ALI DI GABBIANO
Il breve volo di Frida Kahlo
Articolo a cura di Angela Crucitti
Probabilmente pensava all’incidente che le cambiò la vita Frida Kahlo, quando dipinse Il bus del 1929. Era il 17 settembre del 1925 quando Frida salì, insieme al suo primo amore Alejandro Gomez Arias, su un autobus. Nei colori caldi e tenui e nelle espressioni dei passeggeri non si legge nulla che prefiguri l’imminente scontro tra l’autobus e un vecchio tram; impatto tragico in cui il corrimano infilzerà la giovane pittrice «come la spada il toro» e la lascerà seminuda, ricoperta di sangue e di polvere d’oro, rovesciata dal sacchetto che l’uomo rossiccio del quadro tiene in mano. Furono mesi incerti quelli dopo la tragedia, in cui la vivace Frida fu costretta a letto per un lungo periodo. Sua madre le costruisce così un letto a baldacchino, con uno specchio che ricopre interamente il tetto del baldacchino. Frida descrive quello specchio come «carnefice dei miei giorni, delle mie notti», lamentandosi di essere obbligata a vedersi continuamente. Impara presto a conviverci e comincia a disegnarsi. Forse deriva proprio dall’imposizione della sua immagine riflessa l’ossessione della Kahlo per gli autoritratti. Si dipinge sempre seria, con la bocca rosso vermiglio dolcemente chiusa e lo sguardo fiero ma dolce, sormontato da due sopracciglia che si uniscono come fossero ali di gabbiano. Sembrano voler spiccare un volo che a Frida non è permesso, a lei che non ha nè ali né piedi ma solo radici che la tengono ancorata saldamente a terra, come si raffigura nel dipinto Le radici.
Inquietante è La colonna spezzata, in cui la pittrice si disegna piangente, a torso nudo e aperto a metà, mostrando nella carne vermiglia, al posto della colonna vertebrale dilaniata dall’incidente, una lunga colonna di marmo scheggiata. Il corpo è puntellato da chiodi, sicuramente simbolo delle enormi sofferenze fisiche e psichiche, ma anche chiodi che la puntellano alla vita, la aiutano a resistere. Non a caso il colore dominante è il bianco, colore della purezza, della rinascita, in contrasto con i colori vivaci, accesi e stridenti della maggior parte dei suoi dipinti, dove a imperare è il rosso sangue. Come in Henry Ford Hospital, che vede una Frida completamente nuda, distesa su un letto macchiato di rosso magenta. Tiene in mano un lungo cordone ombelicale sanguigno che la collega ad un feto, ad un fiore appassito, ad un osso pelvico, simboli della sua impossibilità di procreare, di dare la vita ad un altro essere. Perché oltre all’aborto testimoniato da questo quadro del 1932, la pittrice messicana abortisce altre due volte e sono esperienze che avranno una grande risonanza sulla sua opera.
A segnare il suo modo di dipingere, interviene anche la sua burrascosa relazione col pittore Diego Rivera. I due si sposano il 21 agosto del 1929 e da allora sarà un rapporto costellato di stramberie, viaggi e tradimenti. Tradimenti che uccidono Frida a poco a poco, come testimoniato da Qualche piccola punzecchiatura, ispirato da un fatto di cronaca ma riferito probabilmente alle mille scappatelle di Diego, tra le quali c’è anche Cristina, la sorella minore di Frida. Il dipinto rappresenta una donna nuda cosparsa di sangue, liquido che esce dalla tela e imbratta anche la cornice, a gridare il dolore, la delusione. Ma la coraggiosa artista non si limita a subire; tradisce anche lei ripetutamente il marito con Nickolas Muray, David Alfaro Siqueiros, Isamu Nogochí e Leon Trotzkij, oltre ad avere presunti flirt con donne del calibro di Tina Modotti, Dolores Del Rio e Georgia O’Keefe. I due divorziano nel ‘39 e Frida dipinge il suo quadro dalle dimensioni più grandi, come se volesse estendere il suo rancore e la sua sofferenza su una superficie più vasta. Ne Le due Frida, rappresenta due se stesse che si tengono per mano: una Frida è vestita di bianco al modo europeo e ha il cuore straziato come quello della pittrice che non ha più il suo amore, l’altra indossa l’abito messicano e ha un cuore perfettamente sano e pulsante per Diego. Nonostante i tradimenti e il breve periodo di separazione (conclusosi nel ‘40 con un secondo matrimonio) i due artisti si completavano, si amavano e si ammiravano. Diego Rivera fu il primo a riconoscere la levatura artistica di quella donnina che gli passava vent’anni e più di venti centimetri..E Frida lo compiaceva, vestendosi alla tehuana, quel modo bizzarro e messicano di agghindarsi che la contraddistinse sempre, e lasciandosi crescere i baffi che a Diego piacevano un sacco. Sapere che anche una donna anticonformista come lei scendesse a compromessi per l’uomo che amava, ce la rende più simpatica, più umana.
Quello che salta all’occhio nei suoi dipinti, oltre al formato piccolo e quindi intimistico, è la raffigurazione dei corpi. Sono corpi molli, pupazzi di gomma, come se la pittrice messicana negando le ossa, negasse anche la fragilità dell’essere umano, che si piega alle circostanze della vita ma non si spezza. Proprio come fa Frida che affronta coraggiosamente la vita, nonostante i suoi ripetuti problemi di salute e di “cuore”, e cerca di ottenerne il meglio. Ma lo scheletro c’è, è sopra il suo letto a baldacchino, dipinto nella sua interezza ne Il sogno: uno scheletro nudo, scarno, atto a rappresentare la morte che sempre incombe su Frida. Ha infatti provato varie volte a suicidarsi, abbandonandosi all’alcool e alle medicine, ma la vita l’ha sempre strappata, l’ha sempre richiesta indietro. Un solo suicidio le è riuscito, nel quadro stupendo che raffigura Il suicidio di Dorothy Hale. Qui vengono descritte le tre fasi della morte violenta dell’attrice americana, attraverso un gioco di prospettiva della figura umana e il bianco sfumato che annulla il tempo e lo spazio. Dal corpo, del tutto vestito di nero, stilla sangue che ancora una volta fuoriesce dalla tela e contamina la cornice.
Frida, nonostante i suoi quadri possano farci pensare il contrario, è sempre stata un’attenta osservatrice della realtà sociale e politica attorno a lei. Per tutta la vita, l’artista messicana lottò in difesa degli oppressi, militò nel partito comunista e undici giorni prima di morire si recò, nonostante il parere contrario dei medici, ad una manifestazione contro la caduta in Guatemala del governo democratico di Jacobo Arbenz Guzman. Nel luglio del 1954, «Frida la fiammeggiante» fu «portata via dalle fiamme», nel crematorio civile di Dolores.
Visse poco quindi la grande pittrice, nata il 6 luglio del 1907. E quando suo padre decise il suo nome, si giustificò spiegando che «Friede, in tedesco, significa pace.» Non sembra un nome adatto ad una donna tenace, combattiva, aggressiva ma dolce nei confronti di quella vita che le riservò sempre sorprese sgradevoli. A noi Frida sa più di libertà, quella libertà che le permise di affermare «che murare viva la propria sofferenza è rischiare di lasciarsi divorare da lei, dall’interno (…), che la forza di ciò che non si esprime è implosiva, devastante, auto-distruttrice. Che esprimere è cominciare a liberarsi.»[1]
a cura di Angela Crucitti
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[1] Tutte le citazioni sono tratte da R. Jamis, Frida Kahlo, Longanesi & C., Milano 1991