È deceduto lo scrittore Carlos Ruíz Zafón
Pochi giorni fa la stampa ha fornito la notizia della prematura morte del noto scrittore spagnolo Carlos Ruíz Zafón (1964-2020) all’età di cinquantacinque anni. Autore di numerosi articoli sulla stampa nazionale spagnola soprattutto sui periodici El País e La Vanguardia, la sua opera narrativa – per la quale rimane principalmente noto – è stata tradotta in numerose lingue e le sue opere sono ben presto diventante degli acclamati bestseller. Oltre alla serie de Il Cimitero dei libri dimenticati, ciclo di narrazioni composto da varie volumi editi in più di un decennio, 2002-2016, fu autore di un ciclo narrativo per ragazzi dal titolo La trilogia della nebbia. Incursioni vennero da lui fatte anche in altri generi, come nel mondo della scenografia, col quale fu a contatto durante gli anni trascorsi a Los Angeles. A continuazione diamo pubblicazione di un testo scritto dal critico letterario Marco Camerini nella triste occasione della morte del romanziere spagnolo[1].

Ricordare C.L. Zafón…
…Significa rievocare le atmosfere suggestive, intriganti, oniriche e struggenti di uno straordinario romanzo d’esordio come L’ombra del vento (2001, Premio Barry 2005 come miglior opera prima, inserito fra i 100 classici in lingua spagnola degli ultimi 25 anni), in cui confluivano gli accenti immaginifici e fiabeschi della narrativa per ragazzi con la quale lo scrittore iniziò (Il Principe delle nebbie, 1993,venne conosciuto e ripubblicato solo dopo il clamoroso successo del primo), l’abilità nel toccare le corde intime dei sentimenti, l’istintiva tendenza ai toni thriller e orrorifici del genere gotico – sempre più marcati e, a volte, eccessivi nella Tetralogia dei libri dimenticati – il tutto reso in uno stile coinvolgente, serrato, con intuizioni strutturali metanarrative e consumato senso del ritmo descrittivo. Ci vorranno scusare i tantissimi, appassionati cultori di Zafón se sottolineiamo ancora una volta (lo abbiamo fatto spesso) gli inevitabili rischi di un debutto letterario di tale successo da identificarsi immediatamente, nell’immaginario collettivo, con lo scrittore, sino a farne dimenticare lo stesso nome: imporre un confronto ancora più spasmodico con la produzione successiva, divenire un modello ingombrante e difficile da emulare, prospettare una strada (sicura?) di sequel e letali prequel. Così stava per accadere al brillante J. Dicker de La verità sul caso Harry Quebert (ma, dopo il passo falso, de Il libro dei Baltimore qualcuno deve averlo ben consigliato), così in parte è accaduto all’autore spagnolo, destinato e quasi “costretto” dalla fortuna planetaria dell’Ombra del vento a sviluppare e sviscerarne i molteplici spunti – anche quando, inevitabilmente, si esaurivano, mentre la vena creativa perdeva in freschezza e originalità – piuttosto che esperire nuovi percorsi/suggestioni, magari a costo di non veder crescere Daniel Sempere e “far morire” letterariamente un personaggio indimenticabile come Fermín Romero. È questo, alla fine, l’omaggio più sincero che si possa rendere al suo assoluto talento: immaginare quello che avrebbe potuto scrivere fuori dalle brume di una Barcellona visionaria e pure reale, per continuare sempre a ricordarci che “c’è un libro sepolto in ciascuno di noi…bisogna solo incontrarlo”, amarlo, farlo (ri)vivere…perché il bildungsroman appassionato di una crescita interiore scandita dall’amore sconfinato per la Letteratura ha indubbiamente segnato una generazione di lettori. E se la “vita felice” non fosse stata così ingiustamente “breve”, per dirla con Hemingway…
MARCO CAMERINI
[1] Il testo di Camerini è stato precedentemente pubblicato, privo del preambolo introduttivo a cura del sottoscritto, Lorenzo Spurio, sul sito Cronache Letterarie in data 21/06/2020. L’utilizzo del grassetto è mio.