“Supersonica”, poesia di Emanuele Marcuccio con commenti critici di Luciano Domenighini e Cinzia Tianetti

SUPERSONICA[1]

(poesia di Emanuele Marcuccio)

Arcata superiore

sopraelevata

in ala a tutti

sfreccia e rincorre

il tempo e il suono

squarcia lo spazio

riduce durata di luce

in eco

nel ribattere veloce

(16/10/2010)


Commento a cura di Luciano Domenighini

“Supersonica” è la più moderna delle liriche di Emanuele Marcuccio non tanto perché abolisce la punteggiatura ma perché è indefinita nel soggetto.

È un vocativo di nettezza abbacinante, metallica, quasi onirica, totalmente “fisica”, spazio-tempo-suono-luce, di dimensione surreale.

Le due sintetiche forme modali al 3° e 8° verso (“in ala”, “in eco”) le conferiscono eleganza e leggerezza.

A CURA DI LUCIANO DOMENIGHINI                                                        

8 maggio 2012

Commento a cura di Cinzia Tianetti

Si potrebbero immaginare dieci aerei in formazione in acrobatici disegni, eppur non è solo un’immagine sospinta dal significato che sovviene alla mente a dedicare l’intera poesia, sono le figure ben disposte nel verso, la loro geometria, che danno l’idea, attraverso la formazione delle parole alle labbra; basta pronunciare sostantivi come “Arcata”, “Ala”, o verbi come “sfrecciare”, “squarciare” per sentirne la spigolosità come di lamiera. Ed ecco figurarsi linee che uniscono coppie di vertici, rette da cui nascono semipiani, superfici, assi, facce, di corpi d’uccelli futuristici in un cielo casa del padre e della madre delle rotondità[2], del morbido, dolce etereo trascendere.

Come negare che dalla notte dei tempi l’uomo abbia sempre aspirato a volare?

Ha imparato a camminare eretto, a sfamarsi, ad accendere il fuoco e scaldarsi, a vivere in comunità sempre più complesse, a costruire utensili, a spostarsi per lunghe distanze in modo sempre più veloce, e quest’ultime cose sono nate dal senso del proprio limite. L’uomo non volerà mai. E nondimeno lo ha sempre voluto, rinascendo nell’idea di riuscirci, se pur solo in sogno, e in questo si percepisce quel senso di malinconia, primordiale, come il desiderio che vi sta dietro. Desiderio di essere volatili e desiderio di ciò che volare simbolizza: la “liberazione”, anche dalle miserie umane, e dal proprio corpo; l’ “ultraterreno” per quel sentimento di spiritualità che attanaglia il cuore, e per il desiderio di essere ad immagine e somiglianza di Dio. E così dal senso di impotenza la potenza dei motori di aerei che toccano le vette dei cieli, e pattuglie che giocano a rincorrere e superare la velocità del suono; eppure non vincono, perché il loro raggiungere tale velocità non è una costante, inevitabilmente ritorneranno a giocare con acrobatici disegni come scongiuri; a rincorrere il tempo, il suono, la luce, a volere squarciare lo spazio. E tutto questo non è nella volontà di quegli aerei che si impongono, ma di coloro che li guardano e sospirano: il poeta, il bambino, l’uomo.

A pensarci bene, una freccia tricolore in cielo, qual contrapposizione, ovvero qual connubio.

Velocità superiore al suono: “Supersonica”, recita il titolo, eppure si legge “sfreccia e rincorre / il tempo e il suono”.

Contraddizione?

Direi di no, qui ha inizio l’aspirazione poetica dell’intera poesia. Aspirare: significante in cui si sposano, convergendo, il “trarre a sé”, sopraelevandosi, il divino, e ciò a cui tende il desiderio “Arcata superiore / sopraelevata / in ala a tutti”, che, riprendendo il concetto del quasi onirico, accennato dal critico Domenighini, sembra esprimersi nel sogno dell’illusione visiva:  “squarcia lo spazio / riduce durata di luce / in eco / nel ribattere veloce”. E si può ancora dire che la tensione tra il termine “Supersonica” ed il verso “sfreccia e rincorre / il tempo e il suono” mostra e produce per l’intera poesia,  ancora una volta, tra il reale e il sogno, tra desiderio e azione, quel senso di malinconia e di nostalgica voglia di volare in altre ali, con gli occhi  rivolti in acrobatiche fugaci colorazioni del firmamento.

