La mezza vita, è il primo, dei venticinque, di una serie di racconti, dello scrittore Lorenzo Spurio, incluso nel libro: La cucina arancione, edito dall’Associazione TraccePerLaMeta. Da un’attenta lettura, prefigura, in sostanza, quella chiave di apertura che traina, con maestrìa, le altre storie, inserite nella piacevole raccolta, di notevole interesse. In realtà, il nuovo lavoro di narrativa, di Lorenzo, dal titolo: La cucina arancione, rappresenta una carica essenziale, così idonea a rafforzare uno spirito già pregno di effettiva libertà linguistica, da cui emergono, in questa particolare scrittura, due principali fattori di base: sobrietà e autenticità.
A mio dire, un narratore, con sottile arguzia, deve mettere in gioco, nella scrittura, tutti gli strumenti possibili, forti anche della formazione culturale. E, Lorenzo Spurio, in questo libro riesce ad offrire al pubblico una varietà di storie, così nuove, ricche di tanta immaginazione descrittiva, correlate di minuziose particolarità, molto affine ad ogni singola personalità di ciascun personaggio.
In concreto, sono racconti diversi l’uno dall’altro, con una scelta di individui semplici, non troppo ricercati, ovvero, gente sempre la stessa, di tutti i giorni, di tutti i tempi, del nostro vivere quotidiano, della nostra moderna società. Orbene, personaggi descritti, ognuno, con scrupolosa cura nei loro particolari e minimi dettagli. A mio parere, sono esaltanti ritratti lineari, sia caratteriali che quelli fisici, che danno spesso l’immagine reale dei forti disagi fisici o mentali di talune persone. In effetti, le tante analitiche particolarità descrittive, inerenti ai racconti, hanno insieme un solo filo conduttore, cioè il disagio mentale o fisico, più o meno accentuato, in taluni personaggi.
Una novità editoriale, di Lorenzo, o meglio un lavoro centellinato a dovere, che risalta al meglio le sue qualità di scrittore, mettendo a fuoco l’analisi introspettiva della condizione umana, con una varietà di disagi non solo psicologici, ma anche nei suoi vari aspetti, fisici e psicofisici che, tuttavia, affliggono parte della nostra umanità. Noto, leggendo con piacere, che il primo racconto svela, in maniera naturale, a dir poco, il vero fascino di una scrittura, che, nel suo complesso, si rivela abbastanza divertente, oserei dire, alquanto, mimica.
Infatti, emerge una mimica parlata, molto bene pensata in ogni suo dettaglio, orchestrata con perfetta minuziosità nella varietà degli innumerevoli particolari, dando corpo e vivacità di linguaggio al racconto stesso, con un finale quasi sempre a sorpresa. Non c’è dubbio, una mimica, capace di vestire e svestire, con sottile ironia, nonché, con forte, fervida, immaginazione, quei personaggi un po’ strambi e curiosi, nel ridurre le dimensioni fisiche, appunto, nella descrizione del nano, così come si riscontra nel racconto: La mezza vita. Invero, nella lettura, di questo racconto risalta l’immagine di certi individui autentici, molto espressivi, dinamici nei movimenti, e nelle loro azioni, proprio come fa un bravo registra coi suoi attori, dietro alla macchina da presa, mentre sta girando le sue scene pensate e immaginate, coi suoi strani, numerosi, personaggi e comparse, per narrare, alla fine, una storia di vita reale oppure immaginaria.
Dunque, è anche la stessa mimica che accomuna i grandi e piccoli artisti, veri interpreti dell’arte, come i divertenti clown dei circhi più in vista, sempre in giro per il mondo. E, quando si presentano al pubblico, per esibire il loro migliore numero di spettacolo, più fantastico, così bello, e molto divertente, il risultato finale, dinanzi alla moltitudine di gente, rimane alla fine assai sorprendente. Orbene, La mezza vita, come racconto iniziale, rappresenta la tipica narrazione di un uomo fantasioso e curioso, che psicologicamente, da persona normale, crede di avere acquisito nuove dimensioni fisiche, appunto, in nano. E, dovendo condurre una vita reale, fa davvero fatica, a muoversi nell’interno della sua casa, come chiudere e aprire la porta per uscire, in quanto è di altezza piccola, così come le sue mani sono troppo corte per svolgere le personali faccende di tutti i giorni. Il finale si rivela una sorpresa.
