimalmezzo, allitterazioni, le disseminazioni di suono, la paronomasia e le onomatopee quali armonie imitative e qualche rima sparsa qua e là nel testo, ma sempre tutto sotto l’egida della scrittura spontanea. Qualche volta mi son provata a scrivere dei sonetti, anche caudati, ma poi son sempre tornata al verso libero e a quello sciolto. Assai divertente trovo la scrittura di acrostici e mesostichi, di versi alfabetici e di lipogrammi. Sono convinta che per scrivere poesia non occorrono grandi parole; occorrono, invece, buoni contenuti che sono sempre e comunque espressione perentoria del nostro mondo interiore che la percezione riesce a sublimare anche attraverso le figure di significato oltre che con quelle di suono, in componimento poetico. Come scrive Marcuccio, anch’io “nel fare poesia seguo una struttura su due fasi”: la prima è quella della stesura di getto, cioè quella da lui definita “il primo fuoco dell’ispirazione” proprio come quando la prima fiamma divampa nel camino, e che ci porta a scrivere su scontrini della spesa, sulla carta delle posate, addirittura in piedi su un autobus e su qualsiasi foglio che abbiamo a portata di mano. Tutto ciò mi ricorda tanto la fase dell’animismo infantile e quella degli scarabocchi in cui i bambini credono che tutto sia animato e disegnano su qualsiasi tipo di superficie che si apra davanti ai loro 