La visione di segni nel cielo, mezzo con cui l’uomo ha superato se stesso, proiettano nello spettacolo la potenza d’espressione, ma contravvenendo alla regola di scrivere di qualcosa provando a dire cosa è, o cosa rappresenta (ovviamente nei limiti di quanto, di fatto, oggettivo potrebbe essere il nostro dire), si potrebbe scrivere di qualcosa dicendo cosa non è, o meglio, cosa non è nel segno-parola che utilizza per veicolare l’ignoto messaggio riposto, e questo riconduce all’uomo rappresentato nella poesia dall’osservatore (mi piace pensare il poeta stesso)  intento a contemplare, ammirato, toccato nell’intimo, quel momento che vorrebbe suo, con cui vorrebbe identificarsi per “essere”; senza che rappresenti altro.

Se vi è contraddizione essa sta tra l’invenzione di mezzi, che potrebbero far toccare l’agognata “sensazione” e “consapevolezza”, e la loro stessa insita limitatezza, e, al di sopra di essi, la nostra, perché fondamentalmente incapaci di raggiungere la superiorità ambita e creduta da ciò che siamo.

Infatti, in definitiva, se si considera la giustapposizione tra l’aspirazione umana e la macchina la contraddizione è forte, come dire: io voglio volare, come nei sogni stare al di sopra di tutto e sentirmi libero, voglio avvicinarmi al divino, essere divino, ma non potrò farlo e la stessa mia invenzione non elimina la mia limitatezza, né tantomeno la sua perché non ha vinto sul suono, né sul tempo.

 

A CURA DI CINZIA TIANETTI                                                                                  

16 maggio 2012

 

 POESIA E COMMENTI PUBBLICATI PER GENTILE CONCESSIONE DEGLI AUTORI. È VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERO ARTICOLO SENZA IL PERMESSO DEGLI AUTORI

 


[1] La poesia è liberamente ispirata allo spettacolo delle frecce tricolori. Stampata nell’antologia manoscritta di autori vari, in tiratura limitata di una singola copia cartacea Pensieri e Parole a mano libera, 2011. Il singolo volume è stato messo all’asta per beneficenza, iniziativa a sostegno della fondazione “Città della Speranza”.

La poesia sarà pubblicata entro novembre 2012, insieme ad altre tre, nel volume antologico Immagini, edito da Editrice Pagine.

[2] Da intendersi sia come, per contrapposizione, relazione tra la geometria dell’aereo, invenzione umana, circoscritta, legata ad una forma spaziale e numerica, all’impalpabilità del cielo, dalla forma “informe”, dalla non spigolosità, morbido come una coltre formosa e rotondeggiante. Sia come, muovendosi sul filo delle parole “padre e madre”, senso del divino, che l’uomo ha sempre attribuito al cielo, luogo dello spirito, dell’incorporeo, legandosi al desiderio di Dio e al tendere ad Esso (maschio e femmina); permettendo che in cielo avvenisse quell’unione dell’umano (geometria, numero, forma, aereo) con il trascendente, il soprannaturale (morbido dolce etereo cielo, casa, padre/madre); dell’invenzione (artificio) col sogno; che in definitiva è espressione del desiderio.

6 risposte a "“Supersonica”, poesia di Emanuele Marcuccio con commenti critici di Luciano Domenighini e Cinzia Tianetti"

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  1. L’animo spirituale dimora nell’alta dimensione e, il pensiero trasparente e nitido al contatto del suono elevato di un evento superiore, penetra lo spazio e si lascia attraversare, raggiungendo l’atto creativo, nell’attimo di tempo della percezione, dell’eco silenzioso e musicale delle parole, che il poeta trasforma in versi nella luce che gli ha illuminato nello squarcio di tempo di un veloce istante, il cuore.

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  2. L’ha ribloggato su Emanuele-Marcuccio's Bloge ha commentato:
    Informo che la poesia è edita in Emanuele Marcuccio, «Anima di Poesia», TraccePerLaMeta, 2014. Già edita in «L’evoluzione delle forme poetiche. La migliore produzione poetica dell’ultimo ventennio (1990-2012)», a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo, Kairòs, 2013. Grazie ancora!

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