Il signore delle mosche
di William Golding
recensione-analisi di di Lorenzo Spurio
Ralph piangeva la fine dell’innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero amico, l’amico saggio chiamato Piggy.
(Il signore delle mosche, di William Golding)
Che orrore! Che orrore!
(Cuore di tenebra, di Joseph Conrad)
Il signore delle mosche è un romanzo d’avventura, ma anche un’amara analisi sui rapporti umani che si sviluppa in maniera drammatica e sconvolgente a seguito della diffusione di ideologie contrastanti. E’ anche un romanzo politico, nel senso che mostra modi di pensare riferiti alla società estremamente diversi tra loro; Golding utilizza, infatti, molto spesso nel corso del romanzo un linguaggio specifico che è appunto quello politico: “adunata”, “assemblea”, “congresso”, “leggi”, “consensi”, “maggioranza”, “capo”, “elezioni” sono solo alcune delle parole che vengono impiegate. Da una parte c’è Ralph, il bambino della conchiglia, che istituisce assieme al Piggy l’assemblea e il congresso fondato sul turno di parola, un sistema quindi democratico, fondato sull’eguaglianza, la libertà e mirato alla coesione e alla pluralità delle idee; dall’altra parte c’è Jack Merridew, un bambino prepotente e sadico che si scinderà dal gruppo originario per dar vita a una sua tribù dominata dalla violenza, dalla spietatezza e dall’autoritarismo, nel quale non è difficile intravedere una sorta di politica dittatoriale, totalitaristica.
Il signore delle mosche è un romanzo estremamente complesso. Forse neppure Golding avrebbe voluto crearlo tanto complicato e denso, non nella trama che, invece, è abbastanza semplice e lineare, ma nella serie di temi che implicitamente sottendono nel tessuto dell’intera storia. Ma Il signore delle mosche è anche il segno di un imbarbarimento pericoloso, di un ritorno alle origini selvagge, primitive, è il ritorno a uno stato di natura che fa seguito a un abbattimento di ogni esplicitazione della cultura (l’educazione, l’insegnamento, la formazione, la morale, la religione, il buon senso). Il romanzo si presenta come un bildungsroman stravolto: i bambini della storia, soli superstiti di un incidente aereo, si ritrovano su un’isola disabitata del Pacifico e, dopo un’iniziale progetto democratico di organizzazione e di coesione, si abbandonano a screzi, litigi, rimproveri, minacce sino ad arrivare a vere e proprie violenze:
“Le leggi!” gridò Ralph. “Tu non rispetti le leggi!” “A chi gliene importa?” Ralph chiamò a raccolta tute le sue facoltà. “Ma le leggi sono l’unica cosa che abbiamo!” Ma Jack gli guardava in piena rivolta: “Chi se ne frega delle leggi!”
L’ideale democratico e populista che li aveva animati all’inizio, viene irrimediabilmente infranto e ben presto il gruppo dei ragazzi si divide in due: Jack, non riconoscendo più come capo Ralph, crea un suo gruppo al quale partecipano da subito la maggioranza dei bambini.
L’isola del Pacifico, unica location del romanzo, dalla vegetazione esotica e dai panorami mozzafiato, che poteva essere un ottimo setting di pace e tranquillità, luogo di divertimento e di svago, finisce per diventare, invece, il luogo del vizio, del peccato, dell’infanzia corrotta.
E’ Jack il capo del nuovo gruppetto di bambini che si scinde dal gruppo originario e quest’azione può essere interpretata a livello politico, come una sorta di atto ribelle volto alla determinazione di una minoranza, ma il modo con cui Jack lo fa non ha niente di democratico e di lecito e quindi deve essere visto come una sorta di spietata lotta di potere motivata da ragioni megalomani e personalistiche all’interno delle quali Jack, appunto, si auto-proclama nuovo capo. E’ un capo autoritario, violento, crudele, sempre pronto a dar ordini o a comandare a qualcuno di picchiare altri. E così, alle iniziali idee di adunata, congresso e assemblea, si sostituiscono ben presto una serie di azioni violente, minatorie e criminali del gruppo di Jack, rinominato “il signore delle mosche” contro il gruppo di Ralph che, munito della conchiglia, ex simbolo di unità e democrazia, insegue forse ancora un progetto unitario di uguaglianza basato su leggi e rispetto.
In molti (la maggioranza) non tardano a schierarsi con il nuovo capo che sembra tanto più forte, austero, deciso e prestigioso e anche in questo Golding è abile nel riferirsi, forse, a quante persone entusiasmate dai regimi della prima ora (vedi nazismo e fascismo), che con la loro retorica ridondante finiva per persuadere, decisero di appoggiare ideologie che poi si rivelarono come i peggiori crimini dell’umanità. Traspaiono così in chiave romanzata una serie di riferimenti storico-politico (che sono a loro volta quanto mai attuali) facilmente individuabili per dimostrare come l’assenza di genitori, adulti, leggi, centri di controllo piuttosto che essere vissuta positivamente, si risolve, invece, come motivo di astio, violenza ed esasperata lotta di potere.[1] Il romanzo dà così voce a un’infanzia degenerata che ha perduto per sempre l’innocenza e che è portata quasi meccanicamente ad attuare e reiterare atteggiamenti sadici e sconsiderati che appartengono al mondo degli adulti (vedi il riferimento alla seconda guerra mondiale nelle prime pagine del romanzo, momento nel quale è ambientata tutta la storia).