La cover del libro

La cover del libro “Il messaggio di un sogno” di Lucia Bonanni

occhietti furbi e le loro manine svelte. Certo è che Pascoli non sbagliava a parlare del fanciullino! La seconda parte della scrittura la dedico alla revisione del testo che può avvenire sin da subito o in fasi successive anche a distanza di tempo. In questo frangente tengo sempre vicino il  vocabolario di italiano e quello dei sinonimi e dei contrari perché dalla ricerca lessicale può sgorgare altra sorgente di idee. Questa sgrossatura e poi limatura, però, mantiene sempre la forza evocativa e allusiva dei primi pensieri, vera scintilla creativa ed è un lavoro che mi piace fare a mano proprio come un amanuense, solo a posteriori scrivo tutto al PC e salvo nelle relative cartelle, tenendo sempre una copia in cartaceo per poterla leggere a mio piacimento. Non penso che la poesia sia solo metrica. Sì, la metrica serve e va saputa usare, ma non è solo la metrica a fare la poesia. La poesia è fatta di emozioni, sensazioni e sentimenti e sono piuttosto i campi semantici e le strutture concettuali a grappolo o lineari che siano, a qualificare la stesura del testo. Delle figure di suono ho già detto; tra le figure di significato mi piace usare la metafora, la sinestesia, l’ossimoro,la personificazione e la similitudine; a seconda dei casi anche   la metonimia e la sineddoche, che insieme alla metafora sono dei traslati. Tra le figure dell’ordine prediligo l’anafora e l’anastrofe, qualche volta il chiasmo e l’iperbato. L’enjambement, detto anche  scavalcamento o inarcatura, serve a spezzare il verso e andare a capo e  durante la lettura la pausa è più breve se tale figura è presente a fine verso. Non dispongo le figure retoriche in modo razionale, ma lascio che siano le parole libere a dar loro una consistenza ben precisa. Nel rispetto della posizione e dell’ordine delle parole nella frase. Lo zeugma, di cui parla Marcuccio, è una delle figure tra le più difficili da usare e solo chi  ha alle spalle studi classici, possiede l’abilità di usarla in poesia mentre a me è dato solo di sapere che c’è. Penso che la mia poesia sia un tipo di poesia simbolista, ermetica, talvolta criptica e di difficile interpretazione, ma sempre derivata da un’osservazione attenta e da una scrittura spontanea. A differenza delle altre arti la poesia, il lavoro preparatorio della poesia consiste tutto nella ricezione e archiviazione dei messaggi che ci giungono dall’esterno e che una volta elaborati, danno origine ai primi pensieri che sono fatalmente carichi di energia creativa. Ecco perché è importante fermarli subito per non lasciarli svanire e non permettere che il revisore interno possa attuare tagli e censure, impedendo l’espressione scritta. Mi piace curare anche la forma grafica del testo perché è una pratica che configura il componimento come poesia visiva. Esistono vari modi per poter comporre una forma grafica appropriata e non mancano certo gli autori da seguire. Se pensiamo ai calligrammi, come ad esempio la poesia “Il pleut” di Apollinaire in cui il poeta scrive i versi in verticale per dare l’idea della pioggia che cade, oppure ai disegni dello specchio, della camera sentimentale, del palombaro nelle “Rarefazioni e parole in libertà” di Govoni, alle parole evidenziate in grassetto nei lavori di Marinetti, alla disposizione dei versi di “La fontana malata” e di “Lasciatemi divertire” con le onomatopee scritte a gruppi alterni, ed ancora la poesia di Majkovskij e quella dadaista di Hugo Ball senza escludere Ungaretti ed altri poeti, vediamo come la forma grafica si configura quale scrittura per immagini. Di rilievo in un componimento poetico sono anche gli spazi bianchi tra una strofa e l’altra, spazi che non frammentano la lettura, ma inducono una pausa di riflessione ed una maggiore acquisizione delle diverse possibilità di senso del testo, ricercando anche le parole chiave.  Mi capita spesso di passare da un frammento poetico ad un testo di cinquanta versi, oppure di passare dalla scrittura di uno haiku a quella di un componimento con solo frasi nominali. Forse non ho ancora trovato uno stile ben preciso o forse è questo lo stile che mi è proprio. Certo è che più scrivo e più mi accorgo, come succede anche a Marcuccio, che il mio non è un semplice esercizio di stile bensì un voler dar corpo alle tante turbolenze dell’animo. Mi riconosco nelle sue parole mentre scrive che “la prosa non è nelle mie corde” perché anche per me è così. Ci provo a scrivere qualche racconto, ma i risultati sono sempre esigui. Mi sto accorgendo che la pratica dell’analisi e della critica letteraria mi appassiona sempre più e può darsi che questo sia dovuto al fatto che la mia poesia è analisi e sintesi in forma discorsiva più che puro lirismo. Sono in linea col suo pensiero e mi sento di dire che “anche nella prosa possiamo trovare poesia” e che la poesia è in tutto ciò che ci circonda, dalla bellezza del creato ad ogni forma artistica per “intuire l’universo” mediante la più “profonda forma verbale che possa  esistere”, la poesia. La poesia che tanto amo leggere anche a voce alta per assaporare tutta la bellezza dei versi. Pensare poi alle note musicali, ad una rappresentazione di Puccini dal vivo a Torre del Lago, ascoltare Battisti, Chopin ed altri ancora e sentire musica tutto intorno, è estasi pura! Sono anch’io del parere che un poeta debba prima di tutto essere uno spirito libero e non debba mai soggiacere alle mode; il poeta deve ricercare libertà, la propria libertà interiore che diviene epifania di ispirazione  continua. E la poesia è libertà anche nella sintassi visto che ammette anche l’anacoluto, figura che altrimenti sarebbe soggetta al lapis blu. Ma la libertà si ottiene solo a caro prezzo, dedicando amore e passione alle sudate carte.

La poetessa abruzzese, naturalizzata fiorentina, Lucia Bonanni con alle spalle l'Arno.

La poetessa abruzzese, naturalizzata fiorentina, Lucia Bonanni con alle spalle l’Arno.

Ma chi è il poeta e in che cosa si configura la funzione del poeta? “In giro me ne vado come un cirro/silenzioso come ombra” scrive Daria Menicanti mentre Nicolai Kljev ci dice che “Amiamo solo che non ha nome,/che vago segno, tormenta il mistero” per cui il poeta è colui che crea, che trasforma la realtà, che gioca con le parole, che canta più il dolore della gioia, un ricercatore, un uomo né migliore né peggiore degli altri. La funzione del poeta è quella di parlare al cuore degli altri, esplorare il mistero delle cose, cogliere sensazioni, intuizioni ed emozioni, dare forma all’analogia, rappresentare  impegno sociale e civile, esprimere il disagio esistenziale e l’incomunicabilità, essere essenziale e sempre dedito alle parole e ai silenzi e a quel “rubare” logica, fantasia e creatività al canto delle Muse.

Lascio a tutti voi un caro saluto nella speranza, pur nella loro semplicità, di aver fatto cosa gradita nell’esprimere questi miei pensieri.

Con affetto, stima e sempre ammirazione.

Lucia Bonanni

San Piero a Sieve (FI), 9 settembre 2015