Tra gli aranci e la menta. Recitativo dell’assenza per Federico Garcia Lorca di Lorenzo Spurio
con note critiche di Nazario Pardini, Velentina Meloni, Corrado Calabrò, Lucia Bonanni, PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino, 2016.
Recensione di Francesca Luzzio
Tra gli aranci e la menta è una plaquette composta di dodici liriche, create da Lorenzo Spurio per ricordare il grande Federico García Lorca.
In apparenza, come si legge nel sottotitolo, è un recitativo dell’assenza, ma di fatto, è un recitativo dell’immortalità poiché il poeta è eterno, è sempre presente, anche quando il corpo si scioglie in cenere o, ancora peggio, non si sa, come nel caso di Federico, dove i resti mortali siano stati sepolti. La voce di García Lorca è sempre viva, canta sempre con i suoi versi e anche le sue ceneri, in fondo, diventati linfa vitale della natura, non smetteranno mai di esistere: “io pronuncio la grammatica silvestre” (in “Non lontano dal limoneto”, pag. 54).
Lorenzo Spurio è consapevole di quanto suddetto, pertanto il suo “recitativo dell’assenza” suona piuttosto come denuncia della triste sorte che spesso ancora oggi tocca ai sostenitori ed ai combattenti per la libertà. Così con il suo canto-denuncia Lorenzo consacra ulteriormente la presenza e l’eternità del grande poeta, soldato della libertà e condanna ogni forma di autoritarismo, limitante l’essenza libera dell’io.
La funzione eternatrice della poesia è una verità ormai assiomatica della tradizione letteraria e Spurio la esemplifica e nello stesso tempo la soggettivizza attraverso García Lorca, con il quale vive una profonda consonanza esistenziale ed etico-morale che lo induce a rivivere in sé emozioni, stati d’animo e idee che furono del grande poeta spagnolo.
È una immersione totale che lo porta a riproporre anche le modalità linguistico-espressive di García Lorca, realizzando quella sintesi tra popolare e colta che è tipica della cosiddetta Generazione del ‘27 a cui apparteneva anche il grande poeta andaluso. Così il suo avanguardismo surrealista è nello stesso tempo ancorato alle tradizioni popolari dell’Andalusia che gli offre immagini, atmosfere e contrasti cromatici.
I versi di Lorenzo ripropongono quest’interazione culturale e la natura e i suoi elementi si umanizzano: “Le piante quel giorno hanno smesso di parlare:/ gli acuminati rami superbi imposero il silenzio” (in “Nella roccia vescovile”, pag. 23) e l’io diventa natura: “non ho imparentato le mie cellule con la polvere/ ma con fremiti verdi, ansiti amari e lucori silvani”( in “Non lontano dal limoneto”, pag. 54), per cui in questo metamorfismo panico è inutile cercare la sua tomba: egli vive in ogni elemento,egli è vivo, è natura, è soprattutto “poesia”.
Francesca Luzzio
Palermo, 10-06-2016