Mi hanno schedato è un altro racconto ch’io trovo abbastanza intrigante, con una scrittura davvero divertente. Lo scrittore narra di un uomo che fa un sogno davvero strano e bizzarro, sogna di essere nella città di Rabat e di parlare arabo. Intrattiene con la stessa gente del luogo, abituali cordiali conversazioni, come se la conoscesse molto bene, addirittura, parla con loro la stessa lingua. Egli si muove a suo agio in questa città straniera e cammina frettolosamente. E, incuriosito, si sofferma davanti ad una bottega di spezie odorose e raffinate; che sono in bella mostra, trite e polverizzate, con una straordinaria varietà di colori. Ma, al suo risveglio, egli prova subito un forte impatto con la realtà, ricordando di non essere mai stato realmente in quella città araba, né di conoscere quella lingua. Dunque, quel sogno non poteva essere suo, non gli apparteneva nei minimi dettagli. Da queste confuse e personali considerazioni, dentro di sé, riparte, in maniera surreale, tutta un’analisi introspettiva, abbastanza contorta. Infine, decide di non volere più, per sé, quel sogno così strambo. Il finale è a dir poco, inaspettato.
La vecchia col cappotto ocra è tutt’altra trama, un po’ forse troppo forte, in sostanza. In questo episodio un uomo viene disturbato da un sogno sempre lo stesso e ricorrente, con la presenza di una donna alta, di aspetto grossolano, e trascurato, indossa un lungo cappotto colore ocra. La donna appare in sogno, quasi sempre di spalle, poi finalmente gli mostrerà anche il suo volto sgraziato. Tuttavia, questo sogno si rivela una continua persecuzione, così assillante, al punto che, ad ogni suo risveglio, si sente minacciato. In concreto, il sogno diviene ingestibile nella realtà. Egli, infatti, si lascia prendere dall’ansia, e da incredibile paura. Infine, decide di camminare con un coltello in tasca per una sua difesa personale. Ma, un giorno, per un caso fortuito, trovandosi per strada, incontra realmente la donna del suo sogno, è lì dinanzi ai suoi occhi, veste uguale, stesso volto, stesso cappotto. Questa visione, infatti, produrrà in lui una reazione istintiva, così incontrollabile, che lo porterà a compiere un gesto insano.
In conclusione, la lettura del libro: La cucina arancione, dello scrittore Lorenzo Spurio, si presenta scorrevole, come linguaggio, con episodi ricchi di un dinamismo incredibile. A mio parere, sin da subito, emerge quella straordinaria capacità espressiva così complessa in ogni minuziosa descrizione, fatta di movimenti ed azioni, di ciascun personaggio. Non sbaglierei dicendo che questa scrittura, non può che affascinare il lettore. In sintesi, i venticinque racconti, uno dopo l’altro, ti prendono con il particolare piacere di capire, fino in fondo, l’importanza e il senso autentico di questa scrittura, non di facile interpretazione. E’, senza dubbio, una personale scrittura che rasenta l’espressività di un verismo ancora così presente nella nostra società odierna. Tuttavia, un verismo, temprato e forgiato nel tempo, che accomuna la visione, la dialettica, e abbraccia, in un solo afflato, l’umanità dei nostri giorni. Inverosimilmente, a mio dire, l’abbraccia, con gli stessi bisogni e urgenti necessità, anche coi suoi disagi individuali, sempre in forte crescita, in un territorio uguale a tutti gli altri del mondo, con le stesse problematicità che sembrano non avere mai un fine reale.
Novara, lì 4 Ottobre 2013 Anna Scarpetta
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