E’ Piggy, l’amico e consigliere di Ralph, che nelle prime pagine viene canzonato per la sua mole grassottella e per il suo parlare sempre riferendosi a sua zia, il personaggio più legato alla ragione, alle idee di libertà, rispetto e democrazia e, quando nelle ultime pagine del romanzo arriviamo a leggere della sua atroce morte, siamo ormai sicuri che la democrazia sull’isola sia ormai diventata un disegno utopico. Con la morte insensata di Piggy finiamo per solidarizzare ancor più con il gruppo dei “buoni”, Ralph e pochissimi altri, e temiamo che Golding nelle poche pagine che seguano finisca per far morire anche Ralph. Ma in questo modo avrebbe finito per aggravare il tono già particolarmente tragico e, forse, di essere troppo banale; ci consegna, invece, un finale diverso, inaspettato, che, però, ha il sapore di un eccesso di buonismo o di conciliatorismo giunto però ormai in extremis.
L’assurda e inspiegata convinzione dei ragazzi per gran parte del romanzo che l’isola sia infestata da una bestia violenta che li tenga continuamente sotto minaccia si configura, inoltre, da subito come una banale macchinazione della mente dei ragazzi che li porta però a dover trovare a tutti i costi quella bestia. La trovano, sì, ma all’interno del loro gruppo, per soddisfare, forse, quel desiderio di frustrazione di essere bambini e di volersi mostrare grandi, capaci di memorabili azioni e di utilizzare la violenza. Per Jack, il signore delle mosche, il violento, il capo tribù, il despota, il selvaggio, uccidere una persona sarà un’azione di poco conto, proprio come uccidere un maiale. Golding ci chiama direttamente a riflettere e ragionare su quanto l’animo umano sia capace di produrre nefandezze nel momento in cui dimentica ciò che sono la ragione, la coscienza e il rispetto delle leggi. E’ sempre Piggy a sottolineare, come una sorta di saggio “Grillo Parlante” che rimane però sempre poco ascoltato, le mancanze e i pericoli a cui il gruppo sull’isola va incontro se non si rispettano le leggi della conchiglia, ideate da Ralph e all’inizio accettate e condivise da tutti:
“Che cosa è meglio: essere una banda di negri, di primitivi come voi, o essere ragionevoli come Ralph?” “Che cosa è meglio: avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e uccidere?” “Che cosa è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?”
Non c’è nessuna forma di rinsavimento, di ripensamento, né di pentimento da parte di Jack e del suo gruppo nei confronti di Ralph, segno che la crudeltà si è radicalizzata e ha colonizzato ampiamente i loro cuori; il finale proposto da Golding, forse per smorzare un po’ l’esasperata tragicità dell’intera storia, non è però in grado di alleviare il senso di desolazione, di disprezzo e la paura che noi, così come Ralph, proviamo nei confronti di Jack, dei cattivi, dei violenti. L’isola di Golding non è un’isola che “rende famosi” come quella di un celebre reality televisivo ma è, al contrario, un posto che da edenico si trasforma in demoniaco a causa della crudeltà insita nell’uomo, in maniera analoga a quanto avviene nell’Africa nera nel romanzo Cuore di tenebra (Heart of Darkness, 1902) di Joseph Conrad dove il crudele Kurtz, al pari di Jack in Il signore delle mosche, non è altro che emblema del male atavico che sgorga dall’indifferenza nei confronti del dolore prodotto dalle proprie atrocità.
Lorenzo Spurio
Jesi, 22-11-2011
BIBLIOGRAFIA
Conrad, Joseph, Cuore di tenebra, Torino, Einaudi, 2005.
Golding, William, Il signore delle mosche, Milano, Mondadori, 2001.
McEwan, Ian, Il giardino di cemento, Torino, Einaudi, 2006.
Spurio, Lorenzo, “Comportamenti devianti e spazi claustrofobici nella scrittura di McEwan”, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Letterature Moderne, Relatore: Prof.ssa Francesca Montesperelli, Correlatore: Prof.ssa Marinella Salari, a.a. 2010/2011.
[1] Ho avuto modo di studiare a fondo l’opera di Ian McEwan, uno dei maggiori scrittori britannici viventi, oggetto per altro della mia seconda tesi di laurea. La critica ha messo in luce che la storia contenuta nel suo primo romanzo, Il giardino di cemento (The Cement Garden), del 1978, è in parte inspirata da Il signore delle mosche di Golding, romanzo che McEwan conosceva molto bene e del quale era rimasto affascinato. L’idea di Il giardino di cemento, infatti, era, come ha sostenuto l’autore in varie interviste, quella di presentare le vicende di quattro fratelli minorenni che si trovano da soli a gestire tutte le incombenze e le mansioni della casa dopo la morte di entrambi i genitori. L’idea di vedere come dei bambini da soli, senza adulti o altre figure d’autorità, si comportino per ricreare un loro ordine che possa dar stabilità e coesione è ripreso da McEwan direttamente dal romanzo di Golding, poi riadattato in maniera diversa. In Il giardino di cemento, infatti, i bambini dopo un’iniziale organizzazione basata sulla coesione e la spartizione di compiti, finiscono per sprofondare nel caos all’interno del quale maturano atteggiamenti degenerati, preoccupanti e sessualmente deviati attuati, però, come strategie di autodifesa o come un modo per cercar di tener unita la famiglia, contravvenendo alla morale e alle leggi sociali.
