La disperazione controllata in La stanza del figlio (2001)

Il film La stanza del figlio (regia di Nanni Moretti, 2001) è un film pervaso da un’atmosfera cupa e pesante che presenta rarissimi momenti felici e che pure si conclude lasciando l’amaro in bocca. La storia è molto semplice, è la storia di una famiglia del ceto medio che viene stroncata dal dolore per la morte improvvisa di un suo componente, il figlio.

Il clima di morte che si instaura in casa e che porta alla continua rievocazione di ricordi e insieme alla nascita di un certo rimorso del padre del ragazzo sostengono l’intera storia.

Giovanni, il padre di famiglia, è uno psicanalista che ci viene mostrato in numerosi  spezzoni di consulti e di analisi sui suoi pazienti. In questo ambito fuoriesce un’umanità fortemente depressa, malata, distorta e inquieta. C’è chi è ossessionato dal tempo, dalle date e dalle ore, chi è dominato da impulsi sessuali che lo portano a frequentare continuamente prostitute e chi sostiene che Giovanni è un analista troppo freddo e distante e quindi vorrebbe smettere la terapia con lui ed iniziarla con un altro, perseverando però a ritornare da lui.  Con questi brevi squarci il personaggio di Giovanni, interpretato da Nanni Moretti, ci fornisce una significativa gamma di inquietudini e fissazioni umane che il dottore cerca appunto di guarire con la psicanalisi.

Tra di loro un paziente dalla personalità instabile, interpretato da Silvio Orlando, comunica puntualmente a Giovanni il suo desiderio di farla finita e di volersi suicidare. E’ proprio da lui che Giovanni, perché chiamato d’urgenza, si reca il giorno che poi il figlio perderà la vita in un’immersione subacquea. Il paziente che prima aveva tanto invocato la morte paradossalmente gli comunica la sua paura di morire dopo aver scoperto di aver un tumore al polmone.

Al ritorno a casa Giovanni apprende la notizia della morte del figlio e da quel momento la famiglia vive nel dolore e lentamente cerca di ristabilire una vita equilibrata sempre nel ricordo del figlio morto.

Intanto le sedute psicanalitiche di Giovanni si fanno più difficili, è teso, pensieroso e non riesce più a concentrarsi per poter migliorare la salute degli altri in un momento in cui lui è il più vulnerabile e depresso. Decide di lasciare il suo lavoro e i suoi pazienti più affezionati reagiscono in maniera molto diversa al suo abbandono: la signora ossessionata del tempo prenderà un appuntamento con lui quando ritornerà a lavorare ma lui gli fa notare che probabilmente non ritornerà più a fare quel tipo di lavoro, lo psicopatico ossessionato dal sesso si mostra violento perché si sente tradito dal dottore e ora,privato di lui, non saprà più come fare mentre il paziente con il tumore gli rivela che sarebbe stato lui a smettere di andare da lui perché, terminati gli istinti omicidi, si è attaccato alla vita e vuole combattere contro il tumore. Capiamo cioè che la terapia dei vari pazienti viene fermata bruscamente dal dottore in un momento in cui i pazienti non sono ancora giunti a un miglioramento della loro salute.

La storia è ambientata nella città di Ancona, ci sono varie scene in cui Giovanni si reca a correre nel lungo porto dal quale si intravede la cattedrale di San Ciriaco, si vede il viale della Vittoria e del mare sottostante al Passetto da dove il figlio parte su di un gommone per l’immersione che poi si rivelerà mortale, si fa riferimento a piazza Cavour e altri spazi del capoluogo dorico. La città di Ancona con la sua conformazione fatta di colli, di discese e di mare, contribuisce ad accrescere questo senso di progressivo soffocamento e chiusura e a delineare uno spazio asfissiante, difficile da vivere.

Nel finale del film Andrea, il figlio morto, riceve una lettera che la madre aprirà e leggerà. La missiva è scritta da una certa Arianna, ragazza che suo figlio aveva conosciuto poco tempo prima. Per la famiglia si tratta di un segno della continua presenza del figlio in quella casa. La famiglia cerca di mettersi in contatto con la ragazza perché vorrebbe conoscerla; al telefono le comunicano la morte di Andrea e qualche tempo dopo questa va a fargli visita. La ragazza chiede ai genitori di Andrea di poter vedere la sua stanza che il ragazzo aveva immortalato in alcuni scatti che poi le aveva mandato. La stanza è rimasta identica a quelle fotografie. Come segno di riconoscenza ad Arianna per aver permesso di tener vivo ancora il ricordo di Andrea, la famiglia decide di accompagnarla di notte in Francia dove la ragazza era diretta assieme ad un suo amico. Il film si conclude con padre, madre e figlia, dominati dal senso di tristezza e solitudine che pervade nel film che camminano su un’anonima spiaggia in una città di confine con la frontiera francese.

A mio modo di vedere la conclusione del film con l’introduzione del personaggio di Arianna è un finale posticcio che serve a Moretti per dare una svolta alla storia. Tuttavia alla fine resta l’amaro in bocca per una storia di morte che ha segnato per sempre la vita di varie persone. E’ un finale aperto che pure ci lascia dei dubbi: Giovanni tornerà a fare lo psicanalista? Il paziente dopo aver vinto la sua battaglia contro la sua debole personalità che prima lo portava ad avere istinti suicidi, riuscirà a salvarsi dal tumore al polmone?  Giovanni riuscirà a combattere il rimorso infondato che lo lega alla morte del figlio? Ma soprattutto, possono inquietudini, depressioni e manie come quelle esposte allo psicanalista durante le sedute guarire completamente? E’ un film ampiamente drammatico che non consiglio a coloro che già si trovano in uno stato di debolezza né a persone particolarmente facili al lasciarsi contaminare da tragedie familiari televisive.

LORENZO SPURIO

21-04-2011

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