“Decimo Dan” di Marco Plebani – segnalazione opera

Marco Plebani (Jesi, 1978), insegnante di Lettere, dopo l’opera prima Un giorno qualsiasi (OTMA, 2011) ha recentemente pubblicato Decimo Dan (Ediz. La Gru, 2022). Il titolo dell’opera fa riferimento metaforico al massimo grado delle arti marziali inteso come il più alto livello di consapevolezza che la poesia fa raggiungere. C’è molto ritmo in Decimo dan, molta musica, molta creatività. Quello di Plebani è uno stile decisamente anticonvenzionale, tagliente e profondo.Nella prefazione, a firma di Pier Marino Simonetti, si legge: “Mentre scrivevo la lettura ha trasformato l’ansia per la prefazione in un cammino senza ostacoli. Questa silloge di versi dispari (per la maggior parte settenari ed endecasillabi da decifrare, talvolta, secondo forme e figure dei miti) scorre leggera, a tratti pacata, a tratti oscura, ma senza la necessità di ricorrere a manuali. Come tutte le sorprese l’interpretazione stava proprio lì, dietro un angolo. La brezza mossa dallo sfogliare delle pagine odora di fresco aliseo che spinge l’equilibrata velatura di questo libro verso porti di piacevole soggiorno. Bastano quattro o cinque versi per entrare dapprima intimoriti per uscirne poi soddisfatti, col gradito mistero di un racconto. Piccole ebbrezze d’incursioni corsare nel mito, grazie alle quali non si staziona nel genere, ma si gode della commedia umana. Con Decimo Dan ho trascorso la stessa scansione temporale del giorno vissuto da l’Ulisse di Joyce, ma senza quel dedalo di significati che disperde il lettore”.


Due poesie estratte dal libro:

Chenobyl

Non ho pianto quando Chernobyl

sotto forma di nube al cancro

rubò i miei giochi esposti

in terrazzo.

Né quando mia madre

la serenità perse e non fece finta di nulla.

Né quando mio padre si è sigillato,

chiuso per sempre nel suo dolore

e nel trafitto silenzio: “Addio fratelli dispersi”.

Né quando,

per giorni,

mia sorella si è sentita

completamente sola

sotto un sole ripieno di sorrisi.

Né soprattutto

sopr’ogni cosa,

quando nell’87 gli infermieri mi hanno chiesto

di “gonfiare un palloncino”

in una sala operatoria.

Anestesia totale.

Mi svegliai burattino nei legni dolente.

Ho pianto ogni volta che qualcuno è morto

ed una parte di me ha camminato

per sempre nei cortei funebri.

Troppo preziose e troppo rare

le lacrime di un uomo.


Postcard notturna

Da tempo non vedevo falci di Luna

appoggiarsi sui paesi, quasi a

ricordarmi che di tutto questo

vagabondare assorto due cose

trattengo:

l’iniezione di alcool leggero

nel corpo e l’alone atmosferico

che dalla tua pelle chiara deriva.

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