E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.
ottima analisi, con configurata minuziosittà delle immagini commentate, impreziosita da notizie e cenni storici di autori di notevole spessore letterario, quella di Lorenzo Spurio, scrittore e critico letterario moderno, al romanzo: il Signore delle mosche – di William Golding.
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questa recensione di Lorenzo Spurio, letta con attenzione e notevole interesse, mi è molto piaciuta.
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Ciao Anna!!
Grazie per averla letta e averla trovata interessante e ben fatta.
E’ un grande piacere.
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Gran romanzo, bella recensione.
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grazie mille!
Un saluto
LS
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interessante e dettagliata!
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Salve, di sicuro sarà noto, ma “il signore delle mosche” sarebbe Satana, più o meno… Basta digitare su Google “belzebub”, appunto anche traducibile con “signore delle mosche” per avere vari spunti… Ma probabilmente è già cosa risaputa!:-) Saluti e bella recensione!:-)
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grazie del commento!
un saluto
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Ciao e complimenti per la recensione. Ho appena letto il libro e mi è piaciuto moltissimo. I temi sono attuali, in questo periodo le deviazioni socio-culturali sono ormai dappertutto. Lo abbiamo visto nelle recenti elezioni con l’affermarsi di movimenti dalle ideologie estreme e discutibili. Volevo chiederti se, come mi è parso di capire dal finale del libro, l’avventura dei ragazzi sia stata in realtà una sorta di “esperimento” messo in atto dagli adulti per vedere come si sarebbero comportati, in una situazione estremamente complessa, dei ragazzi inglesi di buona famiglia. Ti sarò grato se scioglierai questo mio dilemma, avvalorato dalle parole del marine quando trae in salvo ralph. Un ringraziamento e un saluto.
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Gentile Ermanno, grazie per il commento e per aver letto il mio testo. La domanda è difficile e bisognerebbe andare ad indagare per bene negli scritti di Golding, nelle sue interviste o nei suoi diari, magari potrebbe esserci qualche informazione che servirebbe a fugare questo dubbio e a chiarire questa cosa. Per quanto può valere secondo me la risposta è no, che la narrazione e l’intento del libro non nasce dalla volontà di voler rappresentare un caso-limite per vedere come attuano poi i personaggi, ossia come fosse un esperimento.
A questo proposito (Se ti è piaciuto questo libro, credo che non potrà deluderti), ti consiglio vivamente di leggere “L’onda” di Todd Strasser dal quale è stato ricavato anche un film. In quel caso, si sviluppa una tirannide in una classe di ragazzi e, in questo caso, sì che è un esperimento. Se leggerai il libro fammi poi sapere e ancora grazie per il tuo commento.
Cordiali saluti
Lorenzo Spurio
lorenzo.spurio@alice.it
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Grazie mille Lorenzo per l’esaustivita’! Sarà sicuramente una delle prossime letture! Buon proseguimento :)
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Ottima analitica recensione. L ‘uomo nn diventa ‘belva’ crescendo ma la crudeltà e la sopravvivenza sono insiti in lui.Peccato leggere l ‘orribile termine “location ” .
Sherazade
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Ottima analisi e discussione degli intricati temi, che Golding sviluppa. Quando lessi questo libro, mi apparve chiaro l’estensione derivante da “la fattoria degli animali” di Orwell, non credo fosse veramente voluta, ma fosse una sorta di evoluzione, una sorta di studio sulla autogestione di una nuova comunità. Anche in questo caso, prevale l’inclinazione dittatoriale, la forza fisica che vince le ideologie e le leggi democratiche. Ma si evidenzia ancor più la fragilità dell’uomo, nella nella ricerca di un capo fonte di sostegno e protezione, per capire in fine che si tratta di un carnefice.
Mi è piaciuto molto leggere questo brano.
Un caro saluto
Francesco
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Ti ringrazio, Francesco, per averlo letto e per il tuo commento. Si tratta di un romanzo fondamentale, una vera a propria pietra miliare, negli studi di psicologia collettiva, di esperimenti atti ad evidenziare l’assunzione di dati atteggiamenti nella comunità in presenza di particolari condizioni. Rimasi molto affascinato ad esempio (e credo che possa ben legarsi anche al romanzo di Golding) dal libro “La terza onda” di Todd Strasser (più celebre il film, però) che ti consiglio vivamente se non l’hai mai letto/visto. Grazie ancora e un caro saluto, Lorenzo Spurio
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