Segnalazione a cura di Lorenzo Spurio

Federica Gallotta
Federica Gallotta (Tarquinia, 1990) da tre anni vive a Viterbo, dove ha trascorso gli anni universitari. Nel 2017 ha conseguito la Laurea Magistrale in Filologia Moderna all’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo e attualmente insegna italiano in una scuola di Tarquinia. Per la poesia ha pubblicato Altri nuovi giorni d’amore (Ladolfi, Borgomanero, 2017), attualmente ha in preparazione una nuova raccolta. Il poeta Vittorino Curci parlando della Gallotta ha sottolineato la sua “spiccata personalità poetica” aggiungendo che la poetessa “scrive testi sospesi nel tempo, vocativi, essenziali, colmi di tensione, assoluti (nel senso più radicale del termine), […] indifferenti agli stilemi lessicali e compositivi maggiormente utilizzati nella poesia contemporanea […] la [sua] poesia è fortemente drammatica. È l’amore stesso […] che richiede questo particolare registro di scrittura”.
Da Altri nuovi giorni d’amore (2017)
Altri nuovi giorni d’amore
Scrivi il dolore
che melmoso si perde
per i molli anfratti della mente
e liquido e atro irrora i tessuti
poi sedimenta
pigro e corrosivo,
come dannata chioccia che cova
già macchiati futuri.
Lo scrivo il dolore
per chiuderlo nel libro
e strapparlo di dosso
come fastidioso scialle d’estate.
Fissato su carta lo rendo più bello,
lo plasmo gentile:
sdraiato sul letto, le armi deposte.
Ecco il dolore, il mio dolce dolore.
Mi segue muto,
non più rabbioso,
marziale
ma compagno silente
di altri nuovi giorni d’amore.
Tre testi inediti:
È un lento sollevare mattutino. Non so mai
dove – durante la notte – la moka s’è spostata
verso quale destino, di credenza o lavello
e con lei lo strofinaccio e il barattolo
del caffè. Mi dicesti che c’è: un rimedio, un metodo
per ritrovare le cose: cioè non usarle. Tutte
disporle insieme, come un sacrificio, e così
(mi avvisi ancora) ritroverei i biscotti, insonnoliti
e la mia pace all’apertura degli occhi, nell’attesa
calma dell’infusione del tè, quando ancora
intorno a me ogni cosa sonnecchia beata.
E mentre mi taglio un’arancia per farla spremuta
rifletto sul cavolo viola sul tavolo e chiedo
con vero stupore se l’abbia oppure no comprato io.
*
Come Campana facciamo, e l’Aleramo
quando un po’ tesi si scambiarono i pareri
e già fu tardi per tornare indietro.
Passami il termine, e poi non t’arrabbiare
se a sera torno a casa mia col seno
pieno di parole e un turbamento
nuovo di zecca da tenere per l’inverno.
*
Durante l’allunaggio ti sei mosso
e hai perso l’armonia del passo scelto
in precedenza. Con lentezza arcana
(la coscienza di un momento mistico)
hai detto: tu non ci andrai mai su Marte:
è freddo, tanto freddo, non respiri.
Resta qui, sulla Luna, ad aspettare
che qualcuno torni ancora, di nuovo
sulla Terra abbandonata agli alieni.
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